Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 luglio 2014

SBARCHI, ECCO IL PIANO SULL'ACCOGLIENZA ALLA LOMBARDIA LO SFORZO MAGGIORE 
Corriere della sera, 25-07-2014
Fiorenza Sarzanini 
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ROMA - Quattro caserme da 600 posti ciascuna, un «modulo organizzativo» da 10,000 posti che tutte le Regioni devono rendere disponibile 
per le emergenze, un progetto articolato per l`accoglienza e la sistemazione dei minori. E questo il «piano strutturato» da 700 milioni di euro messo a punto dal ministero dell`Interno per fronteggiare l`arrivo dei migranti che continuano ad approdare sulle nostre coste. Ormai siamo a quota 83.000, la stima dice che entro la fine dell`estate si supereranno abbondantemente i 100.000 stranieri arrivati dal mare. E dunque bisogna essere attrezzati, prepararsi a ondate ben più consistenti di quelle delle ultime settimane che, nei momenti di picco, hanno raggiunto anche le 1.000 persone sbarcate al giorno. E soprattutto, come ha sottolineato il ministro Angelino Alfano nell`ultima riunione con i rappresentanti dell`Anci, «mettere in atto interventi in un contesto di leale collaborazione fra i livelli istituzionali». Vuoi dire da un lato che ognuno deve fare la propria parte, anche gli amministratori locali che finora hanno rifiutato l`accoglienza, e dall`altro che vanno attivati canali diplomatici con i Paesi del Nord Africa, prima fra tutti la Libia. 
Il modulo da 10.000 
Dal Viminale sono già partiti due telegrammi urgenti per l`applicazione del «modulo» di emergenza che prevede la sistemazione di 10.000 persone ogni volta. E dunque sono stati distribuiti in tutta Italia 20.000 migranti che non era possibile accogliere nel circuito dei tradizionali centri di accoglienza. Il prossimo «allena» potrebbe essere inviato già la prossima settimana, visto il flusso che si è registrato nelle ultime ore. Calcolando una media di almeno altri 30.00o sbarchi, in Lombardia si rischia di arrivare a fine agosto a oltre 6.000 stranieri (la quota assegnata su ogni «modulo» è di 1.389 persone), circa 5.00o in Campania (998 per volta) così come ín Sicilia (919), circa 4.000 nel Lazio (860) e in Piemonte. 
Un`ulteriore «copertura» si potrà avere con la messa a disposizione delle quattro caserme in cui sono già stati attivati i lavori per la messa a disposizione urgente: Masotto di Bisconte a Messina, Civitavecchia, Montichiari e Bari. «Ma la capienza non potrà superare i 600 posti avvertono i tecnici del ministero perché si tratta di una sistemazione che può durare mesi e dunque deve essere facilmente gestibile». L`obiettivo è di evitare il rischio sovraffollamento che trasforma le strutture in una sorta di carcere. 
Asilanti e minori 
La direttiva del ministro Alfano, concordata con gli enti locali e attuata dal Dipartimento Immigrazione guidato dal prefetto Mario Morcone, si muove su tre priorità: «Velocizzazione delle procedure di identificazione e verbalizzazione delle richieste di asilo da parte delle questure per garantire l`immediato accesso alla procedura anche al fine dell`immediato rilascio del permesso di soggiorno; accelerazione dei tempi per l`esame delle richieste di protezione internazionale da parte delle Commissioni territoriali per poter avviare nel più breve tempo possibile i percorsi di integrazione; potenziare il sistema di accoglienza e protezione dei minori». 
Si tratta di ragazzi che hanno tra i 13 e i 17 anni, la maggior parte di loro è arrivata in Italia senza genitori e dunque è necessario trovare sistemazioni, ma anche evitare che possano finire preda della criminalità. Per questo si è deciso uno stanziamento aggiuntivo di 100 milioni di euro e la creazione di una «unità di missione» che prevede di utilizzare le strutture specializzate dello Sprar (il sistema di protezione dei richiedenti asilo) e di spendere 45 euro a persona. L`accordo siglato con gli enti locali prevede «la prima accoglienza in strutture governative con tempi di permanenza contenuti al fine di garantire il turn over delle presenze, evitando la saturazione dei centri. Per questo il ministero dell`Interno valuterà il possibile diverso utilizzo degli attuali Cara (i Centri di accoglienza per i richiedenti asilo) di Mineo, Crotone e Bari». 
Soldi e accordi 
I 700 milioni di euro stanziati complessivamente (570 oltre ai 100 per i minori) si aggiungono al finanziamento da 9 milioni di euro che l`Italia stanzia ogni mese per sostenere «Mare Nostrum». La missione va avanti, ma il Viminale valuta l`opportunità di attivare canali diplomatici con Egitto e Tunisia per l`apertura di centri di smistamento in modo da poter controllare i flussi verso l`Italia. 
In realtà il vero problema riguarda la Libia e la difficoltà di trattare con il governo di Tripoli. La situazione, ribadita negli ultimi report degli ufficiali di collegamento, parla di centinaia di migliaia di persone ammassate sulla costa settentrionale del Paese che mirano a raggiungere l`Italia, anche se molti di loro avrebbero poi l`intenzione di «dirigersi verso altri Paesi dell`Unione europea». Ultimi approdi di viaggi della speranza che sembrano non avere fine. 
 
 
 
Il Mare nostrum, una risorsa diventata naufragio 
Il luglio 2014, ovvero il mese che sta finendo, resterà negli Annali per l`importanza, spesso negata, ancora più spesso non colta, del mare Mediterraneo e della sua cruciale influenza sulle nostre vite. 
il venerdì della Repubblica, 25-07-14
Enrico Deaglio 
Nel Tirreno si è appena svolta l`operazione di trasporto della Costa Concordia dai fondali dell`Isola del Giglio al porto di Genova. 
Finita grottescamente sugli scogli venerdì 13 gennaio 2012, fu il più grande naufragio (per tonnellaggio) di una nave passeggeri, con (appena) 32 vittime. Con una maestosa cerimonia il relitto ha compiuto il suo ultimo viaggio, con il profumo di un eccezionale business: secondo le stime del ministro dell`ambiente Gianluca Galletti, tutto lo smaltimento e il recupero dell`acciaio renderà ad imprese e al lavoro «tutti italiani», una cifra intorno al miliardo di euro, un eccezionale imprevisto per cui sono state in lizza Piombino e Genova, fino alla vittoria politica di quest`ultima. La fase finale dell`operazione Concordia ci riempie di orgoglio patrio, dopo la pessima propaganda all`Italia fornita dal comandante Schettino. Ora ci mostriamo paese moderno, capace di grandi imprese tecnologiche. A conti fatti, «il naufragar è stato dolce, nel nostro mare». 
Purtroppo le cose cambiano quando si va nel sud mediterraneo. Solo immani catastrofi (e un accorato appello del Papa) hanno convinto il nostro governo a stanziare 10 milioni di euro al mese per finanziare il salvataggio delle scassate navi dei migranti. L`operazione Mare Nostrum si stima in pochi mesi abbia salvato dal naufragio circa 18 mila persone, eppure esiste un partito politico (la Lega) che ogni giorno fa campagna contro quella spesa, e in generale contro l`arrivo di immigrati nel nostro paese. Purtroppo, a leggere i sondaggi di opinione, circa il 40 per cento degli italiani è d`accordo con queste posizioni. Epicentro, la Sicilia, da dove, appena cento anni fa, emigrarono in un milione per le Americhe. E dove ora arrivano - nella nostra totale inadeguatezza, nel nostro stupore - circa 70 mila persone l`anno, che fuggono dalle guerre in Siria, Somalia, Sudan, Libia, Mali, Ciad, Niger. Per un chiaro deficit di cultura delle nostre classi dirigenti, l`Italia appare totalmente impreparata ad affrontare un fenomeno destinato ad ingigantirsi nei prossimi anni e a dimenticare la storia di questo mare nei secoli. 
Eppure, ricordi mitologici del Mediterraneo sono stati lodati nel discorso inaugurale di Matteo Renzi al semestre di presidenza italiano dell`Unione Europea; Renzi si è paragonato all`adolescente Telemaco, il figlio di Ulisse cresciuto in una casa occupata dai Proci, che aspetta il ritorno del padre da una guerra famosa, condotta in luoghi in cui adesso si combatte più di allora, luoghi peraltro da cui era già arrivato Enea, chiaro esempio di figlio non rottamatore. 
Nessuno ha capito bene dove Renzi volesse andare a parare. Se non per il senso profondo della storia omerica: il futuro arriva dal mare.(0h, quanti illegali africani lavoreranno nelle stive della Concordia a sbullonare acciaio! Ahi, Telemaco: scoprirai come è doloroso liberarti dei tuoi padri!). ¦ 
 
 
 
Parchi e stazioni-caos Milano caput profughi 
Libero Quotidiano, 25-07-14
FRANCESCO LOIACONO 
Il primo maggio 2015, quando inizierà l`Expo, Milano diventerà per sei mesi il centro del mondo. Per il momento, però, detiene un altro primato: è diventata la capitale dei profughi e dei richiedenti asilo. Oltre 13mila persone arrivate da gennaio, un quarto di quelle arrivate in Italia. Numeri che fotografano le dimensioni dell`emergenza che, dallo scorso settembre, ha travolto il Comune guidato da Giuliano Pisapia. Al di là del rimpallo delle responsabilità con il governo, resta il degrado diffuso in tutta la città. Ogni giorno proseguono gli arrivi di profughi nella stazione Centrale. Migliaia di turisti si trovano di fronte veri e propri accampamenti organizzati nei mezzanini della stazione, dove il Comune ha allestito un punto d`accoglienza. I volontari di alcune associazioni non profit cercano di smistare i rifugiati nei centri d`accoglienza comunali. Ma i posti non bastano, e spesso intere famiglie con bambini sono costrette a dormire in stazione. 
Non va meglio ai tanti eritrei - più di duemila - giunti a Milano da maggio. Su suggerimento di altri connazionali, tendono a concentrarsi nel centralissimo quartiere di Porta Venezia, dove storicamente è numerosa la presenza di immigrati del Corno d`Africa: le strade e i giardini sono ormai invase da bivacchi, da persone che dormono nei sacchi a pelo, altre che espletano i loro bisogni fisici all`aperto. Una situazione insostenibile, che sta determinando il crollo del prezzo degli immobili e di fronte alla quale alcuni cittadini hanno deciso di muoversi in autonomia. L`Asscomm, associazione di commercianti, la scorsa settimana ha dato il via alle «ronde civiche» per segnalare bivacchi e degrado alle forze dell`ordine attirando le critiche del sindaco Pisapia. Ieri, intanto, la consigliera regionale Maria Teresa Baldini, eletta con il centrodestra e oggi passata al gruppo misto, ha chiesto al sindaco di «attivarsi per prevenire eventuali malattie infettive legate al fenomeno migratorio. Deve intervenire con una precisa, immediata ordinanza su questa problematica sanitaria». 
 
 
 
Oltre 800 persone sono morte quest'anno nel Mediterraneo cercavano sicurezza dai conflitti e dalla fame
Negli ultimi dieci giorni, più di 260 persone sono morte o tuttora disperse mentre tentavano di attraversare il Mediterraneo alla volta dell'Europa. L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr): urgente un'azione europea per fermare la morte di rifugiati e migranti in mare 
la Repubblica.it, 24-07-14
ROMA - Negli ultimi dieci giorni più di 260 persone sono morte o tuttora disperse mentre tentavano di attraversare il Mediterraneo alla volta dell'Europa. I sopravvissuti hanno riferito di sconvolgenti episodi, tra cui annegamenti di massa, soffocamenti e sospetti accoltellamenti multipli. Questi ultimi scioccanti eventi portano a circa 800 il numero totale di morti in mare di quest'anno, rispetto a un totale di 600 morti nel 2013 e di 500 nel 2012.
Cercano la sicurezza nelle mani dei trafficanti. Queste tragedie sono la prova che la crisi nel Mediterraneo si sta intensificando, dal momento che molte persone in fuga dall'Eritrea, dalla Siria e da altri paesi dilaniati dalla violenza cercano sicurezza in Europa, rischiando la vita in mare mettendosi nelle mani di trafficanti. Nelle ultime settimane il rapido aumento degli incidenti in mare ha suscitato la richiesta ai paesi europei di intraprendere misure urgenti per sviluppare un piano globale per prevenire tali tragedie.
In Italia il maggior numero di arrivi. Nel primo semestre del 2014 più di 75.000 rifugiati e migranti sono arrivati via mare in Italia, Grecia, Spagna e Malta  -  il 25 per cento in più rispetto ai 60.000 che hanno compiuto lo stesso percorso nel 2013 e oltre tre volte le 22.500 persone arrivate nel corso del 2012. L'Italia è stata il paese con il maggior numero di arrivi (63.884), seguita dalla Grecia (10.080), dalla Spagna (1.000) e da Malta (227). A questi si aggiungono poi altri 21.000 rifugiati e migranti arrivati in Italia dal primo luglio. La maggior parte proviene da Eritrea, Siria e Mali ed è partita dal Nord Africa, principalmente dalla Libia. Nei primi sei mesi del 2014 sono arrivati in Italia 10.563 minori, 3.676 dei quali provenienti dalla Siria. Tra di loro 6.500, per lo più eritrei, sono minori non accompagnati o separati dalle loro famiglie. Solo nel fine settimana del 19 e 20 luglio le autorità italiane e maltesi, con l'aiuto di diversi mercantili, hanno tratto in salvo 8.000 persone.
"L'Europa deve fermare questa catastrofe". António Guterres, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), ha elogiato entrambi i paesi per i loro sforzi, ma ha anche dichiarato che gli altri Stati europei devono rafforzare il loro sostegno. "La morte di 260 persone in meno di dieci giorni, nelle più orribili delle circostanze, è la prova che la crisi del Mediterraneo si sta intensificando", ha affermato Guterres. "Gli Stati Europei devono adottare misure urgenti per fermare questa catastrofe, che sta peggiorando nella seconda metà del 2014." Guterres ha invitato i governi a rafforzare le operazioni di soccorso, fornire rapido accesso alle procedure di asilo per coloro che hanno bisogno di protezione internazionale, ed alternative legali a queste pericolose traversate via mare.
I risparmi di una vita nelle mani di delinquenti. I rifugiati e i migranti soccorsi hanno riferito di aver consegnato i loro risparmi di una vita ai trafficanti, per poi viaggiare in imbarcazioni sovraffollate e non adatte alla navigazione in mare, stretti in pochi metri di spazio, senza cibo, acqua o giubbotti salvagenti. La traversata può durare fino a 4 giorni, a seconda delle condizioni meteo e del tipo di imbarcazione. A volte le persone sono rimaste disperse in mare per oltre due settimane prima di essere soccorse.
Il gommone sgonfio che si capovolge. Il 14 luglio le autorità italiane hanno soccorso 12 persone a 40 miglia dalle coste della Libia. I superstiti hanno raccontato che il loro gommone era partito con 121 persone a bordo. I passeggeri sono stati colti dal panico quando il gommone ha iniziato a sgonfiarsi da un lato e l'imbarcazione si è capovolta. 109 persone risultano disperse ed un uomo ha riportato di aver perso la moglie incinta.
I cadaveri nella stiva. Il 15 luglio 29 persone sono state trovate morte per asfissia all'interno della stiva di una imbarcazione, e stanno emergendo dettagli orribili di 60 persone accoltellate e gettate in mare mentre tentavano di risalire dalla stiva. In totale, 131 persone, incluso un neonato, risultano disperse o presunte morte. La polizia italiana ha arrestato 5 persone sospettate di aver avuto un ruolo in questa tragedia.  
Il riconoscimento agli armatori del Mediterraneo. L'UNHCR accoglie con favore gli sforzi delle autorità Europee, in particolare l'Italia, nel portare avanti operazioni di soccorso nel Mediterraneo, ed esorta gli stati a continuare a rispettare i loro obblighi derivanti dalla normativa internazionale sui rifugiati e dalla legge del mare. L'UNHCR riconosce il grande sostegno fornito dagli armatori nel mediterraneo alle operazioni di soccorso e chiede loro di rimanere vigili e continuare a svolgere il loro dovere soccorrendo le imbarcazioni in difficoltà.
"Migliorate l'accoglienza". L'UNHCR invita inoltre gli Stati europei ad aumentare la disponibilità e la qualità delle strutture di accoglienza che ricevono le persone soccorse e di identificare soluzioni a lungo termine per i rifugiati che includano il reinsediamento, l'ammissione per ragioni umanitarie, regimi di ammissione sulla base di sponsor privati, l'accesso agevolato al ricongiungimento familiare e l'utilizzo di visti per motivi di studio o lavoro.
 
 
 
"Adotta un rifugiato". Le famiglie torinesi accolgono i richiedenti asilo
Lanciato in forma ufficiale dal comune, il progetto ha ottenuto un primo stanziamento di 90 mila euro per i prossimi 12 mesi. Grazie ai quali, venti rifugiati saranno accolti da altrettante famiglie. Ad oggi, del programma hanno beneficiato 143 migranti, ospitati da 122 nuclei familiari
Redattore sociale, 25-07-14
TORINO - L’ultimo episodio risale ad appena tre settimane fa: 400 rifugiati, ospitati a Torino con i fondi del progetto Sprar, che si trovano all’improvviso a dover sloggiare dalle rispettive strutture d’accoglienza, per far posto ad altri 800 in arrivo di lì a poco. Chiedono e ottengono un incontro con i dirigenti del Comune, che salta però all’ultimo momento: quindi, in preda alla disperazione, occupano la sede dell’Ufficio stranieri di via Bologna;  per poi cercare, una settimana dopo, di resistere allo sgombero vero e proprio. Che alla fine, come sempre, è avvenuto: e se alcuni sono riusciti a trovare sistemazioni provvisorie da parenti e amici, la maggior parte di loro è stata inevitabilmente inghiottita dalla strada.
Funziona così l’accoglienza in Italia; con progetti d’inserimento che possono terminare da un giorno all’altro, quando c’è da far posto a nuovi arrivati. E così all’infinito, perché i fondi sono limitati ed è praticamente impossibile tenere il passo con un numero di arrivi che ormai pare raddoppiare  di mese in mese.
Proprio per questo, il comune di Torino ha appena lanciato un’iniziativa che, dai prossimi mesi, chiamerà le famiglie della città a far rete con istituzioni e associazioni. Partito in forma sperimentale nel 2008, “Adotta un rifugiato” prevede l’affidamento dei richiedenti asilo a una serie di nuclei familiari, fino a oggi individuati grazie alla mediazione di un tavolo di lavoro composto da cinque onlus, tra le quali l’Arci e la cooperativa La Tenda.  In questi sei anni ne hanno già beneficiato 143 migranti che sono stati ospitati da 122 famiglie: “In questo modo - spiega Laura Campeotto, dirigente dell’Ufficio nomadi e stranieri del comune di Torino - i rifugiati hanno potuto dare continuità ai progetti nei quali erano inseriti, che, oltre all’accoglienza in strutture grandi o piccole,  includono l’inserimento in percorsi  di formazione e avviamento al lavoro. Questi percorsi, purtroppo, sono vincolati da fondi ministeriali limitati: una volta finiti i soldi, si interrompe anche il progetto. Coinvolgendo le famiglie torinesi, spesso riusciamo a evitare che ciò accada”.
L’idea è quella di accompagnare i richiedenti asilo verso l’indipendenza economica: e la percentuale di successo, a sentire Campeotto,  è piuttosto buona, “dal momento che spesso - spiega la dirigente - sono state le stesse famiglie ad aiutare i propri ospiti a trovare un lavoro stabile. Recentemente, al termine del periodo di accoglienza, una famiglia ha addirittura deciso di continuare a vivere con la donna che stava ospitando, con la quale era nato un legame molto forte”.
La decisione del Comune è arrivata nella seduta consiliare del 22 luglio: in Sala rossa è stato deliberato uno stanziamento di 90 mila euro, provenienti da fondi ministeriali, che serviranno a inserire circa venti rifugiati nel programma.   “Dopo un periodo di sperimentazione che ha dato risultati più che positivi – ha dichiarato il vicesindaco Elide Tisi – abbiamo deciso non solo di confermare, ma di proporre d’ora in poi in forma ordinaria il progetto di affidamento in famiglia di stranieri richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale o umanitaria, che necessitano di sostegno per concludere positivamente il loro processo di inclusione sociale”.
Per l’avvio del progetto manca solo l’individuazione di un ente che si occupi in via ufficiale di individuare le famiglie affidatarie. “L’unica novità, rispetto al passato - spiega infatti Campeotto - è la sostituzione del tavolo di lavoro con un unico ente gestore, una soluzione ritenuta più agevole da tutti”. Tra le opzioni  per l’individuazione dei nuclei familiari, il Comune sta valutando anche l’avvio di una campagna di informazione e sensibilizzazione, da veicolare su web e media locali.  Ogni nucleo riceverà una quota di circa 400 euro al mese, a titolo di rimborso per le spese vive relative all’ospitalità: “i rifugiati, infatti - conclude la dirigente - saranno già inseriti in percorsi lavorativi retribuiti, che daranno loro la possibilità di sostenersi economicamente”. (ams)
 
 
 
Nell`inferno di Pescopagano 
l'Espresso, 25-07-14
Roberto Saviano L`antitaliano 
C'era una volta un paradiso. C`era una volta e ora non c`è più. Al suo posto una distesa di case, una campagna difficile e un mare impraticabile. Al suo posto un`area, dove la convivenza tra le diverse comunità non è cosa scontata, dove l`accoglienza della gente del Sud, quello stereotipo che tanto piace ai turisti, è messa a dura prova e uccisa dalla mancanza di regole. Dalla mancanza di Stato che non vuol dire mancanza di pattuglie, di controllo, di militarizzazione, ma di regole che diventino mattoni con i quali costruire un futuro dignitoso. 
A PESCOPAGANO, una frazione di Mondragone (in provincia di Caserta e vicinissima a Castelvolturno), la convivenza tra comunità italiana e africana è sempre più problematica e qualche settimana fa due ragazzi ivoriani sono stati gambizzati. La reazione: auto incendiate, distruzione. Si è rischiato di ripetere le tragedie che abbiamo vissuto con la morte di Jerry Masslo nel 1989 e con la strage di Castelvolturno nel 2008. Tragedie già vissute e annunciate in un territorio dove lo Stato è assente. Dove lo Stato è colpevolmente e completamente assente. 
Inutile scegliere da che parte stare, perché da che parte stare non lo sa nemmeno chi vive quotidianamente drammi evitati per poco. Inutile ragionare sulle parti sane e quelle criminali della comunità italiana e africana. Inutile perché a far scattare la scintilla basta talvolta pochissimo. Qui ci sono solo vittime. Vittime dell`abbandono, vittime della politica codarda che per una manciata di voti crede sia più efficace criminalizzare piuttosto che creare condizioni di vita dignitose. 
Cosa aspettiamo? Che si uccidano tra loro? Che il problema si risolva con lo sterminio reciproco? Non accadrà, e il Governo a Castelvolturno - che ormai ha quasi smesso di essere solo un luogo per diventare una categoria - deve intervenire. Apparentemente libero dalla zavorra mortifera della Lega Nord, deve comprendere che l`Italia è un paese di immigrazione e che bisogna dare dignità agli immigrati. Deve comprendere che dignità per gli immigrati significa dignità per gli italiani. Perché da un lato c`è il timore dei propri spazi invasi, dall`altro la consapevolezza di essere disprezzati. Da un lato c`è impotenza, dall`altro la certezza che lavorando onestamente il massimo che si può ottenere è essere utilizzati, sfruttati per i lavori più umili. 
E INTANTO I NOSTRI PADRI ci raccontano del litorale domizio come una terra un tempo idilliaca. Un paradiso che ci si affettava a raggiungere nelle ore di riposo dal lavoro oppure finita la scuola, in dieci nella Cinquecento dell`amico con la patente. Ora quel paradiso si è trasformato in un lager per bianchi ricchi e neri ricchi. Un lager per bianchi poveri e neri poveri. Un lager per bianchi onesti e neri onesti. Un lager per bianchi criminali e neri criminali. Un inferno che tutto livella: non esistono più onesti e disonesti, ma solo anime dannate. 
A Castelvolturno sono tutti uguali, nella condivisione dello stesso inferno. Un inferno di cui lo Stato non vuole sapere niente. Lo sguardo sempre voltato dall`altra parte. Quello sguardo potrebbe invece contemplare un luogo in cui la convivenza esiste perché esistono regole e procedure. 
Non è chiedere troppo poter avere procedure che valgano per tutti. Senza scorciatoie, senza facilitazioni. Non è troppo chiedere garanzie perché chiunque riesca a entrare nel nostro paese possa farlo dentro le regole, e non fuori da esse. Fuori dalle regole tutto può accadere, di tutto si può essere preda. Quello che ferisce in Italia è una totale impreparazione ad affrontare un fenomeno che esiste da decenni e le cui proporzioni sono cresciute e non diminuite. L`unica risposta è stata negli anni quel ridicolo "rispediamo gli stranieri a casa loro" ignorando volutamente le cause che spingono centinaia di migliaia di persone a lasciarla la loro casa (forse non più loro), e sapendo che non c`erano i soldi nemmeno per pagargli il viaggio di ritorno. Tra l`abbandono e il razzismo esiste una gamma intermedia di azioni possibili, ma sino a ora non mi sembra siano state valutate, studiate, applicate. Nell`eterna speranza coltivata dai nostri politici che anche questo problema si risolva da solo. 
 
 
 
«Così salviamo dall'orrore i baby scafisti»
Avvenire.it, 24-07-14
Antonio Maria Mira
Mohammed, 14 anni, piange in continuazione, vuole la mamma. Non è un migrante ma un piccolo scafista, «vittima anche lui di gruppi criminali sempre più organizzati e crudeli». Così lo descrive Elvira Iovino, operatrice del Centro Astalli di Catania. Dall’inizio dell’anno i volontari dell’organizzazione dei Gesuiti hanno seguito nell’istituto penale minorile Bicocca una decina di questi giovani "traghettatori", tra i 14 e i 17 anni, tutti egiziani, famiglie poverissime di pescatori, con dimestichezza del mare. Un aiuto che funziona, visto che ora quasi tutti sono stati trasferiti in comunità dal giudice di sorveglianza, perché si sono comportati bene e hanno collaborato, per quel poco che sanno. «Sono, infatti, l’ultima ruota del carro, ma preziosissimi per i capi dell’organizzazione che gestisce questo traffico, perché coi minorenni si rischia molto di meno, come con la droga». Inoltre praticamente non costano nulla, perché si approfitta del loro desiderio di arrivare in Italia.
«Normalmente il passaggio sui barconi costa moltissimo, per loro è gratis. E qualche volta vengono dati anche 200 euro al padre. Ma non è questo a spingerli. Per loro la Sicilia è l’Eldorado, in fondo anche loro sono migranti verso una "terra promessa". Davvero poverissimi. Gli abbiamo dovuto portare in carcere perfino le mutande...».
L’organizzazione dei trafficanti di uomini non chiede molto a questi giovani. «Sono collaboratori degli scafisti adulti. A loro tocca guidare i gommoni o le piccole barche, imbarcazioni sgangherate sulle quali vengono stipati i migranti scesi dalla "nave madre" quando si entra nelle acque territoriali italiane. Gli adulti restano al sicuro sulla nave mentre loro, quasi tutti ormai minorenni, puntano verso terra.
Sono bravi perché lo hanno imparato in famiglia. Ma all’oscuro di quello che vanno davvero a fare. Non sanno che porteranno dei disperati, senza cibo e acqua, stipati in spazi ristrettissimi. Non si rendono conto dell’enorme portata di quello che fanno fin quando non ci sono in mezzo, ma allora è tardi». Ma alla fine se, come accade sempre più spesso, muore qualcuno, anche loro sono accusati di concorso in omicidio e in strage, soprattutto dopo la recenti decisioni più dure della magistratura sul traffico di essere umani, che prima era considerato solo favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
«Ragazzini poco scolarizzati ma che ci dicono di far sapere quello che succede davvero per evitare che altri ci caschino». Raccontano tutto, sia agli operatori del Centro Astalli che ai magistrati dei minorenni. «Collaborano ma sanno molto poco dell’organizzazione. Solo i posti di partenza, in Egitto al confine con la Libia. I nomi che riferiscono sono poco più che manovalanza, mentre i capi non li conoscono». Molto di più dicono su quello che hanno visto durante il viaggio, soprattutto a bordo della "navi madre".
«Sono racconti da film dell’orrore. Violenze, stupri, bambini gettati in mare. Acqua sporcata apposta di gasolio o benzina per farne bere poca. Vedono donne partorire ma non le possono aiutare». Ma non si ribellano? «Una volta che sono in gioco lo accettano fino in fondo. Non possono neanche fiatare. Capiscono che rischiano la vita, di essere entrati in un circuito di morte. Pensano solo di arrivare in Sicilia prima possibile».
Così guidano velocemente quei gommoni sgangherati, «stipati all’inverosimile, tutti immobili perché altrimenti si ribaltano. C’è promiscuità estrema, ci si fa i bisogni addosso». Questo vedono ma devono andare avanti, velocemente, sempre più velocemente. Però sono davvero ragazzini, e «quando arrivano sono distrutti psicologicamente. Piangono proprio come Mohammed. Sono davvero molto toccati.
Anche perché vengono da famiglie semplici, non hanno dimestichezza con questa efferatezza, come invece i nostri giovani mafiosi che trovano in carcere». Ed è l’altro problema che gli operatori del Centro Astalli e dell’istituto minorile devono affrontare. «Garantiamo un supporto psicologico soprattutto per prendere atto di quello che hanno fatto e superare il trauma. Poi svolgiamo attività di integrazione coi detenuti italiani, ragazzi dei quartieri difficili di Catania, famiglie mafiose. Insegniamo l’italiano per essere in condizione di entrare nel trattamento e nell’inserimento lavorativo».
Un percorso che per una decina di loro ora prosegue in comunità dove lavorano e imparano un mestiere (in istituto ne è rimasto uno solo ma sicuramente non per molto). Gli si è data fiducia. «Ma loro restano con quel durissimo ricordo e ci ripetono di farlo sapere a chi è rimasto. Se si sparge la notizia, dicono, altri come loro non accetteranno». Ma i trafficanti hanno già pronta la contromossa. «Convinceranno gli stessi migranti a guidare i gommoni. È già successo con alcuni tunisini. Non per soldi. Solo con le minacce. L’affare della tratta continuerà finché non sarà istituito un canale umanitario», è l’appello di Elvira.
 
 
 
“Questo pomodoro non sfrutta i braccianti stranieri”. Arriva il marchio di Arci, Aiab e Cgil
Si chiama “Qualità lavoro” l’iniziativa lanciata per contrastare il capolarato e lo sfruttamento dei lavoratori immigrati. Nella piana di Gioia Tauro le prime dieci aziende agricole hanno già sottoscritto la carta d'impegno. A certificare la filiera etica saranno le stesse associazioni insieme al sindacato. “La legalità deve diventare conveniente”
Redattore sociale, 24-07-14
ROMA – Un marchio di qualità per certificare che i pomodori, le arance e gli altri prodotti dell’agroalimentare italiano non siano il risultato di caporalato e sfruttamento di lavoratori, in particolare immigrati.  Si chiama “Qualità lavoro” l’iniziativa lanciata da Arci, Cgil e Aiab ( con il sostegno di Open society foundation e Anci) che prevede una certificazione etica per le imprese agricole del tutto particolare: saranno le stesse associazioni insieme al sindacato, infatti, a valutare attraverso nuclei certificatori ad hoc, se i prodotti sono o meno frutto di una filiera etica che tutela i diritti dei lavoratori sia italiani che stranieri. Le aziende interessate saranno così chiamate a sottoscrivere una carta d’impegno in cui dichiarano di rispettare alcuni principi basilari: dalle retribuzioni adeguate al diritto al riposo fino all’accesso del sindacato nelle strutture aziendali.
L’obiettivo dichiarato è quello di contrastare lo sfruttamento del lavoro bracciantile e il fenomeno del caporalato che nelle campagne colpisce in particolare i lavoratori immigrati. “Quella che vogliamo portare avanti è innanzitutto una battaglia culturale – spiega Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci - far capire cioè che la qualità del prodotto e del cibo possono sposarsi anche coi diritti dei lavoratori. E, in particolare, fare in modo che per le aziende la legalità diventi un discorso conveniente”. “Quello che ormai hanno tutti compreso per il biologico, e cioè il discorso della qualità nella produzione, deve diventare importante anche per la tutela del lavoro bracciantile – aggiunge Francesca Chiavacci, presidente nazionale di Arci -. Il nostro impegno sarà quello di distribuire questi prodotti certificati oltre che con la filiera della grande distribuzione e dei gruppi d’acquisto anche attraverso i nostri circoli sparsi su tutto il territorio”.
Una prima fase di sperimentazione del progetto è stata avviata in Calabria, nella piana di Gioia Tauro. A sottoscrivere la carta d’impegno “Qualità lavoro” sono state già una decina di imprese agroalimentari.  “Dobbiamo unire il più possibile qualità e legalità. Le indagini che abbiamo avviato nel settore agricolo ci dicono che sono crescuti in maniera esponenziale gli investimenti della mafia in agricoltura – sottolinea il viceministro alle Politiche agricole Andrea Olivero - . Ed è importante, anche far crescere nei territori la voglia di riscossa, che ci siano produzioni sicure ed etiche in luoghi che hanno conosciuto sopraffazione ha un suo valore aggiunto perché parla di riscatto dei territori. Il nostro obiettivo è il  potenziamento agroalimentare, la coesione sociale di un territorio non è un elemento accessorio ma un elemento chiave, se manca inficia la qualità complessiva”. 
Per contrastare davvero lo sfruttamento nelle campagne, secondo Kourosh Danesh della Cgil, bisognerebbe inserire nella legge che contrasta il caporalato anche la responsabilità delle aziende: “questo progetto è un primo passo importante – affferma – perché chiama in causa le imprese e ha la capacità di parlare al paese di questo tema spesso poco conosciuto”. “Dobbiamo ricordare sempre che le migliori eccellenze italiane vengono prodotte grazie al lavoro degli stranieri: le mele della Val di Non sono raccolte dai braccianti polacchi, il parmigiano lo fanno i lavoratori sikh e l’industria agroalimentare si fonda sul lavoro degli africani – aggiunge Vincenzo Vizzioli, presidente di Aiab -. Per questo come Aiab abbiamo pensato di affiancare al nostro marchio di certificazione bio un altro che certifica l’equità e la tutela del lavoro”.
Alla presentazione dell’iniziativa era presente anche il presidente della commissione Diritti umani del Senato, Luigi Manconi. “La questione fondamentale della protezione dei diritti umani, quella dell’agricoltura e del bracciantato straniero in Italia rappresentano un paradigma per leggere e decifrare la questione dell’immigrazione e capirne lo spessore sociale, economico e sindacale – sottolinea Manconi - 25 anni fa nelle campagne di Villa Literno veniva ucciso Jerry Maslo. Quella data oggi rappresenta un discrimine, perché grazie alla spinta della società civile, portò innovazioni positive per il diritto d’asilo. Oggi noi abbiamo una legge sul caporalato che è una normativa efficace ed efficiente. Ma anche se non siamo in presenza di una vacanza di norme,  il caporalato, che è un sistema di dominio, non può essere semplicemente smantellato da una buona legge. Come tutti i sistemi dominio esso si basa, infatti, anche sulla complicità col dominato. Bisogna quindi intervenire parallelamente sulla mentalità delle persone. In questo senso il  progetto Qualità lavoro ha una sua  originalità importante, dato che coinvolge tutti gli attori in gioco”. (ec)
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