Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 febbraio 2011

Rom, la testa dall’altra parte
Europa, 10-02-2011
Pietro Marcenaro
Il rogo che domenica notte ha ucciso quattro bambini Rom in un campo alla periferia di Roma è una tragedia che obbliga ciascuno di noi ad un’assunzione di responsabilità.
Per troppo tempo la politica, ma non solo, ha girato la testa dall’altra parte per non vedere e non conoscere le condizioni di vita di migliaia di Rom e Sinti che vivono nel nostro paese. Si parla di circa 40.000 persone tra donne, uomini ma soprattutto di bambini che abitano nei campi, realtà che con pochissime eccezioni non esistono in altri paesi europei; e vivono in condizioni, per usare il linguaggio delle convenzioni internazionali, disumane e degradanti.
Nei campi abusivi manca l’acqua, la luce, i servizi igienici, e spesso le baracche sono costruite a ridosso di discariche, infestate di topi. E anche i campi regolari, in cui dovrebbero essere garantiti i servizi minimi, sono costruiti nelle periferie delle città, terre di nessuno da tenere il più lontano possibile dalle nostre case, dalle nostre scuole, dalle nostre abitudini. Sono luoghi che rendono impossibile qualsiasi tipo di vita sociale: come si fa a pensare di mandare un bambino a scuola, se vive a venti chilometri dall’istituto più vicino in una roulotte senza riscaldamento o immersa nel fango?
Nei campi quindi si nasce, si vive e si muore. La metà dei Rom e dei Sinti presenti nel nostro paese sono cittadini italiani ma circa i due terzi di quelli di nazionalità straniera provengono dalla ex Jugoslavia e sono nati e cresciuti in gran parte in Italia. Quindi in baracche, o roulotte, a ridosso delle nostra case ma in un mondo che è anni luce di distanza da quello che conosciamo e che facciamo di tutto per rimuovere dai nostri orizzonti.
È a queste persone che la politica deve guardare, senza demagogia e senza contrapposizioni faziose, per costruire dei percorsi che promuovano una reale integrazione, nel rispetto dei diritti e dei doveri. Non si può sfruttare l’alibi della “differenza culturale” per giustificare situazioni di vita disumane. È quindi necessario un programma graduale di chiusura dei campi, a partire da quelli più degradati, per offrire soluzioni abitative diverse, accettabili e accettate, cioè discusse e confrontate. Ed è a queste persone che la politica deve guardare con azioni e provvedimenti che restituiscano la piena cittadinanza.
Ad esempio rivedendo il capitolo della legge 482 del 1999 che riconosce le minoranze linguistiche italiane per includervi la minoranza Rom e la sua lingua, il romanès; ad esempio inserendo il genocidio dei Rom tra quelli che vengono ricordati ogni anno il 27 gennaio nel Giorno della Memoria; ad esempio trovando una risposta alla domanda di cittadinanza per le migliaia di minori nati nel nostro territorio.
Ieri, la commissione del senato per i diritti umani ha approvato il rapporto finale di un’indagine iniziata nell’ottobre del 2009 e durata oltre un anno e mezzo. Un lavoro meditato, portato avanti con impegno e attenzione, e votato all’unanimità, alla presenza di tutti i gruppi parlamentari, non sull’onda dell’emotività ma grazie a una discussione maturata nel tempo. Credo sia stato un esempio di impegno e di responsabilità, che proviene dalla volontà di guardare alla situazione dei Rom e dei Sinti non con i paraocchi dettati dai luoghi comuni ma con la sincera volontà di conoscere.
Perché interrompere la spirale di ignoranza e pregiudizio è il primo passo per immaginare soluzioni, e interventi, per promuovere un reale processo di integrazione e di miglioramento delle condizioni di vita.



«Rom, già spesi trenta milioni ogni nuovo campo ne costa 7»

Pecoraro: La lettera? Un po’ di confusione emotiva
Corriere della sera, 10-02-2011
Poco più di un mese fa gli è stata rinnovata la carica di Commissario straordinario per l’emergenza nomadi fino alla fine dell’anno. Ma due giorni or sono il ministro dell’Interno Roberto Maroni lo ha criticato all’indomani della lettera firmata con il sindaco Gianni Alemanno, con la quale si chiedono «poteri speciali» e altri 30 milioni di euro per completare il Piano nomadi. E proprio per questa missiva, definita «una sorpresa» dal Viminale, il prefetto Giuseppe Pecoraro è rimasto anche coinvolto nella vivace polemica proprio fra Maroni e Alemanno. A ripensarci, c’era proprio bisogno di quella lettera? «Non mi permetterei mai di fare alcuna polemica con il ministro. Sono stato suo vice capo di gabinetto vicario nel ’ 94 e con lui ho un ottimo rapporto. Quella lettera è stata inviata sull’onda dell’emozione per la morte dei bimbi rom, e per poter adempiere al meglio alle richieste del Governo che mi ha nominato. Era una comunicazione cordiale, non certo un ultimatum» . Ma come Commissario ha bisogno di «poteri speciali» ? «Anche su questo punto c’è stata un po’ di confusione. E non da parte mia. Sono stati usati termini, "poteri speciali", sbagliati: la verità è che come Commissario ho già un’ampia gamma di poteri, ma abbiamo richiesto soltanto di accelerare tempi di attuazione riducendo quelli a disposizione delle autorità da interpellare per legge ai fini delle diverse decisioni: gli appalti, le aree idonee, i vincoli archeologici» .Il sindaco ha chiamato in causa i ritardi burocratici che avrebbero danneggiato il Piano. È proprio così? «Il riferimento è a quello della Barbuta e all’altro alla periferia sud-ovest della città. Nel primo caso, dove ho svolto un sopralluogo proprio pochi giorni fa dopo l’inizio dei lavori di ampliamento, erano stati trovati i resti di una villa antica. Nel secondo, invece, è purtroppo deceduto il proprietario del terreno, e quindi abbiamo dovuto ricominciare le trattative per l’acquisto del fondo con gli eredi. Peraltro alcuni di loro non erano più d’accordo a vendere» . Quando saranno pronti? «Entrambi prima dell’estate. Ma stiamo valutando l’acquisto di aree per gli ultimi due villaggi. Uno entro e l’altro nelle immediate vicinanze del Raccordo anulare. Spero tuttavia in municipi diversi da quelli dove ci sono già i campi autorizzati. Per fortuna -aggiunge il prefetto -siamo riusciti a recuperare l’insediamento della Cesarina, nel IV Municipio, grazie soprattutto al cardinal Agostino Vallini che ha appoggiato la nostra richiesta Propaganda Fide, proprietaria del terreno. Intanto, però, sorgeranno le tendopoli provvisorie su zone di proprietà del Comune» . Il ministro Maroni ha sottolineato come siano già stati concessi al Lazio 20 milioni di euro, più i 12 da Comune e Regione. Una cifra record... «È vero, ma bisogna anche pensare che a Roma c’è il maggior numero di nomadi e di campi, fra autorizzati e abusivi, e che fin all’inizio del Piano nomadi avevamo specificato che non potevamo prevedere esattamente quanto sarebbe costata tutta l’operazione. I conti sono presto fatti: abbiamo già speso 22 milioni in lavori di ristrutturazioni, adeguamento ampliamento di Castel Romano, Gordiani, River, Candoni e Salone. Ci sono poi l’acquisto dei terreni, dove abbiamo portato acqua, luce e gas, le fognature, la vigilanza privata, i saggi archeologici alla Barbuta, l’acquisto dei moduli abitativi, in media 10 mila euro l’uno per un modello per sei persone, l’assistenza umanitaria agli abitanti dell’ex Casilino 900, del quale dobbiamo ancora saldare una parte della bonifica, il fotosegnalamento dei rom e gli straordinari del personale delle forze dell’ordine. Solo per i vigili urbani conto è di mezzo milione di euro. Ma è giusto dire anche che molti operatori hanno rinunciato allo straordinario. adesso -sottolinea il prefetto -ci sono nuovi sgomberi dei micro-campi» . Alla fine quanto costa un insediamento? «Abbiamo calcolato circa sette milioni di euro» . E quindi possiamo dire che i 30 milioni appena chiesti sono già quasi tutti assegnati? «In pratica sì: con tre campi da costruire dal nulla e altri due da ristrutturare contiamo di poter completare il Piano nomadi entro la fine dell’anno» . Rinaldo Frignani ©



Maroni-Alemanno, è gelo Il sindaco: "Mi aiuti Berlusconi"

Il Pd: "Figuraccia del Comune, però noi pronti a collaborare". Il primo cittadino annuncia un incontro, il ministro smentisce. Forse oggi il faccia a faccia
la Repubblica,10-02-2011
GIOVANNA VITALE
"Se il ministro dell'Interno dovesse rifiutare lo stanziamento di nuove risorse mi appellerò direttamente al premier Silvio Berlusconi". Dopo lo scontro sui 30 milioni da assegnare a Roma per completare il piano nomadi, è ancora gelo tra Maroni e Alemanno. Il primo cittadino sperava di incontrarlo ieri mattina a Palazzo Chigi, a margine della riunione dell'esecutivo, ma l'inquilino del Viminale non si è presentato. Lo ha cercato più volte al telefono per un chiarimento, ma l'altro si è negato, facendo tuttavia arrivare un messaggio preciso: "Nessuna polemica, ci vedremo, ma non diventi un tormentone". Alla fine, attraverso l'amico e sottosegretario Alfredo Mantovano, il sindaco ha annunciato di essere riuscito a combinare un incontro, ma il ministro ha fatto sapere di non avere in agenda alcun rendez-vous.
La lettera
Non poteva essere altrimenti. Fin dal mattino il sindaco aveva sparato a zero contro Maroni, accusato di "non aver capito il senso delle mie richieste: non si può dire che questi soldi non servono o dire "perché ce li chiedete?"", ha tuonato in diretta radio. "Si possono dire tante cose, come ad esempio: "provvederemo"; oppure: "in questo momenti non li abbiamo"; o ancora: "provvedete voi nel frattempo". Ma non, come ha fatto improvvidamente il ministro, "non lo so, non capisco, non vedo"". Tanto più che la lettera inviata al Viminale per avere 30 milioni in più e nuovi poteri "è stata scritta dal prefetto, una persona che fa parte del ministero, poteva essere considerata come una comunicazione di servizio", ha incalzato Alemanno, di fatto scaricando ogni responsabilità sul rappresentante del governo. Senza contare che "i fondi aggiuntivi servono per affrontare il problema dei micro-campi abusivi", ha concluso: "Il piano nomadi era concepito solo per sgomberare i campi tollerati. E per questo soldi ci sono. Spero che oggi Maroni comprenda la situazione". Così non è stato. Per tutta la giornata il titolare del Viminale ha tenuto la porta chiusa.
La veglia per i bimbi morti nel rogo
"C'erano problemi d'agenda", ha tentato di minimizzare in serata Alemanno, "l'incontro è stato fissato, ma essendo riservato, ne daremo riscontro solo dopo". Si terrà, salvo contrordini, oggi pomeriggio. Il duro botta e risposta un effetto lo ha comunque già provocato: l'impasse più totale. A cominciare dall'individuazione delle due aree - un autoparco sulla Prenestina e un sito analogo sulla Cassia - dove montare le 200 tende per i nomadi sfollati dalle baraccopoli che saranno sgomberate la prossima settimana. Intanto ieri il prefetto Giuseppe Pecoraro ha incontrato il procuratore Giovanni Ferrara.
E non si fermano le divisioni politiche sul rogo di Tor Fiscale. Con le opposizioni che da un lato ironizzano sulla "ennesima brutta figura del sindaco" ormai "abbandonato da amici e alleati", dall'altro tendono la mano per affrontare l'emergenza. "Sul piano nomadi c'è tanta confusione e non sarò certo io ad alimentarla, ma sono preoccupato", avverte il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti: "Mi auguro che si avvii una cooperazione". Più concreto l'ex prefetto e senatore udc Achille Serra: "Invece di dare sempre le colpe agli altri, suggerisco al sindaco di istituire una commissione ristretta composta da opposizione e maggioranza che cerchi subito i terreni utili per costruire i campi regolari. Se per una volta lavoriamo insieme non c'è Soprintendenza, né Tar che tengano".



Campi indegni per i fanciulli

La Stampa, 10-02-2011
Raffaele Iannuzzi
Una tragedia. Scoppia il caso. Ovvio. È sempre così. Le lacrime facili servono a sommergere di fischi chi governa. Cioè, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Strategia facile e francamente becera.
Quattro bambini rom sono morti nell'incendio della baracca abusiva dove vivevano con la famiglia sull'Appia Nuova La retorica è il combustibile del cinismo. Ancora una volta questa verità si dimostra nella sua evidenza. Allora: muoiono in una baraccopoli in via Appia Nuova a Roma, nei pressi del Golf Club, quattro bambini Rom, tra i 3 e i 5 anni. Una tragedia. Scoppia il caso. Ovvio. È sempre così. Le lacrime facili servono a sommergere di fischi chi governa. Cioè, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Strategia facile e francamente becera. La sinistra in coro: buhhh. I Verdi, l'intelligentone di turno, in questo caso Vannino Chiti, vicepresidente del Senato, che soloneggia in questi aurei termini: «Il Piano Nomadi, tanto propagandato, soprattutto in campagna elettorale, si è rivelato inadeguato, sia sul piano della sicurezza, sia dal punto di vista dell'integrazione, che da quello della sicurezza».
Parole facili, valgono il peso della retorica italiota. Un popolo di piagnoni che fa lo scaricabarile senza avere un minimo di memoria storica. Lo scandalo delle baraccopoli dei Rom data da chissà quanto. Se ne parla da una vita. Abbiamo visto passare in rassegna, blasonati, sindaci di evidente coloritura progressista, da Rutelli a Veltroni, e nessuno ha alzato il ditino per dire: «Scusate, ragazzi, avete visto che schifo questa storia dei campi Rom?». Perché? Ovvio: gli scandali dei sindaci progressisti fanno parte del sacrificio che la collettività deve pagare alla realizzazione storica delle "magnifiche sorti e progressive", mentre quelli attribuibili ai sindaci di destra sono scandali, punto e basta. Peccati irredimibili, imperdonabili. Figli di un dio minore e sottoposti alla vendetta storica, i sindaconi di destra sono sempre di…destra. Traduco: Alemanno è il colpevole di turno. Non che Alemanno sia privo di colpe. Ma è certo che un po' di lavoro per rimediare a questa porcheria di una Capitale circondata da favelas indecenti l'ha fatto, non ci piove. Ha risolto il problema? No, naturalmente. Poteva fare di più? Forse sì. Intanto chiede 30 milioni di euro al Governo per fare appunto di più, mentre la sinistra della retorica stracciona si straccia - appunto - le vesti senza valutare che il Capo dello Stato, con molta dignità, riceve i genitori Rom che hanno perso tragicamente 4 figli e li abbraccia con tenerezza. Ci vuole un abbraccio, per sanare le storture della società; occorre abbracciare il male e tenere alta la guardia per non far deragliare il treno della vita; ce ne sbattiamo della retorica posticcia che vuole soltanto coprire reati passati. Vogliamo la verità sul mondo e sull'uomo. Cioè, sulla famiglia e su come si tirano su i figli. E allora la vogliamo dire tutta, la verità, su come si tirano su i figli? Eccola: non si tirano su come facevano i genitori Rom, in quel lercio campo nomadi.
L'educazione e la sopravvivenza dei figli è un'altra roba e questo non può passare sotto silenzio. Punto. Da qui vogliamo partire, senza impancarci contro nessuno, perché le vite di 4 bambini valgono di più delle grida salottiere degli isterici un tanto al chilo.



A volte anche i razzisti si dimettono

TIZIANA MAIOLO, PORTAVOCE DI FLI A MILANO, DAI MICROFONI DI RADIO 24: SI EDUCANO MEGLIO I CANI DEI NOMADI
il Fatto Quotidiano, 10-02-2011
Chiara Paolin
'Ho detto una sciocchezza.
Così, senza pensare alle conseguenze. Ma poi ho capito che era giusto dimettermi: il mio è un partito dove ognuno si assume le proprie responsa¬bilità. Ho sbagliato, pago". Da ieri, dopo un anno di lavoro, Tiziana Maiolo non è più la portavoce di Futuro e libertà a Milano. "Nessuno mi caccia -aggiunge - ma ho preferito rimettere subito l'incarico al senatore Valditara, coordinatore Fli in Lombardia, perché le mie parole si prestavano a interpretazioni ambigue". In realtà le dichiarazioni di lunedì scorso al programma di Radio24 La Zanzara non lasciavano molti dubbi. Commentando la tragedia dei bimbi morti nel rogo di Roma, la Maiolo aveva detto: "Tutte le etnie sono integrabili tranne i Rom. Non vogliono lavorare, a noi ci odiano e pensano soltanto a sfruttarci. Non hanno il senso dell'igiene, fanno bambini solo per mandarli a rubare e molto spesso li avviano alla prostituzione minorile". Infine, la chicca: di solito cani e bambini imparano la buona educazione, i Rom fanno più fatica.
POSIZIONI inaccettabili secondo Adolfo Urso: "Fli si fon-da sui principi del pieno rispetto dei diritti umani e della dignità di ogni persona - ha detto ieri il coordinatore nazionale del partito -, si batte per una seria politica di integrazione e lotta contro ogni pregiudizio e discriminazione". Urso evidentemente ignorava le opinioni della Maiolo già espresse con chiarezza nel 2007 ("Via gli zingari da Milano se non hanno un lavoro") e poi solo qualche settimana fa: "La vicenda dei Rom cui la Moratti vuole regalare le case popolari sarà la buccia di banana su cui il sindaco perderà le prossime elezioni comunali - si legge su www.tizianamaiolo.it -. Non oso pensare che cosa avverrà in quei palazzi, quando sporcizia e mancanza di igiene renderanno le case invivibili". Quelli della Zanzara, insomma, andavano a colpo sicuro. ANCHE perché, nel suo variegato percorso politico (dai Radicali a Rifondazione comunista, da Forza Italia a Fli), la Maiolo ha sempre garantito uscite sorprendenti: "Fini è un romantico, un fedele, un uomo che si innamora e ascolta molto la donna che ama. Un comportamento che piace alla Chiesa" aveva detto ancora a Radio24. Regalando un buffetto pure al suo ex leader: "Berlusconi è perseguitato dalla magistratura. E a Milano sarà assolto, se ci sarà un giudice obiettivo".
Gentilezze poco apprezzate dal Pdl. Indignatissima Mara Carfagna: "Le parole di Tiziana Maiolo sono impregnate di razzismo, in aperto contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione e dalle leggi. Le istituzioni lavorano unite per l'integrazione e la convivenza pacifica di tutti, nessuno escluso. Per questa ragione penso abbia fatto bene a chiedere scusa". Certo non si ricorda uguale sdegno del ministro dopo le tante sparate di Borghezio contro zingari ed extracomunitari. O più semplicemente una critica a Cesare Bossetti, il consigliere leghista ella Regione Lombardia (e amministratore di Radio Padania) che martedì scorso non s'è alzato in piedi insieme ai colleghi per un minuto di silenzio in memoria delle piccole vittime. "Mi sono distratto, stavo leggendo i giornali" ha detto Bossetti. Giustificato.



Educhiamo i rom come il cagnolino di Tiziana Maiolo

il manifesto, 10-02-2011
Luca Fazio
Anni fa siamo stati feriti anche noi del manifesto, per cui ci uniamo al dolore dei compagni di Futuro e Libertà perchè sappiamo come si sentono in questo momento. La portavoce milanese del partito di Fini, Tiziana Maiolo, in un rigurgito di sincera partecipazione al lutto per la. scomparsa di quattro cuccioli di zingaro, ha detto ciò che pensa la maggioranza degli italiani. E' più facile educare un cane che un rom. Il suo, per esempio, è educatissimo. «1 muri non vanno sporcati né dai bambini né dai cagnolini, io ho insegnato al mio cane a non farlo». Detta cosi, senza coglierne il significato più profondo, sembra una riflessione poco elegante. I vertici di Fli, infatti, hanno preso le distanze da dichiarazioni «inaccettabili», come ha fatto Adolfo Urso, perchè Fli i batte per una politica di integrazione e lotta contro ogni pregiudizio e discriminazione» -basta vedere la Bossi-Fini... E così Maiolo ha dovuto dimettersi senza poter spiegare ai suoi nuovi, compagni con quanto amore ha allevato il suo cucciolo. Bastava chiederlo, glielo avremmo spiegato noi. A suo tempo, di fronte allo sbigottimento per il suo passaggio a Forza Italia, disse che il suo cane berlusconiano (ancora lui) ormai sì era «abituato a mangiare filetto». Non. era una battuta, e potrebbe essere la soluzione per i picoli rom maleducati, ancora vivi: nutriamoli col filetto, non pisceranno più sui muri.



Roma si interroga sulla tutela dei minori «Fallite le politiche per i bimbi rom»

Mercoledì folla alla veglia per la morte dei piccoli Sebastian, Patrizia, Eldeban e Raoul. Una ricerca di RomaTre su rom e sinti: interventi pubblici inefficaci
il Corriere della Sera, 10-02-2011
Simona De Santis
ROMA - «Potevamo fare qualcosa per scongiurare la morte atroce e umanamente inaccettabile di quattro bambini innocenti, la cui unica sfortuna è stata quella di essere nati poveri e immigrati?» Con queste parole monsignor Agostino Vallini ha aperto la veglia nel giorno del lutto cittadino per la morte di quattro bambini rom avvenuta domenica sera nel rogo del campo nomadi di via Appia, alla periferia della capitale. Mercoledì a mezz'asta le bandiere del Campidoglio e degli uffici di Roma Capitale. Lutto pubblico anche in Provincia e in Regione. E nella Capitale è tempo di bilanci: un dossier presentato all'Università RomaTre definisce fallimentari le politiche per i minori rom e sinti.
PROTEZIONE DEI MINORENNI - Gli esperti si interrogano: funziona il sistema di protezione dei minori rom e sinti nel Lazio? E mentre i genitori dei piccoli morti domenica 6 febbraio sono indagati per «abbandono di minore», la comunità rom risponde: «E' ingiusto togliere i figli ai genitori». E la comunità di Sant’Egidio esorta: «Servono alloggi dignitosi per i rom». In questo clima l’Osservatorio sul razzismo e le diversità «M. G. Favara», laboratorio di ricerca dell’Università RomaTre presenta i risultati di una ricerca sul campo focalizzata proprio su questo tema.
Realizzato con OsservAzione, centro di ricerca-azione contro la discriminazione di rom e sinti, presenta, il dossier parte da una prima constatazione: gli interventi delle amministrazioni a sostegno dei minori rom, dall’affidamento alla scolarizzazione, «non hanno prodotto risultati significativi». Tradotto: tanti investimenti, tanti soldi pubblici spesi ma obiettivi concretamente raggiunti, pochi. Nella ricerca – commissionata dall’European Roma Rights Center, ente che svolge funzioni consultive presso il Consiglio d’Europa – l’attualità diventa dunque materia di studio.
TANTI SOLDI INVESTITI, POCHI RISULTATI – L’osservazione sul campo si è svolta fra giugno e settembre 2010. La ricerca ha fatto emergere due aree di criticità: la prima si riferisce all’avvio, e alla gestione, dei procedimenti (penali e civili) che portano all’affidamento dei piccoli rom; mentre il secondo nodo critico riguarda il rapporto fra il minore e il contesto familiare e sociale di provenienza quando si avvia un percorso di affidamento.
Lo scenario degli interventi dell’amministrazione locale a sostegno dei minori Rom è dominato, si legge nel report, dal grande investimento nella scolarizzazione: progetti realizzati da più di 20 anni, che hanno utilizzato un quantitativo consistente di denaro pubblico ma che, anche in termini quantitativi, non hanno prodotto risultati significativi.
Negli ultimi mesi, spiegano da RomaTre, il Comune sta riorganizzando complessivamente i progetti sociali destinati ai Rom, prevedendo un inedito ruolo della Croce Rossa. Per quanto riguarda invece i procedimenti per la tutela dei minori, non esistono canali specifici destinati ai Rom, né dati che riguardano esclusivamente i minori rom.
ADOZIONI E AFFIDAMENTI – Risultano comunque rari i casi di adozione, che funzionano solo quando si riesce a mantenere un rapporto con la famiglia d’origine; mentre si registra la tendenza a preferire l’affidamento a familiari. Sul versante affidamenti, i ricercatori hanno evidenziato numerose «difficoltà di comprensione e dialogo fra i Rom e i soggetti istituzionali coinvolti», tra questi «il mancato dialogo con gli assistenti sociali, l’assenza di informazioni essenziali fanno sì che, in contraddizione con il quadro normativo, i genitori Rom non riescano ad intervenire in questi processi». In questo modo, «una serie di diritti rimangono sulla carta, mentre fra i Rom si alimenta la percezione di aver subito “il furto” dei loro figli».
COMPORTAMENTI DEVIATI - Sulla seconda impasse, rapporto tra il bambini e la famiglia quando si avvia un processo di affidamento, si evidenzia l’«impossibilità di prescindere dai legami familiari che vengono richiamati sia per spiegare i fallimenti degli affidamenti a strutture, sia per spiegare tendenza a ripetere comportamenti criminali» e la «difficoltà per gli operatori di elaborare progetti a medio-lungo termine. Le fughe sono il sintomo più evidente delle difficoltà a condividere un progetto con minori e famiglie».
MANCANZA DI DIALOGO – Secondo gli operatori, i minori e le famiglie sembrano interpretare l'affidamento a strutture come una pausa in vista del rientro nel campo e del recupero del ruolo «tradizionale», soprattutto per le ragazze. «Le politiche sociali di un Paese non dovrebbero avere bandiera, né confini. – commenta Luciana Pedoto, Commissione Affari Sociali Camera dei Deputati – E quando quelle politiche sociali non funzionano, anzi quando falliscono, o peggio non ci sono, vuol dire che pure la democrazia (tutta) chiamata a sostenerle e a tutelarle è fallita o sta fallendo».
Aggiunge Pedoto: «In questi mesi, in questi anni nulla è stato fatto affinché i rom presenti nel nostro territorio fossero messi almeno in condizioni igienico-sanitarie tali da garantire loro una degna sopravvivenza e soprattutto per garantire i diritti dei minori – e conclude il deputato – Tra gli scranni comunali, provinciali, regionali o parlamentari sarà davvero così difficile, come fino ad oggi, abbassare gli scudi e lavorare insieme per trovare un accordo?».
CHIESA STRACOLMA - Mercoledì alle 17.30, in una affollatissima basilica di Santa Maria in Trastevere si è celebrata la preghiera diocesana per le piccole vittime, organizzata dalla comunità di Sant'Egidio. «La morte di Sebastian, Patrizia, Fernando e Raul - ha detto il il vicario di Roma - è come un macigno che ci pesa sul cuore e ci invita ad un grave esame di coscienza, ciascuno per la sua parte di responsabilità. Dinanzi ai tanti poveri, vecchi e nuovi, della nostra città dobbiamo chiedere perdono a Dio e a loro di quanto non abbiamo fatto». Vallini ha concluso: «Ancor prima di soluzioni politiche e normative è necessaria una visione dell'uomo e della società che diventi cultura diffusa, ispirata dal rispetto per ogni uomo, perchè è uomo, una cultura aperta all'accoglienza e alla solidarietà, nella legalità, per una integrazione sociale degna di una società progredita».
IL PIANTO DEI GENITORI - In prima fila, a dare l'ultimo saluto ai piccoli Raul, Sebastian, Patrizia e Fernando, ci sono i genitori, Elena Moldovan e Erdei Mircea, che piangono senza riuscire a fermarsi. Al loro fianco, gli esponenti delle istituzioni locali: il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il presidente della Regione Lazio, Renata Poverini, il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti. Presenti anche altri politici. Ad ascoltare le parole del cardinale Agostino Vallini molti rom, sinti e camminanti. Tra gli altri anche un piccolo rom ustionato, l'estate scorsa, durante un altro incendio, sempre in un campo nomadi a Roma. «Basta campi, i nostri figli sono tutti malati o bruciati», questa la richiesta rivolta da alcune donne rom al sindaco di Roma, Gianni Alemanno, durante la veglia.



Il pregiudizio degli italiani «I rom? Zingari e basta»

Il 40% degli intervistati pensa anche che siano tantissimi, uno o due milioni, invece sono in tutto appena 170 mila
il Corriere della sera, 10-02-2011
Mariolina Iossa
ROMA — Sono tutti «zingari», i Rom. Zingari e basta. E sono quasi tutti nomadi (84 per cento degli intervistati). Vivono di espedienti e furtarelli, e sfruttano i minori (92 per cento). Sono chiusi verso il mondo esterno, verso chi non è zingaro come loro (87 per cento), ed è per scelta che vogliono vivere nei campi, isolati dal resto della città (83 per cento). Questo è quello che gli italiani pensano dei Rom, questi sono alcuni dei «pregiudizi che alimentano l’ignoranza» su questa popolazione, è scritto nel Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia della Commissione diritti umani del Senato.
LO STUDIO - Il Rapporto è stato discusso e approvato mercoledì all’unanimità, proprio nel giorno in cui si sono ricordati i quattro bambini Rom morti nel campo sulla via Appia a Roma. Il presidente della Commissione, Pietro Marcenaro (Pd) ha spiegato che «i giudizi negativi sui Rom sono diffusi e persistenti». Sono pochi gli italiani che sanno che la maggior parte di loro sono ormai diventati stanziali. Sono pochi quelli che sanno la metà dei Rom nel nostro Paese sono cittadini italiani. Quasi quattro intervistati su dieci pensa anche che siano tantissimi, uno o due milioni, invece sono in tutto appena 170 mila e di questi meno di un terzo, poco più di 50 mila, vive nei campi. Ed è un popolo di giovanissimi: il 60 per cento ha meno di 18 anni e il 47 per cento ha tra i 4 e i 14 anni, segno che purtroppo «l’aspettativa i vita è bassa, soprattutto tra chi vive in condizioni di degrado, tra i rifiuti». «I campi esistono solo in Italia, a partire dagli anni Sessanta — ha continuato il senatore Marcenaro —. Negli altri Paesi esistono più che altro campi di transito».
«CAMBIAMENTO CULTURALE» - D’accordo tutti, in Commissione al Senato, sulla necessità di «un programma graduale di chiusura dei campi, a partire da quelli più degradati, e di offerta di soluzioni abitative diverse, accettabili e accettati». Indispensabile ormai è anche un «piano nazionale», ha sottolineato il capogruppo Pdl in Commissione Salvatore Fleres, «mentre adesso «esistono 11 leggi regionali e un reticolo di provvedimento locali». Evidente tuttavia che occorre puntare ad un cambiamento culturale riguardo alla percezione che gli italiani hanno dei Rom. Un cambiamento che abbassi di molto quella percentuale di connazionali che ha dei Rom un’«immagine avversa» (sono il 47 per cento), o di «emarginazione» (il 37 per cento), rispetto ad un’«immagine neutra o positiva», (appena il 12 per cento). O anche quella percentuale che si dice «a disagio» all’idea di avere un Rom come vicino di casa, 47 per cento rispetto al 25 per cento dei cittadini dell’Unione europea. Uno dei pregiudizi più diffusi è quello secondo cui «gli zingari rubano i bambini», nonostante che dal dopoguerra ad oggi nessuna sentenza abbia mai condannato un Rom o Sinti per un simile reato, ad eccezione del caso di Angelica, la minorenne condannata per aver tentato di rapire una neonata a Napoli nel 2008.



Lutto rom, negozi aperti in centro "Nessuna solidarietà per la madre"

Alcuni commercianti non aderiscono: "Non ne sapevamo niente". Altri non sono d'accordo: "La mamma ha abbandonato i suoi figli". Sul minuto di silenzio, "è giusto. In Campidoglio devono vergognarsi per come vive tanta gente a Roma"
la Repubblica, 09-02-2011
MARCO PASQUA
Serrande alzate, solito via vai di clienti, nessuna modifica all'orario di apertura. I negozianti del centro, ma anche delle principali strade commerciali, hanno scelto di non aderire al lutto cittadino, disposto per oggi dal primo cittadino, Gianni Alemanno, in segno di rispetto per le quattro piccole vittime del campo rom alla periferia della capitale. Una decisione, quella del sindaco, presa perché questa tragedia "non può che essere sottolineata, per mostrare il grave senso di sofferenza da parte di tutti". "Non ne sapevamo niente", rispondono molti negozianti interpellati sul perché della loro scelta, anche se alcuni non nascondono di non voler deliberatamente esprimere solidarietà "ad una madre che abbandona i propri figli".
La madre: "Devo uccidermi?"
L'ordinanza del sindaco, che proclama il lutto cittadino, ha disposto che gli edifici di Roma capitale, oltre alle sedi di fondazioni e aziende comunali, esponessero la bandiera a mezz'asta. Alle 12,  nelle sedi comunali, è stato anche rispettato un minuto di silenzio. Per le attività commerciali e produttive della città, invece, l'ordinanza prevede un generico "invito" ad aderire alla giornata di lutto, nelle forme che si ritengono più opportune. Nessun ordine di chiusura, quindi. E così, dai bar alle grandi firme dell'abbigliamento, nulla si è fermato.
"Non ho aderito al lutto  -  fa sapere la titolare di uno storico negozio di guanti e cappelli nei pressi di via del Corso -  perché non intendo esprimere solidarietà a una madre che abbandona i propri figli. E' vero che i bambini subiscono le scelte dei genitori, ma non si può permettere che nel 2011 ci sia gente che viva cosi'". Al sindaco, che ha chiesto fondi per risolvere l'emergenza dei campi rom, dice: "Lo invito a farsi un giro di notte per le stradine del centro. Ci sono tantissimi anziani, barboni e disperati che dormono in strada. Perché non chiede i 30 milioni per dare a loro una casa".
La commessa di una nota catena di intimo, in via del Corso, spiega: "La direzione non ci ha dato alcuna indicazione e, comunque, da cittadina mi sento di dire che è giusto che in Campidoglio abbiano fatto un minuto di silenzio perché devono vergognarsi per come vive tanta gente a Roma". Qualcuno sembra dispiaciuto di non essere stato informato per tempo di questa ordinanza: "Ma è oggi?", chiedevano alcuni baristi, che dicono: "Non ne sapevamo niente, altrimenti ci saremmo fermati". E lo stesso garantisce il titolare di un negozio di scarpe, su via Nazionale: "Non ne sapevo niente, magari avrei anche aderito". Hanno continuato a lavorare anche tutte le grandi boutique, che, per decidere una eventuale chiusura devono ricevere indicazioni precise dai vertici nazionali. Come spiega la commessa di Luisa Spagnoli in via del Tritone: "Siamo una Società per azioni, e non possiamo certo essere noi a decidere di abbassare le serrande. Nessuno ci ha fatto sapere nulla, e quindi rimaniamo aperti". Stessa tesi argomentata da una commessa di un altro negozio di abbigliamento, in via del Corso: "Nessuna nota ufficiale, ma è chiaro che se il provvedimento del sindaco non prevedeva la chiusura obbligatoria, nessuno ha scelto di abbassare le serrande. Forse doveva essere più perentorio, prevedendo l'obbligatorietà della chiusura".



Una nuova ondata di sbarchi a Lampedusa

Corriere della sera, 10-02-2011
La nuova ondata di sbarchi dalla Tunisia (in rivolta) verso Lampedusa (oltre 200 migranti nelle ultime 24 ore) ha messo in allarme il ministro dell’Interno Maroni: «Sono preoccupato. C’è una forte pressione sulle coste» . E sul Centro di accoglienza di Lampedusa dice: «Non intendiamo riaprirlo» .



Perché tornano gli sbarchi?

La Stampa, 10-01-2011
FRANCESCO GRIGNETTI
Sono ripresi gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane. Come è successo? La destabilizzazione dei regimi in Tunisia e in Egitto ha causato, come primo contraccolpo, una parziale inefficienza delle polizie locali. Quella egiziana, in particolare, particolarmente invisa, da settimane è chiusa nelle caserme. Ciò ha portato immediatamente al riorganizzarsi dei gruppi criminali che gestiscono il traffico di immigrati clandestini verso l'Europa.
Cerne si stanno attrezzando i Paesi europei? Nei giorni scorsi, diverse nazioni hanno annunciato l'intenzione di rafforzare i controlli alle frontiere, temendo un'ondata immigratoria fuori controllo. Il governo greco, che ha già deliberato di costruire una barriera di filo spinato al confine con la Turchia, da dove entra un fiume di clandestini, ha dichiarato l'allerta il 30 gennaio. Il direttore dell'Ufficio francese per l'immigrazione e l'integrazione, Dominique Paillé, ha espresso i suoi timori già il 1 febbraio: «Ogni volta che crolla un regime, qualunque esso sia, in particolare se autoritario, ci sono flussi di migranti verso la Francia». Il ministro Roberto Maroni ne aveva parlato nei giorni scorsi: «Temo l'invasione, noi siamo la porta dell'Europa». E l'ha ripetuto anche ieri: «C'è una fortissima pressione sulle coste della Tunisia da parte di persone che vogliono scappare. Non è ancora una situazione da al¬larme rosso, ma potrebbe diventar¬lo se le cose non si sistemano rapidamente».
Quando nasce il fenomeno degli sbarchi?
Premesso che la stragrande maggioranza di clandestini entra da sempre in Italia con un visto turistico e non rispetta la prescrizione di tornare a casa propria alla scadenza (i cosiddetti «overstayer»), e che gli sbarchi dal mare sono una piccola frazione del flusso, il fenomeno divenne esplosivo con la caduta del comunismo in Albania. A migliaia gli albanesi fuggirono dal loro Paese sui gommoni degli scafisti. Di nuovo il flusso s'ingrossò dopo il 1997, quando la crisi delle cosiddette «finanziarie piramidali» portò alla bancarotta il nuovo corso albanese. Il flusso degli scafisti fu definitivamente chiuso soltanto con un'adeguata riorganizzazione delle forze di sicurezza in Albania, ma anche con l'accrescimento velocissimo del Pil albanese. Negli ultimi anni, il flusso di sbarchi è venuto piuttosto dall'Africa del Nord. Ne sono stati investiti Spagna, Francia e Italia. La Spagna è riuscita faticosamente a chiudere la rotta atlantica che portava dal Senegal alle Canarie. L'Italia ha dovuto fronteggiare imponenti numeri in Sicilia, Sardegna e Calabria. Lampedusa, come è noto, si è trasformata in una bollente prima linea.
Quali sono gii accordi con I Paesi rivieraschi?
Fino all'esplodere della crisi, con Tunisia ed Egitto funzionavano egregiamente gli accordi bilaterali di polizia. Non soltanto quei due Paesi si impegnavano a bloccare le organizzazioni criminali, ma accettavano di riaccogliere i loro cittadini trovati clandestinamente sul territorio italiano. Ultimamente, però, s'è notato che il Viminale non sta trasferendo a casa loro tunisini ed egiziani. Nel corso dell'ultima settimana, infatti, sono stati rimpatriati, con diversi voli aerei, 40 extracomunitari di nazionalità algerina, marocchina e senegalese.
Com'è la situazione con la Libia?
Con il regime di Gheddafi vige un accordo tutto particolare, sagomato su quello che fu stipulato con l'Albania. L'Italia, oltre ad impegnarsi a un oneroso risarcimento per i danni di guerra causati alla Libia nel periodo coloniale, ha fornito sei motovedette alla marina libica e prestato il proprio personale per pattugliamenti congiunti in acque territoriali libiche. L'accordo funziona e anche ieri è stato confermato dal nostro governo, ma è stato parzialmente sospeso alcune settimane fa, come spiegato in Parlamento dal comandante generale della Guardia di Finanza, Nino Di Paolo: «Non saliremo più a bordo dei mezzi nelle operazioni, anche d'addestramento; l'addestramento lo faremo a terra. I libici non erano in grado, tecnicamente, di trarre proficui risultati dai pattugliatori, che sono imbarcazioni abbastanza complesse e sofisticate». Forse c'entra lo scandalo del settembre scorso, quando un motopeschereccio siciliano era stato mitragliato da una motovedetta di quelle regalate a Tripoli e a bordo c'era personale della Finanza.
Chi arriva sulle nostre coste?
Giungono da tutto il mondo. A speculare sulla vita dei migranti non ci sono soltanto gli scafisti dei Paesi del Maghreb. E' stato scoperto che in alcuni casi i disgraziati viaggiano su grandi navi e per lunghe distanze, e poi scendono a terra con piccole lance. Si pensa che sia accaduto con gli sbarchi di profughi afghani che nell'ultimo mese sono sbarcati a più riprese in Calabria. Altre vol¬te le navi appoggio li hanno fatti sbarcare in Sardegna, dove ritenevano ci fossero controlli meno pressanti.



Gli immigrati "lombardi" guadagnano di piu'

In Lombardia gli stranieri guadagnano 3mila euro più che nelle altre regioni
La Stampa, 09-02-2011
Anno dopo anno, la presenza straniera in Italia diviene sempre più importante e intesse relazioni via via più approfondite con la struttura socio-economica italiana, fino a diventarne una costituente fondamentale. Tale evidenza è inscritta ormai anche nelle dichiarazioni dei redditi, analizzate nell'ottica di un raffronto tra i redditi di italiani e stranieri (in base a regioni di residenza e Paesi di provenienza) da un recente studio della Fondazione Leone Moressa: gli immigrati costituiscono il 7,8% del corpo contribuente italiano (dichiarando il 5,3% dei redditi nazionali).
Lo studio della Fondazione Leone Moressa
Secondo quanto rilevato dal centro di ricerca (la Fondazione Leone Moressa è un Istituto di studi e ricerche per lo studio e la valorizzazione dell'artigianato e la piccola impresa), per quanto riguarda l'anno d'imposta 2008, uno straniero su due ha dichiarato al fisco un reddito inferiore ai 10mila euro e, complessivamente, il reddito medio degli stranieri si è attestato a 12.639 euro (6.755 euro in meno di quanto dichiarato dagli italiani).
Immigrati in Lombardia: meglio che nelle altre regioni
Rispetto alla media, gli immigrati che vivono e lavorano in Lombardia stanno leggermente meglio. Nella regione del Nord-Ovest, infatti, il reddito medio dichiarato dagli immigrati è pari a 15mila euro, 3mila euro in più della media riscontrata tra gli immigrati di altre regioni del Paese e tra molti cittadini italiani del Meridione. A livello aggregato, tali numeri fanno sì che dalla sola Lombardia arrivi il 20% del reddito dichiarato da cittadini stranieri residenti in Italia.Anche in Lombardia, tuttavia, secondo i dati gli immigrati guadagnano e dichiarano meno degli italiani: il reddito medio di un "lombardo doc", infatti, è pari a 23.248 euro.
Chi sono i contribuenti stranieri in Italia
Analizzando i dati delle dichiarazioni Irpef, la Fondazione Leone Moressa ha rilevato che - in Italia - un contribuente straniero ogni due proviene dall'Europa dell'Est (nel 36% dei casi da un Paese comunitario, come la Romania, da sola al 17,6%). Per numero di presenze, poi, si segnalano gli africani (18,3% del campione di contribuenti stranieri), gli asiatici (12%) e i latino americani (1,5%).
Qualunque sia il loro Paese di provenienza, è ormai incontestabile che gli stranieri stiano diventando una parte fondamentale della struttura, anche economica, del Paese, come spiegano i ricercatori della Fondazione Moressa: "Quantificare i contribuenti stranieri e i loro redditi permette di confermare ancora una volta come gli stranieri siano -- e con ogni probabilità continueranno ad essere - una parte importante della struttura sociale del nostro Paese, contriuendo alla crescita complessiva dell'economia italiana. E ci sarebbe un'incidenza ancora maggiore se il lavoro sommerso venisse regolarizzato. Operazione a tutela degli immigrati e a beneficio dell'intera collettività".



Immigrazione: servizi sociali per extracomunitari (Italia Oggi)

MILANO (MF-DJ)--D'ora in avanti servizi sociali delle regioni accessibili a tutti, anche agli extracomunitari.
A bollare come discriminatoria una norma regionale del Friuli, si legge in un articolo di Italia Oggi, e' stata la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 40 di ieri, ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 4 della legge della Regione 31 marzo 2006, n. 6, cosi' come modificato dall'art. 9, commi 51, 52 e 53, della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 24 (Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale e annuale della Regione - Legge finanziaria 2010). red/lab



Germania, calamita per immigrati

Per diventare tedeschi si deve conoscere la lingua del paese
Italia Oggi, 10-02-2011
DA BERLINO ROBERTO GIARDINA
La Germania è periodicamente accusata di essere chiusa rispetto a chi viene da fuori, ma in Europa nessun paese ospita più stranieri. In sette anni, dal 2002 al 2009, ci sono quasi un milione di «nuovi» tedeschi. Chiunque abbia chiesto il doppio passaporto di fatto prima o poi è riuscito ad averlo. E, come è inevitabile, sorgono nuovi problemi. Questi tedeschi d'importazione hanno diritto al voto e potranno incidere sul risultato. In tutto, i residenti con doppia nazionalità sono 4,5 milioni, su una popolazione di 82 milioni. Di questi, circa un terzo sono turchi, che si aggiungono ai connazionali già in possesso della cittadinanza tedesca, in totale quasi un milione (su 2,5 milioni di residenti). La Merkel, refrattaria alle pressioni degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, è decisamente contraria all'ingresso della Turchia nell'Unione europea, e alle ultime elezioni i Deutschturken hanno votato in massa per i suoi avversari socialdemocratici.
Senza dimenticare che alcuni paesi non riconoscono il doppio passaporto e tolgono la cittadinanza ai loro connazionali, creando notevoli complicazioni diplomatiche, ad esempio nel caso vengano commessi reati all'estero. Inoltre, com'è logico, i nuovi cittadini hanno il diritto di risiedere dove vogliono sul territorio della repubblica federale, e la maggior parte preferisce Berlino (dove il costo della vita è molto basso) e la popolosa Nord Renania Westfalia, che ospita 291.117 degli stranieri che hanno ottenuto il doppio passaporto a partire dal 2002.
Ma Cem Òzdemir, di origine turca e capogruppo dei Verdi in parlamento, sostiene invece che la Germania è all'ultimo posto in Europa per la concessione della doppia nazionalità, e che i nuovi cittadini continuano a diminuire di anno in anno. Nel Duemila furono 187 mila a conquistare il documento, il doppio rispetto al 2008. Un calcolo, tuttavia, tendenzioso: la situazione internazionale è mutata, e sono meno quelli che chiedono la cittadinanza.
La pratica è burocraticamente complessa, arriva a costare circa 2 mila euro, e bisogna dimostrare di avere una conoscenza base della lingua tedesca e risolvere un quiz di 32 domande che vertono sulla convivenza civile, i valori della Costituzione e della storia della Germania. Sono richieste accettate dalle comunità straniere: senza la lingua si è costretti a lavori poco soddisfacenti, e le domande del quiz sono facili, almeno in teoria. Ho provato per curiosità ad affrontare il test e non ho sbagliato neppure una risposta.
Gli italiani che hanno chiesto di diventare «anche» tedeschi sono circa 60 mila, sui 600 mila residenti nella repubblica federale. Ma per i cittadini della Ue i vantaggi di fatto sono inesistenti.



Mito multiculturale al dissolvimento

la Padania, 10-02-2011
EMANUELE POZZOLO
Viviamo in un tempo che si nutre di luoghi comuni e di retorica: ogni aspetta delle nostre vite è condizionato dal rispetto di parametri, ritenuti oggettivi, senza i quali si finisce per passare per pericolosi sovvertitori dell'ordine moralmente costituito. I tabù che soffocano la libertà di pensiero e di espressione dell'Occidente moderno sono molteplici ma hanno, tutti, un minimo comune denominatore rintracciabile nella sindrome dell'eterna colpevolezza di cui soffre il  pensiero politico occidentale: per mondarci delle "colpe" del colonialismo - quando si parla religione, razza ed etnia- dobbiamo comportarci come se fossimo sempre dalla parte del torto. È una patologia, quella relativa all'autoflagellazione occidentale, che il filosofo francese Pascal Bruckner ha già avuto modo di evidenziare in un bel libro intitolato "La tirannia della penitenza", edito da Guanda. Gli errori storici dell'Europa vengono oggi letti e studiati nell'unica prospettiva epistemica demolitrice antioccidentale: come scrìve ironicamente Bruckner, "noi euro-americani dovremmo riconoscerci un unico obbligo, quello di espiare ininterrottamente il torto inflitto al resto dell'umanità".
Eppure non solo sciagure ha prodotto la civiltà occidentale nella sua evoluzione. Molti traguardi raggiunti dall'uomo sia in campo filosofico che in campo politico, sia in campo economico che in campo scientifico, sono figli della nostra storia che affonda le sue radici plurali nel pensiero greco antico, nel diritto romano e nella visione del mondo cristiana.
In un periodo storico come il nostro, caratterizzato da forti mescolanze di popoli, urge riflettere sulle "modalità di assorbimento" degli
stranieri nel tessuto sociale della civiltà occidentale. Finora ciò è stato gestito avendo riguardo al sólo concetto della "tolleranza": è il. cosiddetto mito multiculturale. Nessuna seria politica di integrazione dei nuovi arrivati è stata pensata e realizzata, né in America né in Europa, perché le "diversità" sono state sempre e solo considerate come una "ricchezza". Eppure alcune "diversità" possono rappresentare ostacoli insormontabili in vista di una convivenza pacifica e duratura: basti pensare ai problemi ai quali si può andare incontro in tema di diritto di famiglia.
È oramai chiaro a tutti che il modello di accoglienza degli stranieri fondato sulle basi del "multiculturalismo" non porterà a nessuna vera integrazione degli elementi allogeni all'interno della nostra civiltà. Le crescenti tensioni interreligiose e interetniche nei sobborghi di molte metropoli occidentali stanno dissolvendo in modo totale il mito dell'abbraccio terzo-mondista: anche i leader di Paesi con un fortissima e pluridecennale presenza di immigrati stranieri, come l'Inghilterra e la Germania, hanno ammesso il fallimento dellaissezfaire nel campo dell'immigrazione.
La grande sfida politica che attende l'Occidente, oggi, riguarda la capacità che avremo o non avremo di ela¬borare un modello di assimilazione degli stranieri all'interno delle nostre società: è ora di capire che o si riuscirà, nel giro di qualche anno, a governare il feno¬meno dell'immigrazione oppure i problemi derivanti da una cattiva gestione di questo fenomeno non tarderanno a manifestarsi in tutta la loro gravità.
Bisogna avere il coraggio di dire a chi bussa alle porte del nostri Paesi che non basta essere persone oneste che lavorano, pagano le tasse e rispettano la legge: chi viene a stabilirsi nelle nostre terre deve intraprendere un cammino di progressiva assimilazione dell'identità del Paese di cui intende divenire cittadino. Bisogna, in definitiva, riuscire a smettere di trattore le problematiche riguardanti l'immigrazione con il costante timore di poter essere accusati di intolleranza. Perché, come diceva Thomas Mann, "la tolleranza diventa un crimine quando si applica al male''.



MULTICULTURALISMO
Perché è andato in crisi il sogno della convivenza

la Repubblica, 10-02-2011
ALAIN TOURAINE
Quando si parla dei rapporti tra culture diverse all' interno di una stessa società occorre evitare semplificazioni e schematismi, sottraendosi alla tentazione dell'aut aut tra assimilazionismo e multiculturalismo. Due atteggiamenti contrapposti che nelle loro versioni più intransigenti diventano entrambi irrealistici, e quindi fallimentari. In Francia, dove si pensava di poter integrare gli immigrati, assimilandoli all'interno di un'identità nazionale, oggi questi sono prigionieri dei quartieri ghetto, alle prese con una disoccupazione altissima e una discriminazione sempre più marcata. In Inghilterra, David Cameron - come per altro Angela Merkel in Germania - denuncia i limiti del multiculturalismo, dove la difesa delle differenze culturali alla fine ha prodotto contrapposizioni inaccettabili e il rifiuto dei diritti degli altri. Nei due casi, ha prevalso un comunitarismo intransigente che resiste ad ogni integrazione.
Il progetto di una società multiculturale è dunque in crisi. La causa va cercata soprattutto nel venir meno dei fattori d'integrazione che avrebbero dovuto accompagnare tale progetto. Senza integrazione, infatti, il rispetto della diversità culturale produce l'antagonismo di pratiche, valori e tradizioni, dove l'assenza di un terreno comune finisce per minare la coesistenza civile.
L'idea che diverse comunità culturali, etniche o religiose possano continuare a vivere all'interno di una stessa nazione conservando le loro tradizioni, i loro valori e le loro identità era nata proprio in Inghilterra, che però all'epoca pensava soprattutto alle diverse comunità provenienti dall'impero britannico e quindi unificate dalla lingua inglese. Oltretutto, il multiculturalismo si è affermato in un contesto di crescita economica e di rafforzamento dell'identità nazionale. Come per altro è avvenuto negli Stati Uniti, un paese d'immigrati che però ha immediatamente sviluppato due potenti fattori d'unità: il sistema giuridico e il mercato del lavoro. Il multiculturalismo, infatti, può esistere solo se contemporaneamente si rafforza l'unità nazionale, sul piano sociale ed economico, ma anche sul piano dei valori condivisi che fondano l'appartenenza alla cittadinanza e all'identità collettiva.
Oggi l'Inghilterra non ha più la capacità d'integrazione che aveva in passato. Lo stesso vale per la Francia e perfino - in parte - per gli Stati Uniti. Un po' dappertutto assistiamo all'indebolimento della coscienza dell'identità nazionale. La mondializzazione, la crisi dei valori, la congiuntura economica indeboliscono gli Stati, che quindi non sono più in misura di controbilanciare con l'integrazione le rivendicazioni del comunitarismo. Rivendicazioni sempre più oltranzistiche che spesso nascono come reazione alla xenofobia e all'isla-mofobia in crescita in tutto l'Occidente, anche per via delle tensioni internazionali prodotte dall'll settembre e dalla guerra in Iraq.
Riconoscere i limiti di una società multiculturale non significa però rinunciare al rispetto delle altre culture e al dialogo, che è sempre un fattore positivo. Tuttavia ciò non può ridursi semplicemente alla tolleranza, anche perché talvolta dietro di essa si cela un sentimento di superiorità. Tolleriamo infatti colui che consideriamo inferiore. Il multiculturalismo più radicale, che difende una tolleranza assoluta, nasce spesso da un sentimento di superiorità economica, culturale e sociale.
Rispettare le altre culture è un'operazione più complessa, motivo per cui la tolleranza che m'interessa è quella che difende i diritti delle minoranze in nome dei diritti universali, come è stato fatto in passato per i diritti delle donne. Chi, in nome del relativismo culturale, rimette in discussione il valore universale dei diritti dell'uomo fa un grave errore, perché tutti i nostri diritti specifici sono sempre stati conquistati in nome di tali valori universali. Non avrebbe senso abbandonarli. Dobbiamo però dimostrare che l'universalismo dei diritti dell'uomo è conciliabile con il rispetto dei diritti culturali delle diverse comunità, le quali a loro volta devono riconoscere il valore dei principi universali. Solo così è possibile vivere insieme senza conflitti. Insomma, la maggioranza deve rispettare i diritti della minoranza, a condizione che la minoranza rispetti quelli della maggioranza. E quando una comunità rifiuta di farlo, allora occorre farle rispet-tare la legge che incarna i diritti di tutti. Le leggi nazionali devo¬no sempre vincere sulle tradizioni dei paesi di provenienza. Viviamo in un mondo mobile, in cui le nostre società continueranno inevitabilmente ad accogliere i migranti, anche perché ne abbiamo bisogno. La presenza delle loro tradizioni culturali produrrà forme di meticciato che arricchiranno la nostra cultura. Per questo vanno rispettate. Ma come ho detto, la tolleranza da sola non basta, dato che non può esserci riconoscimento d'identità senza integrazione sociale e nazionale. Solo se si rinforza il senso di appartenenza all'identità collettiva, diventa possibile riconoscere le differenze culturali. Solo rafforzando le politiche d'uguaglianza diventa possibile accettare le differenze. Occorre essere uguali e differenti. In pratica, oltre a chiedere il rispetto delle leggi nazionali da parte di tutte le comunità, occorre combinare multiculturalismo e assimilazionismo, cercando d'integrare le altre culture, ma dando loro la possibilità di esprimersi. Solo così si combattono contemporaneamente il comunitarismo e la xenofobia.
(testo raccolto da Fabio Gambaro)



Quanti equivoci sul multiculturalismo

Terra, 10-02-2011
Monica Frassoni presidente Partito verde europeo
Marco Cappato Partito radicale
C'è uno strano paradosso nel dibattito che si sta sviluppando in Italia intorno all'intervento di David Cameron sulla fine del "multiculturalismo", che alcuni legano all'ennesimo tragico rogo nel quale hanno trovato la morte di quattro bambini rom sulla Via Appia. Il paradosso è che molti di coloro che usano come pretesto il fallimento del "multiculturalismo" giustificano poi politiche di separazione, chiusura e rifiuto della cultura degli altri in nome di una logica del "noi o loro", del "qui siamo in casa nostra e decidiamo noi", "cristiani contro Islam".
Non lo fa Cameron, almeno lo speriamo, ma certamente lo fanno coloro che si pongono in netto contrasto proprio con quei valori considerati "nostri" (libertà di religione e di non religione, laicità, diritti individuali, democrazia, rispetto degli altri) e che a parole dicono di voler difendere contro l'oscurantismo e la minaccia islamica e, sempre più spesso, contro persone e genti che vivono nei nostri paesi. La parola "multiculturalismo" si presta a molte interpretazioni. Per Cameron il "multiculturalismo" che ha fallito è quello che di chi si è illuso di risolvere il problema dell'integrazione permettendo o addirittura incoraggiando la creazione di comunità chiuse e immutabili una accanto all'altra, dove siano in vigore regole di fatto imposte da usi e costumi tradizionali anche quando essi siano in contrasto con i diritti umani e le libertà fondamentali. Se questo è il bersaglio, non si può che essere d'accordo nel merito, ma non certo nell'uso di un termine fuorviante, e meno che mai su una concezione che di fatto si rassegnasse a riservare, razzisticamente, i diritti umani a una parte della popolazione occidentale Già, perché il "multiculturalismo" diventa bersaglio anche per coloro che spiegano il rogo di Roma con l'indisponibilità della famiglia rumena ad accettare il trasferimento in un residence o rumata" tendenza dei rom a mendicare e rubacchiare. In tal modo la paura del. multiculturalismo introietta la reciproca diffidenza che si verifica inevitabilmente quando non si capiscono le usanze del vicino e lo si vede addirittura come un pericoloso invasore, che , in tempo di crisi, "ruba il lavoro", o ruba e basta. Prevale così la tentazione di cancellare il multicul-turalismo, al quale non resterebbe a questo punto che opporre un "monoculturalismo" da scontro di civiltà. Per noi il "multiculturalismo" che vive in una cornice di certezza del diritto è il contrario della costruzione di "scatole etniche", e non ha nulla della tolleranza passiva. Come dice il Prof. Bhiku Parekh, il "multiculturalismo è una fusione dinamica in cui una cultura attinge parti di un'altra e trasforma creativamente entrambe". Per essere fruttuosa e positiva questa "fusione" deve partire ovviamente da curiosità e apertura e da un quadro sociale ma anche legale nel quale, appunto, alcuni valori fondanti siano chiari. A differenza di quello che sostiene molta propaganda nostrana, la democrazia, il rispetto dei diritti umani e civili delle persone, rispetto della libertà di professare o non professare una religione, il diritto di lavorare e abitare in luoghi salubri e dignitosi non sono valori identitari della nostra società a "radici giudeo-cristiane", alla quale contrapporre quella "degli altri". Sono valori universali. Di tutti. E come tali devono essere considerati. Quindi sono da non tollerare, meno che mai sul piano giuridico, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, la discriminazione e la violenza contro le donne e i "diversi", l'imposizione a tutti di dogmi religiosi, da parte di qualsiasi religione e non certo solo da parte di quella islamica; sono intollerabili non perché espressioni di un attacco alla nostra identità culturale (e dunque tollerabili altrove), ma perché distruggono l'essenza della convivenza umana in qualsiasi latitudine.
Che sia o meno l'obiettivo di Cameron, non è la fine del multiculturalismo e la ricostruzione di società omogenee e monolitiche che dobbiamo cercare. Non è lo sgombero continuo di campi rom che risorgono il giorno dopo, o la cacciata (impossibile, per fortuna) di tutti i musulmani dalle nostre città la soluzione al terrorismo o alla criminalità. Ciò che serve è la ripresa di un universalismo umanista e profondamente liberale e solidale, federalista nel senso kantiano ed europeo, internazionalista e, appunto, multiculturale del termine. Ed é questo il nostro impegno di Verdi europei e radicali trasnazionali

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