Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 maggio 2010

Immigrati, in Italia solo con i «crediti»
Permesso di soggiorno, via libera al nuovo schema Determinanti conoscenza dell'italiano e rispetto della legge

Avvenire, 21-05-2010
Luca Liverani
Un «Accordo di integrazione» per chi richiede - per la prima volta - il permesso di soggiorno. Per concluderlo bisogna raggiungere 30 crediti in due anni, da accumulare partendo da un bonus di 16: conoscenza della lingua e della Costituzione, figli a scuola, contratto di locazione, iscrizione alla Asl e altro ancora sono elementi che accre¬scono i crediti. Mancata frequenza scolastica dei figli, condanne anche in primo grado, gravi illeciti tributari li fanno perdere. A zero scatta l'espulsione. È lo schema di regolamento in 15 articoli approvato in Consiglio dei ministri su proposta del premier e dei ministri dell'Interno e del Lavoro già ribattezzato "permesso a punti", come la patente. Critico il Pd: «Una corsa ad ostacoli che penalizzerà immigrati e italiani», dice Livia Turco.
Il provvedimento era annunciato da tempo, nel "pacchetto sicurezza" approvato a luglio. Ieri il comunicato di palazzo Chigi annunciava che «sul provvedimento verranno acquisiti i prescritti pareri». Sarà un regola-mento attuativo della Bossi-Fini, vincolante per chi entra in Italia e chiede il permesso, dai 16 anni-per i minori sottoscritto anche dai genitori - ai 65. Entrerà in vigore a 120 giorni della pubblicazione in Gazzetta. La   mediazione del sottosegretario Gianni Letta ieri è servita a intro-durre nel testo una importante no-vità: chi sottoscrive l'accordo - pres¬so lo sportello unico dell'immigrazione - non parte da zero punti, come previsto inizialmente, ma da 16. Alla fine dei due anni chi sarà sceso a zero crediti verrà espulso. Chi sta tra 1 e 29 punti otterrà la proroga di un anno e viene decretato «l'inadempimento parziale», che peserà «nelle decisioni discrezionali in materia di immigrazione o cittadinanza». Ad esempio i sei mesi di proroga del permesso per chi perde il lavoro. Premiato  chi raggiunge 40 o più crediti: agevolazioni formative e culturali. Con l'accordo lo straniero si impegna ad acquisire una conoscenza dell'ita-
liano (almeno al livello A2 del Consiglio d'Europa), una sufficiente conoscenza del principi fondamentali della Costituzione, della vita civile. Dichiara di aderire alla «Carta della cittadinanza e dell'integrazione» emanata nel 2007 dal Viminale e di far frequentare la scuola ai figli. Integrazione d'ufficio invece per i minori non accompagnati e per le vittime della tratta. Lo straniero deve partecipare a una «sessione di formazione civica» tra le 5 e le 10 ore sui suoi diritti e doveri, su quelli dei co¬niugi tra loro e verso i figli. In assenza di documentazione (come diplomi di scuole italiane) la conoscenza della lingua e della cultura civica va dimostrata con un test. Portano punti la conoscenza della lingua, la frequenza di un corso (con 80 ore 4 crediti, un anno scolastico 30), onoreficenze pubbliche, attività im¬prenditoriali, la scelta del medico di base (4 punti), il volontariato (altri 4), un contratto di locazione o l'apertura di un mutuo (6 crediti). A far perdere crediti sono le condanne penali anche non definitive (da 3 a 25), misure di sicurezza personali (10), sanzioni pecunarie da un minimo di 10 mila euro a un massimo di 100 mila (tra 2 e 8) per illeciti amministrativi o tributari. Perde 15 punti chi non manda i figli a scuola.
Hanno Detto
CARITAS
«Più imposizione che accordo»
Molte le perplessità del responsabile dell'immigrazione della Caritas italiana Oliviero Forti. «L'apprendimento della lingua e cultura italiana va stimolato, ma non è giusto che i costi siano a carico dei migranti. Eccessivo poi che l'ignoranza dell'italiano porti all'espulsione.Terzo, più che un accordo pare una imposizione unilaterale e non è giusto che si perdano punti per sentenze penali non definitive».

ACLI
«Percorso a ostacoli per regolari»
Critiche dalle Adi. Secondo il responsabile dell'immigrazione Antonio Russo, «sembra che si sia voluto immettere un percorso a ostacoli sulla strada dell'integrazione di persone che hanno un permesso di soggiorno, quindi hanno già casa, reddito e abitazione. Ma quanti italiani conoscono la lingua e la Costituzione? Altri Paesi europei come la Francia usano questo modello, ma pagano i corsi di formazione».

SANT'EGIDIO
«Ma per i corsi servono risorse»
Servono risorse per imparare la nostra lingua su tutto il territorio nazionale. Per la Comunità di Sant'Egidio il provvedimento deve contemplare stanziamenti per i corsi di italiano. «Altrimenti - commenta Daniela Pompei - i poveri che non possono permettersi i corsi saranno penalizzati. Inoltre bisogna garantirli in tutta la Penisola, noi vediamo che tantissimi desiderano studiare, ma non ne hanno la possibilità».

IL PERMESSO DI SOGGIORNO A PUNTI
Quando entra in vigore?
Non subito, ma a 120 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale
Chi dovrà sottoscriverlo?
L'immigrato di età compresa tra
16 e 65 anni di età che entra per
la prima volta in Italia e che vuole un
permesso di soggiorno superiore a I anno
Dove si fa la domanda?
Allo sportello unico    per l'immigrazione, in prefettura. In quanto tempo si devono raggiungere i crediti? Due anni, con un anno di proroga
Come si ottengono i crediti?
Attraverso la conoscenza della lingua italiana, la cultura civica, il conseguimento di titoli di studio, le onorificenza pubbliche, l'attività imprenditoriale, la scelta di un medico di base, l'affitto o l'acquisto di un'abitazione, l'attività di volontariato, la docenza
I punti possono essere anche decurtati? Sì
Come?
Se si commettono reati, illeciti amministrativi e tributari che comportino la pena dell'arresto da tre mesi in su e una multa di almeno 1Omila euro
La semplice multa di un vigile comporta la decurtazione di crediti?
No, la multa deve essere pari o superiore ai lOmila euro
Quando si viene espulsi? Con 0 punti



Con il permesso di soggiorno a punti l'integrazione diventerà una corsa ad ostacoli che penalizzerà tutti: immigrali e italiani.    Livia Turco, Pd
Un «bonus» di 16 punti agli immigrati

Corriere della Sera, 21-05-2010
Alessandra Arachi
ROMA—Lo hanno già battezzato permesso «a punti», anche se nel regolamento del governo la parola punti non viene usata, mai. Ma tant'è: l'espulsione dell'immigrato scatta quando si raggiunge quota zero, ma se non si arriva a 30 si è già «indesiderati».
E' l'accordo d'integrazione per i nuovi immigrati che ieri ha avuto il via libera dal Consiglio dei ministri. E' uno schema cosiddetto a «crediti». Molto più simile, cioè, a quello del sistema scolastico che non a quello della patente di guida.
E principio, infatti, è didattico: l'immigrato che entra in Italia firma una carta e si impegna formalmente, con lo Stato e con il prefetto, a conseguire precisi risultati per l'integrazione. Entra con 16 crediti già vidimati sul permesso: è l'ammorbidimento al testo deciso ieri a Palazzo Chigi voluto, si dice, dal sottosegretario Gianni Letta.
Gli altri crediti vanno tutti conquistati sul campo. Con la conoscenza della lingua italiana, prima di tutti: l'immigrato guadagna crediti a seconda dei livelli che riesce a raggiungere (da 10 a 30). Subito dopo c'è l'impegno a conoscere la cultura civica e la vita civile italiana (da 6 a 12 crediti). Ma anche il garantire l'adempimento dell'obbligo di istruzione per i figli minori, nonché una sezione molto articolata sugli studi che l'immigrato si impegna ad effettuare nel nostro Paese (fino a 64 crediti per la laurea 0 un titolo equipollente).
L'accordo d'integrazione è un modulo del tutto simile ad un contratto standard: c'è l'immigrato da una parte e dall'altra i rappresentanti di Stato e prefettura. Deve essere stipulato dagli immigrati che mettono piede in Italia per la prima volta, di età compresa fra i sedici e i sessantacinque anni. Dura due anni, l'accordo, salvo la possibilità della proroga di un anno da valutare. Per i minori (dai sedici ai diciotto anni) è prevista la firma obbligatoria da parte di un genitore 0 di chi comunque esercita la potestà genitoriale.
L'immigrato guadagna crediti grazie al suo impegno sociale, di studio, civico, civile. Ma nella stessa maniera li può perdere: per via di condanne penali; per illeciti amministrativi 0 tributari; se subisce applicazioni di misure di sicurezza personale, anche non definitive.
Sono ancora da rivedere alcuni punteggi relativi ai crediti, anche se sembra acclarato che è quando il carniere del nuovo immigrato tocca lo zero che scatta l'espulsione operativa. Se invece si mantiene sotto la quota dei 30, l'immigrato potrebbe avere qualche ostacolo per un eventuale soggiorno permanente 0 la carta di soggiorno.
E' allo sportello unico per l'immigrazione della prefettura che vengono gestiti i crediti e vengono fatte le verifiche biennali.
Deve ancora essere messo a punto questo accordo, prima di venir pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e diventare legge operativa, una dei primi punti del globale piano dell'integrazione che ieri Maurizio Sacconi, ministro del Welfare, ha illustrato sul tavolo di Palazzo Chigi.



Immigrazione, arriva il permesso di soggiorno a punti
Per ottenere creati bisognerà conoscere l'italiano e la Costituzione e promuovere i valori di libertà e democrazia

il Giornale, 21-05-2010
Conoscere la lingua italiana e la Costituzione; rispettare, aderire e promuovere i valori di libertà, uguaglianza e democrazia; garantire l'obbligo scolastico dei figli minori: sono gli impegni chiesti allo straniero nell'Accordo d'integrazione nel momento in cui fa richiesta del permesso di soggiorno. Il regolamento dell'accordo, che introduce per la prima volta un sistema articolato di crediti, è stato approvato ieri pomeriggio dal Consiglio dei ministri. Il provvedimento è stato messo a punto dal ministero dell'Interno d'intesa con quello dell'Istruzione e del Welfare.
I crediti (per stipulare l'accordo servono almeno 30 crediti) aumentano con il livello di conoscenza dell'italiano, della cultura civica e della vita civile e sono certificati dalla frequenza - «con profitto» precisa il testo del regolamento - di corsi di istruzione; mentre subiscono decurtazioni in presenza di condanne penali anche con sentenza non definitiva, di sanzioni pecuniarie definitive per gravi illeciti amministrativi o tributari. In presenza di 0 crediti scatta l'espulsione.
Ecco alcuni esempi. La conoscenza della sola lingua parlata a livello Al (secondo il quadro europeo) riconosce 10 crediti; mentre la conoscenza a livelli superiori a B1 a ben 30 crediti. La frequenza con profitto di un corso della durata di almeno 80 ore 4 crediti, e la frequenza di un anno scolastico 30. Il maggior numero di crediti si ha con l'acquisizione del titolo di dottore di ricerca, ben 64 crediti. Ed ancora: la sottoscrizione di un contratto di locazione pluriennale vale 6 crediti e corsi di formazione nel Paese di origine 4.
Il regolamento si applica allo straniero con età fra 16 e 65 anni; per i minori stipulano i genitori. Con l'accordo (di durata biennale), lo Stato si impegna a sostenere il processo di integrazione attraverso «l'assunzione di ogni idonea iniziativa in raccordo con le Regioni, gli enti locali» e il non profit. Entro un mese, poi, lo Stato assicura la partecipazione gratuita ad una sessione di formazione civica e di informazione sulla vita in Italia della durata di un giorno. Lo Stato inoltre assicura «il godimento dei diritti fondamentali e la pari dignità sociale delle persone senza distinzione di ses¬so, razza, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali, prevenendo ogni manifestazione di razzismo e di discriminazione». È anche agevolato l'accesso alle informazioni.



Permesso a punti per gli stranieri
I crediti collegati alla conoscenza della lingua e della storia italiana

il Sole, 21-05-2010
Marco Ludovico
ROMA  Permesso a punti per gli im-migrati, ma in versione soft.Ieri il Consiglio dei ministri ha dato l'ok allo schema di regolamento del cosiddetto «accordo di integrazione». Il testo entrerà in vigore dopo i pareri previsti dalla legge. Secondo una nota di palazzo Chigi, il provvedimento è «inteso a stabilire i criteri e le modalità per la sottoscrizione, contestualmente alla presentazione della richiesta del permesso di soggiorno da parte dei cittadini stranieri, di un accordo di integrazione, articolato per crediti, da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno».
Lo spirito del provvedimento è chiaro - lo Stato si garantisce che lo straniero si sia integrato in concreto - più complicato, alla fine, è il sistema di ri¬sultati da controllare. Per fare un esempio, nel regolamento è prevista l'obbligatorietà dell'accordo di integrazione nella fascia di età che va dai 16 ai 65 anni. Da questo impegno, però, come è stato richiesto dal ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, saranno esentati quei giovani che hanno completato il ciclo della scuola dell'obbligo, considerato di per sé già un chiaro segnale di integrazione dell'immigrato. Il ministro delle Pari opportunità, Mara Carfagna, ha invece perorato la causa dell'esenzione dal permesso a punti per i disabili e per le donne vittime di tratta che collaborino con le autorità.
Il regolamento - che attua il disegno di legge sicurezza approvato in Parlamento il 15 luglio 2009 - stabilisce che lo straniero che vuol avere un permesso dì soggiorno di durata superiore a un anno dovrà recarsi allo sportello unico per l'immigrazione e sottoscrivere l'impegno ad apprendere, in due anni, un livello adeguato di conoscenza della lingua italiana: il riferimento è il «livello parlato A2» così come lo classifica il Consiglio d'Europa, quello per parlare nella vita di tutti i giorni. L'immigrato dovrà poi sottoscrivere la Carta dei valori sulla cittadinanza e integrazione del 2007, mandare a scuola i figli minori e avere una conoscenza sufficiente della Costituzione italiana e della vita civile. Lo Sportello unico entro un mese dalla domanda farà all'immigrato un breve corso di educazione civica. I corsi di italiano, invece, sono demandati alle associazioni, enti locali, consigli territoriali per l'immigrazione.
Occorre arrivare a 30 crediti nell'arco di due anni, in base a una tabella che attribuisce punti secondo le varie voci, dai corsi di istruzione alla scelta del medico di base, dalla conoscenza dell'italiano ai titoli di studio con valore legale in Italia. Prevista la decurtazione dei crediti, legate a condanne, misure di sicurezza personale, sanzioni pecuniarie.   '
Ieri il Consiglio dei ministri ha deliberato la nomina del prefetto Angela Pria a capo del dipartimento Immigrazione e libertà civili. Pria succede a Mario Morcone, ora alla guida dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati. Il prefetto Giovanna  Iurato va invece a L'Aquila e cede la direzione centrale servizi logistici del dipartimento di Pubblica sicurezza a Giuseppe Maddalena.



Xenofobia? No, questo è razzismo

gliAltri, 21-05-2010
Ritanna Armeni
Un pensiero è diventato assillante: l'Italia si è trasformata in un paese razzista? Davvero la cifra politica dominante è quella dell'odio verso lo straniero, verso l'immigrato? E una domanda che fa paura. In genere quando la si pone si risponde di no. Non di razzismo si tratta - ci dicono a destra e a sinistra - piuttosto di xenofobia, paura dell'estraneo e del divèrso. di colui e colei che non si conoscono e che potrebbero turbare, destabilizzare o addirittura peggiorare le nostre vite. La xenofobia giustifica. «Il coraggio, uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare» diceva Don Abbondio ne I promessi sposi. E come non giustificare la vecchietta abituata al suo paese, alle sue abitudini se le vede sconvolte da estranei? O il padre di famiglia che pensa al suo salario minacciato dall'immigrato che si accontenta di meno? E poi, in un mondo colpito dalla crisi economica dove solo le tradizioni, la famiglia, le abitudini quotidiane sotto una certezza. come non comprendere l'odio per l'estraneo che di modelli e tradizioni ne propone altri? Eppure non credo si tratti di paura, o meglio, non credo si tratti solo di questo. La paura, se tale fosse, avrebbe dovuto produrre una richiesta di allontanamento dell'estraneo. Se gli immigrati non piacciono la richiesta dovrebbe essere il loro allontanamento e la risposta la chiusura dei confini a chi non è gl'adito. Ma tutti - e non solo chi ci governa — sanno che questo è impossibile. Il fenomeno migratorio non può essere fermato intanto perché fa parte di un processo globale inarrestabile, in
secondo luogo perché gli immigrati sono ormai indispensabili. Producono 1' 11 % del Pil, dicono le statistiche, e oggi - ad esempio - né i cantieri edili in cui per lo più lavorano immigrati, né le nostre famiglie in cui aumentano i vecchi che hanno bisogno di badanti, possono fare a meno di loro.
Se allora la risposta non può essere "cacciamoli via", una risposta occorre pur darla ed ecco che la paura - merce diffusa — entra nell'industria delia politica che la manipola, la lavora, aggiunge qualche nuovo ingrediente e lo trasforma in un prodotto simile, certo, ma diverso: il razzismo. L'immigrato in Italia può rimanere, ma sapendo che non ha i nostri diritti, che deve lavorare in condizioni terrificanti, che non può ricongiungersi alla famiglia, non può votare, che i suoi figli, anche se nati e cresciuti sul suolo italiano, rimangono cittadini di sere B. La sua condizione non può essere che discriminata e quindi inferiore. Continuamente sotto controllo, continuamente minacciata.
La trasformazione è stata rapida. Non solo la xenofobia è diventata razzismo, ma questo si è diffuso grazie ad un potente, consapevole e voluto processo di sdoganamento culturale e legislativo. Tutte le pulsioni negative, tutti i timori, tutta la diffidenza nei confronti dell'altro hanno trovato nelle leggi, negli atteggiamenti, nei discorsi di chi in questi anni ha governato il paese una forte giustificazione. Fino a qualche anno fa delie affermazioni razziste ci si vergognava e. se si provavano, venivano represse. Oggi non avviene più perché la "cultura" ufficiale le accetta e le promuove. Quando le leggi sull'immigrazione sono contenute nel pacchetto "sicurezza" si manda un messaggio preciso. Quando le norme che riguardano l'immigrazione non sono mai improntate ad un atteggia mento positivo, di accoglienza, di accettazione, bensì negativo di diffidenza, respingimento; quando persino le ordinanze comunali sono ispirate a questa
logica e quindi si proibisce che i negozi di Kebab possano rimanere aperti oltre le 22. che si possa aprire un'attività se non si parla italiano, che le insegne degli stessi negozi non possano essere in lingua straniera e così via, la conseguenza è la legittimazione di ogni atteggiamento istintivamente negativo che venga dalla società.
Oggi in Italia il razzismo è stato sdoganato, la paura dell'altro si trasformata in disprezzo e volontà di domìnio. Nella convinzione che chi è diverso è anche inferiore.
Si può combattere tutto ciò? Certo che si può farlo, ma a certe condizioni. La prima è quella di chiamare le cose con il loro nome. Solo la chiarissima conoscenza di ciò che in Italia si è trasformato può consentire una opposizione vera. Finché parleremo solo di xenofobia, e non di razzismo, in qualche modo giustificheremo quel che sta avvenendo. La seconda condizione riguarda la percezione esatta del fenomeno. Il fatto che non vi siano,
se non qualche volta, episodi eclatanti e conclamati di razzismo non deve ingannare. Esso è entrato nella normalità, nella banalità della vita quotidiana, ma non per questo è più debole, all'opposto è più forte e radicato. Non erano anche il nazismo e la persecuzione degli ebrei, secondo Hanna Arendt, l'espressione della banalità del male? La terza condizione è la comprensione che quanto è avvenuto in Italia parte da mia volontà
politica. E questa volontà che ha sdoganato le pulsioni razziste, ha trasformato la paura e l'ha diffusa facendola diventare normalità. Oggi non è possibile pensare di opporsi ad una trasformazione così diffusa se non ci si oppone anche alla politica del governo. E dall'alto e non dal basso che il razzismo ha trovato legittimazione e forza di diffusione in un paese come il nostro nuovo ai processi migratori, non attrezzato a comprenderli e che, ancora oggi, non riesce ad uscire dal gorgo destabilizzatore della fine delle ideologie.



Essere antirazzisti oggi

l'Unità, 21-05-2010
Luigi Manconi
Comunicato dell’ufficio stampa del ministro della Difesa: “nel rispetto dei tragici avvenimenti che hanno coinvolto i nostri militari in Afghanistan, per una maggiore completezza d'informazione si precisa che il ministro Ignazio La Russa assisterà alla partita Inter-Bayern con un bel tappo in bocca, fatto di tre, quattro confezioni di caffè Borghetti conficcate a forza. Per evitare incidenti diplomatici.”

***
Laura Balbo è una cara amica: la conobbi quando frequentavo la seconda liceo del Domenico Alberto Azuni di Sassari, un secolo fa. Lei si trovava in Sardegna, con Alessandro Pizzorno e altri che avevano “fondato” la nuova sociologia italiana, per condurre una ricerca sul nascente polo industriale del nord dell’isola: e io aspiravo a far parte di quel gruppo di ricercatori. Come andò a finire non è importante, ma lo ricordo per dire da subito quanta amicizia corra tra noi. Vent’anni più tardi – nella seconda metà degli anni ’80 – decidemmo di costituire Italia-razzismo, con Gian Enrico Rusconi e altri sodali, tra cui Romana Sansa. Questo per dire come, sul tema dell’immigrazione e – in particolare – su quello del rapporto tra italiani e stranieri, ci arrabattiamo da circa un quarto di secolo. Laura Balbo ha una conoscenza della questione molto attenta alla comparazione internazionale e, forse da questo sguardo non provinciale, discende la sua insofferenza verso stereotipi e schemi rigidi di interpretazione e di comportamento. In particolare, da tempo riflette sulla inadeguatezza della categoria di “antirazzismo” per come viene manovrata nel dibattito italiano. “Mi interessa come, sulle vicende dell’immigrazione ci muoviamo noi: i residenti – dice la Balbo – Tre, e solo tre, sembrano essere le categorie: gli ‘immigrati’ i ‘razzisti’ e gli ‘antirazzisti’. Non mi va bene. Parlo di me. Non sono ‘immigrata’. E naturalmente ‘non sono razzista’. Resta la terza categoria, o definizione, o identità: ‘antirazzista’. Gli ‘antirazzisti’ hanno idee chiare, sanno sempre cose dire, si sentono a posto. Non hanno esitazioni a delineare la via d’uscita. E sono contro. Ma per capirla davvero, la fase che viviamo, e per affrontare il futuro, continuare così non basta proprio. Dovremmo cercare di capire che banalizzando cambiamenti e conflitti, le cose non si risolvono: anzi, si aggravano. Propongo, allora, di complicare il quadro. Ci sono i ‘razzisti’, che si dichiarano e si organizzano come tali, in tutta Europa crescono i partiti della ‘destra estrema’ e formule ed espressioni ‘leghiste’ proliferano nel nostro discorso pubblico. Altri appoggiano queste posizioni occasionalmente, senza conoscerle bene, ma sono disponibili a mobilitarsi in determinate circostanze. Altri ancora aderiscono a quei movimenti, con un livello ridottissimo di consapevolezza: e, nel clima attuale di crisi ecomico-finanziaria, si schierano con quanti vogliono riservare ai soli cittadini diritti e tutele. E con quanti dichiarano di difendere identità e tradizione. Per altri, infine, contano esclusivamente i problemi della vita quotidiana.
Diverso ancora è il caso di quelli – non pochi -  che sono delusi, o più spesso furiosi, nei confronti della classe politica e delle istituzioni, le cui scelte vengono avvertite come irreparabilmente lontane e ostili. Se regalassimo tutti questi gruppi e tutte queste insoddisfazioni ai ‘razzisti’, saremmo fritti. Piuttosto dovremmo trovare spazi e modi perché questi diversi settori di opinione vengano coinvolti in una riflessione collettiva sul proprio futuro”. A monte di tutto ciò, forse, c’è una tendenza, che sarebbe scioccamente provocatorio definire “razzista”, ma che è senza dubbio incolta e reazionaria. La tendenza a omologare, ad assemblare, a fare di ogni erba un fascio. “Dovremmo aver imparato, tutti, che  viviamo in una società plurale – continua la Balbo - dove appartenere a diverse generazioni e fasi nel corso della vita fa la differenza; e dove, naturalmente, contano le risorse di cui si dispone e il contesto in cui si è collocati (contesto urbano, professionale, di classe sociale). E invece troppo spesso gli immigrati vengono messi insieme in una comune definizione: mentre diverse sono le provenienze, i percorsi, le situazioni. Donne e uomini. Seconde e terze generazioni.” Come si vede, la Balbo propone innanzitutto un esercizio che potremmo definire di “antirazzismo” ben temperato, l’opposto di quello che ha oggi maggior corso: un atteggiamento che, innanzitutto, discerne, distingue, approfondisce. E, dunque, non omologa non assimila non confonde. Il fondamento, cioè, del rispetto dell’altro: ovvero il riconoscimento della sua singolarità e irripetibilità.



La fabbrica di clandestini ovvero a chi conviene il (non) governo dell'immigrazione

gliAltri, 21-05-2010
Alessandro Antonelli
Se volete sono i miserabili, gli indesiderati, i naufraghi, i vagabondi;  sono  i vetri rotti   dei   quartieri   ghetto, le arance di Rosarno lasciate a marcire, i brandelli della mattanza a Castel Volturno o le scorie della guerriglia etnica a Milano. Oppure, se preferite, sono l'oro (in) nero delle aziende e dei caporali, i fondi di magazzino nascosti (neppure con troppa premura) nel sottoscala del condominio Italia. O ancora turisti col visto scaduto, ex regolari che — guarda un po' che  destino bizzarro - perdono  i  lavoro e,   per   legge, diventano fuorilegge. Oppure   sono   tutte queste cose insieme.  In  una parola: clandestini.
Nel  Belpaese dei  pacchetti sicurezza si aggirano  le   anime del purgatorio, sospese tra il feticcio di "paradisiache" sanatorie e l'inferno dell'esclusione sociale, praticata ogni giorno nelle pieghe di uno Stato incapace di governare l'altro" se non in nome della propaganda e della finta tolleranza zero. Già, finta, poiché in barba  a proclami muscolari,  detenzioni speciali e azioni corsare in grande stile, i custodi degli italici
confini possono ben poco contro l'esercito di irregolari che attraverso le proprie leggi contribuiscono a forgiare.
RESPINGIMENTI
Le ultime cifre del Viminale quantificano la presenza dì "clandestini"  in circa 544mila unità,ma stime ben più realistiche fornite da diverse sigle dell'associazionismo - Caritas Migrantes in particolare - parlano di un numero che si aggira tra i 700mila e un milione di persone. Un quinto della presenza straniera in Italia; Di questi una percentuale minima, anzi risibile, giunge nel nostro paese a bordo di gommoni e carrette del mare, appena il 10-15%. Eppure la narrazione istituzionale continua a proiettare nelle case degli italiani le immagini di sbarchi fortunosi, invasioni disperate e audaci pattugliamenti. Ad uso e consumo di tale universo simbolico e in omaggio a questa "simulazione" di controllo, il governo ha puntato tutto sui famosi respingimenti e sugli accordi con la Libia per contrastare il traffico degli immigrati sul canale di Sicilia. Il pallottoliere del ministero dell'Interno - che si fregia di aver ridotto del 90% i flussi dalle coste africane - recita orgoglioso il bottino del 2009: 845 clandestini respinti in mare. Per i rimpatri si stanno chiudendo accordi con Nigeria, Niger, Algeria, Ghana, Gambia, Senegal e Sudan. Peccato che i movimenti si stiano riorganizzando altrove, facendo sponda sulle coste greche e rinvigorendo l'antica rotta dei Balcani. Questo, almeno, è l'allarme degli investigatori e delle principali organizzazioni internazionali. Ad ogni modo la porzione più consistente di ingressi illegali nel nostro paese non segue le autostrade del mare tra Tripoli e Lampedusa: il 20-30% buca le nostre frontiere a Nord, soprattutto al confine orientale.
LEGGI "CRIMINOGENE" Ma il cuore della clandestinità batte altrove, pulsa nelle stesse leggi dello Stato che diventano vere e proprie fabbriche di irregolari. Parliamo degli "overstayers" (50-60% degli  stranieri  illegalmente  presenti in Italia), ossia cittadini di origine straniera entrati legittimamente in Italia con visto turistico o permesso di soggiorno, ma che permangono oltre il termine loro consentito e si rendono irreperibili. Basta essere licenziati, avere problemi col rinnovo dei documenti e del contratto di lavoro e automaticamente si diventa "criminali" pur senza compiere alcuna azione violenta. Questo grazie al reato di clandestinità, scritto sotto dettatura leghista e inserito come grottesca appendice nella Bossi-Fini. Un assurdo giuridico che sconvolge lo spirito del diritto penale e per la prima volta punisce T'essere" e non il "fare". Anche qui si tratta di una legge-proclama spesa in funzione elettorale, ma che nella pratica incontra estreme difficoltà di applicazione. Le persone fermate, recluse nei Cie (al momento si contano 1.400 "ospiti") e quindi espulse restano un'esigua minoranza, mentre la quasi totalità degli irregolari vine riciclata nel mercato del lavoro nero. Emblematica la situazione di alcune province del Mezzogiorno (Crotone, Nuoro, Siracusa, Reggio Calabria, Napoli ecc) che in proporzione  assorbono   una  percentuale di clandestini superiore alla media, impiegati come braccianti e stagionali in condizioni spesso molto prossime alla schiavitù. Restano invisibili. Invisibili a tutti, tranne che ai caporali, che sanno dove e come reclutarli e sanno pure come farla franca, potendo contare sul loro silenzio. Lo stato accorda al possibilità di denunciare la propria condizione di sfruttamento, ma in pochi collaborano con la giustizia visto che il permesso di soggiorno è "a termine" e scade alla fine dell'iter processuale. Dopo si ritorna clandestini, e disoccupati.
DIRITTI NEGATI
Parlare di diritti, in questo caso, è grottesco. Anche perché secondo i report delle ong operanti nel terzo settore - preziosissime banche dati della presenza clandestina in Italia - gli stranieri senza regolare permesso di soggiorno hanno accesso in modo limitatissimo ai servizi, anche a quelli dovuti per legge come le prestazioni sanitarie essenziali. Pur essendo obbligate a fornire livelli minimi di assistenza, non tutte le strutture della Sanità italiana aprono le proprie porte ai clandestini con uguale facilità. Per accedere ad ambulatori e ospedali serve il codice Stp (straniero temporaneamente presente), il cui rilascio è spesso condizionato da disponibilità personali, simpatie o diffidenze, ganasce burocratiche e via discorrendo. Una terra di nessuno che il governo aveva pensato bene di invadere, partorendo la genialata dei "medici-spia" contro i clandestini. Più in generale si può dire che il ruolo di supplenza del volontariato raggiunga livelli imbarazzanti. Le amministrazioni comunali provano a battere cassa ma sono spesso lasciate sole a gestire problemi enormi di convivenza e integrazione. A volte ci riescono, a volte no, e cedono a pulsioni securitarie — gioiosamente bipartisan - oppure direttamente a facili equazioni come quella del sindaco Moratti: "clandestino uguale criminale". «Razzismo istituzionale» l'ha battezzato Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell'Arci.
Ma che gli stranieri (regolari e non) siano indispensabili alla nostra Italia (regolare e non) lo sanno tutti. Perfino i Promotori della Libertà che ci hanno montato su l'immancabile sondaggio. Sapete per chi voterebbero i clandestini se potessero recarsi alle urne? Ma è chiaro: per lui, per Silvio. L'unico che in fondo può capirli, perché sa cosa vuol dire stare sempre sui filo della legge.



Col Clandestino contro la legge

gliAltri, 21-05-2010
Piero Sansonetti
Qual è oggi il perimetro dentro al quale si può costruire una sinistra nuova? Cioè il confine che serve a distinguere il rinnovamento   dalla
conservazione
Naturalmente parliamo di idee, non di schieramenti preconfezionati. Esiste - cioè - una idea, una battaglia, che in qualche modo le rappresenta tutte, o che comunque le precede tutte, che va messa al primo posto? Esiste una "discriminante'"? C'è una parola, forse, che risponde a queste domande: clandestino. Chi è il clandestino? Prima di tutto è l'immigrato illegale, cioè la persona straniera che arriva nel nostro paese, o comunque arriva in Occidente, e viene condannalo a restare fuori dalle leggi, e quindi fuori dal sistema dei diritti, come un paria, un essere inferiore. Il clandestino è l'oggetto del razzismo   moderno.   Un razzismo che non ha niente   da   invidiare al   razzismo   antico, a  quello  antisemita o a quello esercitato ai danni dei neri, soprattutto in America. Razzismo in quanto oppressione,  dominio, potere, schiavizzazione   operata   da un popolo ai danni di altri popoli. E poi il clandestino è comunque   l'illegale. cioè il cittadino che non riesce a fare pace con la legge, che non la ricono¬sce, che disobbedisce, che non accetta lo Stato. Perché non può, perché non vuole.
Noi pensiamo che la sinistra debba ripartire da qui. Cioè non dalla ricerca del consenso, dall'ossessione elettorale del 51 per cento. Ma dall'idea di costruire una società nella quale il clandestino diventi cittadino, e in questo modo, anche simbolicamente, sconfigga lo Stato e sconfigga la proposta della destra che è quella di riorganizzare la nostra civiltà sulla base di nuove gerarchie e nuove forme di semischiavitù, di schiavitù e di padronato. Tutto il resto viene dopo. Tutto il resto è la conseguenza, o l'arricchimento, di questa che è la battaglia essenziale. In questo numero de Gli Altri proviamo a spiegare questa idea: in Italia non è la xenofobia che prevale, ma è proprio il razzismo. La xenofobia è un sentimento di massa, molto reazionario ma difensivo. Talvolta violento ma non oppressivo. Il razzismo invece è l'ideologia secondo la quale alcuni popoli sono destinati a dominarne altri, e una parte definita del genere umano ha il compito di servire un'altra parte e di subirne il cornando e l'oppressione.
Oggi il razzismo in Italia è dilagante. Vincente. E maggioritario nell'opinione pubblica e nel Palazzo. E nella cultura di governo, non solo del cen-
trodestra. E usa la xenofobia come carburante. Le politiche di respingimento non sono motivate dalla presunta necessità di ridurre gli stranieri in Italia — e infatti si concentrano sul respingimento in mare, che riguarda neppure il 10 per cento della spinta dell'immigrazione non legale - sono motivate dalla necessità di creare clandestini, cioè popolazione senza diritti, schiavitù.
La Lega, e una parte consistente del centrodestra, sostengono questa idea, questa filosofia. Scommettono su di essa. E sono pronti anche a fare i conti al proprio interno, eliminando l'eresìa "finiana". La sinistra sa opporsi? Ne ha voglia? Ne ha le forze, la fantasia? Vuole davvero uscire dal tunnel tremendo nel quale entrò ai tempi del governo Prodi col famoso decreto antiromeni, con gli editti contro i mendicanti, con la sfida moderata di Veltroni? Oppure preferisce restare rintanata nei suoi dibattiti di sempre. Quelli che servono a inventare una strategia delle alleanze, se si è riformisti, o a stabilire gli slogan più roboanti e inutili, se si è radicali? Per essere più chiari: la sinistra saprà uscire dallo schema secondo il quale la chiave della politica è la riproduzione di ceto politico (fosse anche ceto politico rivoluzionario) cioè l'autoconservazione, e non la scoperta dei nuovi soggetti e la lotta alle nuove strategie del dominio?



La Lega ama l'immigrato (se orso)

il Riformista, 21-05-2010
Anna Meldolesi
Dino continua a fare danni e il nervosismo cresce. Il presidente della Provincia di Vicenza, Attilio Schneck (Lega), ha lanciato l'allarme: «Catturate l'orso o lo uccidono». Mentre su Internet si vendono già magliette con la scritta "Free Dino". Il piantigrado ha dalla sua parte la legge e oggi ad Asiago si riunirà un tavolo tecnico-politico per discutere il da farsi, ma soluzioni capaci di accontentare tutti e subito non ce ne sono.
Il nome Dino è stato scelto in onore di Buzzati quando l'orso bruno è arrivato in Trentino dalla nativa Slovenia. Poi questo bestione vicino alla maturità sessuale, nella tipica fase di dispersione, si è stabilito temporaneamente in Veneto, dove la gente è poco abituata a convivere con presenze tanto ingombranti e dove Dino ha preso ad avvicinarsi sempre più spesso a strade e borgate. I quotidiani locali pubblicano da giorni le foto delle vittime sventrate e i commenti turbati degli abitanti, ma l'abbattimento è fuori discussione. Finché continuerà ad attaccare soltanto animali - finora ha ucciso 14 asini - è impossibile che il ministero dell'Ambiente e l'organismo scientifico a tutela della fauna selvatica (Ispra) diano il via libera per la soluzione più estrema.
Stefania Prestigiacomo per ora non ha rilasciato dichiarazioni. Tace anche Luca Zaia, che probabilmente non ha voglia di inimicarsi i malgari, preoccupati dai possibili attacchi nei pascoli estivi ad alta quota. Una benedizione a sorpresa, invece, è arrivata dal ministro dell'Agricoltura Giancarlo Galan: «Nessuno osi torcere un pelo all'orso». Quasi una dichiarazione d'amore quella dell'assessore veneto al Turismo (Marino Finozzi, Lega) che scrive: «Ho pensato a te straniero, nato in Slovenia, cresciuto in Trentino che hai scelto il nostro Veneto, le nostre montagne, i nostri boschi per una boccata di libertà» (magari tutti i leghisti mostrassero la stessa empatia per gli umani in cerca di asilo).
Sulla carta, dunque, Dino è salvo. Ma resterà libero? Finora l'Italia ha fatto ricorso alla captivazione un'unica volta nel 2007 nel caso di Jurka, madre problematica di altri orsi problematici, abbattuti dopo lo sconfinamento in Paesi più sbrigativi del nostro (Germania e Svizzera) fra le proteste di Alfonso Pecoraro Scanio. Ora Jurka vive dentro un recinto in provincia di Trento, ma per prendere questa decisione il ministero dell'Ambiente ha impiegato tre anni.
E quasi impossibile, dunque, che Dino venga ridotto in cattività prima di averle provate tutte per insegnargli a stare alla larga dagli ambienti antropici. Probabilmente sarà necessario sostituirgli il radiocollare difettoso, in modo da poterlo seguire e dissuadere più efficacemente. Le pallottole di gomma le ha già assaggiate due volte, ma non sembra aver imparato la lezione. Si tenterà ancora e forse a lungo, magari anche con l'aiuto di dardi esplodenti e cani specializzati in arrivo dall'Est Europa. Se Dino non se ne andrà spontaneamente, gli allevatori veneti avranno la pazienza necessaria? Molti temono di no, ecco perché la Provincia di Vicenza caldeggia un'altra soluzione: il ricollocamento. In sostanza bisognerebbe catturare Dino e riportarlo in Trentino, dove vive una colonia di 25-30 individui discesi dal progetto Life Ursus. Ma Trento offre resistenza e l'operazione non ha un gran senso visto che gli orsi macinano chilometri e non riconoscono i confini. La reintroduzione è costata impegno e soldi (oltre 2 milioni di euro, in buona parte coperti da fondi europei), ma la variabilità genetica di questa popolazione ha bisogno di nuovi esemplari provenienti dalla Slovenia, dove ce ne sono centinaia. Il problema, dunque, non è solo mettere in riga Dino o scaricare sul Trentino il problema. Ma è capire se esistono le condizioni sociali per dare un futuro agli orsi sulle Alpi. Le recinzioni elettrificate di cui anche il Veneto vuole dotarsi e il tempestivo rimborso dei danni aiutano la convivenza ma non bastano a garantirla. Il modello da non imitare è quello dei Pirenei, dove la reintroduzione è in fase di stallo perché è vissuta come un'imposizione dall'alto. Carla Bruni è scesa in campo come madrina degli orsi, ma ha finito per irritare ancor più gli allevatori che non hanno intenzione di cambiare modo di lavorare solo per compiacere le élite di Parigi.



Non resta che chiudere il campo»
Salvini (Lega Nord): adesso basta. E invoca il piano del ministro Maroni

Il Giorno Milano, 21-05-2010
ALBINA OLIVATI
MILANO- Matteo Salvini, consigliere della Lega a Palazzo Marino e presidente della commissione Sicurezza, appena saputo dei disordini di via Barzaghi, protagonisti i rom del campo di Triboniano, reagisce con un motto di esasperazione.
«Adesso basta. Tengano presente che la pazienza di Milano ha un limite e non ne devono abusare. Vengono trattati anche troppo bene. Se poi esagerano, basta, fine».
Cosa propone concretamente, perché questi episodi non succedano?
«Ma più che il percorso di integrazione, di aiuti, di accompagnamento come sta facendo il ministro Maroni, proprio non so. Se non va bene neanche lo sforzo che si sta facendo e che costa anche parecchio, che vadano a quel paese. Se poi non gli va bene neanche la disponibilità che, sia chiaro, non è dovuta, si arrangino. È gente che col lavoro c'entra come il cavolo a merenda».
Ma il campo di Triboniano è regolare. Non pensa che forse avevano delle richieste, che potevano es¬sere ascoltate?

«Sentire parlare di rom regolari, una persona normale ride. Tra furti, violenze, accattonaggio c'è solo da scegliere. È la Caritas a denunciare questo, quindi...Cosa pretendono di incontrare sindaci, presentare richieste, manifestare per Milano, se sono intelligenti, tacciono e accettano quello che viene loro generosamente dato. Se pretendono di più, lo otterranno in un'altra città che non è Milano».
Ma non si possono cacciare.
«Per questo ci stiamo sforzando, tirando fuori finanziamenti, percorsi di accompagnamento per quelli che sono nella legalità. Se non gli va bene neanche questo, che corrano da un'altra parte. Il mondo è grande».
Però c'è chi vive nella legalità, l'ha detto anche lei. Per loro?
«Certo che ci sono e allora comincino a vivere come persone normali».
Cosa vuol dire?
«Andare a lavorare, cercare casa, fare quello che fanno gli altri a Milano».
Non pensa che sia difficile,vivere così, per una persona che ha altre abitudini?
«Non è Milano che si deve adeguare a loro. Qui si vive così, se non va bene, vadano da un'altra parte».





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