Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

01 marzo 2011


Un piccolo passo verso la tutela dal Consiglio di Stato
l'Unità, 1-03-2011
Il 25 febbraio il Consiglio di Stato si è pronunciato sull’ostatività alla regolarizzazione colf badanti causata dal reato di cui all’articolo 14, co. 5 ter e 5quater D. Lgs. 286/1998, che regola l’espulsione. Numerose domande di regolarizzazione presentate nel 2009 avevano ottenuto parere negativo in ragione della condanna inflitta al lavoratore ai sensi di quell’articolo. Lo stesso prevedeva che: «lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, è punito con la reclusione da uno a quattro anni». Il Consiglio di Stato non ha dichiarato esplicitamente che il reato di mancato ottemperamento non debba essere considerato ostativo ma precisa che tale decisione dovrà tener conto del fatto che, a causa della direttiva comunitaria sui rimpatri (2008/115/CE), è a rischio la sussistenza dello stesso reato. Nel giudizio sono intervenute ad adiuvandum diverse associazioni tra cui A Buon Diritto onlus (avv. Laura Barberio e Ernesto M. Ruffini), Ancadic onlus (avv. Francesco Nucara e Laura Barberio), Progetto Diritti Onlus (avv. Maria Rosaria Damizia) e Mukul Salman (avv. Laura Barberio e Ernesto Maria Ruffini). Ha discusso per tutti l’avvocato Arturo Salerni. Le associazioni hanno in particolare svolto eccezioni riguardanti la recente Direttiva europea sui rimpatri. Il Consiglio di Stato quindi per ora prende atto della complessità della questione e sospende l’efficacia dei provvedimenti, decidendo in modo univoco sulla necessità della sospensione cautelare e rinvia tutto ai Tribunali di merito per una trattazione più approfondita. Un piccolo passo verso la tutela dei diritti delle persone immigrate.

 

L'EMERGENZA RIFUGIATI
Somali, notte nel sottopasso del metrò L'opposizione: "Sistemazione indegna"
Il Comune dopo nuove proteste ha trasferito i 28 somali nel punto di accoglienza "Baobab", nei pressi del Verano. Giovedìtavolo con prefetto e associazioni per trovare una soluzione definitiva per i rifugiati. Oggi alle 15 da piazzale Aldo Moro corteo antirazzista. Violenza: confermati i due fermi
la Repubblica, 1-03-2011
di LAURA MARI
La prima notte l'hanno trascorsa al freddo, senza alcuna assistenza. La seconda in un sottopasso pieno di infiltrazioni e con i materassi accatastati uno sopra all'altro. Un centro di accoglienza privo di ogni misura di sicurezza, messo a disposizione del Comune per l'emergenza freddo. "Una sistemazione indegna" come hanno sottolineato i consiglieri del XII municipio, Matilde Spadaro (Sel) e Vincenzo Vecchio (Pd).
Per questo motivo alcuni dei 140 profughi somali sgomberati dall'ex ambasciata di via dei Villini e accolti dal Comune nel sottopasso della stazione del metrò Eur-Fermi, hanno deciso ieri di lasciare il rifugio e protestare in Campidoglio. "Chiediamo un incontro con il sindaco Gianni Alemanno - ha detto Sukri Said, presidente dell'associazione Migrare - perché questi rifugiati hanno bisogno di un posto definitivo, che non può certo essere un vergognoso sottopasso della metropolitana".
E il Comune, dopo l'ennesimo pomeriggio di proteste e tentativi di accordi, ha dovuto cedere e per i 28 somali è stata trovata una sistemazione alternativa, nel punto di accoglienza "Baobab", in via Cupa, nei pressi del cimitero del Verano. Altri 14 somali, ospitati nel centro di Torrebranca, sono stati invece trasferiti nel punto di accoglienza di via Silicella. Giovedì, comunque, verrà aperto un tavolo con il prefetto e le associazioni per trovare una soluzione definitiva per i rifugiati. E oggi alle 15 da piazzale Aldo Moro partirà un corteo antirazzista che si concluderà in piazza Santa Maria Maggiore.
Il consigliere comunale del Pd, Daniele Ozzimo, fa sapere che presenterà "un'interrogazione urgente per accertare se nel sottopasso Eur-Fermi vengono rispettate le norme previste per i centri di accoglienza". E anche i consiglieri del XII municipio, Matilde Spadaro e Vincenzo Vecchio, oggi presenteranno "una mozione per la chiusura immediata del sottopasso".
Proseguono, intanto, le indagini sullo stupro avvenuto venerdì notte nell'ex ambasciata somala di via dei Villini. Il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il sostituto Maria Caterina Sgrò hanno infatti chiesto al gip la convalida degli arresti e l'emissione di un provvedimento di custodia cautelare per i due somali fermati. Nei prossimi giorni saranno depositati in Procura i risultati del test del dna.
Il Comune ha invece fatto sapere che "d'intesa con il questore Francesco Tagliente, e con il nulla osta dell'Ambasciata somala, il Campidoglio provvederà, per il grave pericolo di una nuova occupazione dell'immobile di via dei Villini, alla messa in sicurezza dello stabile che sarà interamente murato". L'Ambasciata somala ha infatti dichiarato al Comune "la propria attuale impossibilità a gestire e mantenere in sicurezza la sede".



Scioperano gli immigrati d'Italia  E non sarà un giorno qualsiasi
L'iniziativa sostenuta anche dalla Cgil. Ma non è una manifestazione etnica. Si chiede l'abrogazione della Bossi-Fini; l'estensione dell'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione come tutela per tutti i lavoratori che denunceranno di essere stati costretti all'irregolarità; l'abrogazione del reato di clandestinità
la Repubblica, 1-03-2011
di VLADIMIRO POLCHI
ROMA - Un giorno senza immigrati. Senza colf e badanti. Senza braccianti e muratori. Senza operai e pastori. Senza infermieri e imprenditori. Un giorno impossibile. O forse no. Qualcuno ci prova: l'appuntamento è fissato per oggi, primo marzo 2011. Ritorna in piazza lo sciopero degli immigrati.
Appello nazionale. "Lanciamo un appello 1 i promotori dello sciopero, sostenuto anche dalla Cgil - per costruire una nuova grande giornata di sciopero e mobilitazione per i migranti. Non si tratta però di uno sciopero etnico: non è mai esistita e non esiste l'idea di uno sciopero etnico. Crediamo che lo strumento dello sciopero sia il modo più forte per portare avanti questa lotta, migranti e italiani insieme".
Le richieste. I promotori chiedono: "L'abrogazione della Bossi-Fini; l'estensione dell'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione come tutela per tutti i lavoratori che denunceranno di essere stati costretti all'irregolarità; l'abrogazione del reato di clandestinità; l'abolizione del permesso di soggiorno a punti; la chiusura dei Cie; una regolarizzazione reale contro la sanatoria truffa; il passaggio dal concetto di ius sanguinis a quello di ius soli come cardine per il riconoscimento della cittadinanza; una legge organica e adeguata per la tutela dei rifugiati".
Le dediche. "Questo Primo Marzo sarà dedicato alla memoria di Noureddine Adnane, il giovane marocchino
di Palermo che è morto dopo essersi dato fuoco per protesta e alle rivoluzioni del Nord Africa".
Lo sciopero del 2010. Si replica così l'iniziativa del 2010. L'anno scorso decine di manifestazioni locali e parziali astensioni dal lavoro (soprattutto in alcune fabbriche del Centro-Nord) hanno dato una buona visibilità mediatica alla protesta, dimostrando anche l'ottima capacità organizzativa delle varie associazioni. Certo lo sciopero nazionale, in senso tecnico, degli immigrati non ha funzionato. Diversi i motivi: perché i sindacati non hanno voluto, né potuto, indire uno sciopero su base etnica e perché i lavoratori stranieri non sono un corpo omogeneo, legato da vincoli di solidarietà interni, capace di muoversi compatto. Sono divisi, ricattabili, lavorano nella stragrande maggioranza dei casi in nero. Ma l'iniziativa non è stata un flop, tutt'altro. Ora ci si riprova.
Gli appuntamenti del 2011. Questo l'elenco delle iniziative comunicate dal comitato Primo Marzo 2011 (LINK alla pagina degli appuntamenti)
Trieste. Sono previste quattro piazze tematiche e in ciascuna di esse si ragionerà di temi specifici: a Largo Barriera, "Servi d'Italia". Si parlerà di lavoro, sfruttamento, schiavismo, sanatoria-truffa e poi  testimonianze, lotte, diritti. In via delle Torri, "Fortezza Europa": Cie, deportazioni, rivolte, sbarchi, respingimenti. In via San Nicolò, "Un mondo di rifugiati": le guerre, le fughe, l'asilo, gli interventi di pace. A Piazza della Borsa,  "A come antirazzista": scuola e razzismi. Si comincia alle 16.30 e si va avanti sino a sera.
Pordenone. Si manifesta contro i licenziamenti etnici e si parla di diritto al lavoro alla sede del Csv in via Canaletto 4 (c/o Csv) alle 20.30.
Bolzano. Iniziative in Piazza Mostra dalle 12.30 alle 20. Il lancio dei palloncini gialli è previsto alle ore 18.30.
Bressanone. La "Giornata senza di noi" comincia in Piazza Maria Hueber alle 10.00 del mattino e va avanti fino alle 17.00.
Trento. Assemblea cittadina presso il Centro Sociale Bruno, in Via Dogana 1, alle ore 20.00.
Rovereto. Appuntamento per manifestare e partecipare all'iniziativa "Voci per la città aperta" in Piazza Loreto, a partire dalle ore 17.00.
Torino. L'appuntamento per il corteo è di fronte alla stazione di Porta Nuova alle ore 17.00.
Brescia. Appuntamento in Piazza della Loggia, dalle ore 15.00 alle 19.00.
Pavia. Presidio in Piazza della Vittoria a partire dalle ore 18.00.
Bologna. Il presidio regionale comincia in Piazza del Nettuno alle ore 15.30.
Imola. La manifestazione comincia alle ore 17.00 in Piazza Medaglie d'Oro.
Parma. Il corteo partirà alle ore 17.30 da Piazzale Santa Croce.
Rimini. Appuntamento alla stazione dei treni alle ore 17.00 e dopo il corteo, concerto alla Vecchia Pescheria.
Modena. La mobilitazione cittadina viene anticipata al 26 febbraio, con un'iniziativa in Piazza Matteotti dalle ore 15.00 alle 19.00: danze, canti, poesie, racconti, colori, disegni, per un pomeriggio di festa e di conoscenza reciproca tra italiani e migranti. Il Primo Marzo i modenesi confluiranno nella manifestazione regionale di Bologna.
Reggio Emilia. Corteo cittadino con concentramento alla stazione dei treni alle ore 9.30.
Firenze. La "Giornata senza di noi" comincia alle ore 16.00 in Piazza della Santissima Annunziata e prosegue fino a tarda sera con interventi su immigrazione, diritti, lavoro, musica, animazione e giochi per bambini.
Pistoia. Appuntamento al Circolo Arci di Margine Coperta (Montecatini) per assistere alla proiezione de "Il sangue verde" e, in seguito, ragionare assieme sul razzismo.
Roma. Appuntamento principale alle ore 18.00 in Piazza Navona. Da piazzale Aldo Moro, alle ore 16.30, partirà il corteo "Siamo tutti libici, siamo tutti egiziani, siamo tutti tunisini", che si chiuderà a Piazzale Esquilino. Altre iniziative sono previste in numerose zone della città; per informazioni consultare www. primomarzo2011. it .
Napoli. Appuntamento alle ore 11.00 in Piazza Garibaldi per il corteo.
Oristano. S'inizia alle ore 11.30 in Piazza Roma, con un sit in e un presidio cittadino: sarà un momento collettivo di sensibilizzazione e di solidarietà e saranno messi in mostra gli elaborati dei bambini delle scuole elementari. Alle ore 17.00 è previsto il lancio dei palloncini gialli. A seguire, presso il Centro Servizi Culturali, in Via Carpaccio 9, seguiranno le letture dei bambini e le testimonianze degli studenti di Intercultura e del CTP. Infine un reading musicale di brani tratti dall'antologia "Verrà domani e avrà i tuoi occhi".
Cagliari. L'appuntamento in Piazza San Giacomo alle ore 17.00.  Il sabato successivo, 5 marzo, è previsto un altro momento di mobilitazione all'Hotel Marina in Piazza San Sepolcro.
Sassari. Il corteo partirà martedì alle ore 17.00 dalla Piazza del Comune.
Palermo. La città di Noureddine Adnane ospita una tre giorni antirazzista: il 27 febbraio, alle ore 17.00, in Piazza Verdi (Teatro Massimo), spettacoli interculturali e microfono aperto; il 28 febbraio, incontri nelle scuole tra mediatori culturali e studenti sul tema dell'immigrazione; il Primo Marzo ancora incontri nelle scuole al mattino e, alle ore 10.00, presso l'aula magna della Facoltà di Lettere e Filosofia, in Viale delle Scienze, proiezione del film "Una scuola Italiana" e tavola rotonda sul tema "Il diritto allo studio come diritto alla cittadinanza e all'inclusione"; alle ore 15.00 presso il dipartimento Politica, Diritto e Società, Piazza Bologni 8, "Ancora migranti tra accoglienza e detenzione", a cura di ASGI - Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione; alle ore 17.00, da Porta Felice si muoverà il corteo e alle ore 21.00 a Santa Chiara a Ballarò comincia la "Notte Nera": festa, cibo e musica nel cuore della città multietnica.
Catania. Alle ore 11.00 conferenza stampa di fronte all'ingresso del "Villaggio degli aranci" a Mineo; alle ore 18.00 presidio antirazzista in Piazza Stesicoro; alle ore 20.00 proiezione di "La terra e(s)trema" ed assemblea presso Nievski, in Via Alessi 17.



NO A PACCHETTO SICUREZZA E LAVORO NERO
Sciopero nazionale degli immigrati: «Accogliete i profughi della rivoluzione»
Contro chi calpesta i diritti, 300 mila in piazza. Corteo a Roma, omaggio alle genti magrebine protagoniste delle rivolte: «Ora una legge per aiutare i rifugiati»
Corriere dela sera, 1-03-2011
Carlotta De Leo    
ROMA - Un corteo per gridare insieme «siamo tutti libici, siamo tutti egiziani, siamo tutti tunisini». Roma celebra così il Primo Marzo 2011, il secondo «sciopero nazionale degli immigrati» che quest’anno non poteva che essere dedicato al coraggio dimostrato dalle popolazioni magrebine. Nella Capitale, il corteo si muoverà martedì alle 16.30 da piazzale Aldo Moro e si chiuderà in piazzale Esquilino.
APPELLO PER I DIRITTI – Lo scorso anno, in risposta ai disordini e alle violenze di Rosarno, il movimento Primo Marzo aveva organizzato uno sciopero per dimostrare l’importanza del lavoro di 4,5 milioni di immigrati in Italia. «Oltre 300 mila persone si sono mobilitate per dire no al razzismo, alla legge Bossi-Fini, al pacchetto sicurezza, ai Cie (Centri di identificazione ed espulsione) e sì a una società multiculturale e più giusta», si legge nell’appello.
La situazione oggi è diversa e forse ancora più grave: «Non c’è stata un’altra Rosarno, ma gli effetti della crisi si sentono sempre di più e colpiscono soprattutto i migranti: in migliaia rischiano di perdere il permesso di soggiorno, in migliaia che il permesso non lo hanno vengono indicati come criminali e condannati al lavoro nero gestito dai caporali».
PROTESTE IN TUTTA ITALIA – Martedì sono in programma manifestazioni e cortei in tutta Italia, dall’Alto Adige alla Sicilia, per richiamare l’attenzione sui diritti calpestati dei migranti. «La questione della cittadinanza rimane insoluta – dicono ancora gli organizzatori - e centinaia di giovani nati o cresciuti in Italia continuano a sottostare a una legge che non riconosce loro diritti né cittadinanza». In piazza, non solo immigrati ma anche tanti italiani: «Non si tratta di uno sciopero etnico. Per portare avanti questa lotta, migranti e italiani devono muoversi insieme contro i ricatti, contro il razzismo, contro lo sfruttamento», sottolineano gli organizzatori del movimento «Primo Marzo».
CHIUDERE I CIE – I manifestanti chiedono la chiusura dei Cie - i centri per l'identificazione e l'espulsione -, l’abrogazione della Bossi-Fini (in particolare, del nesso tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno) e del reato di clandestinità. Con lo sciopero, poi, si ribadisce la necessità di passare dal «concetto di ius sanguinis a quello di ius soli come cardine per il riconoscimento della cittadinanza e una legge che garantisca l’esercizio della piena cittadinanza a chi nasce e cresce in Italia».
RIVOLUZIONI E SBARCHI – La mobilitazione di quest’anno non può non puntare lo sguardo su quanto sta avvenendo nell’altra sponda del Mediterraneo. «Le rivoluzioni di piazza segnalano un’aspirazione alla libertà che ha nelle migrazioni una delle sue declinazioni e che sta portando a un prevedibile aumento degli sbarchi (per altro mai interrotti) sulle nostre coste: di fronte a tutto questo la risposta italiana si sta rivelando ipocrita e inadeguata - accusa il comitato Primo Marzo - Si evoca un inesistente “stato di emergenza” solo per evitare accogliere le persone che stanno arrivando sulle nostre coste». Occorre invece, secondo i manifestanti, varare al più presto «una legge organica e adeguata per la tutela dei rifugiati e dei richiedenti asilo».



SIAMO TUTTI MIGRANTI
Luca Bonaccorsi
Terra, 1-03-3211
Milioni di donne e uomini, grazie ai quali il Paese va avanti, oggi manifestano. 0 almeno dovrebbero. In realtà probabilmente gran parte di loro continuerà a fare quello che fa tutti i giorni: lavorare. Molto e per pochi sol¬di, di solito. È una presenza silenziosa ma ormai ineludibile quella dei "nuovi italiani". Ce né alme¬no uno in ogni famiglia, azienda, associazione, piazza e sogno di questo bizarro Paese. Sui migranti, il loro ruolo, le loro ragioni, le loro storie e le loro identità, Ter¬ra ha sempre scritto moltissimo. È l'unico argomento che eguaglia i temi "eco". I motivi sono vari. Il primo è che se le migrazioni sono certo una caratteristica della storia umana, il secolo che è iniziato vedrà grandi esodi per cause economiche ed ambientali. La nostra gestione fallimentare del pianeta, in particolare sui fronti della giustizia economica e dei cambiamenti climatici, spingerà centinaia di milioni di esseri umani a raccogliere i loro  pochi averi e mettersi in viaggio. È assai probabile che in seguito al complesso processo rivoluzionario in corso in nord Africa l'Italia subisca presto una ondata senza precedenti di migranti. Il secondo motivo è che l'arrivo massiccio di persone provenienti da luoghi e culture diversi ha messo, e metterà ancora, alla prova il grado di civiltà del nostro Paese. Il grande afflusso degli anni '90 ha determinato l'ascesa e il radicamento di una forza populista e xenofoba come la Lega. La quale, per perseguire il suo delirio isolazionista, ha sostenuto Berlusconi garantendone la longevità politica. I rivoluzionari verdi della Cassola hanno sdoganato, dietro il paravento del federalismo, il razzismo anche nella parlata quotidiana. La risposta è stata cioè largamente "regressiva". Il fronte progressista e civile ha "subito" l'affondo. L'idea "storica" di uguaglianza ha vacillato perchè il discorso pubblico non è riuscito a fare proprie le acquisizioni scientifiche e culturali che parlano di "uguale ma diverso". 0 a fare propria l'idea che i migranti, oggi, arrivano in soccorso al benefico e salutare calo della natalità nei Paesi ricchi. Su questo terreno probabilmente si giocheranno anche le prossime elezioni. È tempo di attrezzarsi.

 

Immigrati e lavoro, servono norme più semplici
TAVOLA ROTONDA. Per il vescovo Zenti, sugli spostamenti di popolazioni l'Onu deve governare le politiche degli Stati. Tosi: «Bene gestire con il buon senso le norme sui disoccupati» Bolla: «Sistema a punti al posto della lotteria del decreto flussi»
L'Arena.it, 1-03-3011
Matteo Ferrari
Verona. Lavoro e immigrazione. Due temi reali e difficili, ma soprattutto attuali. Due capitoli vastissimi che coinvolgono la società nel suo complesso: istituzioni e categorie produttive, autorità religiose e di pubblica sicurezza. Ieri, su invito della Fondazione «Carlo Maria Verardi», nell'auditorium della Gran Guardia si sono confrontati sulle problematiche del lavoro e dei flussi migratori e sulle strategie per gestire, governare, indirizzare tali fenomeni, il sindaco Flavio Tosi, il vescovo Giuseppe Zenti e il presidente di Confindustria Verona Andrea Bolla. «Il mondo delle imprese», ha sottolineato quest'ultimo, «necessita di lavoratori extracomunitari, ma il meccanismo che determina i flussi migratori è iniquo, una vera e propria lotteria. Inoltre a causa della burocrazia il sistema Italia non riesce ad attirare neppure le migliori risorse umane dagli altri paesi».
L'iniziativa è stata patrocinata dal Comune e dall'Ordine degli avvocati di Verona. Gianfranco Gilardi, presidente del Tribunale di Verona e presidente della Fondazione Verardi, introduce la tavola rotonda ammonendo che «per quanto riguarda la legislazione sui migranti stiamo assistendo alla creazione di un diritto speciale alla rovescia che rischia di inferiorizzare certe categorie e non crea un tessuto idoneo alla convivenza». Bruno Piazzola, presidente dell'Ordine degli avvocati, aggiunge: «Il riferimento constante dev'essere il rispetto della dignità della persone». Al magistrato Giovanni Palombarini tocca il compito tenere le redini del confronto. «Il sistema dell'incontro domanda-offerta di lavoro per i migranti così com'è strutturato, non ha mai funzionato veramente. Inoltre, con il contratto di soggiorno, se l'immigrato entro sei mesi dalla perdita di lavoro non trova un altro impiego deve essere espulso e anche sul tema sicurezza sul lavoro», conclude, «l'Italia è stata richiamata dal comitato europeo dei diritti sociali. Ciò denota scarsa attenzione a queste tematiche».
Sul tema sicurezza il sindaco Tosi rispedisce le critiche al mittente: «L'Italia è uno dei Paesi europei più attento nell'applicazione delle norme di sicurezza sul lavoro. Prova ne è che i maggiori incidenti si registrano o nel tragitto casa-lavoro o nel settore dell'agricoltura. Per quanto riguarda la norma dei sei mesi per trovare un impiego sostitutivo», evidenzia il primo cittadino, «credo che sia di buon senso non applicarla in modo drastico, con tutte le cautele del caso. Quando viene chiesta l'espulsione del cittadino straniero lo si fa per allontanare chi delinque o per casi di pericolosità sociale. Per quanto riguarda l'introduzione del reato di clandestinità è stato determinato dal fatto che l'Italia, con i suoi 8 milioni di coste, non è né la Germania, né il Regno Unito, ma è la frontiera dell'Europa».
Il vescovo Giuseppe Zenti, nel suo intervento, evidenzia l'esigenza di una politica sovranazionale gestita dall'Onu che riesca a governare i flussi migratori. Andrea Bolla, presidente di Confindustria, infine, suggerisce una via per la possibile gestione dei flussi: «Bisogna fare solo promesse che siamo in grado di mantenere e il decreto flussi non li gestisce affatto. É ora di provare a pensare ad una gestione per categoria di lavoratori e per numero calibrando la domanda e l'offerta con un sistema di punteggi che premi le qualifiche di chi vuole venire a lavorare nel nostro paese». Hanno chiuso i lavori gli interventi di Marco Paggi dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione e Pietro Soldini, responsabile dipartimento immigrazione della Cgil.



Immigrazione: sindaco Lampedusa indagato per odio razziale
Dopo ordinanza su ''contegno'' da tenere in centro abitato
(ANSA) - AGRIGENTO, 1 MAR - La Procura di Agrigento ha iscritto nel registro degli indagati il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, per l'ipotesi di reato di istigazione all'odio razziale e abuso di autorita'. L'inchiesta e' stata aperta dopo l' ordinanza emessa dal primo cittadino dell'isola delle Pelagie che riguarda ''l'accattonaggio e comportamenti non decorosi'' e impone il divieto di utilizzare i luoghi pubblici ''come siti di bivacco e deiezione''. L'ordinanza e' stata fatta dopo le proteste dei lampedusani sul comportamento dei migranti ospitati nel Cie e liberi di girare nel centro abitato.(ANSA).



EMERGENZA IMMIGRAZIONE, VERTICE A CATANIA
Maroni: «A Mineo modello d'eccellenza» Ma i sindaci del Calatino si «spaccano»
Il ministro ha incontrato gli amministratori dell'area interessata dal progetto del Villaggio della Solidarietà
Corrierei.it,  28-03-2011
Simona Zappalà
CATANIA - Porte ancora sbarrate per il “residence degli aranci” che nelle intenzioni del premier Berlusconi e del ministro Maroni doveva divenire un “villaggio della solidarietà” in grado di accogliere i rifugiati richiedenti asilo dislocati nelle varie strutture italiane. Oggi nella sede della Prefettura etnea si è tenuto un lungo incontro tra il ministro degli Interni, Roberto Maroni, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, commissario straordinario per l’emergenza immigrati e anche il suo omologo catanese, Vincenzo Santoro e il presidente della Regione Raffaele Lombardo. Al centro del summit, al quale hanno partecipato tutti i sindaci del Calatino, è stato evidenziato il problema dell’apertura del Villaggio compatibilmente con la richiesta delle comunità locali di sicurezza e controllo del territorio con l’approssimarsi dell’arrivo dei migranti.
Al termine del vertice, durato quasi tre ore, il ministro Maroni ha spiegato: «Abbiamo deciso di procedere alla realizzazione del “villaggio della solidarietà” per creare un modello d'eccellenza nell'accoglienza per i richiedenti asilo, accompagnato da un patto per la sicurezza sottoscritto da tutti i sindaci per presidiare territorio e strutture. Ho chiesto ai sindaci entro 24 ore se c’è la possibilità di realizzare il progetto e, pur potendo prendere la decisione in autonomia, ho chiesto una condivisione nelle scelte nell’interesse delle comunità locali e dei rifugiati».
Il fronte dei sindaci delle zone del Calatino è però spaccato. Da una parte i comuni di Mineo, Palagonia, Ramacca, Caltagirone, Scordia e Grammichele sono contrari alla proposta del ministero; dall’altra le amministrazioni di San Cono, S. Michele di Ganzaria, Mirabella Imbaccari, Mazzarrone e Militello si dicono favorevoli a patto di ottenere garanzie più precise sulla sicurezza. Il sindaco di Mineo, Giuseppe Castania, parte in causa fondamentale nella vicenda ha affermato: «La preoccupazione è che molte di queste persone possono prendere contatti con il territorio e finire nelle mani del lavoro nero». Ma oltre le parole anche la proposta. «Abbiamo presentato al ministro Maroni una soluzione alternativa, cioè la possibilità di assistere i blocchi direttamente in loco. Nello specifico abbiamo detto di valutare insieme agli enti locali, alla Provincia e alla regione la possibilità di accogliere un certo numero di persone, ma in modo frazionato, utilizzando alloggi idonei nei singoli Comuni, messi a disposizione della Provincia e della Regione».
Il presidente della provincia di Catania, Giuseppe Castiglione ha commentato gli sviluppi dell’incontro favorevolmente. «La proposta del ministro è tesa alla mediazione con le comunità locali e c’è la disponibilità del Governo di disporre un piano per la sicurezza del nostro territorio. Inoltre, il ministro, con un’ordinanza di protezione civile, potrebbe già rendere operativo il villaggio di Mineo, ma è da sottolineare la scelta della condivisione». La decisione finale scaturirà dalle consultazioni fra i sindaci e le loro comunità locali. Ogni decisione operativa sarà presa soltanto fra 24 ore.



In attesa degli sbarchi scontro sindaci-Maroni
Avvenire, 1-03-3011
Alessandra Turrisi
Il governo vuole realizzare a Mineo un modello di eccellenza nell’accoglienza dei richiedenti asilo, ma le perplessità dei sindaci sul villaggio-ghetto restano tante. Ancora ventiquattr’ore di tempo per decidere le sorti del “Residence degli aranci”, finora occupato dai militari americani e che nelle intenzioni del premier Silvio Berlusconi e del ministro degli Interni, Roberto Maroni, dovrebbe diventare un “villaggio della solidarietà”, per tamponare l’emergenza immigrazione. È il termine che si sono dati i partecipanti al vertice operativo alla prefettura di Catania, ieri mattina, alla presenza del ministro, del presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo, del presidente della Provincia di Catania, Giuseppe Castiglione, del prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso, in veste di commissario straordinario per l’emergenza immigrati, e dei sindaci del calatino e del sindaco etneo Raffaele Stancanelli.
«Se è vero, come ha detto l’Unhcr, che ai confini della Libia con la Tunisia ci sono oltre 100mila persone in fuga, tutti noi capiamo la dimensione enorme e la novità assoluta di questo fenomeno», avverte Maroni. E alla conferenza stampa lampo comunica: «Abbiamo concluso la riunione con la mia proposta di procedere alla realizzazione del villaggio per creare un modello di eccellenza in Europa nell’accoglienza dei richiedenti asilo, accompagnato da un patto per la sicurezza sottoscritto in provincia di Catania da tutti i sindaci, dal ministero dell’Interno, e quindi dal governo, per definire quali misure attuare nell’area». «Pur potendo decidere da solo – prosegue – ho voluto il confronto, perché voglio che sia una decisione condivisa nell’interesse nostro, delle autonomie locali e dai richiedenti asilo». In pratica, oggi le comunità cittadine dovranno dare l’approvazione al progetto, «altrimenti – dice Maroni – riferirò al presidente del Consiglio l’esito di questa consultazione e poi valuteremo le decisioni necessarie per gestire quella che si prefigura come un’emergenza umanitaria senza precedenti».
Infatti, le resistenze dei sindaci del Calatino sono tante e non per razzismo, s’intende. La principale preoccupazione è quella di realizzare un ghetto con migliaia di stranieri, difficile da gestire. Il primo cittadino di Mineo, Giuseppe Castania, spiega: «Non trovo positivo mettere 2mila persone in un solo sito, e non sono il solo sindaco a pensarla così». Contrari anche i sindaci di Palagonia, Ramacca, Caltagirone, Grammichele e Scordia. «La migliore soluzione è ospitare 300/400 immigrati nelle nostre comunità, perché la vera accoglienza si può costruire soltanto all’interno di un tessuto di relazioni che non trasformi la lunga permanenza degli immigrati in una bomba sociale pronta ad esplodere in qualsiasi momento» spiega il sindaco di Caltagirone, Francesco Pignataro. Altri primi cittadini, invece, come quelli di San Cono, San Michele di Ganzaria, Mirabella Imbaccari, Mazzarrone e Militello, si dicono favorevoli a patto di ottenere garanzie più precise sulla sicurezza. Il presidente della provincia di Catania, Giuseppe Castiglione, è ottimista: «C’è la disponibilità del governo di disporre un piano per la sicurezza del nostro territorio».
Ancora tranquilla la situazione a Lampedusa, dove non ci sono stati sbarchi a causa delle condizioni meteo-marine proibitive. Circa 250 dei 700 stranieri presenti ieri sull’isola sono stati trasferiti via nave e via aereo sulla terraferma. Ma continuano le polemiche per l’ordinanza contro l’accattonaggio e il bivacco di extracomunitari, emanata dal sindaco Bernardino De Rubeis. Per il questore di Agrigento, Girolamo Di Fazio, l’ordinanza potrebbe favorire la discriminazione razziale. Per questo ha inviato il documento alla Procura di Agrigento, perché consideri se ci sono elementi di rilievo penale. «Stiamo valutando la posizione del sindaco di Lampedusa per il reato di istigazione all’odio razziale» conferma il procuratore Renato Di Natale.



Sul confine tunisino lo «tsunami dei migranti»
Avvenire, 1-03-3011
dal nostro inviato a Ras Jedir Claudio Monici
Tutto trafelato, Fuad Younnus si fa largo nella bolgia umana che la frontiera con la Libia espelle come un magma informe, disordinato, ma soprattutto dolente. L’egiziano, che è basso di statura, ondeggia di qua e di là, per via del fatto che sulla testa trasporta una valigia che quasi è larga come un letto matrimoniale. Dentro ci ha messo tutto quello che poteva. Per lo più vestiti e scarpe.
Una radio a batterie, qualche provvista di carne in scatola, biscotti secchi per il viaggio e una bambola. Il regalo di compleanno, «il 12 giugno», per la figlia più piccola, Aisha: «Il dono lo riceverà in anticipo, ma quando non lo so dire, se mi guardo attorno. Ma quanti siamo qui? Come pensano di portarci via? Ma dove? Tutto mi sembra più complicato e impossibile adesso che quando sono scappato dalla Libia». «Non è stato difficile raggiungere Ras Jedir – sottolinea Younnus –. Però quanta paura.
Si sentiva sparare, soprattutto di sera. Finalmente, quando con gli altri sono arrivato alla frontiera, i libici prima di farmi passare mi hanno portato via il telefonino. E così è successo a tanti egiziani come me che sono scappati da Tripoli per rifugiarsi in Tunisia sperando ti tornare in Egitto». E adesso? «Adesso non lo so. Quello che so è che io ho perso tutto quello che avevo di più grande per me e per la mia famiglia che aiutavo in Egitto: il mio lavoro di cameriere. Adesso di professione faccio il profugo che dovrà andare a cercarsi un mestiere da un’altra parte nel mondo. Durante la fuga, con i miei amici, si parlava tanto di Europa».
Sudata di dolore e sofferente per un futuro incerto, sboccia come un fiore, già malato nelle sue drammatiche dimensioni destinate ad aumentare ancora, l’emergenza dei profughi che lasciano quella Libia che giorno dopo giorno si decompone nell’attesa dello scontro finale tra chi deve vincere e chi deve morire. La portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur), Liz Eyster, l’ha definita uno «tsunami di migranti».
Nel punto di frontiera tunisino di Ras Jedir, sono centinaia di migliaia che si addensano sulla nuda terra, spossati dal viaggio, dalle privazioni, dal non sapere che cosa fare e dove andare. Senza gabinetti, e da giorni senza acqua per lavarsi. Centinaia di persone che vengono spinte dentro gli autobus di linea oppure nei pullman turistici tunisini come sardine in scatola per essere portati da qualche parte.
Tantissimi si radunano per amicizia o per provenienza di città e villaggio, con la schiena stanca gettata su montagne di valigie, scatole e cartoni sigillati con nastro adesivo o pezzi di cavi elettrici come fosse spago da viaggio. Sfollati che vagano disordinatamente, mentre sui loro volti protetti da pastrani e caftani tirati fin sulla fronte, per ripararsi dal freddo del primo mattino, sembra di scorgere già l’ombra dell’incertezza per il loro futuro prossimo.
C’è anche chi gioisce davanti alle telecamere di decine di troupe televisive e giornalisti internazionali, ma negli occhi di molti sembra di cogliere lo sguardo pudico di un bambino rimasto solo nel buio, quando di colpo è privato dei genitori. Quando è sradicato dalle sue certezze per essere gettato nel buio della strada e di fronte a una sola domanda: «Che cosa ne sarà della mia vita?». In un istante sospinta sul ciglio dell’incertezza dal vento della paura, della guerra. Come il passato ci ha fatto vedere, purtroppo, tante volte. E sono immagini che ricordano gli esodi del Kosovo, del Ruanda. Della povera gente, resa ancora più povera e sola.
Mentre si fa molto preoccupato l’allarme lanciato dagli operatori umanitari sulla situazione dei profughi. Domenica al confine tunisino si parlava di 50.000 sfollati, quasi la metà egiziani. Senza alcun tipo organizzazione, se non quella scaturita dalle mani e dalla spontanea buona volontà espressa da decine e decine di civili tunisini nel nome «della solidarietà araba». Un aiuto schiamazzato dai clacson delle auto lanciate a tutta velocità sulla strada per Ras Jedir, con le bandiere tunisine e quella della Libia insorta, con il loro carico umanitario fatto di coperte, materassi e tante ceste di baguette per farne panini imbottiti di tonno. Una incredibile solidarietà, una “Protezione civile dei poveri” che andava incontro ad altri poveri che ancora non sono di nessuno, come tanti egiziani, abbiamo sentito, lamentavano nei confronti delle distratte e lontane autorità del Cairo.
Per la portavoce dell’Acnur, Liz Eyster, «la priorità è provvedere per ognuno a cibo e accoglienza e per questo sono in arrivo 10.000 tende e cibo altamente proteico. Il passo successivo sarà spostare la gente dalle frontiera e per questo si stanno organizzando navi e aerei». Ma sono già 100.000, in particolare tra Tunisia ed Egitto, le persone che hanno abbandonato la Libia, secondo una stima dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati: «Facciamo appello perché la comunità internazionale risponda rapidamente e generosamente per aiutare i governi a fronteggiare l’emergenza», ha detto l’Alto commissario Antonio Guterres.
Un messaggio d’aiuto che i tunisini non sono stati ad aspettare atteso pur di andare in soccorso subito alla massa di disperati in fuga dalla Libia. Nonostante anche la Tunisia si trovi ancora in alto mare. Nel pieno di una crisi politica del dopo Ben Ali che domenica sera ha portato alle dimissioni del governo di Mohammad Gannouchi. Dimissioni a cui si è arrivati con i continui disordini di piazza repressi con morti e feriti. Una situazione dagli sviluppi imprevedibili, per un Paese che è diventato un test per la democrazia nei Paesi arabi insorti contro i loro despoti. Tanto che l’Alto commissario Guterres ha voluto elogiare i tunisini per gli sforzi fatti nel fornire soccorso agli sfollati dalla Libia: «È encomiabile quello che sono stati capaci di fare».



Claudio Martelli: "Serve un ministero sull'immigrazione"     
"Reintrodurre il principio di adozione"
Stranieri in Italia,
Roma, 28 febbraio 2011 - ''L'immigrazione non puo' essere ridotta a una questione di ordine pubblico, deve essere disciplinata in maniera organica''.
Sono le parole di Claudio Martelli, autore della prima legge italiana sul tema dell'immigrazione, che ha commentato il fenomeno in una recente intervista.
 A giudizio di Martelli e' necessario istituire un ministero dell'Immigrazione che riunisca in se' ''le competenze dei vari ministeri, dalla Salute agli Esteri''. La legge Martelli del 1990 precede le altre due leggi italiane in materia, la Turco Napolitano del 1998 e la Bossi fini del 2002. ''All'epoca in cui presentai il disegno di legge - dice Martelli, allora Ministro di Grazia e Giustizia del governo Andreotti - gli immigrati in Italia erano 950mila, ora il numero si e' quintuplicato''.
Eppure, secondo l'ex esponente del Partito socialista, i principi fondamentali di quella norma ''dovrebbero rimanere inalterati, primo fra tutti il principio di 'adozione', abolito dalla legge Bossi-Fini: ossia il fatto di dare la possibilita' di venire in Italia solo a coloro che hanno una casa, un lavoro, e qualcuno che garantisca per loro (singolo, sindacato o associazione che sia)''.
Altro elemento ''da cui non si puo' prescindere - aggiunge Martelli - e' quello dei flussi annuali di ingresso, che permetterebbe di poter continuare ad avere una immigrazione regolare, e di eliminare il retaggio di una immigrazione clandestina e irregolare, a cui si e' cercato di rimediare nel corso degli anni solo attraverso sanatorie progressive''. Martelli tocca poi il tema delle espulsioni. ''Nell'ultima legge non si intuisce la differenza di principio tra un cittadino intercettato e poi respinto mentre cerca di varcare illegalmente la nostra frontiere, e un cittadino sorpreso illegalmente sul nostro territorio dopo sei mesi".
"Nei confronti delle persone presenti illegalmente nel nostro Paese - continua Martelli - si e' agito sempre di piu' attraverso misure penali, e questo ha comportato dei problemi per l'amministrazione della giustizia. Sarebbe stato necessario mantenere tutto su un piano amministrativo''.
"Infine l'accoglienza, argomento attualissimo visti gli sbarchi sulle coste della Sicilia legati alla situazione in nord Africa. ''Sarebbe stato opportuno - ammette Martelli - recepire la mia proposta di creare una robusta struttura di accoglienza e un ministero dell'Immigrazione che riunisse in se' le competenze dei vari ministeri, dalla Salute agli Esteri''. Infine una considerazione generale. "Sarebbe un miracolo, oggi, poter riproporre la legge cosi' come era scritta 20 anni fa - conclude Martelli - All'epoca le reazioni piu' aspre alla mia legge vennero da parte della Lega, del Partito repubblicano e dal Movimento sociale''.



Lavoratori immigrati stagionali, una circolare congiunta dai ministeri dell'Interno e del Lavoro
La circolare fornisce la istruzioni sulle procedure di inoltro delle istanze. Saranno 60mila i cittadini extracomunitari che entreranno in Italia
Agricoltura Onweb, 1-03-3011   
    In attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto concernente la programmazione transitoria dei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali in Italia per l'anno 2011, il ministero del Lavoro e politiche sociali e il ministero dell'Interno hanno emanato una circolare congiunta, rivolta alle rispettive strutture territoriali, con la quale vengono fornite le istruzioni sulle procedure di inoltro delle istanze (modalità di presentazione, procedimento istruttorio e procedimento relativo alla richieste di nulla osta pluriennale per lavoro stagionale).
    Il decreto autorizza l'ingresso di una quota massima di 60.000 cittadini stranieri non comunitari residenti all'estero, attualmente in corso di registrazione presso la Corte dei conti. Il ministero del Lavoro precisa che le domande di nulla osta per il lavoro stagionale potranno essere presentate, secondo le modalità di registrazione e di invio già utilizzate in passato e indicate sul proprio sito, a partire dalle ore 8.00 del giorno successivo alla pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale, il cosiddetto 'click day'.
    Soddisfatta Coldiretti, che afferma: "è ora importante che si provveda in tempi brevi alla pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale per ridurre i tempi di attesa e consentire l'avvio delle procedure di assunzione da parte delle imprese agricole, anche in vista dei lavori primaverili di preparazione dei terreni nelle campagne". Coldiretti sottolinea infatti l'importanza della manodopera prestata dai lavoratori stranieri impegnati nelle campagne italiane: la presenza extracomunitaria, calcola la confederazione, è salita a quota 106.058, con un aumento del 2,03%. Oggi la forza lavoro estera rappresenta quasi il 9,15% del totale impiegato in agricoltura.
    "La presenza di lavoratori immigrati - conclude la Coldiretti - è divenuta indispensabile per le produzioni di qualità: dagli allevamenti dei bovini di razza piemontese a quelli delle vacche per il parmigiano reggiano quasi un lavoratore su tre è indiano".



Famiglie migranti più integrate, ma più povere
Avvenire, 1-03-3011
DA MILANO PAOLO LAMBRUSCHI
Piccoli passi avanti nel Bel-paese nel campo dell'integrazione degli immigrati rispetto all'Ue e al Nordamerica, dove siamo dignitosamente decimi. E la conferma che le famiglie con almeno uno straniero, che nel nostro paese sono 2 milioni e 74 mila (l'8,3%) occupano stabilmente gli ultimi gradini della scala sociale soprattutto al Nord. Un terzo è infatti povera. Lo rivelano due ricerche che fotografano il fenomeno migratorio legale partendo da leggi e condizione sociale in tempi di crisi. L'Italia deve rimuovere insomma diversi ostacoli sulla strada della piena cittadinanza. Sul piano legislativo lo afferma «Mipex III», indice che misura l'integrazione degli immigrati regolari in 31 paesi (oltre ai 27 dell'Ue, Norvegia, Svizzera, Canada e Stati Uniti), cui ha collaborato la Fondazione Ismu. I risultati mostrano miglioramenti, seppur lenti, delle politiche e siamo al decimo posto facendo la media dei risultati per settore. Aree da rivedere: partecipazione politica, istruzione, rimozione delle discriminazioni. Va detto, però, che quanto a partecipazione, in tutti i paesi in esame le politiche in atto non incoraggiano. L'Italia comunque si colloca al 14° posto nella classifica Mipex. Male anche un altro settore strategico come l'istruzione, dove siamo al 19° posto, anche se leggermente sopra la media comunitaria.
Da rivedere anche le politiche antidiscriminazione, dove l'Italia è 15esima. Invece nel ricongiungimento famigliare sappiamo garantire maggiori diritti e raggiungiamo il 6° posto. Anche se il quadro non è roseo. Come molti italiani, i soggiornanti non comunitari trovano difficile trovare casa e impiego legale, in più devono soddisfare requisiti ancora elevati di reddito e alloggio per ricongiungere le famiglie. Che gli immigrati siano integrati, anche se fanno complessivamente fatica a sbarcare il lunario, lo conferma l'Istat nel rapporto "Le famiglie con stranieri: indicatori di disagio economico" riferito al 2009. Per l'istituto di statistica, i regolari sono 4 milioni e 235 mila, pari a circa il 7 per cento della popolazione totale. Inoltre, aggiunge il dossier, la quota di famiglie miste sul totale di quelle con stranieri, indicatore del grado di integrazione, è pari al 22 per cento.
Il quadro geografico è netto. Al Nord c'è più integrazione. Le famiglie con stranieri risiedono prevalentemente nel Nord-ovest (un terzo) e nel Nord-est (un quarto). Il 27% vive nel Centro e al Sud circa 15. Sono composte da individui più giovani, con un'età media di 30 anni contro i 43 delie famiglie di soli italiani. La maggioranza dei nuclei con stranien vive in affitto o subaffitto (58% dei casi contro il 16 delle famiglie italiane) . Solo un quinto vive in abitazioni di proprietà contro il nostro 70 per cento. Quelle con stranieri si trovano inoltre più spesso in condizioni di sovraffollamento. II rapporto è 13 a cinque. Infine gli indicatori di povertà materiale. La deprivazione tocca circa un terzo delle famiglie con stranieri contro il 14 per cento delle famiglie italiane. Il divario è più ampio nelle regioni del Nord e del Centro rispetto alle regioni del Mezzogiorno. Inoltre, tra le famiglie con stranieri le difficoltà risultano più marcate: più della metà delle famiglie povere lo è in maniera grave contro il 43 per cento delle famiglie di casa nostra. Interessante il raffronto sul possesso dì beni durevoli. Mentre sono a livelli nostrani gii acquisti frigoriferi, televisore, telefonini e lavatrici, anche se è frequente il caso di condivisione, come nell'Italia degli anni 50, un'auto (la possiede il 61 per cento contro il nostro 79) e, soprattutto, lina lavastoviglie (22%, meno venti rispetto a noi) sono per molti un miraggio.
Inoltre, come riscontrato dalle Caritas diocesane, i nuclei con stranieri si trovano più spesso in difficoltà nel far fronte alle spese quotidiane necessarie. Ad esempio, il 28% non ha avuto i soldi per i vestiti contro il 16 per cento delle famiglie di italiani. E quasi un quarto si è trovato in arretrato almeno una volta negli ultimi 12 mesi con le bollette contro l'8 per cento delle famiglie italiane. Le nude cifre confermano che, nonostante tutto, resistono e vogliono restare, come dice la scelta irreversibile di portare in Italia il coniuge e i figli. Nonostante la crisi, i salari più bassi e una poli-tica che stenta a riconoscerli co¬me cittadini.



Laici e tolleranti, meno obbedienti ai precetti tradizionali: così gli immigrati di seconda generazione ribaltano molti pregiudizi
Gli integrati.
la Repubblica, 1-03-2011
MICHELE SMARGIASSI
Allah non surclassa Gesù. I figli degli immigrati musulmani (ma anche di quelli ortodossi o protestanti o induisti) invocano il loro dio più o meno con lo stesso ardore dei loro coetanei italiani. Anzi: più tempo passano assieme a loro, più la devozione si attenua. Basta una sola generazione, basta saltare dai padri a i fìgli per veder svanire uno dei fantasmi più inquietanti della società multietnica :la "ri-islamizzazione", l'integralismo di ritorno, la "religiosità reattiva" che chiuderebbe ogni comunità migrante nel recinto dei propri dogmi, armata e aggressiva verso quelli altrui. Quel che i sociologi Marzio Barbagli e Camille Schmoll hanno capito e spiegano nella loro inchiesta su "Lag enerazione dopo" (in uscita per Il Mulino)è proprio l'inverso :che l' integrazione è la medicina dell'integralismo, che solo una società non escludente dà la garanzia di non allevarsi in seno nuclei di alieni religiosi irriducibili.
Un'ovvietà? Per nulla. «Essi vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente "diversi", in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro»: questa severa profezia del cardinale Giacomo Biffi, allora arcivescovo di Bologna, ha già dieci anni. All'epoca, fu accompagnata dalla proposta di selezionare i flussi di ingresso in Italia sulla base delle credenze religiose ritenute «più integrabili». E fu seguita da una pubblicistica pronta a dimostrare che ogni concessione alla pratica delle religioni "incompatibili" è un pericoloso incoraggiamento all'isolazionismo integralista.
-Un favore fatto a «un  nemico che le moschee le trasforma in caserme [...] e obbedisce ciecamente all'imam», così Oriana Fallaci nel 2005. Invece, dati alla mano, neanche i disciplinati scolaretti musulmani di tredici anni sembrano tanto disposti all'obbedienza cieca verso i loro sacerdoti. L'obbligo di pregare tutti i giorni, uno dei cinque pilastri dell'Islam, è rispettato da  meno di un figlio di immigrati marocchini su due; se poi quel figlio è nato in Italia, la sua propensione alla preghiera scende ulteriormente, al 42%. Non c'è molta differenza rispetto ai suoi coetanei italiani figli di italiani, tra i quali solo il 39% prega ogni domenica come pre-scritto dal catechismo cattolico.
La ricerca di Barbagli e Schmoll sulle abitudini religiose della "seconda generazione" di immigrati si basa su una raccolta di dati compiuta tra quasi quattromila studenti delle scuole medie dell'Emilia Romagna, regione priva di forti tensioni interetniche: e questo ovviamente dà conto dei risultati incoraggianti, ma ci spiega per l'appunto cosa può succedere quando il contesto di accoglienza dei nuovi venuti non è conflittuale. Succede che nel giro di una generazione, perfino prima di quanto la sociologia delle migrazioni ammetta, le differenze sul piano dei comportamenti religiosi si smussano. E non solo quelle. Se tre quarti dei ragazzi arrivati in Italia coi genitori da meno di nove anni comprendono bene l'italiano, se perfino un terzo tra quelli arrivati solo da un paio d'anni preferiscono già l'italiano alla lingua madre, un dato che non ci si aspetterebbe è che un ragazzino su tre tra quelli nati in Italia da ge¬nitori stranieri dichiari di "sentirsi italiano", pur non essendolo affatto per la nostra legge. Del resto la relazione stretta tra integrazione e devozione è chiara: i ragazzini immigrati che parlano italiano perfino coi i fratelli sono anche quelli che pregano di meno.
L'integrazione, la faranno dunque i bambini? Non è un interrogativo nuovo e la risposta non è scontata. Il primo a porselo, ricordano i ricercatori, fu un giornalista anarchico americano di nome Hutchins Hapgood, ancora nel 1902, che negli «occhi malinconici» dei figli degli immigrati ebrei vedeva la contraddizione tra «speranza e un'eccitazione senza precedenti» e «dubbio, confusione, sfiducia di sé». La stessa espressione "immigrati di seconda generazione", coniata un secolo fa, è un ossimoro sociologico («non puoi essere nato in un paese e allo stesso tempo esservi immigrato»), e tradisce l'incertezza, e anche il sospetto, concuilesocietà"ospitanti" considerano da sempre questa strana generazione di mezzo. Tanto che gli studiosi hanno spaccato il capello in quattro distinguendo la "seconda generazione" vera e propria (i figli nati nella nuova patria) dalla "generazione uno e mezzo" (e anche 1,25, 1,75...) secondo il tempo trascorso nel paese d'origine prima di immigrare. Per scoprire, però, alla fine, che c'è una relazione diretta fra la dura¬ta dell'" esposizione" di un ragazzino al nuovo ambiente sociale e la sua voglia e capacità di integrarsi in esso.
L'attenuarsi della fedeltà for¬male ai precetti della religione dei genitori è un eccellente indicatore di quella progressione. Non perché gli immigrati, alla fi¬ne, perdano la fede o addirittura si convertano: non è così, i figli di musulmani tendono a restare musulmani anche da noi (in Francia, solo il 7% ha abbandonato l'Islam). Non sono le identità di fede, ma i comportamenti devoti a cambiare, ad attenuarsi, somigliando di più per intensità e frequenza a quelli vigenti nella società d'arrivo. Se 68 ragazzini italiani su cento pregano spesso (alla domenica o tutti in giorni), i loro coetanei turchi lo fanno nel 63% dei casi, i tunisini nel 70, i marocchini nel 75. Dall'altro c¬po della scala, tra i non pratican¬ti, a volte il rapporto si ribalta: 21 turchi su cento non pregano mai, tra gli italiani solo 15. E la religio¬ne islamica, tra tutte quelle dei nuovi venuti, non sembra nep-pure essere quella più "resistente" alla secolarizzazione: i ragazzini ghanesi devoti sono l'89 per cento, i filippini cattolici l'81, suppergiù alla pari con i musulmani più convinti, i pakistani (84), ma ben di più dei musulma¬ni albanesi (60%). Il livellamento delle pratiche devote non equi¬vale automaticamente a un avvicinamento dei valori, è vero: ma può esserne una buona spia.
E la "etnicità reattiva", allora?  Lo spettro che agitò i francesi di fronte alle rivolte delle banlieues, fitte di casseur nordafricani nati in Francia? Certo, la for-
te coesione religiosa (con le "tre R" che offre: rifugio, rispetto, risorse) può essere ancora un potente richiamo in situazioni di tensione sociale, «ma in una società equilibrata e accogliente», spiega Barbagli, «riguarda più che altro percorsi di devianza individuale, magari pericolosi come quelli che hanno prodotto gli attentatori del metrò di Londra o della stazione di Madrid, ma non fenomeni di massa». L'immigrazione, dunque, non è più una "esperienza   teologizzante".
Neppure la marginalità economica dei genitori, dicono i raffronti dei due ricercatori, sembra avere alcuna influenza sull'intensità della devozione nei figli.
Può invece influire la segregazione di quelle pratiche nel chiuso della casa, con il conseguente isolamento del ragazzino dai suoi pari. Costruire una mo-
schea non farà dunque crescere il tasso di integralismo nelle nuove generazioni di immigrati. Vietarla, forse sì.

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