Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

04 settembre 2012

Il 7,4% delle imprese in Italia è gestito da immigrati, sono oltre 454 mila.
Aziende straniere nel 2011 in crescita di 26mila unità a fronte di un calo di oltre 28mila imprese italiane.
Immigrazioneoggi, 04-09-2012
Su 6milioni di imprese operanti in Italia nel 2011, 454mila sono condotte da stranieri, cioè il 7,4% del totale. Nonostante la crisi, le imprese straniere hanno registrato a fine anno un saldo positivo di oltre 26mila unità, al contrario delle aziende italiane che sono, invece, diminuite di oltre 28mila imprese.
Questi alcuni dei risultati a cui è pervenuta la Fondazione Leone Moressa, che ha analizzato i dati sulle imprese iscritte alle Camere di commercio italiane classificando come “aziende straniere” le imprese che vedono persone non nate in Italia detenere almeno il 50% delle quote di proprietà e delle cariche amministrative a seconda della tipologia d’impresa, facendo propria la definizione fornita da Infocamere stessa. I dati anticipano alcuni dei contenuti del Secondo rapporto sull’economia dell’immigrazione che verrà presentato nel mese di ottobre a Venezia e anticipato nei giorni scorsi.
Secondo lo studio, oltre 156mila aziende straniere (34,4% del totale) si concentrano nel settore del commercio, cui fa seguito quello delle costruzioni con quasi 125mila (27,5%) e quello dei servizi con più di 89mila unità produttive (19,7%). Ma è nell’edilizia che la presenza straniera si fa più marcata: infatti su 100 imprese di questo settore, quasi 14 sono condotte da imprenditori nati all’estero. Nel commercio questa percentuale si abbassa al 10,1%, seguita da alberghi e ristoranti (7,7%) e dalla manifattura (6,3%).
Con più di 85mila imprese è la Lombardia la regione che presenta il maggior numero di aziende condotte da stranieri (18,9% del totale), seguita dal Lazio (11,2%) e dalla Toscana (10%). Ma è proprio in Toscana che si registra il maggior peso di queste imprese sul totale delle aziende presenti nel territorio: infatti su 100 attività produttive, 11 sono gestite da immigrati (10,9%). In questa classifica seguono il Friuli Venezia Giulia (9,5%) e la Liguria (9,4%). In tutte le regioni, per oltre il 90% delle aziende condotte da stranieri il grado di imprenditorialità risulta esclusivo.
Secondo i ricercatori della Fondazione Leone Moressa: “i dati sulle aziende condotte da stranieri mostrano, nonostante la crisi, una realtà vivace e in evoluzione. Le aziende gestite da stranieri, aumentate di oltre 26mila unità, sembrano, infatti, non aver sofferto il contraccolpo dell’attuale situazione economica come le aziende italiane, che sono invece calate significativamente di oltre 28mila unità”.



Immigrazione: clinica mobile di Emergenzy al campo rom di Arpinova
Teleradioerre, 04-09-2012
"La presenza di Emergency al campo rom di Arpinova è segno di particolare attenzione rivolta al nostro territorio". L'assessore alle Politiche Sociali accoglie positivamente la scelta di Emergency di inserire nel "Programma Italia" anche Foggia. Il prossimo 15 ottobre, infatti, dalle 9.30 alle 13.00, la clinica mobile stazionerà nel campo di accoglienza di Arpinova. Il progetto permette di offrire un servizio di medicina di base e orientamento ai servizi socio sanitari in favore di soggetti vulnerabili, immigrati e persone in stato di bisogno, ad esempio tramite i Poliambulatori di Palermo e Marghera e gli ambulatori mobili (Polibus) nel sud dell'Italia, in collaborazione con il servizio sanitario nazionale e le istituzioni competenti. Nella provincia di Foggia, Emergency, in collaborazione con L'ASP locale e dietro rilascio di autorizzazione sanitaria da parte della stessa, sta svolgendo le sue attività attraverso l'impiego, appunto, di una clinica mobile.



Corsi di guida sicura promossi dall’Aci per formare gli “Ambasciatori della sicurezza stradale” per le comunità straniere.
Un progetto di formazione rivolto a 3 mila allievi già patentati per i prossimi tre anni.

Immigrazioneogi, 04-09-2012
Se sei un automobilista straniero, soprattutto se extracomunitario, sulle strade d’Italia hai una possibilità doppia rispetto agli italiani di essere coinvolto in un incidente, questo a causa delle differenti abitudini culturali e di guida.
È quanto spiega l’Automobile Club d’Italia (Aci), affermando che, se in media il 6,4% dei guidatori italiani viene coinvolto da un sinistro ogni anno, la percentuale tra i non italiani arriva al 13,5%.
Per questo l’Aci promuove un progetto che punta a promuovere l’integrazione degli stranieri sulle strade d’Italia offrendo, a partire dal prossimo 28 settembre, mille corsi gratuiti di guida sicura per guidatori stranieri.
L’iniziativa verrà ripetuta per tre anni e sarà rivolta quindi a 3.000 “allievi”, selezionati dalle varie comunità nazionali, che verranno formati presso il centro Aci-Sara Assicurazioni di Vallelunga, alle porte di Roma, per diventare “ambasciatori di sicurezza stradale” presso i propri connazionali.
L’iniziativa, inoltre, prevede anche un call center multilingue che fornisce assistenza legale e tecnica su problemi legati alla mobilità. Alla base del progetto Aci – patrocinato dalla Presidenza del Consiglio, dai Ministeri degli esteri, della cooperazione e degli affari regionali – non c’è solo una logica di integrazione e accoglienza, ma anche considerazioni di carattere economico. Gli incidenti stradali costano allo Stato italiano oltre 30 miliardi di euro l’anno: vale a dire il 2% circa del Pil.
Il corso si svolgerà in 18 giornate l’anno, ciascuna con 60 “allievi” che raggiungeranno Vallelunga con pullman messi a disposizione dall’organizzazione. I corsi si svolgeranno nei fine settimana e i partecipanti saranno selezionati dalle comunità nazionali in modo che ogni gruppo abbia una composizione omogenea. Unica condizione il possesso della patente di guida: non è un programma per ottenere la licenza. Ai corsi assisterà sempre un rappresentante della Polizia stradale. Prevedono una parte teorica e una pratica con guida in condizioni di scarsa aderenza e sul bagnato.



Dignità, la madre di tutti i diritti: intervista a Moni Ovadia
“I diritti hanno bisogno di una struttura giuridica, ma la dignità viene prima”.
Immigrazioneoggi, 04-09-2012
Carlotta Caroli
Il suo ultimo libro si chiama Madre dignità e spiega come la dignità, appunto, preceda tutti i diritti. Lui è Moni Ovadia, artista, ricercatore, cantante e interprete di musica etnica e popolare; inoltre regista, attore e capocomico di un genere teatrale assolutamente peculiare, ovvero il teatro musicale. Nato a Plovdiv, in Bulgaria da una famiglia ebraico-sefardita, nei suoi testi e nei suoi spettacoli ha da sempre un filo conduttore: il vagabondaggio culturale e reale proprio del popolo ebraico, popolo del quale si sente figlio e rappresentante. ImmigrazioneOggi lo ha intervistato durante la sua partecipazione al festival Caffeina Cultura 2012 che ha avuto luogo a Viterbo nel mese di luglio.
In che senso la dignità può essere considerata madre?
Io credo che la dignità sia il grembo materno in cui hanno gestazione tutti i diritti. La dignità precede i diritti. La dignità è qualcosa che nasce da un’intuizione interiore individuale, poi si riverbera nella società attraverso le relazioni interindividuali. La dignità la percepisci dentro di te, è qualcosa che si intuisce, che attiene all’assoluto: è il fine, non il mezzo
I diritti hanno bisogno di una struttura giuridica, ma la dignità viene prima.
La stiamo un po’ perdendo questa dignità?
Assolutamente sì.
E in che modo possiamo tentare di recuperarla?
Avendo consapevolezza della sua importanza e del fatto che la dignità è indisponibile al potere. Se un uomo commette un reato, può essere privato della libertà e di altri diritti ad essa connessi, ma non può essere privato della dignità. Nessuno può privare un uomo della sua dignità, neanche se è il più grande criminale della storia. Noi possiamo condannare il criminale nazista all’ergastolo, ma non privarlo della sua dignità.
Delle volte separare le due cose è difficile…
No, anzi è molto semplice. Di qualunque persona si tratti, fosse anche il criminale dei criminali, bisogna avere delle accortezze nel punirlo. Esempio: le sue condizioni di carcerazione non possono avvenire in modo degradante o in modo da degradare il suo corpo e la sua psiche. La sua cella deve avere una certa dimensione, egli deve avere accesso ai libri, deve avere la possibilità di essere visitato ciclicamente da persone. Sono tutte cose che in una democrazia devono essere garantite anche al più efferato dei criminali. Infatti i nazisti, coloro che per primi avevano cancellato la dignità delle loro vittime, ebbero diritto ad una giustizia giusta.
Parliamo del rapporto tra stranieri e italiani. Italiani, brava gente, tollerante con l’immigrato, secondo lei vale anche con la crisi economica?
Le crisi economiche per loro definizione accendono nei soggetti sociali più deboli, i cui processi di acculturazione sono i più inquinati, reazioni di intolleranza, perché nelle condizioni di difficoltà esistenziale è molto comodo poter dire che la colpa dei tuoi mali è quella di un altro. La cosa più difficile ma anche più nobile per un uomo è confrontarsi con se stesso e domandare a se stesso: io dov’ero, io cosa ho fatto, qual è la mia responsabilità?
Ma poi all’atto pratico ci si pensa realmente?
No, perché non abbiamo l’educazione. E c’è una ragione: il potere usa tutti gli strumenti per autolegittimarsi e lo strumento del capro espiatorio è uno dei più antichi e dei più efficaci. Prendi il caso leghista: hanno scaricato sugli immigrati tutte le responsabilità. Questo non accade quando l’immigrato è il vincitore: Balotelli diventa un leghista dalla pelle nera e Ibrahimovic improvvisamente diventa lo svedese. Come lo svedese? Lui è un rom serbo. Vedi come funziona?
Anche in altri Paesi dell’Europa è così?
Dovunque. Più la democrazia è forte, meno è virulento il fenomeno; l’Italia è un Paese con una democrazia molto immatura, lo si vede dal fatto che c’è metà del Parlamento di inquisiti. L’Italia è un Paese che non ha fatto i conti col fascismo, l’Italia è un Paese che si è raccontato la frottola degli italiani brava gente… Intendimi: in Italia c’è tanta brava gente, è ovvio. Ma l’Italia ha avuto una dittatura che ha commesso in proprio, non insieme al nazismo, due genocidi: uno in Etiopia, l’altro in Cirenaica. Andiamo a chiedere alla popolazione della Cirenaica cosa pensa del fatto che un libico su 6 fu assassinato. C’è una parola sola per descrivere cosa accadde realmente. Ed è la parola ge-no-ci-dio. Però finché andrà avanti questa frottola degli italiani brava gente, noi non diventeremo un grande Paese. Il povero presidente Napolitano, che io ho l’onore di conoscere personalmente, è pieno di buoni sentimenti per questo Paese. Ma l’Italia, come struttura nazionale, è un piccolissimo Paese dove non si può avere giustizia, dove la tortura di Stato non è reato. Secondo te è un grande Paese un Paese nel quale per avere giustizia in un tribunale devi aspettare 30 anni? Ma la gente, sì, è straordinaria, perché in questo Paese ci sono milioni di uomini che si alzano e onestamente vanno a lavorare per guadagnarsi il pane. È gente straordinaria, ma loro sono straordinari, non il Paese. Un Paese di brava gente – e questo lo dico come ebreo – non lasciava cacciare dalle scuole dei bambini di 6 anni, si sarebbe ribellato, un Paese di brava gente. Io sono nato in un Paese – la Bulgaria – che è stato calunniato per tutto il dopoguerra. Quando c’è stata la persecuzione degli ebrei in Bulgaria, però, i bulgari, tutti, si sono ribellati.
Parliamo di integrazione tra stranieri e italiani, è possibile secondo lei anche quando le culture sono molto lontane tra di loro?
Assolutamente sì, è possibile e auspicabile e naturale, basta essere aperti e accogliere.
Guarda me: sono nato in Bulgaria, ma parlo un milanese impeccabile.
Quindi è una questione di lingua?
Un uomo che parla la lingua di un luogo appartiene a quel luogo. La lingua è l’anima delle identità delle genti. Se senti come parla Balotelli, dici che è un bresciano. Perché lui è un bresciano. Facciamo un altro esempio: dal 1930 al 1980 c’è stato un cantante negli Stati Uniti che tutti gli americani consideravano la voce dell’America. Si chiamava Frank Sinatra. Beh, lo sai come lo chiamava suo nonno? Francuzzu beddu… perché Frank Sinatra è nipote di siciliani, eppure è diventato la voce dell’America. Allora non è la lingua che fa la differenza? Un italiano è stato la voce dell’America. E lui è solo un esempio. Un altro è Gershwin: uno dice Gershwin e pensa America, invece lui era un ebreo russo, non era manco nato in America, eppure la sua musica è quella nella quali gli americani si riconoscono di più.
La cittadinanza italiana agli immigrati di seconda generazione?
Non averla già data è prova che noi viviamo in una assoluta barbarie.



I desaparecidos del Mediterraneo Sbarcati o naufragati, comunque introvabili
la Repubblica, 31-08-2012
Sono 250 giovani tunisini. Salpati dalle coste nordafricane nel marzo 2011. Di loro non si sa più nulla. Il Viminale conferma che almeno cinque sono sicuramente sbarcati in Italia, sulle sorti degli altri nessuna risposta. Le madri riconoscono i propri figli nei servizi tv e nelle foto dei giornali e non si rassegnano
È il primo caso, in Italia, di desaparecidos: oltre 250 migranti tunisini, salpati dalle coste nordafricane, sono spariti nel nulla una volta attraccati in Italia. Erano partiti dalle coste del Maghreb infiammate dalla primavera araba a bordo di quattro carrette del mare l'1, il 14 e il 29 marzo 2011. Ma una volta giunti sulle coste italiane se ne sono perse le tracce. La loro sparizione è un vero e proprio giallo internazionale. Alcuni (come Laura Boldrini dell'Alto Commissariato dell'Onu per i rifuguati e i deputati Turco e Bressa del Pd), sostengono che potrebbero essere annegati durante la traversata. Naufràgi, s'intende, ce ne sono stati in quei mesi in cui dalla Tunisia fuggivano migliaia di migranti. Uno, ad esempio, è avvenuto il 14 marzo.
Quel che è certo, però, è che non esiste alcuna prova che siano annegate così tante persone in quel tratto di mare tra l'Italia e il Maghreb pattugliato nella primavera 2011 dalle navi e dai satelliti Nato. Tanti cadaveri così non avrebbero potuto sfuggire alle motovedette e ai sofisticati strumenti che ci osservano dallo spazio.
Del resto, sono gli stessi parenti degli scomparsi a fornire le prove, come le immagini televisive, che dimostrano lo sbarco di almeno alcuni dei loro figli in Italia.
A rendere la questione dei desaparecidos maghrebini ancor più intricata, è la stessa risposta (l'unica ufficiale), che il governo italiano, per voce del sottosegretario all'Immigrazione del ministero dell'Interno, ha fornito al Parlamento: "Su 226 cartellini fotosegnaletici trasmessi dalle autorità tunisine - ha dichiarato Saverio Ruperto - la polizia italiana ha appurato che solo per 14 migranti è provato il loro arrivo in Italia. In particolare, 5 risultano effettivamente transitati nel nostro Paese dopo la crisi politica nordafricana. Per gli altri 9, invece, il loro passaggio in Italia risaliva ad epoca assai precedente alla presunta partenza dalla Tunisia".
Se ufficialmente il Viminale conferma che cinque di quei 250 tunisini scomparsi sono di sicuro sbarcati in Italia, che ne è stato di loro? "In Italia sono stati cercati dappertutto - ammette Letaief Chokri, consigliere e portavoce dell'ambasciata della Tunisia a Roma - nei Centri di accoglienza, nei Cie, nelle carceri, negli ospedali, negli archivi dattiloscopisci delle Questure. Nessuno dei nosrti connazionali, va detto, s'è mai fatto sentire con le famiglie di origine".  Come inghiottiti nel nulla. Desaparecidos, appunto.
La sparizione di quei duecentocinquanta maghrebini è un altro caso di imbarazzo diplomatico per l'Italia che va ad aggiungersi all'atto d'accusa che il Consiglio d'Europa ha mosso al nostro Paese per i mancati soccorsi a 63 migranti poi morti di stenti in mare alla fine di marzo 2011.
Come per i desaparecidos argentini, anche per i 250 tunisini sono state le mamme coraggio a denunciarne la scomparsa. Sono convinte che i loro figli siano arrivati in Italia. A suffragio di questa loro convinzione portano foto e video rintracciati sul Web. Per un anno, durante i moti tunisini, hanno organizzato sit-in e manifestazioni. Con l'insediamento del nuovo governo dopo la cacciata di Ben Alì, hanno incontrato ministri e funzionari del loro Paese. Hanno ottenuto attraverso un esposto dell'Arci e dell'Asgi, che se ne occupasse anche la procura romana.
Poi, quelle mamme coraggio col velo che giravano disperate con le foto dei loro figli incollate su poster, sono state invitate in Italia da un collettivo di donne italiane ("Le venticinque undici"). Meherzia Raouafi riconosce il suo Mohammed in uno spezzone di un servizio di Euronews. "È lui, quel ragazzo che sale su un autobus", indica la donna con incrollabile certezza. Noureddine Mbarki, dal filmato di un tg di Canale 5, riconosce il figlio che sta scendendo da un barcone appena attraccato a Lampedusa.
Al Centro Islamico di Roma è stata proprio Meherzia a riuscire a parlare col presidente della Repubblica che si trovava là in visita. "Dov'è mio figlio? ha chiesto la donna a Giorgio Napolitano  Ditemi la verità. Mi aiuti a cercarlo". Il capo dello Stato, un mese prima in Tunisia, aveva ribadito "la piena attenzione umanitaria dell'Italia e il massimo impegno nel cercare notizie degli scomparsi".
Ma il giallo dei 250 desaparecidos tunisini resta. Del loro destino nessuno sa nulla.



Quei ragazzi diventati migranti fantasma sono il fallimento del 'sistema Lampedusa'
la Repubblica,31-08-2012
YLENIA SINA
"A un certo punto le impronte non sono più state prese perché le persone sbarcavano a ritmo serratissimo. Laura Boldrini, portavoce dell'Onu per i rifugiati, dà la colpa al collasso dell'organizzazione nella vicenda dei 250 tunisini scomparsi. Sparire in mare purtroppo non è difficile ma secondo la Boldrini sarebbe stata "la malagestione a creare l'emergenza"
Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), sostiene che a Lampedusa, durante la primavera araba, sono sbarcati migranti "fantasma". Clandestini, cioè, a cui non venivano prelevate le impronte digitali.
Perché?
"A un certo punto le impronte non sono più state prese a Lampedusa perché le persone sbarcavano a ritmo serratissimo. Lampedusa era diventata un parcheggio a cielo aperto dove i migranti si riparavano come potevano dal freddo, sotto i Tir o le barche abbandonate. Mancavano anche servizi igienici per tutti".
Però il Viminale dice che alcuni di quei desaparecidos sono stati identificati, questo vuol dire che qualche impronta è stata presa.
"Le impronte sono state prese successivamente al trasferimento. In quei giorni era saltato il cosiddetto "modello Lampedusa" di assistenza e trasferimento immediato che ha permesso anche in passato di accogliere senza problemi un numero molto alto di arrivi. È stata una malagestione che ha creato un'emergenza che si poteva evitare".
Quando avete avuto notizia di familiari alla ricerca dei propri figli?
"A Lampedusa in quei giorni era facile vedere fuori dal centro di accoglienza familiari alla ricerca dei propri parenti. Di storie ne abbiamo incrociate diverse. Capitava di incontrare mogli o padri che già risiedevano in Francia e stavano lì fuori per avere loro notizie. Un giorno è arrivata una ragazza olandese, incinta di sei mesi, sposata con un tunisino, in cerca del marito. Oppure, ricordo la storia di un ragazzo che aveva diritto al ricongiungimento familiare ma che, per evitare i tempi lunghi della burocrazia, ha preferito tentare la traversata".
Secondo lei è possibile escludere con certezza il naufragio delle quattro barche che stiamo cercando?
"Io credo di no. In quel periodo sappiamo di tante imbarcazioni che sono partite dalla sponda Sud del Mediterraneo, ma che non hanno mai raggiunto quella Nord".
La lista presentata dai genitori contiene quasi trecento nominativi. È così facile scomparire in mare?
"Sparire in mare non è difficile, purtroppo. Le nostre stime indicano circa 1500 persone partite dalla Libia e mai arrivate".
Com'è possibile che in un mare così trafficato come in quel periodo possano essere sparite delle navi cariche di uomini?
"Quando ci sono imbarcazioni fatiscenti in mare, stipate di persone, non bisogna aspettare la chiamata di soccorso. Anche perché a volte è difficile effettuarla in tempo. Il ping pong tra gli Stati relativamente alle responsabilità e alle competenze in mare scoraggia il soccorso da parte dei mezzi commerciali che hanno paura di lungaggini e ripercussioni sulla propria attività".
Può fare qualche esempio?
"Ritrovarsi a dover affrontare complicazioni giudiziarie con l'accusa di favoreggiamento all'immigrazione irregolare, come è accaduto più volte per chi ha effettuato i soccorsi. Per questo da tempo chiediamo maggior coordinamento dei mezzi navali e chiarezza sulle responsabilità. In questo quadro è possibile che molta gente non sia sopravvissuta perché chi poteva aiutarli non lo ha fatto".
Se, come sostengono i familiari e per alcuni casi anche il Viminale, questi ragazzi sono arrivati in Italia, quali ipotesi ha sulla loro scomparsa?
"È l'assenza di contatto con le famiglie che preoccupa e fa pensare al peggio. Vorrei tanto sperare che questi ragazzi siano negligenti e non si facciano sentire con le proprie famiglie".



Lo sbarco dei profughi albanesi della Vlora rivive ne 'La nave dolce' di Daniele Vicari
L'8 agosto del 1991 ventimila albanesi arrivarono al porto di Bari dopo una traversata tragica. Il regista di Diaz ne ripercorre la storia in un docufilm presentato al Festival di Venezia
la Repubblica, 04-09-2012
ROMA - Ventimila cittadini albanesi che arrivano in Italia in cerca di un futuro migliore. Non è cronaca di questi giorni: bisogna riportare il calendario a più di vent'anni fa. Era l'8 agosto del 1991 quando, dopo la riapertura del porto di Durazzo, migliaia di uomini, donne e bambini salirono sulla nave mercantile Vlora che trasportava tonnellate di zucchero provenienti da Cuba. Una Nave dolce, come il titolo del docufilm di Daniele Vicari presentato in questi giorni alla Mostra del cinema di Venezia.
Il regista italiano, reduce dal successo del film Diaz sui fatti del G8 di Genova, arricchisce la sua filmografia con un'altra pellicola di tema sociale. Questa volta affrontando la tragedia degli immigrati albanesi che pensavano di rifarsi una vita in Italia.
Un episodio tragico che vide i profughi arrivare al porto di Bari affamati e stremati dal viaggio. Molti scesero dalla nave ancora prima che l'imbarcazione fosse ferma in cerca di aiuto e di cure sanitarie. Altri alla conquista di quella libertà tanto vagheggiata dopo decenni di miseria e dittatura comunista. La maggior parte di loro però venne subito fermata e portata dalle autorità italiane dentro lo Stadio della Vittoria di Bari.
Di questi disperati, solo 1.500 circa riuscirono a rimanere in Italia, mentre gli altri furono rispediti a bordo di aerei di Stato in Albania facendogli credere che sarebbero stati trasferiti a Roma. Il sindaco del capoluogo pugliese, Enrico Dalfino, insieme a molti concittadini, diede prova di grande solidarietà, fornendo il proprio aiuto ai profughi.
Vicari per il suo documentario ha raccolto la testimonianza del comandante della nave, Halim Malqi, e di tre persone che allora attraversarono il mare Adriatico sulla Vlora. Tra questi c'era anche Kledi Kadiu, ballerino diventato famoso partecipando ai programmi televisivi di Maria De Filippi, come 'C'è posta per te' e 'Amici'.

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