Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

16 luglio 2013

Un malinconico pensiero agli espulsi senza nome
L'ancora oscura vicenda di Alma Shalabayeva e di sua figlia mostra in filigrana la sorte di altre migliaia di persone. Ogni mese, dai CIE italiani, una moltitudine di persone anonime, spesso senza avvocati e senza alcuna risorsa, né tutela o relazione, vengono caricate su aerei ("vettori") e riportati in paesi da dove sono fuggiti perché perseguitati, minacciati, discriminati o semplicemente disperati
la Repubblica, 16-07-2013
LUIGI MANCONI *
ROMA - Secondo Amnesty International, l'espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia di sei anni, Alua, ha rappresentato ''un atto contrario al diritto internazionale, peraltro con procedura sommaria e persino sconosciuta alle nostre autorità politiche''. La questione è che moglie e figlia di un oppositore politico del despota kazako Nazarbayev sono state espulse dall'Italia, con un provvedimento sul quale dovrà essere fatta chiarezza, verso un Paese che non da alcuna garanzia dal punto di vista della tutela dei diritti umani. Un paese dove - a detta della gran parte degli organismi internazionali - viene praticata costantemente la tortura, e dal quale il marito della donna espulsa, Mukhtar Ablyazov, era fuggito, riparando all'estero.
Un fatto oscuro, repentino, scandaloso. Ma è l'evento che ha condotto alla procedura di espulsione a risultare ancora più incredibilmente oscuro, repentino, e, per queste ed altre ragioni, scandaloso. Secondo le dichiarazioni rese alla stampa estera (Financial Times), la notte tra il 28 e il 29 maggio, Alma Shalabayeva dormiva in una villa a Casal Palocco, con sua figlia: quando, all'improvviso, fu svegliata da un forte rumore. Molti uomini picchiavano contro le finestre e alla porta. In 35 o più sono entrati in casa, ma nessuno, al momento dell'irruzione, ha capito chi fossero (non Alma né la sorella o il cognato, anch'essi nella villa). "Erano vestiti di nero. Alcuni di loro avevano catene d'oro al collo, molti avevano la barba", ha dichiarato la Shalabayeva. Cercavano Mukhtar Ablyazov, marito della Shalabayeva, miliardario kazako, accusato di numerosi reati comuni e oppositore di Nazarbayev. Ma lui non c'era e gli uomini ordinarono a madre e figlia di vestirsi e di venire via.
Le fasi prima del rimpatrio. Seguirono, a stretto giro, il trasferimento prima in una stazione di polizia poi all'Ufficio Immigrazione, quindi al Cie di Ponte Galeria. Infine all'aeroporto di Ciampino dove madre e figlia vennero imbarcate su un jet privato diretto ad Astana, capitale del Kazakhstan. Questi i fatti in estrema sintesi.
La prima svolta arriva con la sentenza del tribunale del Riesame del 25 giugno. Nell'ordinanza i giudici affermano che l'espulsione di Alma Shalabayeva si basava su un assunto che si sarebbe rivelato falso: ovvero che la signora fosse in possesso di un passaporto diplomatico contraffatto, rilasciato dalla Repubblica Centrafricana. Il Tribunale non è di questo parere: oltretutto, la Shalabayeva sarebbe in possesso di un permesso di soggiorno rilasciato dalla Lettonia, paese di area Schengen, valido fino a ottobre.
Tutto quello che c'è ancora da definire. Questi i fatti ignorati dalle autorità italiane di Polizia: ed è quanto ha indotto il Consiglio dei ministri, venerdì scorso, ad annunciare la revoca del decreto di espulsione. Quella revoca, temiamo, sarà puramente virtuale. Difficile, molto difficile che si tradurrà nell'elementare atto di giustizia di consentire ad Alma Shalabayeva e a sua figlia di tornare in Italia, o in un paese più ospitale del nostro, godendo di una effettiva protezione internazionale. Ma, allo stato attuale delle cose, molte altre questioni restano da definire. Al di là delle responsabilità politiche dei Ministri coinvolti, e dell'accertamento puntuale del livello di conoscenza diretta da parte degli stessi dei fatti accaduti, resta cruciale un interrogativo:  i funzionari che hanno agito, ottemperando incredibilmente alle disposizioni ricevute dall'ambasciatore kazako, erano a conoscenza della doppia identità di  Mukhtar Ablyazov? Ovvero del fatto che si trattava, si, di un latitante ricercato dall'Interpol, ma anche del principale oppositore politico di un dittatore?
La malinconica sensazione. Infine, è impossibile sottrarsi ad una malinconica sensazione: Alma Shalabayeva e sua figlia hanno subito una sorte terribile, che le espone tuttora a rischi e pericoli, ma la loro vicenda non è così rara e anomala. Tutt'altro. Ogni mese, dai Centri di identificazione ed espulsione italiani, decine e decine di persone anonime, spesso senza avvocati e senza alcuna risorsa, senza alcuna tutela e alcuna relazione, vengono caricate su aerei ("vettori") e riportati in patria. In una patria da cui sono fuggiti perché perseguitati o incarcerati, minacciati o discriminati o perché, semplicemente, disperati. Centinaia e centinaia di persone che, talvolta, hanno la possibilità di esporre le proprie ragioni e di argomentare la richiesta di protezione, ma altrettante volte non sono in grado di comunicare, farsi ascoltare, chiedere soccorso. La vicenda di Ama e Alua mostra in filigrana - e attraverso una luce spietata - una moltitudine di espulsi senza nome e senza causa.
* Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato



Caso Kyenge, Romano Prodi al Mattino «Garantire la parità agli immigrati»
Il Mattino, 16-07-2013
Alessandro Barbano
Romano Prodi non ha dubbi: «Una democrazia intesa come spazio neutrale dove ognuno dice ciò che gli pare sarebbe un non luogo - dice -. La democrazia valuta, seleziona, regola e interviene a ripristinare l’equilibrio quando qualcosa o qualcuno lo rompe : devono, dovrebbero essere i colleghi parlamentari tutti, di sinistra di centro e di destra, a sfiduciare uno che dice le cose che ha detto Calderoli. A meno che non ritengano che le parole non contino più nulla. Ma se questo pensano, sappiano che da questo momento in poi anche la coesione sociale e la convivenza di base sono messe a rischio».
Il capo dello Stato evoca questo pericolo quando parla di imbarbarimento della vita civile. Condivide?
«Personalmente fatico perfino a concepire un giudizio. Di fronte a tanta gravità provo sincero stupore. Perché non pensavo, non pensavo davvero che si potesse arrivare a questo punto. La mia incredulità è ancora l’ultima riserva di fiducia che l’istinto mi offre davanti a parole di esplicito, diretto e inequivocabile razzismo come quelle pronunciate. Mi dico che in fondo tutti, cioè anche l’autore di quella frase, siamo stati tutti educati al riconoscimento della dignità umana. Poi sì, ognuno nella vita la interpreta pure a modo suo, con le fragilità della propria natura. Ma una tale aggressività è umanamente incomprensibile, prima ancora di essere sottoposta a un giudizio di valore».
Eppure c'è chi la spiega politicamente, della dignita come tutto Umana»    quanto accade in Italia. Cioè con la preoccupazione della Lega di vellicare gli istinti peggiori del suo elettorato e recuperare i consensi perduti.
«Se questo fosse vero, proverei uno stupore ancora maggiore. Perché, nonostante tutto, mi rifiuto di credere che in Italia ci sia un elevato numero di persone che nega i principi elementari della dignità umana e che sia disponibile a farsi irretire da quegli insulti». Che effetto le fanno le scuse postume?
«Sono francamente deprimenti, anche perché replicano uno Schema abusato, che aggiunge al pregiudizio un'immaturità politica e personale. Quasi ci fosse un divertimento goliardico a tirare un sasso e poi far finta di niente. No, non può, non deve continuare cosi».
Se Calderoli lasciasse la vicepresidenza del Senato sarebbe sanata la ferita?
«Non ne sono convinto. Vede, queste espressioni sono intollerabili in una persona comune. La carica è solo un aggravante. Certo, il primo passo sono le dimissioni. Ma per sanare la ferita ci vorrebbe un coro di voci che le chiedesse all'unisono».
Un coro che non c'è. La Lega fa muro, e questo non stupisce. E il centrodestra tace, a parte la Carfagna. Vuol dire che le appartenenze sono più forti della dignità?
«Le appartenenze contano. Ma c'è un fattore comune. La logica del conflitto impone di alzare sempre più i toni del dibattito e ha fatto perdere il senso del confine tra ciò che è tollerabile e cioè che non lo è. O meglio, non lo sarebbe in nessun altro paese che non fosse l'Italia. Dove a un'affermazione come quella di Calderoli seguirebbero conseguenze ovvie e quasi immediate. Cioè la negazione dei riconoscimento politico da parte di tutti i parlamentari, o almeno di una grandíssima e visibile maggioranza. Non basta la reazione di alcune persone, per autorevoli che siano. Quando si toccano i fondamenti della vita civile, un Paese reagisce senza divisioni».
Ma il razzismo della Lega può tornare a essere il nuovo lessico del populismo nazionalista e anti-europeo?
«Credo di no, anche se non mancano segnali contrastanti in Europa. In Italia continuo a ritenere che solo una strettissima minoranza possa essere preda di simile suggestioni. C'è nella società una solidarietà storica che va in direzioni del tutto opposte. E c'è una riserva etica di Cristianesimo che ha influenza su praticanti e non Credenti. Il nostro problema è invece quel rumore di fondo che viene dal conflitto permanente della politica e che si traduce in un cinismo per cui tutto si può dire, perché poi alla fine o si scherzava o si è stati fraintesi».
Vuol dire che a livello sociale l'integrazione vince sulla xenofobia?
«Non può che essere cosi. Siamo una società in cui il numero delle nascite è al minimo mondiale, ben lontano dagli standard di riproduzione della specie. Se non ci fosse quel 15 per cento di figli di stranieri, nel nostro Paese il crollo demografico sarebbe ancora più grave. Di fronte a questo dato, qualunque persona saggia dovrebbe porsi non solo il problema di riconoscere agli immigrati i diritti elementari ma anche la convenienza che essi diventino una parte produttiva della società. Perché di loro abbiamo bisogno per sopravvivere».
In concreto che cosa intende?
«Garantire ai figli degli immigrati una frequenza scolastica civile. Invece oggi questi abbandonano le lezioni prima della fine dell'obbligo nel 43 per cento dei casi, contro il 15 per cento degli italiani. Questo divario è un delitto contro noi stessi, perché è un modo di negare un futuro al Paese».
Nonostante tutto qualcuno va avanti, se è vero che il 7 per cento degli imprenditori operanti in Italia è composto da stranieri, non crede?
«È l'indizio della ricchezza che l'immigrazione può darci. Ma anche la prova di quanto sia folle una politica che rinuncia a costruire un modello d'integrazione e continua a frapporre ostacoli e burocrazia al successo dei nuovi italiani. Negando di fatto che essi abbiano lo stesso accesso all'istruzione e le stesse opportunità sul lavoro». Vuol dire garantire la cittadinanza a chi nasce qui? «Oggi quest'obiettivo in Italia è per un immigrato quasi impossibile. È la prima contraddizione da superare. Chi ha studiato la storia delle legislazioni dell'accoglienza sa che c'è un orientamento mondiale per lo jus sanguinis nei paesi dove è dominante l'immigrazione. Noi abbiamo attraversato ormai da tempo una transizione che ha cambiato il volto dell'Italia: da paese di emigranti siamo diventati paese di immigrati. Ma difendiamo le vecchie e inadeguate leggi del passato».
Ma può bastare la garanzia della cittadinanza se l'integrazione è minata dal crescere delle diseguaglianze?
«No, non può bastare. Integrazione significa pari opportunità, cioè pari diritto allo studio, pari occasioni di lavoro e di ascensione sociale. E non è finita. Occorre garantire anche un diritto alla socialità. Poiché gli immigrati vivono sulla loro pelle un isolamento nella vita quotidiana e nella cosiddetta società civile. Non esistono studi specifici in materia, ma chi guarda con sensibilità autentica alla vita di queste persone lo capisce subito da sé: forme di solitudine, di ghettizzazione sono deficit di integrazione di cui un paese civile si fa carico».    
Lei che studia l'evoluzione dell'Africa    crede che i flussi migratorie verso l'europa cresceranno?
I flussi sono spinti per il 90 per cento dalla fame. Si possono contenere solo con lo sviluppo economico. Qualcosa in Africa si muove, ma se pure questo processo continuasse ci vorrebbero decenni per creare condizioni di vita competitive in quel Continente».
Vuol dire che all'Europa non resta che trasformare un'emergenza umanitaria in una risorsa? «L'Europa ha l'occasione e la convenienza per dimostrarsi una società giusta, capace di far corrispondere a diritti teorici parità di condizioni di fatto. Se saprà integrare sarà anche in grado di imporre il rispetto delle sue leggi».
Non sarà facile solo a dirsi? «No, anche a farsi. Se ci si crede. In molti paesi europei l'inserimento dei Cittadini stranieri anche in posizioni di responsabilità e di leadership è un dato acquisito. L'Italia è un paese di immigrazione più recente. Sconta un ritardo che vent'anni fa era comprensibile, oggi rischia di divenire intollerabile».



Immigrati, manodopera utile per lavori umili e malpagati
l'Unità, 16-07-2013
Chiara Affronte
La crisi morde anche la popolazione immigrata in Italia, che cresce, ma allo stesso aumenta il numero di chi fatica a trovare lavoro: quando ci si riesce è quasi sempre più umile e malpagato. Il dato forse più positivo è quello relativo all’imprenditoria: sempre più stranieri si cimentano nella costituzione di imprese individuali, prevalentemente nei settori del commercio e dell’edilizia. Intanto nel Cuneese Coldiretti ha allestito un campus di ospitalità per stranieri impegnati nella raccolta della frutta. A fare luce sul lavoro della popolazione immigrata nel 2012 un rapporto realizzato dal ministero del Lavoro. Il numero più eclatante è quello relativo all’aumento della popolazione straniera occupata che sale a 2 milioni e 334 mila: 82mila unità in più rispetto al 2011 (il 19,2% in più rispetto al 2011 e il 14% in più, in valore relativo, rispetto ai cittadini italiani). Ma al contempo crescono anche i disoccupati stranieri di 151mila persone rispetto all’anno precedente.
Lavori umili e malpagati
Agli stranieri va il triste “primato” della scarsa retribuzione visto che percentualmente sono pagati meno degli italiani: la busta paga media evidenziata dal rapporto conta 336 euro in meno, 968 euro contro degli stranieri contro i 1.304 dei lavoratori italiani. In genere, fanno lavori più umili. Di certo, nel 2012 quasi metà dei lavoratori domestici - colf e badanti - è extracomunitaria: 467.565 su un totale di 982.975 (47,6%), in lieve calo rispetto al 2010 (56,4%) e al 2011 (53,3%). In testa gli ucraini, seguiti da filippini e moldavi. A livello territoriale i lavoratori domestici extracomunitari sono maggiormente concentrati nel Nord-Ovest (36,1%) e al Centro (26,6%); nel Nord-Est troviamo il 21,7% degli extracomunitari, mentre al Sud e nelle Isole rispettivamente l'11,3% e il 4,3%. Il dato positivo del rapporto riguarda l’imprenditoria. Sono infatti sempre di più gli imprenditori stranieri in Italia. Nel 2012 le imprese individuali registrate risultano 3.335.135 di cui 302.217 con titolati extra Ue: i settori più interessati sono il commerciale (il 43,7% del totale delle imprese) e l’edile (il 24,7%), mentre il restante 30% delle imprese individuali si distribuisce nelle attività manifatturiere (il 9,1%), nelle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (il 4,9%) e nel settore noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (il 4,6%).
La buona notizia
Intanto, nella capitale piemontese della raccolta della frutta, Saluzzo, nel Cuneese, è stato inaugurato da Coldiretti il primo campus per l'ospitalità dei lavoratori dotato di tutti i comfort per l'alloggio, la cucina, i servizi e con l'assistenza di personale specializzato per la prima accoglienza, mediatore spirituale, medici e psicologi. L’idea è nata con l’obiettivo di contribuire a far fronte alla situazione di emergenza umanitaria e dimostrare in modo concreto la solidarietà degli italiani nei confronti dei migranti, fondamentali per lo sviluppo dell'agricoltura e dell'alimentare italiano. I lavoratori saranno in parte ospitati direttamente dalle aziende agricole ma per le persone assunte dalle imprese proprie socie, che non sono in condizioni di fornire l'alloggio, la Coldiretti ha deciso di curare l'allestimento di tre campus nei Comuni di Saluzzo, Lagnasco e Verzuolo, su aree messe a disposizione dalle Amministrazioni Comunali, con il contributo della Camera di Commercio e della Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo.



Effetto crisi: in aumento i disoccupati stranieri
Avvenire, 16-07-2013
In Italia hanno un lavoro circa 2 milioni e 334 mila stranieri. Lo rileva il Rapporto 2012 sul mercato del lavoro degli immigrati, curato dalla direzione generale dell'Immigrazione e delle politiche d'integrazione del ministero del Lavoro. Rispetto all'anno precedente si è registrata una crescita dell'occupazione straniera di circa 82 mila persone, a fronte di una diminuzione di 151 mila occupati italiani.
"Ma nonostante la crescita in valore assoluto dell'occupazione straniera e, parallelamente, la diminuzione della componente italiana di circa un milione di unità, diversi indicatori - spiega il Rapporto - convergono nel segnalare come la crisi abbia colpito in misura relativamente più accentuata proprio la componente immigrata".
Secondo i dati 2012, i cittadini stranieri disoccupati sono infatti 385mila: rispetto al 2011 il numero è aumentato del 19,2% per la componente Ue e del 25,4% per quella extra Ue. In valore assoluto, sottolinea il Rapporto, il fenomeno, "nella lunga fase di crisi, assume caratteri decisamente allarmanti".
"Considerando, infatti, l'ultimo triennio dal 2010 al 2012, il numero delle persone comunitarie in cerca di lavoro è cresciuto di oltre 35 mila unità, mentre tra gli extra Ue l'aumento è superiore alle 72 mila persone".
La crisi si fa sentire sull'occupazione straniera anche in termini salariali. La retribuzione netta mensile, per gli stranieri, è, in media, più bassa e si attesta, nel 2012, a 968 euro contro i 1.304 euro dei lavoratori italiani (-336 euro). Nel 2008 la retribuzione netta dei lavoratori stranieri era solo lievemente maggiore (973 euro al mese), ma il divario con le retribuzioni italiane era molto minore, pari a 266 euro per mese.



Takana, 25 anni, giapponese: “Quanto siete complicati voi italiani!”
Corriere della sera, 16-07-2013
Rossella Burattino
La domanda è: cosa vuol dire integrazione? “Sono serba, sono in Italia da 10 anni. All’inizio mi sono trovata male, non accettavo di vivere in un Paese che non era il mio. Con “regole” diverse. Poi, ho capito che integrarsi vuol dire convivere. Sembra scontato e facile ma io ho fatto un lungo lavoro per imparare a gestire il mio stile di vita in un nuovo contesto, in un’altra cultura”. Quella di Zorana, 20 anni, è una delle sessanta risposte e storie raccontate da giovani stranieri under 35, con origini diverse. Alcuni in Italia da anni, altri sono nati qui. Discutono di temi sociali, soprattutto di pari opportunità per le donne e di integrazione tra popoli.
Continua Fabrizio. Ha 26 anni, è un bulgaro-napoletano (“non esiste molta differenza tra le due origini”, dice). Rivela di come l’arte lo abbia aiutato a (far) superare delle barriere altissime. Anche per Rebecca, 18 anni, la danza è stata fondamentale per ottenere il diritto del “rispetto”. Maddalena (25enne) afferma: “Noi così stranieri, così uguali”. Perché le diversità che all’inizio fanno paura diventano delle risorse. E per Takana, 25 anni di origine giapponese, è andata proprio così:
    “L’Italia è più libera del mio Paese d’origine, ma quanta fatica si fa a vivere qui! Il caos, la disorganizzazione… Non è stato facile ambientarsi ma poi ho imparato a prendermi il meglio della cultura italiana”. Ha iniziato ad aprirsi. Però, “Caspita… quanto siete complicati voi italiani!”.
La videoinchiesta, promossa da Bayer, è disponibile su Youtube al canale Italyamoremio. Nasce dalla sceneggiatura del film “Italy amore mio”, un lungometraggio diretto da Ettore Pasculli che affronta le violenze psicologiche nei confronti delle donne e le difficoltà dei figli di genitori stranieri a integrarsi nel nostro Paese. Girato a Milano, coinvolge la compagnia di ballerini, DanceHausSusanna Beltrami. Nel cast giovani attori di teatro come Eleonora Giovanardi, Tiffany Ford, Salvatore Lazzaro, Sergio Bini e Lorena Antonioli. La pellicola uscirà nei cinema a ottobre, racconta la storia di Alina, una giovane ragazza romena che si trova a fronteggiare lo scontro fra due culture: quella orientata alla chiusura, impressa dalla famiglia tra le mura domestiche e sul lavoro, e quella assimilata nella società in cui è cresciuta, animata da principi di libertà e uguaglianza.
    E per voi cosa significa integrarsi? È un diritto o un dovere?

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