Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 gennaio 2013

Nell’inferno di Rosarno gli uomini sono tornati schiavi
A tre anni dalla rivolta, tutto è come prima: oltre mille africani nei dormitori cloaca
La Stampa, 09-01-2013
Giuseppe Salvaggiulo
Sbaglia chi dice che a Rosarno, tre anni dopo la rivolta dei migranti, le devastazioni, la controrivolta degli italiani, la caccia all’uomo e infine la deportazione dei neri, tutto è come prima. È peggio.
Gli africani sono di nuovo mille, come allora: arrivati in autunno, ripartiranno in primavera dopo aver raccolto agrumi a 25 euro al giorno, anche se adesso i padroni prediligono il cottimo che aumenta la produttività: un euro a cassetta per i mandarini e 0,50 per le arance, in ogni cassetta 18-20 chili di raccolto. Nel pieno della stagione lavorano trequattro giorni a settimana, a chiamata, versando tre euro al caporale che li carica all’alba sul pullmino. Nei giorni di magra girano in bici nella piana, fanno la spesa ai discount, cucinano riso e ali di pollo in bidoncini arrugginiti, si ubriacano di birra, litigano tra loro.
I due giganteschi dormitori nei ruderi delle fabbriche dismesse non esistono più da tre anni: uno chiuso d’imperio e abbandonato, l’altro demolito. Bisognava rimuovere, non solo psicologicamente. Ma la nuova favela tra Rosarno e San Ferdinando è, se possibile, ancora più raccapricciante. Lamiere di eternit recuperate in qualche cimitero industriale, di cui la Calabria abbonda, fanno rimpiangere gli scheletri di cemento e le pareti di ferro. Ora i tetti sono di cellophane, cartone, plastica di risulta. Come calcestruzzo uno spago di fortuna. Cumuli di terra pressata alti venti centimetri sorreggono i precari giacigli, pronti a inondarli di fango alla prima pioggia. I bagni sono in fondo a destra: due fosse larghe un metro scavate per quaranta centimetri nella terra, a cielo aperto e senza riparo alcuno. Nella tenda più grande, dieci metri per cinque, si contano non meno di cento posti letto tra materassi rancidi e brandine. Un odore indicibile. Non ci sono acqua, fogna, elettricità; solo immondizia a fare da sipario.
«Una cosa incivile, vergognosa, uno schifo», urla Domenico Madafferi, sindaco di San Ferdinando che, sulla base di una relazione sui requisiti igienici «praticamente inesistenti» e sulla «situazione dannosa per la salute» di «baracche fatiscenti» e «dimore abusive senza le condizioni minime di vivibilità» che «potrebbero essere focolai di infezioni», ha scritto di suo pugno un’ordinanza di sgombero. «Un modo per mettere Regione e governo spalle al muro, dopo inutili riunioni, appelli e solleciti scritti – spiega -. Ma non è cambiato nulla, solo promesse». Così ieri ha scritto la lettera al prefetto con cui si appresta a eseguire lo sgombero. Un’eventualità drammatica, «perché il ricordo di tre anni fa sarà niente rispetto a quello che potrebbe accadere se arriviamo con le ruspe».
Eppure in questo stesso posto, solo un anno fa, le autorità inauguravano un campo modello: 280 posti, ampie tende da quattro persone, stufe a olio, tv satellitare, bagni da campeggio, lampioni nei viottoli, rifiuti raccolti ordinatamente, mensa con cucina, presidio medico. Una Svizzera nella piana di Gioia Tauro. Il materiale era arrivato dal Viminale dopo l’interessamento del ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi. La Regione aveva messo 55 mila euro per la gestione. La Provincia pagava la corrente elettrica. I sindaci Elisabetta Tripodi di Rosarno e Domenico Madafferi di San Ferdinando facevano il resto. Le associazioni di volontariato più diverse - cattoliche, laiche, evangeliche - si prodigavano per offrire assistenza, cibo, coperte grazie all’aiuto di migliaia di persone (altro che razzismo). La tendopoli si aggiungeva ai container installati nel febbraio 2011: 120 migranti in moduli da sei con cucinino e bagno in camera. Non solo si smantellavano gli ultimi ghetti, ma l’inedito «modello Rosarno» dava vitto e alloggio a ogni immigrato con 2 euro al giorno, contro i 45 spesi generalmente dalla Protezione Civile. E dunque, pur con numeri ancora insufficienti (400 posti, un terzo del necessario), in una terra dove lo stato di eccezione è permanente (qualche tempo fa i tre Comuni principali si ritrovarono contemporaneamente sciolti per mafia), aver messo tra parentesi l’emergenza pareva un miracolo. Invece a rivelarsi una fuggevole parentesi è stata proprio la normalità. Giugno 2012: finiti i soldi della Regione, la tendopoli viene chiusa e abbandonata, in attesa della nuova stagione agricola. In agosto i sindaci si rivolgono a Regione e governo: bisogna organizzarsi per tempo o tornerà il caos. Cosa che puntualmente accade: a fine ottobre, quando parte la raccolta dei mandarini, la tendopoli priva di gestore viene occupata e saturata dai migranti.
Nelle tende si sistemano in sei, ma non basta perché altri ne arrivano. I sindaci reclamano aiuto: non hanno soldi, strutture, personale per farcela. «Regione e governo latitano, il ministro Riccardi non risponde, solo la presidenza della Repubblica dà un segnale di attenzione comprando e mandando coperte, peraltro inadeguate», dice sconsolato il sindaco. In poche settimane anche la mensa diventa un maxi dormitorio. Non c’è più spazio e gli ultimi arrivati cominciano a costruire la favela contigua all’insediamento originario. Senza manutenzione, gli scarichi fognari non reggono a una popolazione quadruplicata, i container con i bagni diventano cloache inservibili, la cucina chiude, i cassonetti dei rifiuti esplodono. Basterebbero 50-70 mila euro per ripristinare la gestione della tendopoli in modo dignitoso, efficiente e controllato fino a primavera. Solo lo 0,000006% della spesa pubblica italiana e delle promesse udite tre anni fa. Ancora troppo, per Rosarno.



Rivolta dei profughi ingrati Vogliono mille euro al mese
Padova, distrutta Ia struttura che li ospita. Sequestrato il direttore
Libero, 09-01-2013
ALESSANDRO GONZATO
Finestre e armadi sfondati a calci e pugni, fotocopiatrici distrutte, tavolini e sedie scaraventati addosso alle pareti e bidoni dell'immondizia capovolti e danneggiati. Per due ore, fino ad un massiccio intervento da parte dei carabinieri e della polizia in assetto antisommossa, la Casa a Colori di Padova - dove dall'estate del 2011 sono statí accolti una trentína di profughi libici - è stata presa d'assalto da alcuni dei suoi stessi ospiti. Che, raggiunto il culmine della devastazione e supportali da una quarantina di persone alloggiate in altre case d'accoglienza della província - hanno anche rinchiuso in una stanza il presidente, il direttore e due collaboratori della cooperativa Città Solare che presta servizio all'interno della struttura.
Il motivo di questa rivolta? I rifugiati,, che per più di un anno e mezzo hanno ricevuto vitto, alloggio, ed un contributo giornaliero di 2 euro e 50 centesimi (per un totale di 46 euro a persona), benché lo Stato con l'inizio del nuovo anno abbia dichiarato terminata l'emergenza nordafricana e quindi anche la relativa copertura finanziaria, pretendono il rilascio del permesso di soggiorno, del passaporto, del codice fiscale, della tessera sanitaria e naturalmente chiedono soldi, o per continuare a vivere nel nostro Paese o per lasciare l'ltalia. Quanti soldi? Mille euro a testa, fanno sapere i gestori della struttura - di proprietà dei padri dehoniani - tanti quanti sono stati donati da alcuni enti pubblici, come ad esempio il comune di Padova, ad altri loro connazionali. «Ma noi, da soli, di certo non ce la possiamo fare a corrispondere una somma del genere», si sfoga Maurizio Trabuio, presidente della Città Solare.
«La disparità di trattamento rispetto ad altri rifugiati» aggiunge «dipende semplicemente dalle risorse a disposizione dell'ente che li ospita». Poi una frase inquietante: «Questa è gente che non ha niente da perdere e che è disposta aproseguire la battaglia».
In alternativa ai soldi, parte dei profughi - che hanno costretto alcuni operatori della Casa a Colori a barricarsi in uno stanzino per non essere travolti dalla rivolta - chiede un lavoro. Una presa di posizione che ha fatto sbottare il deputato padovano della Lega, Massimo Bitonci, secondo cui «chi non accetta le regole e vive sulle spalle dei pensionati, degli operai ed imprenditori che pur tartassati si rimboccano le maniche, va rispedito súbito a casa». Amaro anche lo sfogo dell'assessore ai Servizi Sociali del comune di Padova, Fabio Verlato (Pd), che spiega come la struttura fosse appena riuscita a garantire, pur in forma ridotta, due mesi supplementali di assistenza. Ma questo ai profughi (che a fine febbraio dovranno abbandonare la struttura) evidentemente non è bastato. Già due settimane fa una loro delegazione si era accalcata fuori dai cancelli dei municipio per protestara contra la decisione del ministero degli Interni di interrompera l'erogazione dei contributi. In quell'occasione, però, il malcontento non era sfociato in una simile violenza. Stavolta c'è mancato davvero poco che qualcuno si facesse male.
Lo scorso agosto erano poco meno di 2.000 i rifugiati nordalricani presenti in Veneto. Oggi sono un migliaio. «Come Regione», dice l'assessore veneto all'Immigrazione, Daniele Stival (Lega) «non ci siamo mai occupati direttamente di questa emergenza che è stata subito affidata al prefetto di Venezia. Abbiamo comunque a disposizione 50 mila euro per contribuíre, se necessario, alle spese dello Stato per il rimpatrio e la reintegrazione nel loro Paese di parte di queste persone». Poi una riflessione sui 46 euro al giorno di cui hanno beneficiato fino al 31 dicembre scorso glí ospiti della struttura di Padova. «Agli occhi dei cittadini la somma può sembrare enorme, ma risponde ai canoni della Convenzione di Ginevra: tre pasti al giorno, alloggio ed un pacchetto di sigarette e la cifra viene subito raggiunta».



Nomadi, muore bimbo di 5 mesi Viveva nel campo di via Candoni
Tragedia nell'insediamento della Magliana. Il decesso, all'ospedale Bambin Gesù, è avvenuto forse per problemi cardiaci
la Repubblica, 09-12-2013
Tragedia questa mattina nel campo nomadi di via Candoni, in zona Magliana, a Roma. Un bimbo di 5 mesi è morto, sembra per problemi cardiaci. A soccorrere il piccolo è stata una volante della polizia presente nell'insediamento per svolgere alcuni controlli. Gli agenti hanno subito notato il bimbo, tenuto in braccio, in gravi condizioni e, attorno a lui, persone che piangevano.
Il 118, contattato per intervenire, ha consigliato ai poliziotti, viste le gravi condizioni, di portare il bimbo direttamente all'ospedale Bambino Gesù dove, qualche ora dopo l'arrivo, è morto.



Scuola: le indicazioni per iscrivere gli alunni stranieri il prossimo anno scolastico.
Iscrizioni solo on-line al via dal 21 gennaio.
Immigrazioneoggi, 09-01-2013
Il Ministero dell’istruzione, dell’università e ricerca ha emanato la circolare n. 96 del 17 dicembre 2012 che chiarisce le modalità di iscrizione alle scuole statali di ogni ordine e grado per l’anno 2013-2014. La normativa attuale (legge 7 agosto 2012) prevede che dall’anno 2012-2013 le iscrizioni agli istituti avvengano esclusivamente on-line: dalla registrazione, alla ricerca della scuola desiderata, dalla compilazione del modulo di iscrizione al suo inoltro. Per rendere la procedura più semplice il Ministero attiverà, dal 21 gennaio, una pagina web di facile accesso all’indirizzo: www.iscrizioni.istruzione.it.
Le istituzioni scolastiche destinatarie delle domande offriranno un servizio di supporto per le famiglie prive di strumentazione informatica. In subordine, qualora necessario, anche le scuole di provenienza offriranno il medesimo servizio di supporto.
Per gli alunni con cittadinanza non italiana – spiega il Ministero in una nota sul Portale dell’integrazione – si applicano le medesime procedure di iscrizione previste per gli alunni con cittadinanza italiana. Per l’iscrizione degli alunni stranieri la circolare n. 96/2012, nel paragrafo 4b rinvia a quanto prescritto alla circolare ministeriale n. 2 dell’8 gennaio 2010 “Indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana”, e in particolar modo, al punto 3 “Distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana tra le scuole e formazione delle classi”, in cui si precisa che a tale fine è necessario programmare il flusso delle iscrizioni con azioni concertate e attivate territorialmente con l’Ente locale e la Prefettura e gestite in modo strategico dagli Uffici scolastici regionali, fissando dei limiti massimi di presenza nelle singole classi di studenti con cittadinanza non italiana con ridotta conoscenza della lingua italiana.
Inoltre (sempre dal paragrafo 4b della CM n. 96, 17 dicembre 2012): “Ai sensi dell’art. 115, comma 1, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, gli studenti figli di cittadini di uno dei Paesi membri dell’Unione europea, residenti in Italia, sono assegnati alla classe successiva, per numero di anni di studio, a quella frequentata con esito positivo nel Paese di provenienza”.
Ai sensi dell’art. 26 del decreto legislativo 19 gennaio 2007, n. 251, i minori titolari dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria hanno accesso – come peraltro i minori stranieri non accompagnati – agli studi di ogni ordine e grado, secondo le modalità previste per i cittadini italiani.
Si richiama, infine, la nota prot. n. 2787 del 20 aprile 2011 della Direzione generale per gli Ordinamenti scolastici e per l’Autonomia scolastica, in ordine alle modalità di applicazione delle norme relative al riconoscimento di titoli di studio e certificazioni straniere.
Per informazioni: www.iscrizioni.istruzione.it



Ungheria choc: «Zingari animali, eliminiamoli»
Corriere della sera, 09-01-2013
Paolo Valentino
Fino a quando l'Ungheria continuerà ad abusare della pazienza (o della neghittosità) dell'Unione Europea? Chiuso il 2012 con il nauseabondo invito di un membro del Parlamento magiaro a schedare tutti gli ebrei in una lista speciale, l'anno nuovo si apre con un ennesimo e sinistro latrato xenofobo e razzista di un autorevole esponente della classe politica al potere a Budapest.
Come il braccio incontrollabile del generale nell'immortale Stranamore di Kubrick, questa volta è la penna di Zsolt Bayer, uno dei fondatori del partito al potere Fidesz e amico personale del premier Viktor Orban, a confermare quanto profondo e radicato sia il seme dell'intolleranza e dell'odio etnico in una parte degli attuali dirigenti ungheresi.
Commentando per il giornale Magyar Hirlap una rissa di Capodanno, nella quale sono rimaste gravemente ferite diverse persone e dove alcuni degli assalitori erano dei rom, Bayer ha pensato bene di definire l'intera etnia «inadatta a coesistere»: «I rom — ha scritto — non sono capaci di vivere tra le persone. Sono animali e si comportano da animali». Il giornalista se l'è presa con «il mondo occidentale politicamente corretto», colpevole ai suoi occhi di predicare tolleranza e comprensione verso gli zingari, che rappresentano il 7% della popolazione ungherese e appartengono alle fasce più povere e meno istruite della società.
Per capire di chi stiamo parlando, occorre ricordare che Bayer è stato sin dall'inizio uno dei compagni di strada di Orban e negli anni Novanta ha servito come portavoce di Fidesz. È uno dei maggiori organizzatori delle Marce della pace, le manifestazioni in sostegno del governo che lo scorso anno hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di persone. Non è la prima volta che il nostro si rivela e i suoi commenti si sono spesso distinti per i toni antisemiti e razzisti.
Naturalmente, per bocca del ministro della Giustizia Tibor Navracsics, il governo ha emesso una rituale condanna dell'articolo. Ma in un significativo gioco delle parti, la portavoce di Fidesz, Gabriella Selmeczi, ha detto che il partito non prende posizione su un editoriale: «Bayer ha scritto l'articolo non in quanto politico ma in quanto giornalista e noi non commentiamo le opinioni dei giornalisti». In difesa del free speech, insomma. Peccato che proprio alcuni giorni fa la radio pubblica, forte della legge liberticida sui media introdotta da Orban, abbia censurato alcuni passaggi della trasmissione mensile dello scrittore Peter Esterhazy, che suonavano troppo critiche del regime.
Bayer ha cercato ieri di fare una parziale e maldestra retromarcia, spiegando in un nuovo editoriale di aver voluto soltanto «smuovere le acque, far accadere qualcosa»: «Voglio ordine — così il giornalista —, voglio che ogni zingaro onorevole continui a vivere in questo Paese, ma che ogni zingaro incapace e inadatto a stare in questa società venga cacciato via».
I partiti d'opposizione non ci stanno, sollecitano contro di lui un'incriminazione formale e chiedono a Fidesz di espellerlo immediatamente dai suoi ranghi. In caso contrario, hanno convocato una manifestazione di protesta per domenica davanti alla sede del partito di governo.
È dall'aprile 2010, da quando una clamorosa vittoria elettorale gli fruttò una maggioranza dei 2/3 in Parlamento, che Viktor Orban ha varato in Ungheria una sistematica restaurazione autoritaria e antidemocratica del potere, instaurando in un Paese membro dell'Unione Europea un clima di paura, intolleranza e sinistri echi xenofobi. Forse è giunto il tempo che l'Europa agisca con decisione.



Lezioni di islam: è flop in Germania
Pochi ci vcinno. E i gruppi musulmani si scannano per piazzare i loro fedelissimi
Libero, 09-01-2013
Enzo Piergianni
BERLINO
la «rivoluzione islamica» nella scuola tedesca parte male. In Germania, per accelerare L'integrazione delle nuove generazioni di immigrati, si vuole estenderE il modello «Multiculti» anche nell'istruzione religiosa, ma scarseggiano gli insegnanti affidabili e sono pochi anche gli alunni. È un flop il bilancio dei primi mesi dell'insegnamento della religione musulmana nelle classi elementari del Nordreno-Vestfalia, dove il nuovo programma ha preso il via. La sociologa Lamya Kaddor, con radici siriane, ha lanciato un brusco allarme sul quotidiano progressista Suddeutsche Zeitimg. Nei Land più popoloso della Germania, dallo scorso agosto l'ora di religione coranica (Islam-Unterricht) è stata parificata nei piani di studio con quella delle altre religioni (cattolica, protestante, ebraica) ufficialmente riconosciute dallautorità scolastica. La novità è stata introdotta con una legge regionale trasversale, approvata da tutti i parti ti, compresa la Cdu. Dal prossimo anno scolastico, anche l'Assia vuole copiare il modello renano con una sperimentazione in 25 scuole elementari.
Altrove il problema è ancorameno sentito e si procede con prudenza. Sono circa 4 milioni in Germania i seguaci del Corano. Gli immigrati musulmani sono in prevalenza turchi e concentrati nel Nordreno-Vestfalia. Nella regione, gli Scolari cattolici diminuiscono ma sono ancora in maggioranza (40,9 per cento). Al secondo posto i protestanti (28,6), mentre aumentano a vista d'occhio i musulmani (13,1) e anche i «non credenti» (12,8). In alcune città operaie come Duisburg e Gelsenkirchen, i giovani di fede musulmana hanno già sorpassato numericamente i coetanei cattolici o protestanti.
Svanita l'euforia del primo annuncio, ora i pionieri del modello integrazionista fare i conti con impreviste difficoltà pratiche. I problemi non dipendono dai finanziamenti, che sono piuttosto ingenti, quanto dalla formazione e dal reclutamento degli insegnanti. Inoltre va tenuto conto dei disinteresse, per non dire la diffidenza, che caratterizza il primo approccio dei genitori musulmani verso l'insegnamento del Corano in una struttura tedesca, fuori dall'ambito tradizionale della moschea e della famiglia.
La legge riconosce ai Consiglio (Beirat) formato da quattro grandi organizzazioni rappresentative degli immigrati musulmani, la partecipazione alle procedure di assunzione degli insegnanti che vengono inquadrati nei moli regionali della pubblica istruzione. Sono posti ben retribuiti (circa 3.000 euro al mese) che fanno gola e finiscono per creare grosse rivalità all'interno del Consiglio. I candidati maestri vengono esaminati dal Consiglio e ogni organizzazione sgomita per piazzare i suoi fedelissimi. Oltre al pericolo della lottizzazione, ideologica e di potere, esiste anche quello del bavaglio per i candidati troppo «laici» non allineati sulle posizioni dottrinarie e clientelari delle potenti organizzazioni nel Consiglio. Le autorità tedesche però non pagano a occhi chiusi l'ora di Corano e, a loro volta, «sorvegliano i sorveglianti» per dirla con l'esperta della Suddeutsche Zeitung, che giudica scetticamente la fretta di introdurre il nuovo insegnamento.
L'altro rischio è che, senza adeguati controlli, i banchi di scuola, se manovrati da «cattivi maestri» travestiti da insospettabili imam, possano trasformarsi in palestre di indottrinamento fondamentali sta e diventare fatalmente la rampa di lancio per i kamikaze del futuro. Nel Nordreno-Vestfalia sta crescendo in modo preoccupante il proselitismo salafita. Per questo, il ministero dell'Isttuzione ha rifiutato un partenariato con la comunità islamica Milli Görüs, nel mirino degli 007 federali per «notevoli deficit di democrazia».

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