Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 febbraio 2014

Un linguaggio comune per il Primo Marzo - La nostra Europa non ha confini
Questa è per noi la Carta di Lampedusa. Mobilitazioni a Milano, Niscemi, Padova, Bologna, Brescia, Calais, Amburgo ed in molte altre città
Melting Pot Europa, 25-02-2014
Fin dai primi momenti dopo la chiusura della tre giorni sull’isola per la stesura della Carta di Lampedusa ci era chiaro che la sfida era appena cominciata.
Sappiamo infatti che non basta certo scrivere una carta per modificare la realtà.
Perché ciò che sta scritto nella Carta di Lampedusa diventi realtà c’è bisogno della capacità di ognuno di farne strumento di allargamento, occasione per costruire percorsi di convergenza, possibilità di declinare i suoi contenuti nei territori e di proiettarli su un orizzonte transnazionale.
Non è retorica. Ce lo siamo detti centinaia di volte. La Carta di Lampedusa non è, e non è mai voluta essere, una rete che si sostituisce ad altre. E’ invece un tentativo di costruire orizzonte comune, intreccio, complicità.
Per questo, proprio a partire da questo spirito, ci sembra di poter dire che il primo punto della nostra agenda non può che essere quello legato al suo allargamento: la necessità di lavorare per farla sottoscrivere, di farla propria e condividerla con altri, di utilizzarla per costruire spazi comuni, come è avvenuto in queste settimane da molte parti. Chi ci crede, chi si riconosce in questa dichiarazione programmatica scritta dal basso, non esiti allora a farla vivere in assemblee, riunioni, spazi pubblici, mobilitazioni, percorsi quotidiani.
Perché se è vero che una Carta di per sé, non può cambiare nulla, è vero anche che la ricerca di convergenza, di discorso comune, di intrecci e sinergie, è oggi una necessità inaggirabile per chiunque si ponga il problema di trasformare l’esistente. Inventarsi un modo nuovo di stare insieme, non è infatti secondario. E la tre giorni sull’isola è stata anche questo. Un esperimento che, pur con i suoi limiti, ha abbozzato una nuova forma possibile di relazione, l’embrione di uno spazio capace di valorizzare le differenze invece di appiattirle o peggio, renderle ostacoli; un confronto che, anche per lo spirito con cui si è svolto, ha saputo ribaltare i rituali classici delle assemblee di rappresentanza producendo una discussione trasversale su obiettivi e strategie.
Il risultato è un documento che non lascia scampo ad ambiguità, nei temi e nei linguaggi. E non è certo cosa da poco visto che, proprio le ambiguità, sul terreno dell’immigrazione, dell’accoglienza e dei diritti di cittadinanza (vedi la questione dell’umanizzazione dei CIE o della retorica dell’umanitario), hanno caratterizzato troppo spesso il dibattito, anche dei movimenti e dell’associazionismo.
Allo stesso modo ci sembra di poter dire che la spinta propulsiva della Carta di Lampedusa, la sua tensione europea e mediterranea (non la rappresentazione dei movimenti europei ma un contributo al loro allargamento), la sua ambizione trasformativa, siano già all’opera. L’abbiamo già toccata con mano pochi giorni fa a Ponte Galeria, a Mineo e ad Ancona, e potremo farlo ancora nei prossimi giorni con la mobilitazione del primo marzo quando, in moltissime città italiane, tante vertenze, numerose battaglie, diverse istanze, avranno l’occasione di esprimersi in maniera diffusa ma comune. Proprio a Lampedusa è arrivato l’appello dei rifugiati accampati in piazza ad Amburgo per una mobilitazione unitaria che si intreccia al percorso che negli ultimi anni ha caratterizzato il primo marzo. Noi non abbiamo potuto fare ameno di raccoglierlo.
Così a Niscemi, a Milano, a Padova, a Bologna, a Brescia a Calais ed in molte altre città europee, migliaia di persone scenderanno in piazze per dare corpo a piccole e grandi rivendicazioni: da quelle dei lavoratori della logistica a quelle dei rifugiati senza futuro, dalle istanze degli sfrattati a quelle legate ai permessi di soggiorno, da quelle contro il razzismo a quelle di chi rivendica una nuova Europa, libera dai confini e dall’austerità.
Proprio questo ultimo punto, quello legato all’Europa, ci pare assolutamente prioritario. Perché se l’Europa di Bruxelless e Strasburgo è lontana, un ripiegamento delle nostre istanze sul piano nazionale, non potrebbe che risultare una gabbia. Al contrario è proprio un allargamento dell’orizzonte dei movimenti, sul piano immediatamente europeo e mediterraneo, a poterci offrire l’occasione di andare verso una radicale trasformazione dell’Europa, dei suoi confini, del suo ruolo. E’ a partire da questo che gli stessi movimenti europei stanno costruendo un’agenda di mobilitazioni per i prossimi mesi. Dal primo marzo al primo maggio, dalle mobilitazioni di blockupy alla marcia europea che alla fine di giugno ci porterà a Bruxelless per rivendicare la libertà di movimento.
Ma quello delle piazze e delle vertenze non è l’unico terreno di espressione della Carta di Lampedusa. Perché se è vero che il piano delle lotte è il motore centrale di un potenziale cambiamento, è vero al tempo stesso che la trasformazione non può che assumere le sembianze di un processo complesso, che investe l’ambito sociale, culturale, economico, e politico.
Non è un caso che intorno alla Carta di Lampedusa si stiano sviluppando percorsi nelle scuole, progetti artisti e culturalin incontri di studi e che, al tempo stesso, sia nata la necessità di sperimentarsi anche sul terreno della codificazione normativa delle istanze proposte.
Dal primo marzo nelle piazze europee, agli studi giuridici per la forzatura del quadro giuridico comunitario: questa è per noi la Carta di Lampedusa. Ed è per questo che il prossimo primo marzo le nostre piazze parleranno un linguaggio comune che invitiamo tutti a fare proprio:
    Our Europe is without borders! La nostra europa non ha confini!



Il valore di una presenza migrante
il manifesto, 25-02-2014
Aldo Garzia
Calendario del popolo. Cittadinanza, intercultura, «ius soli». Solo solo alcune parole chiave per analizzare un fenomeno affrontato come un’emergenza continua
Quando Sandro Teti decise di raccogliere il testimone di suo padre Nicola, scomparso nel 2010, tentando il rilancio del Calendario del Popolo, prestigiosa rivista comunista nata nel 1945 con l’obiettivo di alfabetizzare la base popolare del Pci, l’impresa sem­brava impossibile. Bisognava rinnovare nel profondo il progetto iniziale di Giulio Trevisani, primo direttore. Tredici numeri di una nuova serie come trimestrale iniziata già nel dicembre 2010 sono invece la dimostrazione che la rivista ha ritrovato un suo spazio e può guardare al futuro con grafica accattivante, collaboratori vecchi e nuovi oltre ad argomenti tematici di attualità. Funziona tra l’altro la struttura editoriale data a ogni singolo numero: dossier centrale dedicato al tema scelto, accompagnato da rubriche e altri articoli che completano l’indice insieme a qualche saggio ripreso da un invidibile e sterminato archivio.
Nel numero 762 la monografia ha come titolo «Nuovi italiani». Si approfondiscono parole chiave come frontiere, intercultura, scuola, diritti, cittadinanza con più punti di vista partendo dalla constatazione che ormai siamo di fronte a generazioni di nuovi italiani nati da genitori approdati nel Bel paese in cerca di fortuna e di miglioramento della propria condizione di vita mate­riale. Cécile Kyenge, ex-ministro per l’Integrazione, nell’editoriale che apre il dossier, affronta le varie sfaccettature della questione migratoria cercando di mettere al centro la persona immigrata senza particolari distinzioni.
Gabriella Pierre Louis ragiona sulle società meticce del nostro tempo partendo da alcune constatazioni: l’elezione lo scorso novembre di Bill de Blasio, figlio dell’emigrazione italiana, a sindaco di New York dopo quella del «nero» Barack Obama a inqui­lino della Casa Bianca per due mandati; l’elezione di papa Francesco sul soglio di Pietro, anche lui figlio di emigranti italiani; la presenza di Kyenge nel governo Letta. Tutto questo dovrebbe parlare al nostro immaginario più di cento analisi sociologiche su cosa sono diventate le società del presente e del futuro. Martino Pillitteri racconta l’esperienza di Vita, mensile del non pro­fit, quando si è deciso nel 2007 di dare uno spazio alla scrittura dei ragazzi di seconda generazione migratoria. Dal 2011 c’è perfino una versione online di Yalla Italia (www?.yal?lai?ta?lia?.it) che illustra le aspettative di chi nato in Italia vorrebbe sen­tirsi cittadino italiano a tutti gli effetti pur mantenendo molti tratti delle proprie origini identitarie. Fred Kuwornu, nato a Bologna, figlio di un chirurgo ghanese giunto in Italia e di una casalinga tosco-emiliana di origini ebraiche, racconta come da alcuni anni abbia intrapreso una ricerca per dimostrare come sarebbe utile anche in Italia una legislazione ispirata allo ius soli.
Sono molte le voci narranti di questo numero del Calendario. Da qui l’efficacia dei diversi approcci. Arbë Agalliu pone il tema della scuola, che dovrebbe essere luogo principe di integrazione per i migranti più giovani ed è invece territorio privo di poli­tiche specifiche per favorire la interculturalità. Uguale questione è affrontata da Simonetta Salacone.
L’Italia, dove gli immigrati non raggiungono il 10% dell’intera popolazione, a differenza di ciò che accade in Germania o Svezia, resta smarrita di fronte al fenomeno immigratorio che ha ormai almeno un ventennio e non può più essere interpretato con l’eterna categoria dell’emergenza. Valentina Brinis e Luigi Manconi, ad esempio, scrivono: «L’attuale legge che regola la cittadinanza è assolutamente da riformare perché, così com’è, non corrisponde alla reale composizione della società italiana in cui il numero di persone nate qui da genitori stranieri, è ormai consistente». Maria Immacolata Macioti si sofferma sulla «migrazione al femmi­nile». Jacopo Storni lancia un motivato grido d’allarme su come funzionano i Cie (Centri di identificazione ed espulsione) nati nel 1998 sulla scia della legge sull’immigrazione che recava le firme di Giorgio Napolitano e Livia Turco, chiamati all’inizio Centri di permanenza temporanei. Di diritto d’asilo, in particolare in rapporto alle relazioni con la Libia, si occupa Fulvio Vas­sallo Paleologo. Degli esperimenti di integrazione in corso in Calabria scrive Vito Teti.
Completano il dossier del Calendario due interviste: a Moni Ovadia e a Luca Artesi, managing director di Babel, il canale televi­sivo dedicato ai migranti che trasmette dalla posizione numero 136 della piattaforma di Sky. Non mancano riferimenti alla neces­sità di superare la legge Bossi-Fini del 2002, agli episodi che si sono verificati a Lampedusa (le centinaia di morti per mancato soccorso) e nei Centri di identificazione ed espulsione (le bocche cucite con il filo da sutura). Annota Ovadia: «Quelle immagini faranno la stessa impressione che fanno oggi le foto dei lager». Citazione a parte meritano infine le belle foto di Andrada Pedre­scu che illustrano questa rivista avviata a nuove fortune editoriali (www?.calen?da?rio?del?po?polo?.it).



Immigrazione clandestina e «carte» false arrestati un avvocato e la sua segretaria
Indagate anche 19 persone. Facevano parte di un'organizzazione che «produceva» permessi illeciti
Corriere della sera, 25-02-2014
PADOVA - Un avvocato padovano e la sua segretaria sono stati arrestati per favoreggiamento e sfruttamento dell'immigrazione clandestina dalla Polizia di Stato di Padova che ha denunciato altre 19 persone. L'operazione è la conclusione di un'indagine, denominata «Legal Point» e coordinata dal sostituto procuratore Sergio Dini. La squadra Mobile ha denunciato altre 19 persone, che facevano parte dell'organizzazione, indagate in concorso per favoreggiamento e sfruttamento dell'immigrazione clandestina, permanenza di stranieri irregolari in Italia, mediante false regolarizzazioni.
Dall'inchiesta è emerso che lo studio legale era al centro di un sistema di illeciti interessi tra stranieri e italiani per falsificare le pratiche di emersione (in particolare la sanatoria 2012) con falsi rapporti di lavoro, documentazioni create ad arte e con il supporto di ditte compiacenti, procedure illecite che garantivano una permanenza «pulita» in Italia a stranieri irregolari in cambio di cospicue somme di denaro. Le centinaia di truffe documentali hanno riguardato non solo colf e badanti, ma anche i cosiddetti tirocini formativi di orientamento, che non rientrano nelle quote di ingresso. La polizia ha, tra l'altro, eseguito nei confronti di altri indagati una serie di perquisizioni in uffici e abitazioni, dove sono stati acquisiti documenti ora al vaglio degli inquirenti. Sono stati posti sotto sequestro alcuni locali dello studio legale.



Australia, lotta agli immigrati
Vengono rinviati in centri di ritenzione situati all'estero
ItaliaOggi, 25-02-2014
Ettore Bianchi  

L'Australia tiene duro nella lotta agli immigrati clandestini che arrivano via mare. La strategia del governo di Canberra prevede che essi vengano bloccati prima di mettere piede sul suolo australiano e rispediti ad alcuni centri di ritenzione, come quello che si trova in Papua Nuova Guinea, dove però si sono verificati episodi di rivolta.
È la marina australiana a occuparsi direttamente della gestione delle emergenze, scortando le imbarcazioni in cerca di fortuna fino alla dogana, dove vengono distribuiti cibo e acqua.
Successivamente vengono condotti ai centri. Ai profughi viene consegnato un documento che certifica il loro ingresso illegale in territorio australiano: ciò giustifica la loro detenzione. I testimoni parlano di scene da film dell'orrore. Recentemente una trentina di detenuti ha tentato la fuga, ma è stata bloccata dalle guardie. È quindi scoppiata una rivolta, che ha avuto come conseguenza la morte di un immigrato. Un'ottantina di loro ha riportato ferite. Il ministro dell'immigrazione, Scott Morrison, ha parlato di «tragico e sfortunato incidente, almeno per una persona».
L'operazione Confini sovrani è stata voluta dal primo ministro Tony Abbott, che in campagna elettorale l'anno scorso aveva promesso di fermare i battelli. Da allora si sono inasprite le condizioni all'interno dei centri. I detenuti sostengono che il personale è cambiato e molte guardie li trattano come criminali. Il loro unico obiettivo era quello di farli partire. Ai profughi illegali restano soltanto due alternative: finire a tempo indeterminato nel centro di ritenzione oppure tornarsene al loro paese.
In un primo tempo la marina era incaricata di intercettare i battelli, di scortarli verso l'isola di Christmas e da lì, nell'arco di 48 ore, al centro in Papua Nuova Guinea. Ultimamente, invece, a chi richiede asilo viene chiesto di fare marcia indietro dopo aver fornito benzina per il viaggio. Il messaggio è chiaro: qui non vi vogliamo affatto.
All'inizio dell'anno la marina ha acquistato alcuni canotti di salvataggio per semplificare le operazioni di rinvio dei profughi. Essi vengono accompagnati a destinazione. A esplodere è stato soprattutto il fenomeno delle persone rimandate in Indonesia. Alle proteste di chi accusa i militari australiani di un trattamento disumano nei confronti degli immigrati, il premier Abbott ha ribattuto che, se siamo in guerra, non si possono diffondere notizie ai nemici. E il 60% dei cittadini è favorevole a condizioni ancora più dure nei confronti dei clandestini in arrivo.
Le cifre ufficiali parlano di una diminuzione degli arrivi nell'ordine dell'80% dalla partenza dell'operazione Confini sovrani. Sarah Hanson-Young, incaricata del dossier immigrazione per gli ecologisti australiani, sostiene che il governo è ossessionato dall'idea di respingere i rifugiati invece di aiutarli. Amnesty International e Human Rights Watch hanno chiesto chiarimenti a Canberra, parlando di violazioni degli obblighi, in virtù della Convenzione sui rifugiati e di altri doveri legati al diritto internazionale. Ma il ministro Morrison non cambia idea e afferma che i militari stanno facendo un ottimo lavoro per la nazione.

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