Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 settembre 2011

Il sindaco sotto assedio in ufficio con una mazza
«Questa è una guerra»
Corriere della Sera, 22-09-2011
LAMPEDUSA — Difende il suo popolo, ma oltre a tre poliziotti di guardia tiene una mazza da baseball a portata di mano, asserragliato nell'ufficio dove teme l'assalto di chi gli rimprovera di aver creduto alle promesse di Silvio Berlusconi. Nell'inferno e nelle fiamme di Lampedusa campeggia la figura massiccia di un sindaco alto due metri, Dino De Rubeis, un tempo sacerdote, da mesi violentissimo e dolcissimo con i potenti di passaggio a Lampedusa. A volte irruento, incapace di controllarsi, come gli è capitato ieri invitando, irriguardoso, perfino il presidente Napolitano «a muoversi...». Pronto a pentirsi cinque minuti dopo: «Chiedo scusa e continuerò a chiedere scusa per le parole inappropriate...».
L'uomo è fatto così. Tuona e, poi, niente c'è. Vogliamoci bene. Accadde con il Cavaliere, quando De Rubeis fu accusato di un'«operazione tappetino» adesso rilanciata con i filmati su quelle promesse senza seguito e le genuflessioni rimproverate al primo cittadino su Facebook dagli «Indignados» dell'isola.
Vogliono fargliela pagare?
«Qualcuno tenta di aggredirmi, come amico di Berlusconi».
Pentito per aver creduto a promesse sfumate?
«Io sono un piccolo sindaco pur con i miei due metri di altezza. E ho un punto debole: l'onore e il piacere di parlare col premier quando voglio, anche a mezzanotte o all'alba».
E che gli dice?
«Io parlo anche venti minuti di fila. E alla fine lui mi chiede cosa fare, io propongo e lui si mostra subito disponibile, assicura, promette, io ci credo e mi commuovo. Lo so, è una debolezza. Ma così è».
E se poi non succede niente?
«A volte succede. Altre volte non arriva quel che ha promesso. Può capitare. In questo e altre materie non me la sento di diventare io l'inquisitore del Cavaliere. In fondo, siamo noi tutti peccatori e chi non ha peccato scagli la pietra».
Il futuro di Lampedusa?
«Un futuro senza immigrati. Via tutti. Questa è diventata una guerra. Basta. Occorre risarcire. Come fa il governo Lombardo con 5 milioni di garanzie bancarie per cui operatori turistici e commercianti potranno ottenere finanziamenti per 50 milioni a tasso zero per dieci anni».
Allora, non crede solo a Berlusconi.
«Promesse certe».



Scontri e decine di feriti Guerriglia a Lampedusa
Raid dei migranti dopo l'incendio, gli isolani reagiscono
Corriere della sera, 22-09-2011
Felice Cavallaro
LAMPEDUSA — La Madonna di Porto Salvo ha avuto i suoi botti all'ora del caffè e tanti hanno tremato pensando a una coda dei tumulti del giorno prima, alle fiamme del Centro accoglienza, all'invasione di mille tunisini per le strade dell'isola. Un presentimento scacciato via dalla banda musicale, ma per poco, perché ieri a mezzogiorno la vigilia della festa patronale a Lampedusa è diventata una mattinata di guerriglia con sassaiole, caccia all'uomo, cariche di agenti armati di scudi e manganelli, inseguimenti e corse al Poliambulatorio dove sono arrivati 11 feriti in pessime condizioni e tanti altri ammaccati, sanguinanti, tumefatti.
È la cronaca della peggiore giornata di quest'isola dove la sera prima le mamme tappavano i figli in casa per non fare respirare la nube tossica dell'incendio e dove ieri mattina si sono svegliate guardinghe temendo di ritrovarsi qualche «clandestino» sull'uscio. Senza immaginare l'inferno nel quale tutto è poi precipitato. Soprattutto quando trecento tunisini spocchiosi e arroganti si sono piazzati davanti al distributore di benzina del Porto vecchio, a due passi dalla caserma della Guardia di finanza, entrando minacciosi nelle cucine del «Delfino blu» e uscendone con tre bombole di gas agitate come trofei, minacciando altro fuoco.
Ecco la scintilla che ha scatenato la rabbia dei lampedusani. Con le prime pietre volate dal tetto di un edificio. Quasi tutti giovani, da una parte e dall'altra. Scamiciati, le braccia tese, tutti a gridare. Sotto lo sguardo inquieto di un centinaio di agenti, i manganelli pronti. Mentre il sindaco Dino De Rubeis si sgolava chiedendo di caricare «perché se non lo fa lo Stato lo faranno i lampedusani».
Qualcuno è riuscito a scappare prima, ma il grosso dei tunisini è rimasto schiacciato tra la folla di chi non li tollera più nella loro terra e la testuggine di polizia, carabinieri e finanza. Un compatto squadrone che ha pigiato i rivoltosi ormai senza bombole contro la ringhiera del distributore affacciato sul porticciolo. Uno sbalzo di tre metri. Con l'unica via di fuga in un salto che ha costretto i migranti a tuffi sulla banchina sottostante.
Una carica determinata, alla fine eccessiva, come si nota nelle immagini rilanciate dai tigì, quando un poliziotto continua a picchiare contro i tunisini aggrappati alla ringhiera per il salto. Ma è dura anche per i cronisti documentare quanto accade e presto scatta anche la caccia al giornalista con calci spintoni e pugni, come succede a tanti e come si ripete per Davide Di Stefano e Fulvio Viviano di Sky, già malmenati sabato sera. Ci sono teste calde anche fra i lampedusani. E lo sanno i ragazzi di Legambiente, i volontari di Askausa e delle associazioni accusate «di difendere i tunisini», come rivela indispettita Giusy Nicolini, la direttrice della Riserva: «Meglio non rischiare ed evitare di andare in giro».
Si guardano storto da ogni parte in quest'isola dove il sindaco Dino De Rubeis a fine sassaiola è costretto pure lui a rifugiarsi in municipio. Poi cerca al telefono Roberto Maroni, euforico per le assicurazioni. Stando alle voci che rimbalzano dal Viminale, infatti, in 48 ore l'isola dovrebbe essere «liberata» con 11 voli speciali. Considerati l'incendio al Centro e i lavori di ristrutturazione alla Base Loran dove stanno donne, minori e disabili, Lampedusa inoltre sarebbe temporaneamente cancellata come «porto sicuro» per le cosiddette operazioni Sar, i salvataggi a mare. Significa che il primo approdo diventerebbe Porto Empedocle, sulla costa agrigentina.
Voci che non placano la rabbia di un'isola dove compaiono le ronde dei cittadini. E forse per questo, impauriti più dalle pietrate che dalle cariche, gli irriducibili, alcuni segnalati all'autorità giudiziaria di Agrigento, infine si lasciano incanalare dagli stessi poliziotti lungo la strada che porta al Centro da loro incendiato.



Piano del Viminale: via tutti in 48 ore
Organizzato un ponte aereo. I clandestini verranno rimpatriati
Corriere della Sera, 22-09-2011
ROMA — La politica del governo e del Viminale sugli immigrati clandestini tunisini non cambia. Il sottosegretario Sonia Viale ha annunciato che entro 48 ore tutti i clandestini presenti a Lampedusa saranno trasferiti dall'isola. Ciò avverrà con un intenso ponte aereo di C130 della 46 Brigata dell'Aeronautica militare tra Lampedusa e Palermo, che è iniziato nella notte. I clandestini saranno poi tutti rimpatriati, secondo quanto prevedono gli ultimi accordi sottoscritti con il governo di Tunisi, dopo la caduta di Ben Ali, il 5 aprile scorso. Cioè cento persone al giorno. Già ieri pomeriggio sono decollati da Palermo con destinazione Tunisi due aerei con a bordo complessivamente 91 tunisini sbarcati nei giorni scorsi sull'isola. Al Viminale si ribadisce che il programma andrà avanti come confermato nell'incontro di Tunisi tra il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e le autorità locali, il 12 settembre.
Per il segretario dell'Associazione nazionale dei funzionari di polizia, Enzo Marco Letizia, la «rivolta di Lampedusa, come le precedenti, dimostra che il problema immigrazione si sta trasformando in una delicatissima questione di ordine pubblico». «Occorre far presto — aggiunge Letizia — evitando di creare pericolosi ammassamenti di soggetti disposti a tutto pur di non far rientro in patria». Per il segretario del Siulp, Felice Romano, si è arrivati alla rivolta «perché il governo non ha ascoltato i poliziotti».
«Save the Children», l'Arci e il Consiglio italiano per i rifugiati hanno tutti espresso grande preoccupazione per quanto sta accadendo, e hanno sottolineato che la rivolta era «attesa», come conseguenza di una politica definita «miope», «criminale», «sbagliata», un «disastro annunciato causato da incoscienza». Christopher Hein, direttore del Cir, in particolare ha spiegato che «i migranti che stanno arrivando nell'ultimo periodo dalla Tunisia provengono principalmente da una zona, quella di frontiera con la Libia, la cui economia si è sempre principalmente basata sul traffico commerciale transfrontaliero, che si è drasticamente interrotto dopo la presa di potere del Comitato di transizione libico». Il secondo pilastro dell'economia locale era il turismo, che invece è «pressoché cessato nel periodo estivo». Quindi, secondo Hein «la riapertura del decreto flussi — aggiunge — sarebbe stato l'unico strumento per accompagnare la Tunisia in questo difficile momento di transizione».
Il vicesindaco di Lampedusa Angela Maraventano, senatrice della Lega Nord, ha chiesto invece al ministro Maroni l'allontanamento dall'isola dell'«Onu e delle organizzazioni che lavorano per gli immigrati: se ne devono andare, tutte le organizzazioni che non hanno mai fatto nulla». Numerose anche le interrogazioni parlamentari da parte delle opposizioni.
Informazioni sulla situazione sono state chieste ieri a Maroni e al prefetto di Agrigento, dal vescovo di Tunisi, monsignor Maroun Elias Lahham, che arriva oggi sull'isola per una visita che era stata programmata da tempo. «La violenza non è mai la soluzione: bruciare, poi, il Centro di accoglienza è stato un grande errore — ha detto il prelato — perché non si sputa nel piatto che ti è stato porto da chi ti vuole aiutare». Cancellato però per motivi di opportunità l'incontro del vescovo con i tunisini che si troveranno ancora sull'isola.
M.A.C.



Le reazioni «Irresponsabile. Venga in Senato»
Il flop di Maroni sul disastro annunciato: «Via tutti in 48 ore»
Liberazione, 22-09-2011
Il tutti contro tutti di Lampedusa è già di per sé la prova che nella gestione da parte dei governo della delicata questione dell'immigrazione molto è andato storto. Ancora una volta si dimostra che con la demagogia non si va molto lontano. Cosi, ora che i buoi sono scappati, il governo annuncia che «entro le prossime 48 ore tutti i clandestini presenti a Lampedusa saranno trasferiti per essere poi rimpatriati». E a conferma che il governo si ostina a non capire, c'è la nota con cui il Viminale assicura che «gli atti vandalici e le rivolte poste in essere dai cittadini tunisini nascono dalla loro consapevolezza di essere rimpatriati. Tali episodi di inaccettabile violenza non modificano il piano dei rimpatri, che prosegue e non subirá rallentamenti». Come dire che tutta la colpa è dei "cattivi" immigrati. Non una parola sulle condizioni indecenti nelle quali sono tenute segregate per mesi persone che non hanno commesso alcun reato, lasciate a languire in attesa che si compia un destino di cui non vengono nemmeno informate. Come si fa con i cani. Eunico verbo che il governo conosce è «rimpatriare», accanto ovviamente all'altro, «respingere». Un vocabolario "immigratorio" al quanto povero. Tant'è.
In realtà, «il governo è direttamente responsabile di quanto accade a Lampedusa», sostiene Vera Lamonica, segretaria confederale Cgil con delega all'immigrazione, che parla di «improvvisazione, superficialità e strumentalità» nell'accoglienza ai migranti. Non a caso, conclude Lamonica, quello che sta avvenendo «era stato ampiamente annunciato da quanti, associazioni, sindacati, Unchr ecc. si misurano quotidianamente con l'assurdità della situazione». Insomma, «la guerriglia che si sta consumando a Lampedusa è frutto della totale inadeguatezza delle politiche dei governo e Maroni si conferma un irresponsabile - attacca Paolo Ferrero, segretario del Prc - Le scene a cui abbiamo assistito, i tentativi di linciaggio, un sindaco che incita la popolazione ad aggredire gli immigrati, forze di polizia chelianno militarizzato l'isola ma non riescono a gestire la situazione, dimostrano come dietro la cosiddetta gestione dell^emergenza nord africa" si nascondano inettitudine e business. Da settimane sono concentrati in 22 km quadrati 1.300 persone, nel tentativo di trasformare l'isola in un immenso cárcere a cielo aperto, violando la dignità tanto dei lampedusani quanto dei migranti». Ecco perché il Prc chiede «all'Onu, al-
le istituzioni europee ed internazionali di intervenire per tutelare le persone vulnerabili. Nell'immediato -conclude Ferrero - bisogna fare in modo che ai profughi reclusi venga garantita una condizione di accoglienza sul territorio nazionale e che si studino le modalità per definire condizioni di protezione internazionale». Sulla stessa lunghezza d'onda è Emergency, secondo la quale ciò che sta succedendo è «la conseguenza di una politica criminale che da decenni i governi italiani stanno attuando nei confronti dei migranti, che oltre ad essere privati dei piü elementari diritti umani, vengono deliberatamente usati per esasperare gli animi e alimentare guerre tra poveri». I drammatici fatti «e il clima di tensione che si respira sull'isola sono le conseguenze della demagogia e dell'incapacità con le quali il governo ha affrontato il problema degli sbarchi» rincara il Senatore Pd Giuseppe Lumia. Anche per questo il Pd, con la presidente dei gruppo a Palazzo Madama Anna Finocchiaro, chiede che il ministro dell'interno Maroni venga immediatamente in Senato a riferire», visto che la situazione «nonostante la demagogia e gli annunci fatti in pompa magna dal presidente dei Consiglio di ville, parchi e casino, non è assolutamente governata».



Guerriglia per le strade di Lampedusa i residenti contro i tunisini, 11 feriti
L'inferno scoppia quando i migranti prendono tre bombole di gas: "Le facciamo saltare", minacciano. Aggredite le troupe delle televisioni. Sassaiole e ronde: in paese è caccia allo straniero. In sei salvati dal linciaggio. Tre carabinieri e un agente di polizia in ospedale
la Repubblica, 22-09-2011
ALESSANDRA ZINITI
LAMPEDUSA - Le donne che quest'estate si facevano trovare al molo con un piatto di minestra calda e vestititini per i piccoli migranti ora camminano per strada con le pietre nelle tasche dei grembiuli da cucina. Gli uomini si organizzano in ronde per stanare "quei pezzi di merda criminali". Il sindaco Bernardino De Rubeis, dall'alto dei suoi due metri di stazza, è asserragliato nel suo ufficio guardato a vista da tre agenti e con una mazza da baseball al fianco: "Sono pronto ad usarla, scrivetelo pure", sibila furioso ai cronisti.
Alle otto di sera, sotto la luce delle luminarie montate per la festa della Santa patrona, Lampedusa è un campo di battaglia. I ragazzini raccolgono quasi come trofeo di guerra le grosse pietre rimaste sul selciato, ricordo della fitta sassaiola che, per un paio d'ore, ha trasformato l'isola in un inferno. Lampedusani contro tunisini, disperati contro disperati, e in mezzo la polizia costretta ad un certo punto a dare risposte all'ira incontrollabile della gente del paese tirando fuori i manganelli e respingendo a mazzate quelle centinaia di extracomunitari che, dopo l'incendio che ha semidistrutto il centro di accoglienza di contrada Imbriacola, ieri mattina sono tornati ad impossessarsi delle strade del paese con un corteo al grido "Libertà, libertà".
In 11, a fine mattinata, hanno dovuto ricorrere alle cure dei medici del Poliambulatorio e tra questi anche tre carabinieri e un poliziotto. Ma per un tunisino in stato di semicoma i medici hanno chiesto l'eliambulanza e
il ricovero d'urgenza in ospedale a Palermo. Quattro gli immigrati in stato di fermo.
I lavori di abbattimento di quel che resta del centro di accoglienza sono già cominciati e gli inquirenti hanno già identificato gli autori dell'incendio ma quello è stato solo l'inizio della guerra. Uomini, donne, ragazzi, persino anziani. A Lampedusa, all'alba della festa della madonna di Porto Salvo, mentre la banda del paese attraverso il centro suonando, la gente si arma come può. E non solo per difendersi dalle eventuali aggressioni o razzie degli immigrati riusciti a sfuggire al controllo delle forze dell'ordine. C'è chi raccoglie le pietre e le prepara vicino agli usci di casa, chi tira fuori mazze e bastoni, qualcuno cammina anche armato di coltello.
"Voglio vedere chi ci ferma, qua dobbiamo difenderci con le nostre mani dall'invasione di questi criminali", grida gesticolando un anziano agricoltore. Fa paura ora questa gente di Lampedusa che per tutta l'estate ha raccolto elogi per la generosità e l'accoglienza agli oltre cinquantamila che sono riusciti a superare il Canale di Sicilia. Alle undici del mattino l'aggressione a parolacce e spintoni a due troupe televisive è solo il prodromo della follia che si scatena neanche mezzora dopo nella zona del porto vecchio presidiata da decine di agenti in tenuta antisommossa che tengono d'occhio circa trecento tunisini in corteo.
La scintilla che scatena la guerra sono tre bombole del gas del ristorante "Delfino blu", a due passi dalla pompa di benzina. Un gruppo di sei tunisini se ne impossessa e le brandisce come arma minacciando di farle esplodere. Ma quella che esplode è solo la rabbia inarrestabile degli isolani. I più giovani si trasformano in black bloc e la sassaiola parte fittissima con pietre pesanti anche diverse chili. I lampedusani si lanciano al corpo e corpo a mani nude. Gridano parole rabbiose: "Cani criminali, andatevene via, non ne vogliamo più neanche uno dei voi". I giornalisti se la vedono brutta e sono costretti a battere in ritirata. È anche "colpa loro se l'isola è invasa da questa feccia e noi facciamo la fame". Insulti partono anche nei confronti delle forze dell'ordine: "Rammolliti, venduti, attaccateli".
Il sindaco Bernardino De Rubeis dà ordine di non far uscire bambini e ragazzi da scuola. Pochi minuti e arriva l'ordine di caricare. Lo scontro fisico avviene sulla terrazza nei pressi del porto commerciale. Negozi e locali abbassano le saracinesche, la polizia si lancia all'assalto dei tunisini. Gli extracomunitari si difendono come possono, si coprono il volto con gli zaini, a decine si lanciano giù dalla terrazza per sfuggire alla violenza della carica. Gli isolani sembrano quasi eccitati dal sangue che scorre per strada. Omar, Rasik, Saiful, Luis, si affacciano al davanzale della terrazza, guardano i tre, quattro metri che li separano dal selciato e si lasciano andare.
I clamori della "guerra" al porto arrivano fino al centro di Contrada Imbriacola e anche lì parte un altro tentativo di sommossa con il lancio di pietre e suppellettili. Barricati nel distributore di benzina ci sono i sei tunisini che avevano minacciato di far esplodere le bombole del gas. È a loro che mira la folla di lampedusani pronta a linciarli. Poi un furgone della Guardia di finanza riesce a mettere in salvo i sei mentre tutti gli altri vengono ancora una volta fatti rientrare nel centro di accoglienza.
Finita la guerra, comincia la caccia al tunisino. Un uomo ne vede uno accucciato dietro una macchina in fondo a via Roma, si avvicina correndo e lo aggredisce a calci. A sottrarlo alla sua furia arriva un furgone di Lampedusa accoglienza. Antonio Palmeri, gestore di un albergo in centro, è esasperato: "Noi siamo sempre stati in prima fila nell'accoglienza, abbiamo anche le foto con loro, ma questi sono solo criminali e se nessuno ci aiuta siamo costretti a difenderci da soli". Alla base Loran, dove 130 tra donne e bambini sono rimasti al sicuro lontano dagli scontri, vengono portati anche otto disabili, sordomuti e paraplegici.
Alle quattro e mezza del pomeriggio, dopo essere finalmente riuscito a parlare con Maroni, il sindaco De Rubeis dà l'annuncio che la sua gente aspetta: "Il ministro mi ha assicurato che entro 48 ore qui non ce ne sarà più neanche uno". Ma la gente di Lampedusa alle promesse non è più disposta a credere. Sono in tanti quelli che vanno a dormire con le pietre accanto al letto. Il parroco Stefano Nastasi annulla la processione prevista per la festa di oggi. In chiesa dice: "Si respira un clima di troppo odio per potere celebrare una qualsiasi festa". A sera, all'aeroporto, è un continuo via vai. Partono in 350, a passare la notte stipati nell'unico padiglione agibile del centro, restano poco meno di 600.



Guerriglia a Lampedusa, i clandestini in rivolta: liberiamo i cittadini dall'orda arrogante e ingrata
Altro che premio Nobel per la pace, bisogna farli santi: prima per avere accolto gli "ospiti" e poi per avere reagito alle violenze. Senza curarsi delle accuse di razzismo. I lampedusani hanno detto basta dopo mesi di teppismo e rivendicazioni assurde. E la sinistra cosa fa? Le anime belle (e incoerenti) accusano il governo di non aver ancora adottato la linea dura
il Giornale, 22-09-2011
Paolo Granzotto
 
Sono stati presi ad esempio dalla stampa di tutto il mondo, i lampedusani. Si arrivò perfino a proporli per il Nobel per la Pace, e lo avrebbero meritato di diritto. Per la premura, la partecipazione, la disponibilità e la benevolenza con le quali accolsero, spesso soccorrendole, le ondate di clandestini che si riversavano sull’isola. Un Nobel supplementare l’avrebbero guadagnato, inoltre, per la pazienza, l’aspetto più personale e più impegnativo della mai abbastanza predicata tolleranza.
Pazienza nel sopportare le arroganze, il teppismo e il vandalismo, la mala creanza e l’ostentazione volgare e non di rado sconcia della loro diversità delle migliaia di clandestini e della loro teppa. Non grati per essere stati accolti, curati e sfamati. O anche, nel piagnucoloso immaginario terzomondista, affrancati da una miserrima vita di stenti e di rinunce. Ma subito, appena messo piede a terra, pronti alle rivendicazioni: più comodità, cibo più ricco e variato, più libertà di movimento, più sicurezza economica. Più tutto. Inevitabile che i lampedusani perdessero la pazienza. Atteso, di conseguenza, l’energico appello del sindaco dell’isola, Dino De Rubeis: «Non vi permettete di accusare di razzismo i lampedusani, hanno dato fin troppo. Siamo in guerra, la gente a questo punto ha deciso di farsi giustizia da sola». E mostrando una mazza da baseball: «Anch’io sono costretto a difendermi: sono pronto a usarla, scrivetelo pure».
Le anime belle, prima fra tutte Anna Finocchiaro, la Vispa Teresa della sinistra, accusano ovviamente il governo («Maroni subito in Senato su Lampedusa!», tutta giuliva gridava a distesa). Perché «non ha fatto». Perché trattiene i clandestini - detti migranti, ma pur sempre clandestini - sull’isola. In strutture non acconce, per mancanza di agi, a chi era pur destinato alla nota miserrima vita di stenti e di rinunce, che gli agi di certo non avrebbe previsto. La verità è che non ha fatto, il governo, ciò che l’opposizione gli intimò di non fare: non rimpatriarli in massa, non dividerli in piccoli gruppi in diverse località del continente (si sarebbero disgiunti nuclei tribali, separate amicizie fiorite sulle «carrette del mare». Non fosse mai), accertare, prima di prendere qualsiasi disposizione, l’esatto status d’ogni clandestino - indagando tra l’Alto Volta e la Tunisia in pieno caos da primavera araba - per poi maggiormente tutelare il rifugiato politico, il discriminato meritevole dell’asilo politico con relativo mantenimento a vita.
E intanto, adocchiata la pacchia gli sbarchi si susseguivano. E intanto, i clandestini prendevano a braveggiare, a lordare, a insolentire i lampedusani. Forti della loro arma cialtrona: accusare di razzismo chi li prendeva a male parole o, meglio ancora, a calci nel sedere. Accusa che sarebbe rimbalzata nelle Ong e nelle Onlus, nelle sacrestie dei preti di area multireligiosa, nel tinello della Vispa Teresa dando la stura alla consueta stucchevole indignazione.
Però si sa come vanno le cose: quando è troppo è troppo. E i lampedusani - eroi due volte, la prima nell’accoglierli la seconda nel mandarli a quel paese - dell’accusa di razzismo se ne sono fatto un baffo. Altro che Nobel. Santi. Santi subito.



SGOMBERATE LAMPEDUSA
Nuova giornata di scontri. Poi via ai rimpatri
Gli immigrati cercavano di far saltare un distributore. Maroni manda 11 aerei: centinaia di tunisini trasferiti
Libero, 22-09-2011
Andrea Morigi
A Lampedusa, i clandestini che martedi avevano distrutto il centro di accoglienza trascorrono la notte all'aperto, si riorganizzano e, al mattino, scatenano la guerriglia. Alcuni tunisini si armano con tre bombole di gas rubate poco prima da un ristorante. Minacciano di attaccare un distributore di benzina e di farlo esplodere. Sarebbe la strage.
È allora, poco prima di mezzogiorno, che poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa sono costretti a intervenire. Caricano gli immigrati per disperderli e, soprattutto, per evitare che siano i lampedusani, inferociti, a risolvere la situazione in modo più sbrigativo. Gli isolani hanno già iniziato la caccia all'uomo. Per ora, si limitano a lanciare pietre contra gli ospiti indesiderati. li hanno accolti, hanno sopportato che sputassero nel piatto dove mangiavano. Ora però gli immigrati sono divenuti un pericolo, anche perche nel resto della Penisola trovano chi spalleggiai tumulti accusando il governo di aver creato le condizioni di invivibilità.
Dopo dieci minuti di battaglia furibonda, il bilancio è di undici feriti. Il più grave è un tunisino trasportato in elicottero a Palermo con un trauma cranico-facciale. Quattro uomini delle forze dell'ordine rimangono contusi e feriti anche se non gravemente.
RIMPATRI IMMEDIATI
Appena la rivolta accenna a spegnersi, il governo organizza l'evacuazione. «Entro le prossime 48 ore tutti i clandestini presenti a Lampedusa saranno trasferiti per essere poi rimpatriati», assicura, in una nota, il sottosegretario all'Interno con delega all'immigrazione e asilo, Sonia Viale. Al sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, lo garantisce direitamente il ministro Roberto Maroni, che mette subito a disposizione undici velivoli per il trasporto. La promessa è mantenuta nel giro di poche ore. 121 immigrati tunisini prendono il volo e finiscono in altri centri d'accoglienza, da dove sono poi immediatamente rimpatriati. Entro la notte almeno altri 200 li seguiranno. Entro venerdi il problema dovrebbe essere definitivamente risolto.
Comunque, l'isola è divenuta im-praticabile e occorre impedire altri sbarchi sulle Pelagie. «Maroni mi ha detto», aggiunge il primo Cittadino «che Lampedusa non sarà piü considerata "porto sicuro", in quanto priva di un centro di prima accoglienza, e dunque gli immigrati soccorsi in mare nel corso di operazioni Sar saranno trasferiti con le motovedette direttamente a Porto Empedocle o in altri scali siciliani». Inutile dire che non si può cedere al ricatto e spostare il disagio a poche miglia marine di distanza. Anche perche, commenta la Viale, «gli atti vandalici e le rivolte poste in essere dai Cittadini tunisini nascono dalla loro consapevolezza di essere rimpatriati. Tali episodi di inaccettabile violenza non modificano il piano dei rimpatri, che prosegue e non subirá rallentamenti».
ONU SOTTO ACCUSA
Verrà Fora di stabilire la responsabilità dei disordini. A caldo, il vicesindaco di Lampedusa Angela Ma-raventano, senatrice della Lega Nord, accusa «l'Onu e le organizzazioni che lavorano per gli immigrati a Lampedusa» e «se ne devono andare», perche «tutte le organizzazioni non hanno mai fatto nulla. Chiederò al ministro Maroni l'allontanamento di queste persone». La dichiarazione di guerra va in onda alla Zanzara, su Radio 24. Quelle sigle, che l'esponente del Carroccio non degna nemmeno dell'attributo di "umanitarie", «hanno sostenuto delle situazioni che non vanno e in questo caso non hanno fatto nulla, non hanno saputo nemmeno tranquillizzarli. Quelli dell'Onu sono venuti qui hanno messo le tende e non hanno fatto mai nulla. Siamo il popolo piü accogliente del mondo, abbiamo fatto il massimo. I tunisini sono dei criminali e vanno mandati immediatamente in Tunisia e arrestati. Chiederò al governo di chiedere i danni. Linea dura».
Se si riuscirà a scongiurare il peggio, gli abitanti dell'isola ringrazieranno la propria patrona, la
Madonna di Porto Salvo, di cui si celebra la ricorrenza tra oggi e domani. Ma anche la processione e i
fuochi d'artificio rischiano di essere annullati per motivi di sicurezza. Se salta anche la festa, stavolta non si sa proprio piü a che santo votarsi.



I PATTI DA RISCRIVERE
la Repubblica, 22-09-2011
ATTILIO BOLZONI

SENZA patti chiari Lampedusa saltain aria. Se l'ltalia non riuscirà a trovare un altro accordo con i nuovi signori che comandano dall'altraparte del Mediterraneo, di barconi ne arriveranno sempre di più.
E sarà invasione. Negli ultimi dieci giorni ne sono sbarcati quasi milleduecento di tunisini, all'im-provviso. Una settimana prima il ministro Maroni aveva parlato di «un bilancio totalmente positivo delia collaborazione bilaterale in materia di sicurezza» con la Tunisia, poi sono approdati in massa e in queste ultime ore a Lampedusa è scoppiata la guerra. Lo scenario del Mediterraneo è molto complicato ma molto confusa e incerta è anche la nostra politica. Non bastano più gli slogan governativi e le rassicurazioni continue dei ministro dell' Interno («L'accordo con la Tunisia funziona, l'impegno di Tu-nisi per la lotta ai clandestini ha dato frutti», 12 settembre), non bastano più annunci e promesse. Adesso c'è bisogno di qualcosa d'altro o Lampedusa rischia di diventare un campo di battaglia permanente fra l'Africa e l'Europa.
I ponti aerei o i rimpatri forzati non risolveranno mai la vicenda dei barconi e dei disperati che raggiungono le scogliere e le spiagge dell'isola più a sud dell'altro mondo, per ogni rientro di trenta «clandestini» il lunedi e il giovedi (come era previsto dagli accordi dei 5 aprile) ci saranno altri cento o duecento disperati al giorno in avvicinamento o con i piedi già sul suolo italiano. Tutti schedati e poi rinchiusi, per una settimana o per un mese, nel famigerato " centro di accoglienza" divorato ieri dalle flamme. I conti non tornano, i numeri sono numeri: ne arrivano di più di quanti ne possiamo - secondo le intese stipulate - mandare indietro. E proprio questo il punto: l'accordo siglato nell'aprile scorso con Tunisi, subito dopo la "rivoluzione dei gelsomini", non regge più. Ne è prova la rivolta di Lampedusa e non solo di Lampedusa, ma anche di Restinco, di Brindisi, di Montecampione. Le lunghe e le lunghissime permanenze in quei "centri" scatenano ribellioni e tumulti.
«Saranno intensificati di molto i rimpatri», dichiarava appena quattro giorni fa il ministro della Difesa Ignazio La Russa in visita a Lampedusa «per portare il ringraziamento dei governo ai militari impegnati nell' emergenza immigrazione. Neanche ventiquattro ore dopo un aereo carico di 100 magrebini è atterrato a Tunisi ma le autorità locali ne hanno fatti scendere solo 30 - i vecchi accordi erano quelli - costringendo i piloti delia nostra Aeronautica a riportare tutti gli altri in Italia. Nuovi patti. Ecco cosa servono ora. Senza quelli Lampedusa s'incendia.
Sdrammatizzano tutti i nostri ministri, si dicono «soddisfatti», parlano di «efficaci misure», ma nell'isola di frontiera c'è lo stato d'assedio e la caccia all'uomo. Gli accordi fatti sono diventati carta straccia perché non hanno tenuto conto delia disperatissima situazione che c'è oggi in Tunisia, soprattutto nel sud di quel paese - al confine con la Libia - dove tutto è crollato. Chiusi gli alberghi (principale fonte di reddito per quella popolazione), il commercio fermo, una disoccupazione totale che ha provocato l'esodo di migliaia di ragazzi verso Capo Bon e con l'obiettivo di arrivare qui, a Lampedusa, in Italia, in Europa. Il ministro Maroni va e viene da Tunisi per prendere contatti con i nuovi governanti, qualche giorno fa è riuscito a strappare la " quota" 100 di "clandestini" a settimana da riportare indietro. Basterà? Basterà mai raddoppiare o triplicare il numero dei naufraghi da rimpatriare per non trasformare Lampedusa in un inferno?
Sull'isola è "emergenza" a singhiozzo. A Roma se ne accorgono solo quando c'è il fumo e quando c'è il fuoco. Lo fanno apparire solo un problema di ordine pubblico, di poliziotti e di carabinieri che caricano, di «delinquenti tunisini che vanno mandati via e arrestati in Tunisia» (dichiarazione della vicesindaco di Lampedusa e senatrice della Lega Nord Angela Maraventano), di «tensioni» frala popolazione locale e gli altri, gli invasori. Per l'ltalia e il suo governo è veramente un'isola lontana, Lampedusa. E pensare che soltanto pochi mesi fa il premier voleva comprarsi una villa - mai comprata-proprio lì. L'aveva promesso, però. Come aveva promesso parchi e casino. A Lampedusa sono arrivati solo naufraghi pronti a tutti pur di sopravvivere.



La smemorata dell’onu e l’allarme mai dato
In una intervista Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, aveva detto: "E' fisiologico che la gente scappi dai conflitti. Dall’inizio della guerra sono un milione e trecentomila gli immigrati fuggiti dalla Libia"
il Giornale, 22-09-2011
Gian Micalessin
Se c’è un premio per gli eredi dello smemorato di Collegno allora è tutto per Laura Boldrini. L’ha stravinto con l’intervista in cui scarica sul governo le responsabilità per la distruzione del centro d’accoglienza di Lampedusa. A dar retta alla portavoce dell’Alto Commissariato per i Rifugiati scempio e distruzione sono dovuti solo all’insipienza dell’esecutivo. «Sì, si poteva prevedere e infatti noi l'avevamo prevista, avevamo messo in guardia le Autorità. Avevamo notato – spiega - un aumento della tensione... il centro poteva contenere 850 immigrati e invece ce n’erano 1.200». A questo punto tutto è chiaro. Laura non c’è. Non ricorda. Non rammenta quanto lei stessa raccontava. Per aiutarla basterebbe farle rileggere qualche sua perla del passato. Incominciando da quella del 3 marzo scorso.
In quei giorni d’inizio guerra la Libia vomitava duecentomila e passa profughi sul confine tunisino di Ras Jdir. Le carrette dei mari scaricavano centinaia di disperati sulle coste di Lampedusa. Ma l’imperturbabile Laura Boldrini non scorgeva l’ombra d’un problema. «A oggi non c’è un’emergenza umanitaria a Lampedusa perché in un mese e mezzo sono arrivate 6.500 persone... L’isola – spiegava - neanche s’accorge della presenza di questi emigranti... Il Centro è stato riaperto, c’è stato lo sforzo logistico del portarli fuori dell’isola e si è tornati alla normale amministrazione». Quelle di allora, eran insomma, ignobili allarmismi dettati da un governo egoista e razzista, desideroso di respingere a cannonate i poveri migranti e pronto a spacciar per catastrofe l’approdo di qualche disgraziato.
Rassicurante come sempre la Boldrini tranquillizzava tutti. Non esistono - garantiva - fughe dalla Libia. Immaginare che decine di migliaia di immigrati tunisini abituati a incassar la paga da Tripoli venissero a cercar fortuna da noi era solo un’altra ignobile fola. Le affollate bagnarole dirette su Lampedusa non erano – ad ascoltar lei - figlie della guerra, ma il solito piacevole tram tram del Mediterraneo. «Nessun allarmismo, al momento non mi sentirei di dire – spiegava il 3 marzo - che è in corso un’emergenza... è un flusso solo di tunisini in partenza dalla Tunisia verso l’Italia. Dalla Libia non è partito nessuno». Vaglielo a dire oggi. «È fisiologico che la gente scappi dai conflitti. Dall’inizio della guerra – spiega al Messaggero - sono un milione e trecentomila gli immigrati fuggiti dalla Libia». Ma se sospettate una Laura in malafede, tranquillizzatevi. Non è prevenuta. Non ce l’ha con il governo. È solo sbadata. E opportunamente smemorata.



Non si può lasciar sola quella gente generosa. Le persone non sono carte
Avvenire, 22-09-2011
Marina Corradi
Il 3 settembre scorso la popolazione di Lampedusa aveva ricevuto un premio dal Lions club di Termini Imerese per la solidarietà e l’accoglienza dimostrata in questi mesi a profughi e migranti. Non ancora il Nobel per la pace alla quale anche questo giornale ha candidato lo slancio umano e la carità cristiana di una gente accogliente e paziente, ma un primo sacrosanto riconoscimento. Il sindaco dell’isola, nel ringraziare, aveva anche lanciato un appello, ripreso da tg e giornali: «Il centro di accoglienza di Lampedusa, con oltre 700 immigrati tunisini, è una polveriera pronta a esplodere», aveva detto. Ed era quasi venti giorni fa.
Da quel 3 settembre i tunisini sono quasi raddoppiati. Fino a che non è scoppiata la rivolta, il centro d’accoglienza incendiato, gli ospiti nordafricani in fuga per l’isola; e le sassaiole, e le cariche, e quelle cacce all’uomo che nascono nella esasperazione, e che trasformano anche i miti, in un accecamento di rabbia. Perché la stessa gente che ha sempre accolto profughi e migranti e naufraghi con la generosità di chi, nato su una piccola isola, conosce la terribile forza del mare, non può tollerare bande di uomini aggressivi fra le proprie strade, come è avvenuto ieri. Al punto che, per la paura, agli insegnanti si è ordinato di chiudere le porte delle scuole, con i bambini dentro.
E non può essere Italia un paese in cui ci si deve barricare nelle scuole, o dove gente finora pacifica arriva a prendere un bastone, e a pensare di doversi difendere da sola. Qualcosa nel meccanismo dei rinoscimenti di status e dei rimpatri in Tunisia, nei tempi, nelle lentezze burocratiche non ha funzionato; non si è colto l’allarme – come credendo che anche gli uomini, come le leggi e le carte, possano aspettare. Ma mille uomini reclusi in attesa del loro destino, non aspettano: e il miraggio sia pure fasullo e disperato dell’Italia, e le notizie dai primi compagni rimpatriati hanno generato la rivolta, e la guerriglia in un’isola normalmente in pace.
«È Italia anche questa», ha gridato il sindaco di Lampedusa davanti ai microfoni; come accade nella concitazione della piazza e nella rabbia, ha sbagliato i toni e le parole, poi se ne è scusato. Ma non si può ignorare quel suo appello accorato: «È Italia anche questa». Lembo di Italia in mezzo al Mediterraneo, in prima linea sulla frontiera della immigrazione, o della fuga da Paesi in guerra o poverissimi. Tanto più Italia quanto più crocevia di bisogni e di domande disperate; nodo rivelatore di solidarietà, umanità, ma anche di efficienza dello Stato. È difficile capire perché allarmi lanciati da tanti giorni a Lampedusa siano rimasti inascoltati, fino a lasciare degenerare la situazione. O forse invece è facile: pensando a quante volte da sempre in questo Paese certe emergenze sono rimaste ignorate, fino a quando una disgrazia o dei morti non abbiano ricordato che erano emergenze, davvero.
Come se qui, da sempre, nella forma mentis di chi governa e dei burocrati che ne applicano le direttive, restasse l’idea che – come le leggi, le carte e le circolari ministeriali – gli uomini possono aspettare.
Cosa che è sempre meno vera, in tempi di turbinosi cambiamenti e emergenze, come questi. Quando le Borse cadono, gli spread si impennano, il rating viene declassato, le Procure incalzano e il Governo ansima; e dunque, come si fa a ricordarsi di quella piccola isola laggiù, di quel nodo di speranze e disperazione. Di quei mille venuti dal mare, in impaziente e poi rabbiosa attesa. Dei bambini di Lampedusa, che ieri sono rimasti chiusi a scuola; della paura dei loro padri e madri – paura d’ essere stati lasciati, dall’Italia, soli.



Immigrati, Baglioni: ''Dal buonismo ai respingimenti nostre politiche confuse''
Roma - (Adnkronos/Ign) - Il cantautore a 'La Stampa': ''E' il limite delle nostre politiche dell'immigrazione". Caso Tarantini, Lepore al 'Fatto quotidiano': ''Nuove carte ci daranno ragione, inchiesta a Napoli''. Governo, Violante al 'Corriere': ''Quelle di Di Pietro parole da non pronunciare mai''
Roma, 22 set. (Adnkronos/Ign) - "Si passa dal buonismo sfegatato di parte del centrosinistra, che quando va al governo si rende conto che ci sono momenti in cui e' necessario usare la forza, alla durezza teorizzata dal centrodestra, che usa parlare solo di respingimenti". E' questo "il limite delle nostre politiche dell'immigrazione", secondo Claudio Baglioni che, in un'intervista a 'La Stampa', commenta la situazione dell'isola di Lampedusa, che il cantante frequenta da anni e dove organizza la rassegna artistica 'O scia''.
Lampedusa - assicura Baglioni - "non e' mai tornata alla normalita'. Diciamo pure che non era possibile. Ma tra gli spot pubblicitari che promettevano una grande stagione di mare e offerte da sogno per i turisti e la realta' di oltre mille immigrati tenuti a cuocere nel cosiddetto Centro di accoglienza, c'era grande differenza. Invece di tenere un monitoraggio costante - osserva - non si e' riusciti a distinguere tra i bisogni di chi arrivava dal Centrafrica, chiedendo solo un po' di carita', e le insidie dell'ultima ondata di tunisini, parecchi dei quali non erano certo per bene, e anche quando non erano appena usciti di galera, rivendicavano con arroganza, talvolta con minacce, di poter continuare il loro viaggio e raggiungere i Paesi francofoni".
Immigrati: sottosegretario Viale, a Lampedusa non arriverà più nessuno
"Sull'isola di Lampedusa non arrivera' piu' nessuno. In questo momento sono queste le disposizioni". Lo assicura il sottosegretario all'Interno con delega all'immigrazione, asilo e cittadinanza, Sonia Viale, in un'intervista a 'Il Messaggero', ricordando che "tutti gli immigrati presenti sull'isola saranno trasferiti in altri centri per poter essere rimpatriarti". E che "il piano-rimpatri proseguira' e non ci saranno rallentamenti".
Caso Tarantini: Lepore, nuove carte ci daranno ragione, inchiesta a Napoli
"Noi pensiamo che sia possibile presentare un'istanza al gip perche' revochi la sua decisione. La questione e' complessa, ma la Cassazione ci conforta con il suo orientamento. Ora restiamo in attesa di sapere cosa decidera' il tribunale del riesame sulla liberta' chiesta dagli indagati e aspettiamo la decisione del gip sulla nostra istanza di revoca". Lo dice in un'intervista al 'Fatto Quotidiano' il procuratore capo di Napoli, Giandomenico Lepore.
"La decisione del gip e' stata assunta sulla base di vecchie carte - spiega Lepore - Noi abbiamo depositato martedi' scorso al tribunale del riesame molti elementi nuovi. Non li avevamo trasmessi al gip perche' ritenevamo di non dover discutere questa questione ora. Ecco perche' ci sentiamo legittimati a sollecitare la revoca sulla base dei nuovi elementi. A nostro parere, alla luce delle nuove carte, non c'e' certezza sul luogo di consumazione del reato. E quindi resta competente Napoli".
"Non e' che vogliamo tenere l'indagine perche' ci piace - precisa il procuratore - Esistono delle regole. Se non e' certo il luogo dove e' stato compiuto il reato e se, come in questo caso, gli indagati sono residenti in luoghi diversi, rimane il criterio della Procura che ha indagato per prima, cioe' Napoli".
Governo: Violante, quelle di Di Pietro parole da non pronunciare mai
"Se le parole hanno un significato preciso, parole come quelle non vanno pronunciate". Lo dice, al 'Corriere della sera', Luciano Violante commentando il "ci scappa il morto" di ieri di Antonio Di Pietro. "Io ribatto che tutti i dirigenti politici al massimo della responsabilita'", dice l'ex presidente della Camera.
L'opposizione, poi, "deve mantenere i nervi saldi", dice ancora Violante, "questo e' il momento delle opposizioni proprio perche' la maggioranza sta evidenziando la propria crisi". Le frasi di Di Pietro, pero', non mettono in crisi il Nuovo Ulivo: "Direi di no. Tendo a giudicare la frase di Di Pietro un errore, gli errori si possono fare. Di Pietro ha commesso un'imprudenza. Pero', si tratta di un'imprudenza che non deve ripetersi", dice ancora Violante. Se capitasse ancora, "vorrebbe dire che non siamo davanti a un errore ma a una vera e propria linea politica. In quel caso tutto cambia".
Governo: Di Pietro, disperazione a livello di guardia
"Io ho solo scattato una fotografia dell'Italia vera. Sono passato da piazza Montecitorio. Ho visto gli sguardi imploranti degli operai della Irisbus. E non sono solo loro. Questo e' il Paese. E intanto, dentro il Parlamento, i sepolcri imbiancati parlano di Ruby, delle intercettazioni, del processo breve". Lo dice, a 'Repubblica, Antonio Di Pietro dopo il suo "ci scappa il morto" che ha scatenato la polemica.
"Quel posti sul mio blog l'ho scritto dopo aver visto la protesta in piazza. Vedo continuamente disperazione, paura per il futuro, terrore per posti di lavoro che saltano. E mentre il Paese brucia, Nerone sta chiuso a palazzo Grazioli: la sua Sirte. Questa indifferenza sommata a questa distanza aggrava la situazione", dice il leader di Idv.



Do you remember l’Emergenza-Show?
la Repubblica, 21-09-2011
Filippo Ceccarelli
Tanto per ricordare. Era la fine di marzo, appena sei mesi orsono, e una mattina il presidentissimo accorse a Lampedusa a mostrare che lo Stato era presente. C’era un caos tremendo e disse: “Entro 48 sarà tutto risolto”.
Quindi, indossato il costume di scena da Cavaliere Operativo (abito nero, camicia nera senza cravatta) improvvisò uno dei più formidabili comizi dell’era berlusconiana. E di nuovo, tanto per ricordare, promise ai poveri abitanti di Lampedusa: uno speciale regime fiscale, il rimboschimento dell’isola e dei campi da golf. Mentre elencava i suoi propositi, dalla folla una signora gli ricordò che c’era da tempo anche l’idea di costruire una scuola, ma su questo occorre ammettere che il premier fu abbastanza dubbioso perché “non si può fare tutto”.
Tanto per ricordare. Berlusconi quel giorno era di ottimo umore e quindi promise anche un casinò, una zona franca e un’area “a burocrazia zero per far ripartire l’economia”. D’altra parte, volle aggiungere che erano già stati commissionati a Rai e mediaset degli spot turistici per illustrare le bellezze di Lampedusa. E già tutto questo potrebbe bastare.
Ma le perle indimenticabili di quell’allegro comizio, le promesse delle promesse, furono una iniziativa che il Cavaliere battezzò “il Piano Colore”, una specie di riverniciatura universale delle abitazioni che avrebbe reso Lampedusa “simile a Portofino”, pensa te. E poi l’annuncio trionfale di essere divenuto “lampedusano”. E infatti raccontò di essersi messo “di notte” su internet e lì aveva individuato e acquistato una villa in loco: villa “Due Palme”, a Cala Francese. Così, se poi non mi vedete più qui,  volle specificare a futuro auto-monito, “potete venire a farmi le scritte sui muri”. (La storia controversa e il destino di tale acquisto immobiliare merita un post a parte).
Ma ci fu, in quel fantastico comizio, anche un’altra impegnativa promessa. E così, tanto per ricordare, sembra oggi il caso di segnalare che egli s’impegnò a proporre ufficialmente Lampedusa, “questa frontiera della civiltà occidentale”, per il Premio Nobel per la Pace. Seguì la consueta barzelletta, com’è ovvio dedicata alle signore del posto, sul campione di donne alle quali viene chiesto se vogliono fare l’amore con Berlusconi, e il 30 per cento risponde “Magari”, e il restante 70: “Ancora una volta?”.
Tanto per ricordare. In serata un barcone carico di immigrati colò a picco nel mare di Lampedusa. A detta dei superstiti erano annegate 11 persone.



Torino, un'altra rivolta degli immigrati Violenti scontri, agenti feriti, scappano in 22
Dopo la rivolta al centro di accoglienza di Lampedusa, disordini e tafferugli anche al Cie di Torino. Nella notte un gruppo di anarchici-antagonisti ha lanciato delle palline da tennis con dentro pizzini che incitavano gli immigrati alla rivolta. Poco dopo si è scatenata la rivolta. Lancio di oggetti, feriti alcuni agenti, 22 fuggono dal centro Per l'Istat è boom di immigrati
il Giornale, 22-09-2011
Torino - Un'altra rivolta di immigrati. Questa volta a Torino. Infatti al Cie del capoluogo piemontese nella notte oltre una ventina dii stranieri sono riusciti a fuggire. Dieci di loro sono stati arrestati. Si registrano feriti e contusi tra le forze dell’ ordine (tre agenti e quattro carabinieri, secondo fonte della Questura). Sembra che a scatenare la violenta protesta sia stata una manifestazione di appartenenti all’area anarco-antagonista che, attorno a mezzanotte, hanno iniziato a lanciare numerose palline da tennis all’interno del Centro di corso Brunelleschi e anche alcuni petardi. Nelle palline c’erano fogliettini che incitavano alla rivolta citando anche gli scontri avvenuti nel pomeriggio di ieri a Lampedusa. Poco dopo, all’interno della struttura è iniziata una violenta protesta in 4 delle 6 aree in cui gli immigrati sono ospitati: danneggiati i cancelli di ingresso e le porte dei moduli abitativi, il tutto accompagnato da un fitto lancio di oggetti metallici e calcinacci all’indirizzo del personale di vigilanza.
Fuggiti 22 stranieri Durante i disordini diversi stranieri sono riusciti a scavalcare le mura della struttura. Gli uomini della polizia e i carabinieri sono riusciti a rintracciare e arrestare dieci persone di varie nazionalità, fra cui Tunisia, Marocco, Algeria e Egitto per i reati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato. Altri 22 stranieri però sono riusciti a far perdere le loro tracce. Tra gli arrestati un clandestino algerino di 24 anni e un altro egiziano di 32 anni che, assieme ad altri, con una spranga di ferro lunga 78 centimetri, ha colpito alcuni agenti. Gli arrestati provengono da diverse nazionalità, fra cui Tunisia, Marocco, Algeria ed Egitto. le accuse nei loro confronti sono di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato.
Lampedusa, arrestati 4 extracomunitari Insomma, dopo la rivolta al centro di accoglienza di Lampedusa, i tumulti degli immigrati non si placano. E proprio a Lampedusa, la polizia di Stato di Agrigento ha fermato quattro extracomunitari che avrebbero partecipato alla rivolta di due giorni fa al Cie di Lampedusa, culminata con l’incendio di una vasta area della struttura. Oltre a loro, la polizia ha fermato anche altri sette uomini, quattro ritenuti scafisti, ed altri tre migranti irregolari già espulsi in precedenza. Ad emettere i provvedimenti è stato il procuratore ggiunto di Agrigento, Ignazio Fonzo. Gli extracomunitari arrestati sono stati trasferiti nel carcere agrigentino di Petrusa



Istat, boom immigrati 4,5 milioni (+7,9%): 335mila in più in 1 anno
Rapporto dell'Istat sulla popolazione straniera residente in Italia. L'aumento (335mila) riguarda soprattutto chi proviene dall'Est Europa e dal Sud est asiatico. Nel 2010 da genitori stranieri sono nati 78mila bambini
il Giornale, 22-09-20911
Roma - Gli stranieri residenti in Italia sono sempre di più. Al 1° gennaio 2011 sono 4.570.317, 335mila in più rispetto all’anno precedente (+7,9%). E' uno dei dati più significativi del rapporto stilato dall’Istat sulla popolazione straniera residente in Italia da cui emerge come il dato sulla presenza nel nostro Paese sia cresciuto nel corso 2010 soprattutto per effetto dell’immigrazione dall’estero (425 mila individui). Altro dato rilevante è quello sul numero di bambini nati da genitori stranieri: nel 2010 sono stati 78mila, il 13,9% del totale dei nati da residenti in Italia. L’aumento rispetto all’anno precedente, è stato dell’1,3%, valore nettamente inferiore a quello (+6,4%) registrato nel 2009.
Parallelamente a questo dato la quota di cittadini stranieri sul totale dei residenti (italiani e stranieri) continua ad aumentare: al 1° gennaio 2011 è salita al 7,5% dal 7% registrato un anno prima. Dato che al Nord-est arriva al 10,3%. Da questa percentuale vanno esclusi i 65.938 cittadini stranieri che nel corso del 2010 hanno acquisito la cittadinanza italiana. Acquisizioni aumentate dell’11,1% rispetto all’anno precedente.
I cittadini romeni, con quasi un milione di residenti (9,1% in più rispetto all’anno precedente), rappresentano la comunità straniera prevalente in Italia (21,2% sul totale degli stranieri). In aumento anche il numero dei cittadini dei Paesi dell’Europa centro-orientale (sia Ue sia non Ue): oltre alla già citata Romania, soprattutto Moldova (+24,0%), Federazione Russa (+18,3%), Ucraina (+15,3%) e Bulgaria (+11,1%). Anche i cittadini dei Paesi del sud est asiatico hanno fatto registrare incrementi importanti: Pakistan (+16,7%), India (+14,3%), Bangladesh (+11,5%), Filippine (+8,6%), Sri-Lanka (+7,6%). L’elevata crescita che ha interessato queste comunità è legata, tra l’altro, agli effetti dell’ultima regolarizzazione di colf e badanti, svoltasi nell’ultima parte dell’anno 2009, i cui effetti in termini di iscrizioni anagrafiche si sono fatti sentire maggiormente nel corso del 2010.
Distribuzione geografica Puntando la lente d’ingrandimento sulle singole regioni, emerge come i rumeni siano la comunità prevalente nel Lazio (dove rappresentano il 36,2% del totale degli stranieri residenti, pari a circa 196 mila individui), in Piemonte (34,4%, oltre 137 mila unità), in Lombardia (12,9%, quasi 138 mila persone), e in Veneto (20,2%, quasi 102 mila residenti). Gli albanesi predominano numericamente in Puglia dove, con quasi 23 mila presenze, costituiscono il 23,8% della popolazione straniera residente. I marocchini sono, invece, la prima comunità in Emilia-Romagna, con quasi 71 mila residenti (14,1%).



Raccolta firme alla Feltrinelli
Il sogno di Bersani: clandestini italiani subito
Libero, 22-09-2011
Francesco specchia
??? In principio fu l'onesta militanza armata: Giangi, l'editore "rosso" fondatore del Gap, che il 14 marzo 1972, salto su una bomba ai piedi d'un traliccio di Segrate. La svista d'una convulsa azione di-mostratíva, secondo alcuni; un omicidio attribuito alla Cia, secondo altri.
Anche se, in seguito, quelli di Segrate (leggi Mondadori) si sono pappati la Feltrinelli dell'omonimo intellettuale Giangiacomo, oggi l'ex editrice che fu comunista, prepara nuove iniziative popolari proprio contro quel Berlusconi titolare della sua maggioranza azionaria. Trattasi d'un'iniziativa per nulla armata, dio non voglia. Ma, certo, ficcante. Nel delirio delle crisi, dei processi e dell'intercettazioni, pochi s'avvedono che da oggi in piazza del Pantheon a Roma la Feltrinelli, con un suo banchetto, raccoglie firme per "L'Italia sono anch'io". Ossia per due proposte di legge di iniziativa popolare «per cambiare la normativa sulla cittadinanza ed introdurre il diritto di voto per gli stranieri residenti». Bene.
Sembrerebbe un guizzo alia Di Pietro. Ma la raccolta delle firme necessarie (6 mesi di tempo, obiettivo 50.000 in calce a ciascuna delle proposte) ha già avuto adesioni illustri. Per dire. È riapparso dall'oblio dei comunisti antichi Fausto Bertinotti presidente Fondazione Camera Deputati; ci sono gli scrittori Ascanio Celestini e Claudio Piersanti, e il presidente Acli Andrea Olivero e quello Arci Paolo Beni, e i rappresentati di Emmaus, delle Chiese Evangeliche, della Caritas, dell'Associazione Studi Giuridici sull'immigrazione Un coro di voci assolutamente trasversali. Sulle quali si staglierebbe la figura Pierluigi Bersani (salvo improvviso cambio di programma, non desueto di questi tempi) a benedire il tutto.
Ora, il fatto che tutto ciò scivoli sotto la pelle della cronaca politica non deve ingannare. Pure se s'intravvede del buono in un'iniziativa che cavalca i principi di diritto d'uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, la proposta, specie in questo momento politico, può ingenerare sospetti. Perchè è vero che si vuole "riformare la normativa sulla cittadinanza, aggiornando i concetti di nazione e na-zionalità sulla base dei senso di appartenenza ad una comunità determinato da percorsi condivisi di studio, di lavoro e di vita" (e quibisognerebbe conoscere i "parametri" del mitico" senso d'appartenen-za"). Ma è anche vero che le stesse proposte mirano a riconoscere" ai migranti il diritto di voto nelle consultazioni elettorali locali, quale strumento piü alto di responsabilità sociale e politica".
II "diritto di voto" immediate è una gran bella cosa. Ma, ad esser cattivi, ci si può vedere anche l'ennesimo tentativo di un paruto -il Pd- che rarefacendosi ed invecchiando i propri sostenitori (come nel Pdl), tenderebbe ad attingere ad un elettorato nuovo di zecca, potenzialmente non certo di destra. Un ennesimo tentativo bersaniano di mettere cappello su qualcosa di sinistra. In un momento in cui difettano gli attaccapanni...
 


Immigrati:la sfida democratica del futuro
il Riformista, 22-09-2011
Danilo Di Matteo
Sta iniziando la raccolta di firme per due proposte di legge di iniziativa popolare: una volta, in buona sostanza, a riconoscere la cittadinanza italiana ai minori, figli diimmigrati nati nel nostro paese, l'altra a estendere il diritto di voto alle amministrative agli immigrati che risiedano da noi da almeno cinque anni. Ciò potrebbe sollecitare i riformisti a meglio definire la propria posizione dinanzi alla questione immigrazione.
Il mondo cattolico, come noto, vede prevalere l'appello all'accoglienza. Altre comunità di fede, come quelle evangeliche, poi, scorgono nel fenomeno migratorio anche un'occasione per sottolineare l'esigenza di declinare al plurale la lettura dei mondo e dell'Italia di oggi, pure sul versante religioso.
Sono a tutti noti, naturalmente, d'altro canto, i conati di xenofobia suscitati dalla presenza degli "stranieri" e dalla piaga delia criminalità.
Un'altra posizione a suo modo interessante, delia quale, sotto l'incalzare di problemi più immediati, quasi ci si è dimenticati, è emersa un anno fa con il cosiddetto Manifesto di ottobre, promosso da intellettuali vicini a Gianfranco Fini e da pensatori di sinistra. Un appello neorepubblicano che esaltava l'inclusione e le virtù civiche, e scorgeva nei "nuovi italiani" un motivo per provare a estendere davvero la cittadinanza a tutti gli outsider. Era un po' il tema delia "forza rigeneratrice" degli immigrati per il nostro tessuto a
E noi riformisti? Finora abbiamo perseguito la linea dell'equilibrio, per cosi dire: provare a governare i Aussi migratori e nel contempo prepararei a vivere in una prospettiva multietnica. Un atteggiamento di certo pragmatico. Però forse dovremmo osare di più, sforzandoci di elaborare una visione strategica in merito.
Vi sono a monte del fenomeno squilibri immani, dei quali la povertà, l'instabilità geopolitica e l'esplosione demografïca rappresentano forse gli aspetti principali. E doveroso pertanto contribuire, come si suol dire, a un nuovo ordine internaziona-le o, per usare un'espressione più in voga, a una governance mondiale dei problemi. Senza però eludere con ciò il nostro dilemma: quale Italia per il futuro? E inoltre: fino a quando po-tremo quasi escludere dallo spazio pubblico una fetta di italiani di tradizione religiosa e culturale diversa dalla nostra? La questione di fondo è che la nostra rappresentazione délia situazione nazionale, il nostro immaginario sono talora assai distanti dalla realtà dei quartieri, delle scuole, delle fabbriche, delle campagne. Fino a quando tanti italiani "diversi" verranno considerati una sorta di "disguido del possibile" e non parte integrante del paese? Qualche anno fa avremmo confïdato nella nostra capacità di assimilare il dissimile, fin quasi a inglobarlo e "digerirlo". La sfida che abbiamo oggi dinanzi, invece, è evidentemente altra.

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Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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