Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 febbraio 2011

Quando l'onda ci sommergerà
Si temono 300 mila profughi. Ma secondo gli Usa abbiamo già perso la sfida. E persino Malta ri inganna sugli sbarchi
L'Espresso, 25-02-2011
DI GIANLUCA DI FEO E STEFANIA MAURIZI
La linea dura di Maroni? Un bluff, l'ultimo di tanti. Perché «le frontiere sono un colabrodo, mancano i controlli, le espulsioni sono pochissime, i centri di detenzione minuscoli, le procedure di identificazione quasi inesistenti». Insomma, un fallimento: «L'Italia si è dimostrata inefficace nel rispondere alle sfide dell'immigrazione». Adesso che la rivoluzione nel Maghreb sta per spingere verso la Sicilia un'ondata senza precedenti e il governo teme che i boat people saranno 300 mila, tutta la fragilità delle nostre istituzioni rischia di venire alla luce. Una serie di debolezze e deficienze strutturali radiografate dall'ambasciata americana in un monumentale rapporto redatto nella primavera del 2009, ottenuto da WikiLeaks e pubblicato in esclusiva da "l'Espresso".
Anche in quei giorni Lampedusa veniva assaltata dai barconi partiti dalla Libia, con naufragi drammatici e reazioni allarmate dei media. Per questo la sede diplomatica di Roma si mobilita, organizzando decine di interviste con funzionari pubblici ed esperti, per poi andare a vedere sul campo la situazione da Milano alla Sicilia. Il risultato è un dossier in tre capitoli di oltre 30 pagine, che rade al suolo gli slogan del governo Berlusconi. Si parte dall'esame dei provvedimenti varati negli ultimi tre anni: «Tutte le misure (accordi di rimpatrio, detenzione per gli immigrati illegali, leggi più dure) hanno fallito nel fermare il flusso di irregolari». C'è un dato che evidenzia l'impreparazione: «In tutta Italia i centri di detenzione per gli immigrati irregolari hanno soltanto 3 mila letti». Il direttore del centro di identificazione di Roma si sfoga con gli americani: «L'unico modo di fermarli sarebbe sigillare le coste del Nord Africa o rimandare indietro i barconi». Il dirigente della polizia «esprime la frustrazione perché lui e i suoi uomini non riescono a dare un'identità a molti dei fermati perché i Paesi d'origine non colla borano. Poiché la struttura di detenzione ha pochi posti, il risultato finale è che gran parte delle persone colpite dagli ordini di espulsione vengono rilasciate». Il rapporto Usa mostra come le statistiche delle espulsioni siano false: i provvedimenti sono virtuali. «Su 70.645 illegali rintracciati (un implicito riconoscimento al fatto che c'è una popolazione di stranieri non rintracciati) solamente 24.234 sono stati realmente rimpatriati. Per esempio a Milano, su 3.088 persone che nel 2007 hanno ricevuto un ordine di espulsione solo 653 sono state rimpatriate» . E anche «molti di quelli rimandati indietro poi tornano in Italia, scommettendo di poter passare dai 1.500 chilometri di frontiere piene di varchi». Il dossier fa sua la visione del portavoce della Caritas: «Fondamentalmente l'Italia manca della capacità strutturale di gestire il numero di immigrati illegali che arriva nel Paese. Non si sa da dove arrivano e quanti sono». E Paolo Ciani della Comunità di Sant'Egidio commenta: «La politica del governo non solo è immorale ma è anche inefficace».
Anche l'Unione europea ha le sue colpe. Davanti a questa marea umana, l'Ue sembra avere chiuso gli occhi lasciando gli italiani da soli: «Nonostante tutti gli Stati debbano contribuire al soccorso delle barche in difficoltà, la parte del leone la fanno le forze di polizia italiane». Alla faccia degli accordi Frontex, i nostri alleati mediterranei spesso fanno i furbi. Un ex ufficiale dei carabinieri già in servizio con Europol racconta che «quando viene avvistato un barcone nel Canale di Sicilia viene lanciato l'allarme a tutte le Marine europee ma soltanto gli italiani vanno a salvarli». E l'ambasciata americana conferma: «Durante una visita a Malta un ufficiale delle forze armate ci ha detto che loro intervengono in base alle loro limitate capacità, ma ha ammesso che se il barcone appare in grado di navigare i militari maltesi lo indirizzano verso Lampedusa». Il problema viene scaricato sull'Italia, incapace da anni di reagire ai colpi bassi di Malta.
Prima del caos di queste settimane, la questione dei boat people appariva tragica per il numero di vittime nella traversata, ma statisticamente secondaria. Perché dal mare sbarca solo il 15 per cento degli "irregolari", il resto entra nel nostro Paese dalla porta principale con un visto temporaneo «e vi rimane incoraggiato dalla debolezza dei controlli e dalla lunga storia di regolarizzazioni degli illegali». E questa la vera breccia nella "Fortezza Europa" dove si infilano cinesi, filippini, marocchini, albanesi. Una scorciatoia che, paradossalmente, rischia di venire agevolata proprio dagli accordi di rimpatrio. Come spiega un funzionario del Viminale, Roma per ottenere la collaborazione di Tunisia ed Egitto gli «ha garantito 150 mila visti preferenziali l'anno»: una massa di lavoratori stagionali che subiranno la stessa tentazione a mettere le tende.
Nel loro dossier gli americani evitano il termine "clandestino", lo ritengono parte di una campagna per criminalizzare l'immigrazione: «Il premier, Maroni, la stampa (in gran parte controllata da Berlusconi) continuano a enfatizzare il legame tra immigrazione, aumento dei reati e rischio di terrorismo... La retorica del governo e l'attenzione selettiva della stampa su questi legami hanno alimentato nell'opinione pubblica una sensazione di pericolo». Anche per questo l'ambasciata Usa esamina in dettaglio la linea dura varata dal ministro Roberto Maroni per «sbattere la porta»: dalle ronde al divieto per i medici di curare gli irregolari, dal reato di immigrazione clandestina all'impegno contro le bande di scafisti. In altri dei cable rilasciati da WikiLeaks emergono le preoccupazioni statunitensi per la «xenofobia dei provvedimenti ispirati dalla Lega, come il censimento dei rom».
Ma il problema non è l'ideologia di Bossi: quello italiano è un fallimento globale, dove destra e sinistra non hanno saputo «elaborare un modello per gestire l'immigrazione, una questione che l'opinione pubblica ritiene vada affrontata con urgenza». Oggi la situazione rischia di precipitare per il caos libico, il Paese dove i trafficanti di uomini - riporta il dossier - hanno le complicità più forti e da cui salpano i disperati di tutta l'Africa. Ma la sfida sembra persa in partenza: «Gran parte dei nostri contatti, anche nel ministero degli Interni, credono che sarà difficile fermare l'onda. La posizione geografica, la debolezza dei controlli e la ricchezza rispetto ai Paesi d'origine rendono l'Italia una calamita per questa gente». ?
 

 
Lampedusa si prepara: ma se arrivano, via noi
Sull'isola nasce un comitato spontaneo: chiediamo di sopravvivere. Cinquemila migranti alle frontiere libiche
Il Messaggero, 25-02-2011
NINO CIRILLO
LAMPEDUSA (Agrigento) -Lampedusa freme, di rabbia e di paura. «Se arrivano loro, se arrivano davvero a decine di migliaia, allora andremo via noi. Prima le donne e i bambini e poi noi...». Giuseppe Costa, albergatore, 33 anni e tre figli, parla a nome di tutti i maschi adulti dell'isola e non scherza, e ne ha pure tutti i titoli: è il vicepresidente di «Lampedusa, porta d'Europa», il comitato «spontaneo» nato stasera nel salone della pizzeria La Rotonda, che ha mandato lettere già a mezza Europa, che sta raccogliendo firme «per invitare Berlusconi qui perché siamo specializzati nell'accoglienza» e
che già si è dato uno slogan destinato a durare: «Chiediamo di sopravvivere».
A occhio, sono almeno un migliaio in questa sala davvero rotonda, adomata con festoni di sapore vagamente carnevalesco, facce scavate dal vento e dal mare, tutti talmente convinti della partita che si stanno giocando, tutti talmente immersi nel dubbio che la stanno veramente sparando grossa da rifugiarsi in un secondo, disperato slogan: «Stiamo uniti».
E sono uniti davvero, perché sanno che se crolla questo precario equilibrio fatto di comprovato senso della solidarietà ma anche di storica frustrazione verso una Roma così lontana, beh, allora crolla tutto. Si son riuniti quaggiù, accanto alle barche del porto, sotto un vento sferzante che ha raggiunto anche i 35 nodi, nell'Unica giornata in cui non è successo nulla, come se questo vuoto li avesse spinti a farsi avanti, a gridare al mondo intero che ci sono seimila cittadini italiani bisognosi almeno d'affetto.
Non sono arrivate navi, infatti, e non sono atterrati aerei -e neppure una copia di giornale- nella giornata più fredda e più dura che Lampedusa ricordi almeno nella memoria recente. Come a cristallizzare uno status quo gonfio di incognite, un senso di insicurezza diffuso per quello che deve ancora accadere. L'ultima, proprio l'ultima, viene dalla frontiera libico-tunisina: almeno cinquemila fuggiaschi dalle bombe di Gheddafi l'hanno superata, potrebbero partire già oggi, o domani, quando il vento si placherà, quando il «mare vecchio», che poi è il mare grosso in ritirata, spingerà i disperati a ripartire anco¬ra.
Ce ne sono di strani incroci a queste latitudini. Perché se Giuseppe Costa è il vice presidente, il vero leader di «Lampedusa porta d'Europa» è An¬tonio Pappalardo, 66 anni, palermitano, generale dell'Arma in congedo, rimasto famoso per aver guidato i Cocer e per essersi poi buttato in politica fino a diventare sottosegretario .alle Finanze. Una vita di polemiche, di ricorsi tutti presentati e tutti vinti, e anche di composizioni musicali sacre che dovrebbero avergli garantito un certo successo. Adesso è qui, perché qui è stato chiamato come assessore "tecnico" -al Territorio e all'Ambiente ma anche alla Pubblica sicurezza, alla Legalità e alla Trasparenza-, e la gente lo applaude convinta quando con toni da consumato sindacalista intona: «Viva Lampedusa»
L'isola resta un caleidoscopio incredibile. Alle nove del mattino i bar di via Roma sono non pieni ma stracolmi di quelli che in teoria dovrebbero essere solo ospiti del centro di accoglienza. Il bar Mediterraneo è tutto loro, e anche il bar dell'Amicizia, almeno la veranda con vista sul mare, e gli altoparlanti già offrono nenie magrebine, e loro consumano cappuccini a volontà e montagne di sigarette.
Sono 815 fantasmi, ufficialmente dei fantasmi, tanto che le operazioni di «fotosegnalazione», informano le agenzie, sono iniziate solo ieri sera, nella speranza che possano essere utili alla polizie di tutto il Nord Europa quando saranno laggiù. I carabinieri del centro di accoglienza, come da ordini ricevuti, controllano a uno a uno   i   giornalisti che tentano di entrare, ma loro -i seimila disperati arrivati, e poi quasi tutti  smistati,  dalla guerra o dalla Tunisia del dopo Ben Ali, loro vanno e vengono tranquilli perché tanto non possono scappare da nessuna parte, e comunque si rifiuterebbero di esibire anche la copia sbiadita del loro passaporto. E' surreale anche l'apparente disattenzione con cui il resto del mondo sta guardando a Lampedusa.   Solo questa mattina dovrebbero arrivare uomini della Frontex, l'agenzia europea con sede a Varsavia che si occupa dei problemi del'immigrazione se la Protezione civile è qui, la nostra Protezione  civile, sicuramente     ha scelto un basso profilo. Si vedono sul campo trecento uomini, tra Finanza, Polizia e Carabinieri, ma fremono anche loro. Il Consap, sindacato di polizia, sostiene che almeno in cento «aspettano il ricambio». E rivela che altri cento, almeno da una settimana, aspettano di sostituirli su una banchina, a Porto Empedocle. Anche questo è Lampedusa.



Immigrazione, l’Ue all’Italia: “Inutile fasciarsi la testa”
BRUXELLES  - All’Italia che chiede aiuti all’Europa per fronteggiare i nuovi arrivi di immigrati, Bruxelles risponde dicendo: “E’ inutile fasciarsi la testa”.
Bliz Quotidiano, 24-02-2011
”Non doppiamo dipingere il diavolo prima di vederlo”: lo dice il ministro ungherese Sandor Pinter, cui spetta la presidenza del Consiglio Gai. E’ una espressione che equivale all’italiano ”inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta” e si riferisce al rischio di una emergenza immigrazione dal nordafrica di dimensioni epocali evocata dalle autorità italiane. Una posizione analoga la esprime, sia pure con meno ‘colore’, la Commissaria Cecilia Malmstrom: ”Finora non è arrivato nessuno dalla Libia. Cosa faremo dipenderà da quello che succedera’. Siamo tutti d’accordo che la situazione è grave e preoccupante. Il problema è che è difficile capire cosa accadrà. Non ha senso speculare su quanta gente potrà o non potrà arrivare. Certo è che quando c’è una guerra civile potrà arrivare gente. Ma è inutile dire che cosa si può fare, prima di sapere cosa dovremo fare”.
”Oggi abbiamo parlato degli strumenti a disposizione per affrontare la situazione” aggiunge la Malmstrom, ribadendo che ”il problema sarà europeo”, ma nel senso che all’emergenza l’Europa risponderà prima di tutto con la disponibilita’ a dare uomini e mezzi per la missione Frontex, poi aiuti finanziari, ma non con lo smistamento dei rifugiati che resta affidato alla disponibilità ”volontaria” dei singoli stati.



Il nord (Europa) dice no a Maroni
Aiuti all'Italia per accogliere, ma non per riallocare gli immigrati
Il Foglio, 25-02-2011
Bruxelles.  Di fronte al "rischio di un'emergenza umanitaria di proporzioni non immaginabili" per la situazione in Libia, la missione europea di Roberto Maroni si è conclusa con "luci e ombre", ha detto ieri il ministro dell'Interno. La Commissione ha annunciato aiuti finanziari all'Italia per accogliere i migranti dal nord Africa. Ma sul principio del "burden sharing" - la ricollocazione dei richiedenti asilo tra i paesi europei - gli interventi degli altri ministri sono stati "di totale chiusura", ha spiegato Maroni: "Non credo che sia un buon esercizio di solidarietà dire 'Italia sono affari tuoi'". Nessun passo avanti nemmeno sulla creazione di un sistema europeo dell'asilo. "Mi sono scoperto più europeista degli europeisti", ha ironizzato Maroni, annunciando che per l'emergenza si stanno preparando aree per accogliere un numero di migranti "a cinque zeri".
Più che "lasciata sola", l'Italia appare isolata. I partner del nord hanno criticato le cifre, di centinaia di migliaia di migranti avanzate da Maroni, definite "deliranti" dal ministro belga Melchior Wathelet. Per il ministro svedese Tobias Billstróm, l'Italia deve avere "un atteggiamento più equilibrato" e prendere esempio dalla Svezia, che nel 2010 ha accolto "32 mila richiedenti asilo su una popolazione di 9 milioni". L'Italia "in proporzione dovrebbe prenderne 200 mila", ha detto Billstróm. Diplomatici tedeschi hanno spiegato che i seimila migranti arrivati dalla Tunisia sono poca cosa rispetto ai 40 mila rifugiati l'anno della Germania e i 20 mila del Belgio. Per la Commissione occorre "prepararsi al peggio: l'Ue deve essere pronta ad agire e a essere solidale", ha detto al Foglio una fonte dell'esecutivo. Ma senza il consenso degli altri stati, la richiesta italiana di ricollocare i richiedenti asilo è irricevibile.
 Per l'Ue, l'emergenza è il rimpatrio dei più di 5 mila cittadini europei ancora in Libia. Tra le altre misure, Bruxelles sta studiando l'invio di una forza di intervento umanitario. "Siamo in contatto con gli stati membri per vedere quali capacità, civili e militari, possano essere dispiegate", dice al Foglio una fonte comunitaria. Germania, Regno Unito, Italia, Francia e Olanda hanno inviato navi davanti alle coste libiche, in quello che potrebbe apparire come un preposizionamento militare. Per ora servono all'evacuazione. Anche solo per portare acqua, cibo e medicinali a Bengasi occorre un "quadro legale". Al Consiglio di sicurezza dell'Onu Cina e Russia minacciano il veto. La Nato non ha "piani per intervenire". In mancanza di altro, l'Europa brandisce la minaccia di un'inchiesta per crimini contro l'umanità.
 


Crisi del Maghreb: giallo sui finanziamenti all’Italia. Maroni annuncia 25 milioni di euro, la Malmström lo smentisce.
Per la Presidenza Ue “l’Italia non si fasci la testa prima di averla rotta”.
Immigrazione Oggi, 25-02-2011
Il commissario europeo agli Affari interni Cecilia Malmström “ha promesso subito 25 milioni di euro” per gestire l’emergenza immigrati. Maroni ha poi dichiarato che “io ne avevo chiesti 100 (milioni, ndr), ma l’importante è che sia stato riconosciuto il principio”, perché “il punto è che uno Stato membro che interviene in una situazione di emergenza spendendo un sacco di soldi ha diritto a un risarcimento”.
La cifra è stata annunciata, nella serata di ieri al termine del Consiglio giustizia e affari interni, dal ministro degli Interni Roberto Maroni. Una notizia immediatamente smentita dalla stessa commissaria che ha precisato “credo ci sia stato un malinteso” ha affermato la Malmström “io non li ho mai promessi, si tratta di un malinteso, abbiamo parlato di 25 milioni ma si tratta del pacchetto complessivo del fondo di emergenza europeo a disposizione di tutti i Paesi Ue”.
“Questi 25 milioni – ha specificato la commissaria – li abbiamo in totale per tutta l’Ue in caso di emergenza per quest’anno, da qui si può attingere ma bisogna ancora valutare le necessità dell’Italia, che ha comunque dei fondi Ue già allocati per l’immigrazione per il 2011 che non sono stati ancora utilizzati”.
Critiche all’Italia anche da parte del ministro dell’Interno ungherese Sandor Pinter, presidente di turno della Ue, che ha rilevato come sia “inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta, oppure come diciamo noi in Ungheria è inutile dipingere il diavolo sul muro prima che questo sia arrivato”.


 
ANTONIO PANZERI
« Non è l'89 arabo: c'è l'islam e manca il sogno »
Libero, 25-02-2011
GIOVANNI LONGONI
 «L'Europa ha guardato per troppo tempo a Est e non si è accorta di cosa stava avvenendo a Sud». Antonio Panzeri, europarlamentare del Pd e presidente della Delegazione Maghreb a Bruxelles, è uno degli italiani più vicini al cuore del problema dei profughi e dei disordini in Nordafrica.
Il presidente Napolitano ha detto che quello dei profughi è un problema di tutti i 27 Paesi della Ue.
Ha ragione. Occorre arrivare a una presa di coscienza del problema e per fortuna la cronaca sta aprendo gli occhi a molti.
 E il fondo di solidarietà proposto da Maroni?
Stiamo parlando di esseri umani, non possiamo avere una visione mercantile. Prima occorre costruire una consapevolezza politica del problema immigrazione lira creare un tavolo a cui portare tutti i Paesi europei, e lì discutere sui mezzi per affrontare l'emergenza dei profughi.
E reale la minaccia dell'invasione? Guardi, in Libia vivono migliaia di lavoratori dell'Africa subsahariana che oggi la popolazione araba, dopo che Gheddafi ha ingaggiato i mercenari di colore, percepisce come amici del dittatore. Il rischio è quello della fuga in massa dal Paese di questi disperati.
 Lei è stato in Tunisia ai primi di febbraio. Che impressione ne ha avuto? Non è come il 1989 dell'Europa orientale con la caduta del muro di Berlino. Allora non c'era l'islam ma c'era il sogno di integrazione in Europa e la possibilità concreta di realizzarlo. Nel mondo arabo questo manca: perciò la Ue deve ripensare l'intera politica di vicinato con l'altra sponda del Mediterraneo e l'intero Medioriente.
È pessimista sul processo di democratizzazione?
Dipende. La Tunisia ha due carte da giocare: è un Paese piccolo e ha un importante strato laico della società. In Egitto invece non si è passati attraverso un governo provvisorio ma l'esercito si fa garante del processo di cambiamento. Con rischi più alti che la democrazia non si avvicini. In Libia il regime è al collasso e c'è la minaccia reale di Al Qaeda.
Si discute in queste ore di sanzioni e intervento umanitario. Secondo lei cosava fatto subito?
Per prima cosa, l'embargo sulla vendita di armi alla Libia. Poi studiare le sanzioni, ma attenti: l'Europa ha molti interessi commerciali là. L'intervento è un interrogativo: manca una base giuridica o almeno qualcuno che in Libia lo chieda.
 


Mostruosa normalità
Corriere del Veneto.it, 25-02-2011
Alessandro Russello
L’assessore regionale all’Immigrazione Daniele Stival è un padano di tempra ma passa per essere un leghista moderato. Probabilmente non ha mai sparato nemmeno ai passeri e forse, perfino, non sopprime i fastidi estivi con la paletta moschicida. E magari si commuove pure fotografando le farfalle (quelle rimaste) che si posano sulle piante o per quel film dove un cane dallo smisurato amore per l’uomo aspetta ogni giorno sulla stessa mattonella il padrone morto dieci anni prima. Insomma, l’assessore Stival è una persona normale. Per questo, nell’ascoltare il nobile progetto politico declinato in tivù e secondo il quale bisognerebbe «fermare i profughi con il mitra», la cosa più grave che ci viene in mente e che ci spaventa è proprio la sua «normalità». Una frase, la sua, gettata nell’agone del dibattito - con lessico mostruoso - come una congiunzione o la perdonabile iperbole da curva calcistica. Una frase che ha il peso im-materiale di una montagna che precipita addosso a un mondo abituato ormai - nella civiltà della lingua e del limite perduti - a parlare di un genocidio come si parlasse del tasso di acidità del sugo di pomodoro o dell’erba alta di un giardino pubblico. Una frase perfino negata nella sua pesantezza da chi l’aveva pronunciata - al punto da spostare sui giornali e in particolare sul Corriere del Veneto la responsabilità di una macchinazione - fino al momento del riascolto pubblico e della «presa di coscienza» che quella voce era connessa a una determinata corteccia cerebrale. Una frase di fronte alla cui evidenza, infine, l’assessore Stival ha chiesto pubbliche scuse rivelando però subito dopo, con immutato orgoglio da guappo padano, di aver ricevuto solo complimenti dalla gente per il «coraggio di dire ciò che molti pensano». Circostanza, questa, peraltro plausibilissima e rientrante in quella «normalità » (per fortuna solo lessicale) di cui si parlava. Resta infatti inteso che mai il moderato Stival e i suoi fan imbraccerebbero per davvero un mitra contro i profughi, anche se proprio in questa metafora è possibile rintracciare non solo la dimensione disumana ed eversiva del linguaggio della società neo-clanica che qualcuno volentieri insegue e prefigura, ma anche il programmatico ricorso alla demagogia che invocando il senso comune di una parte del «popolo» vorrebbe sostituire le istituzioni con il bar, la complessità della politica con le semplificazioni della pancia, la testa con l’evocazione del grilletto.
Siamo parimenti convinti, d’altra parte, che la Lega non sia (solo) questo e ci auguriamo che a cominciare dal ministro Maroni - ritenuto da più parti uno dei migliori responsabili degli Interni degli ultimi decenni - il Carroccio sappia tradurre in buona politica tutto il consenso derivatogli proprio dalle conseguenze del grande impatto dell’immigrazione. Un impatto che con il paventato esodo biblico delle genti che fuggono dalla fame e dalle dittature (anche tollerate «strategicamente» dall’Occidente), rischia di esportare drammaticamente in Italia le contraddizioni della polveriera nordafricana. Se è vero - come reclama l’assessore Stival - che altre nazioni europee come Grecia e Spagna sono più «inflessibili» sugli sbarchi e se è altrettanto vero che l’Italia non può essere lasciata sola dall’Europa nella gestione delle conseguenze di una tragedia epocale, nessuno lo autorizza ad invocare il mitra nel momento in cui un dittatore massacra un popolo che dissentendo cerca la libertà. La sua specifica carica istituzionale (assessore all’immigrazione) richiederebbe la forza dell’equilibrio e non quella incendiaria della benzina, la lucidità dell’amministratore e non la gratuita grevità da disquisitore da osteria; pagato, peraltro, con il profumo di oltre diecimila euro versatigli ogni mese in nome del popolo (italiano). Una volta assunto che nel passaggio dalla dimensione ideologica a quella territoriale della politica la Lega è il partito che meglio interpreta e raccoglie le istanze della cosiddetta «società della paura», vorremmo vedere impegnato l’eterno movimento di lotta e di governo nell’esercizio delle risposte adeguate e non dell’ossessiva riagitazione dei problemi. Se usare il mitra è davvero il manifesto programmatico e non solo lessicale di Stival (chiede scusa ma subito dopo s’inorgoglisce perchè dice ciò che il popolo pensa), l’assessore anti-profughi abbia il coraggio di essere coerente fino in fondo. Andando anche contro la stessa Lega che lo scarica e gli dice - attraverso le parole del governatore Luca Zaia - che la sua non è la linea del partito. Stival ieri ha persino offerto le sue dimissioni. Non vogliamo nemmeno commentare questa «generosità» istituzionale. Non ci interessa. Sappiamo solo che pronunciando quelle parole ha rischiato di dimettersi, prima che da assessore, da uomo.



Ue: i profughi restino in Italia Ma ora si muove la Nato
Avvenire, 25-02-2011
Una riunione urgente dei Paesi membri dell'Alleanza Atlantica per affrontare la questione libica. A richiederla il  segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in un messaggio su Twitter, precisando di essere pronto ad assumere il ruolo di "coordinatore" qualora gli alleati decidessero un'azione. "La situazione in Libia è fonte di grande preoccupazione e la Nato può agire come coordinatore, se e quando gli Stati membri dovranno intraprendere azioni", ha scritto Rasmussen.
Intanto si apre a Godollo, vicino Budapest, il meeting informale dei ministri della Difesa dell'Unione Europea che affronta la situazione libica e la possibile evacuazione dei migliaia di cittadini ancora bloccati nel Paese arabo.
La Ue: i profughi restino in Italia
Sì a qualche milione di euro per aiutare i Paesi di approdo ma no all’accoglienza dei migranti/profughi distribuendoli tra tutti gli Stati dell’Ue. E un altro no al potenziamento di Frontex, l’agenzia dell’Ue per il controllo delle frontiere.Anche di fronte all’emergenza delle ondate di emigrazione in arrivo dal Nord Africa, e soprattutto dalla Libia, i governi dell’Ue non riescono a realizzare quella reale “ripartizione degli oneri” che dovrebbe essere la base di una politica comune dell’immigrazione. Nella riunione del Consiglio dei ministri Interni e Giustizia dei Ventisette la Commissione europea ha annunciato lo stanziamento di 25 milioni per la prima accoglienza dei migranti ma non è stato accolto l’appello una completa solidarietà comunitaria lanciato dell’Italia e dagli altri Paesi più esposti. I ministri del Nord Europa si sono preoccupati soprattutto di prendere tempo e smentire le previsioni con cui Frontex prospetta a breve termine fino a un milione di profughi. A Bruxelles si è parlato anche di come evacuare gli europei ancora bloccati in Libia, e sulle coste libiche potrebbero essere inviate unità militari in appoggio a navi passeggeri.
Se non fosse possibile usare i porti, potrebbero essere usate anche unità per operazioni anfibie, come le italiane della classe “San Giorgio”. I vertici della struttura militare dell’Ue sono stati consultati anche in un’ottica diversa. Oltre alle sanzioni politiche ed economiche già messe allo studio, tra le misure che i governi e la Commissione stanno esaminando ci sono anche due opzioni militari per metter fine ai massacri che stanno innescando una guerra civile. La prima opzione è di creare sulla Libia una “no fly zone”, zona di interdizione di volo che impedisca ai piloti fedeli al regime di attaccare gli insorti. La seconda opzione militare prevede l’invio di una forza d’interposizione che separi i combattenti: «operazione complessa, tecnicamente e politicamente», si sottolinea nel piccolo Stato Maggiore dell’Ue, ma che un consistente “battle group” potrebbe sviluppare «in una chiara cornice legale», come un mandato dell’Onu. Ancora sull’emergenza immigrazione il ministro degli Interni Roberto Maroni, spalleggiato dai colleghi maltese, spagnolo, greco e francese, è tornato alla carica sottolineando che si tratta non di un problema nazionale ma di un problema europeo da affrontare insieme in tutti i suoi aspetti, che siano di assistenza finanziaria, tecnica, di accoglienza o di strategia politica. L’Ue, ha ribadito Maroni, «non può limitarsi a dirci che è un problema nostro, tra l’altro bisogna stabilire qual’è il nostro progetto per il Maghreb ma su questo non ho sentito una parola». Quel che succede in Libia impone all’Europa una chiara «emergenza umanitaria», Maroni non ha dubbi, e chiede all’Ue «tutte le misure per gestire un’emergenza catastrofica», tenendo presente l’avvertimento di Frontex che teme un’ondata fino a un milione di rifugiati. Il fuoco di sbarramento dei nordici lo ha iniziato il ministro degli Interni austriaco: secondo Maria Fekter, l’Italia può gestire da sola l’arrivo di 5.000 persone e comunque l’Austria non ne acceterà in casa propria.
Alla Fekter ha dato manforte il sottosegretario belga Melchior Whatelet che ha definito «demenziali certe cifre» sull’immigrazione in arrivo. Più gelido che mai, il ministro svedese Tobias Billstroem ha chiesto di «mantenere la calma» in attesa di «vedere come si mettono le cose» mentre «la Commissione europea vigila», e di non parlare di «cifre epocali» (come il ministro degli esteri Franco Frattini). Con un’altra frecciata Billstroem ha detto che anziché 5.000 rifugiati l’Italia dovrebbe accoglierne 200.000 per fare, in proporzione della popolazione, quel che la Svezia ha fatto nel 2009 accogliendone 32.000.

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