Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

30 ottobre 2014

Immigrati, via all`operazione Triton due porti italiani con presidi sanitari
Il Messaggero, 30-10-14
Val.Err.
ROMA Due pattugliatori italiani e due o tre porti siciliani, ancora da indicare, con presidi sanitari del ministero per la Salute, che si occuperanno dello screening medico preventivo dei migranti in arrivo. Questo il progetto di massima e la misura della partecipazione italiana a Triton, la nuova missione targata Frontex nelle acque del Mediterraneo. Il giorno è oggi. O almeno dovrebbe essere. In giornata, il consiglio dei ministri dovrebbe dare l`adesione a Triton ponendo ufficialmente fine, se pure gradualmente, alla missione umanitaria Mare`nostrum.
All`incontro di ieri, tra i tecnici di Viminale, ministero della Difesa, ministero della Salute e ministero degli Esteri, le parole dell`ammiraglio Filippo Maria Foffi, comandante in capo della flotta navale italiana e primo responsabile dell`operazione Mare nostrum, che aveva in qualche modo smentito il ministro Angelino Alfano dicendo che la missione sarebbe andata avanti, ufficialmente, sono state ignorate. All`incontro, per fare il punto sugli aspetti operativi della nuova fase, c`è stato solo qualche commento a margine. La dichiarazione da Palermo del di Alfano, poi, ha chiuso la questione in «La Marina ha precisato che non c`è alcuna polemica e che si va avanti di comune accordo». Finisce così l`operazione umanitaria e parte quella europea di contrasto all`immigrazione clandestina. I tempi, per l`interruzione di Mare nostrum, saranno dettati dal Viminale, che gestirà, anche rispetto all`Europa, l`intervento italiano.
Alla fine, la partecièpazione dell`Italia sembra sia davvero limitata ai due pattugliatori e ai controlli sanitari.
 


Sbarchi e arrivi, è caos sulle regole
Avvenire, 30-10-14
Nello Scavo - Ilaria Sesana
Non interrompere l’operazione Mare Nostrum che ha permesso di salvare 153mila persone. È la richiesta presentata da diverse organizzazioni che si occupano di migranti, e che chiedono all’Italia di non sottrarsi alla responsabilità di salvare vite umane. Il documento, che verrà presentato ufficialmente domani a Roma, è stato firmato da diverse realtà tra cui Acli, Arci, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cnca, Comunità di Sant’Egidio, Emmaus Italia, Fondazione Migrantes, Libera, Rete G2, Save the children.
Il timore delle associazioni è che, a fronte di una difficile situazione in Libia e del continuo esodo di profughi dalla Siria e dall’Eritrea, si ripetano nuove stragi in mare: i pattugliamenti coordinati da Frontex nell’ambito dell’operazione Triton si limiteranno alle acque territoriali italiane. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, però è categorico: «Ho sempre detto che Mare Nostrum non avrebbe fatto il secondo compleanno e non lo farà. Mare Nostrum chiuderà perché era un’operazione di emergenza».
Mare Nostrum chiuderà. Ma nessuno sa dire quando. Un’incertezza che irrita non poco i vertici della Marina e della Guardia Costiera, che più volte hanno ribadito il desiderio di poter continuare nelle operazioni di ricerca e salvataggio ma che non hanno ancora ricevuto indicazioni chiare sul "dopo" Mare Nostrum. Triton, la missione di protezione delle frontiere voluta dall’Unione europea attraverso l’agenzia Frontex, partirà l’1 novembre. Ma tra gli specialisti vi è la certezza che l’arretramento dell’Europa dalle acque del Mediterraneo aggraverà i pericoli per le migliaia di migranti pronti a salpare dalle coste libiche e da alcuni porti egiziani.
Solo quest’anno, malgrado l’opera delle navi della Marina Militare, nel Mediterraneo sono morte più di 3mila persone. Facile prevedere che, a fronte di una minore attività di soccorso, il numero delle vittime in futuro sarà molto più alto.
Ieri, intanto, si è svolto a Pratica di Mare un vertice operativo tra uomini del ministero dell’Interno, della Difesa, e delle diverse forze armate impegnate nelle acque del Canale di Sicilia. L’esito, a quanto trapela, è stato sconfortante. Nessuna chiarezza sui tempi della "dismissione" di Mare Nostrum, con il rischio che alcuni mezzi di Marina e Guardia Costiera si trovino al largo delle coste italiane senza sapere con precisione a quali regole attenersi: quelle di Frontex, che limitano il pattugliamento, oppure quelle della missione italiana.
Quel che è certo è che il flusso dei profughi in fuga dalla Libia non si arresterà. Probabilmente ci sarà un calo degli sbarchi, dovuto all’arrivo dell’inverno. Ma non si bloccherà. «Fino a quando la situazione nel Paese non si stabilizzerà, le partenze continueranno – sottolinea don Mosé Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia –. E quando verrò contattato da un’imbarcazione di profughi eritrei in difficoltà chiamerò, come faccio sempre, la guardia costiera italiana o maltese». Anche la blogger siriana Tytty Cherasien continuerà a tenere i contatti con i profughi siriani che fuggono dalla guerra civile «ma le difficoltà per me e per Nawal Soufi, un’altra volontaria con cui gestisco le telefonate, aumenteranno molto – spiega –. Certo, possiamo continuare a chiamare la guardia costiera, ma non sappiamo quali saranno le procedure con cui viene passato l’allerta a Frontex».
La situazione Libia resta molto complessa. Molti centri di detenzione siano stati chiusi o abbandonati e le persone che erano detenute lì siano oramai sull costa. «Altro elemento preoccuapante, il fatto che in Libia quasi non si trovano più barche adatte per prendere il mare – aggiunge Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati –. L’eventuale chiusura di Mare Nostrum ci preoccupa molto: il rischio è di far cessare un’operazione di salvataggio in alto mare, dove è più elevato il rischio di naufragi, senza avere un sostituto».



Il no di Londra a Triton, i morti dell’«Arandora Star» (1940)
Lasciare affondare? Quel precedente inglese...
Avvenire, 30-10-14
Giovanni Grasso
Ha fatto qualche rumore il sostanziale «lasciamoli pure affondare» scandito l’altra sera dal governo del premier inglese Cameron. È riferito ai barconi di profughi del Mediterraneo, ed è conseguenza della decisione di Londra di sfilarsi da "Triton" cioè dal pattugliamento e dai salvataggi in mare che la Ue si è infine risolta a organizzare, pur affievolendo l’impegno italiano di "Mare Nostrum". «Queste operazioni di soccorso creano un fattore di attrazione», si dice ora a Londra. Dunque, è meglio che "pochi" muoiano e molti siano dissuasi... Questo fa venire in mente un triste e poco noto precedente di un passato ancora recente, che non fa onore alla storia del Regno Unito.
Era appena scoppiata la seconda guerra mondiale. E il governo inglese stabilì di usare il pugno di ferro nei confronti di tutti gli italiani di sesso maschile, tra i 16 e i 75 anni, presenti all’interno dei confini del Regno, per il timore che tra loro potessero esserci delle spie. Tra questi italiani ce ne erano, invece, molti che lavoravano in Inghilterra da diversi decenni, che avevano sposato donne inglesi e i cui figli combattevano nelle file dell’esercito di Sua Maestà. E c’erano anche numerosissimi esuli – ebrei compresi – che avevano lasciato l’Italia per sfuggire alle persecuzioni fasciste.
A tutti però, antifascisti o meno, fu posta la seguente alternativa: o essere rinchiusi in campi di internamento oppure partire per l’oltreoceano. Tra le vittime più illustri di questa politica indiscriminata del sospetto e dell’espulsione ci fu anche don Luigi Sturzo, fondatore del Partito popolare e luminosa figura di antifascista, costretto a lasciare la casa londinese nella quale aveva trovato riparo nel 1924 e a partire per gli Stati Uniti d’America. Stessa sorte toccò ai tedeschi e agli austriaci che si trovavano sull’isola, indipendentemente dalle idee politiche professate e dal radicamento familiare.
Un gruppo di 1.500 uomini tedeschi, italiani e austriaci, ragazzi di 16 anni compresi, fu fatto partire da Liverpool nel luglio del 1940, destinazione: un campo di concentramento in Canada. Tra questi solo un’ottantina di prigionieri di guerra. Furono tutti ammassati in condizioni disumane su una nave da crociera, l’Arandora Star, trasformata in una prigione galleggiante.
La nave fu lasciata partire senza scorta e, inspiegabilmente, senza alcuna insegna che potesse farla individuare come adibita al trasporto di civili.
Il 1° luglio del 1940 l’Arandora Star fu silurata da un U-boot tedesco al largo dell’Irlanda: era stata scambiata per una nave da guerra. Morirono affogati 800 "internati", più della metà italiani. Tra questi, solo per fare un nome, il sarto forlivese Decio Anzani, antifascista di lungo corso e segretario della sezione londinese della "Lega italiana dei diritti umani".
Ai familiari delle vittime non fu mai riconosciuto un indennizzo. Né parole ufficiali di scuse sono state mai pronunciate negli anni dal governo di Londra. Sturzo scrisse a proposito di questa dissennata decisione inglese: «Dal 10 giugno del 1940 in poi il governo inglese perdette la testa: tutti coloro che avevano la cittadinanza italiana, pur risiedendo nel Regno Unito da 30 a 40 anni, furono ritenuti nemici (…). Anch’io, esule, antifascista, ammalato, a 69 anni di età, sarei dovuto andare in un campo di concentramento come straniero-nemico. Una imbarcazione di cotesti infelici, in maggioranza del quartiere di Soho, fu inviata senza scorta al Canadà, sull’Arandora Star, e finì silurata (…). Pochi si salvarono».
Non vorremmo che, nonostante il triste e disonorevole precedente, a fronte del populismo e della xenofobia montante in settori dell’elettorato d’Oltremanica, il governo di Sua Maestà britannica avesse nuovamente perso il lume della ragione.



IN LIBIA ; DOVE INIZIA L'ESODO
RePortage dalla «città imbuto» in cui affluiscono i migranti`da Mali. Niaer e Somalia che vengono stipati sulle carrette del mare dirette in Italia. «Ci trattano come schiavi».
Panorama, 30-10-14
Mauro Mondello - da Zuwarah (Libia nord-occidentale)
La colonna di camion arriva da sud. Entra in città squarciando il silenzio. Nella notte le strade di Zuwarah rimbombano del suono metallico di un motore allo stremo. La carovana sembra sbucare dal nulla, eppure ha percorso migliaia di chilometri nel deserto. Dentro ai cassoni stanno stipati come formiche decine di uomini, donne, bambini. Vengono dal Mali, dal Niger, dalla Somalia: dall`Africa subsahariana che continua a bussare alle porte dell`Europa. È una processione in viaggio da settimane, a volte da mesi e in qualche caso da anni. Il percorso verso la terra promessa, la costa libica, e il sogno di una barca in direzione di Lampedusa, non è mai diretto: per la strada si susseguono razzie, pestaggi, soprusi di ogni genere perpetrati dalla polizia e dalle bande criminali.
I migranti raccontano di uomini fatti schiavi e bloccati in attesa di racimolare il denaro necessario per continuare il viaggio: messi al lavoro come camerieri, raccoglitori di datteri, scaricatori. Dalla mattina alla sera, per non morire di fame e con la promessa di un biglietto verso Zuwarah. «Io ho lavorato 6 anni per mettere da parte mille dollari per il camion e altri 4 mila per la barca e per quel che sarebbe venuto dopo» racconta Cesar, 26 anni, originario di Abéché, una città del Ciad centrorientale.
Cesar è partito con tanti altri disperati. «Dopo tre giorni ci ha fermato gente armata, non so se polizia oppure criminali: è difficile capire la differenza. Avevamo appena passato il confine a Toummo, un villaggio a una manciata di chilometri dal Niger, e mi hanno portato via tutto: soldi, telefono, orologio, scarpe. Sono rimasto senza nulla, così come mi vedi. Ho chiesto in prestito il denaro per la barca a un amico che viaggiava su un altro camion una cinquantina di chilometri dietro di noi; ho promesso di ridarglieli quando avremo raggiunto l`Italia. Altri sono stati meno fortunati, sono bloccati a Toummo e chissà quando ripartiranno».
Zuwarah è un luogo antico e martoriato: palazzi bianchi e azzurri spesso segnati dai colpi di mortaio, dalle cannonate esplose durante le battaglie della guerra civile libica fra miliziani e ribelli. Percorrendo il corso principale della città, Soleman Al Street, si entra in un labirinto di checkpoint, filo spinato, pneumatici e sacchi di sabbia, un dedalo controllato dagli uomini delle milizie di Misurata e dalle forze islamiste moderate, decisi a prendere il controllo della regione. Oggi Zuwarah, per molti, è la destinazione della vita, un luogo dove ci si gioca tutto, dentro o fuori, alla ricerca di una nuova esistenza: secondo Frontex, l`Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne, 45 mila persone sono partite da queste coste, dal 2013 a oggi. Un giro d`affari di oltre 100 milioni di euro per i criminali della zona, legati alle milizie dei ribelli contro Gheddafi.
Arrivato in città, il convoglio si dirige rapido verso la periferia; il punto di arrivo è un capannone abbandonato dove scaricare i migranti, oppure, quando va bene, un vecchio palazzo disabitato e fatiscente. Sono i centri di smistamento. Qui gli scafisti gestiscono le partenze: un nuovo incubo per i migranti. Qui i prigioneri vengono picchiati e torturati. La violenza è frutto dell`odio storico dei libici verso le popolazioni nere d`Africa, che durante e dopo la guerra libica ha causato centinaia di morti.
«Io ero in Libia con la mia famiglia nel 2011, quando è scoppiata la guerra» racconta Adane, un ragazzone etiope nero, con gli occhi grandi e uno sguardo che sembra triste da tutta la vita. «Con mia moglie eravamo arrivati dieci anni fa per raggiungere dei parenti. Si stava bene: lavoravamo, avevamo la casa, la macchina, i nostri due bambini andavano a scuola. Io facevo il meccanico in un`officina a sud di Tripoli».
Come Adane, in Libia gli immigrati erano tantissimi e da ogni parte del mondo: non solo africani, ma anche arabi e filippini, srilankesi, cingalesi... «La Libia era un eldorado» continua l`uomo. «Io guadagnavo 500 dollari al mese, una fortuna. In Europa ci volevo andare, certo, ma con l`aereo: per vedere Roma, Parigi, Madrid da turista».
Poi però è cambiato tutto. «La guerra civile ci ha spinto verso il confine tunisino, a Sfax» continua Adane. «Siamo stati lì per 6 mesi, ma quando sono finiti i soldi non c`è rimasto altro che venire a Zuwarah e tentare la fortuna. A prendere una barca avrei fatto meglio a provarci subito. All`inizio qui si partiva senza pagare: Muammar Gheddafi spediva i rifugiati verso Lampedusa come strategia contro l`Europa. Oggi invece sono in mano a gente priva di scrupoli. Non so cosa sarà di me e dei miei figli».
Chi può pagare il biglietto, dai mille ai 3 mila dollari, viene imbarcato in una decina di giorni. Per tutti gli altri si aprono invece le porte del contrabbando con la Tunisia, in attesa di mettere insieme il necessario per acquistare un gommone da 20 cavalli e tentare la sorte. Qui si commercia qualsiasi cosa: cibo, telefoni cellulari, soprattutto carburante, comprato in Libia per pochi centesimi al litro e poi trasferito in Tunisia per essere venduto a una cifra cinque volte superiore. Si passa per il deserto, percorrendo i sentieri lungo la frontiera: le forze di sicurezza libiche e tunisine di pattuglia si girano dall`altra parte; a Zuwarah il traffico illegale costituisce la base dell`economia, l`unico impiego disponibile in un`area desolata e ormai ridotta a zona franca. L`imbarco avviene di mattina presto.
I trafficanti arrivano all`alba, caricano i migranti e sfrecciano verso la costa. Auto, furgoni, carrette stracolme di persone si incontrano sulla spiaggia. I migranti si guardano spaesati mentre gli scafisti urlano ordini e spintonano. Un gozzo, una barca di legno, e quando si è fortunati un peschereccio vecchio e malridotto, vengono riempiti sino all`ultimo centimetro. Non si possono imbarcare bagagli, soltanto qualcosa da mangiare e una bottiglia d`acqua che comunque non servirà a molto: la traversata è lunga e chiunque voglia sopravvivere sarà costretto a bere acqua di mare.
Ai migranti viene consegnato un telefono satellitare: con quello, una volta arrivati in acque italiane e abbandonati dagli scafisti, dovranno chiamare la Guardia costiera. «Arriveranno e vi porteranno in salvo, non preoccupatevi» dicono i trafficanti. «Fra poche ore saremo a Lampedusa e sarà tutto finito» continuano a ripetere le centinala di esseri umani stipati dentro a un carretta, nel mezzo del Mediterraneo.



Immigrati, l’Italia attrae sempre meno
Avvenire, 30-10-14
V. D.
Sono sempre meno “stranieri”, gli immigrati in Italia: regolari, con la cittadinanza in tasca e la famiglia già arrivata da lontano, coi figli a scuola e i contributi lavorativi che preparano la pensione. La fotografia scattata dal Dossier statistico immigrazione 2014 – per il secondo anno commissionato all’Idos di Franco Pittau dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) della presidenza del Consiglio – parla chiaro: nel nostro Paese l’immigrazione è un fenomano sempre più strutturale e incardinato, per così dire. Al punto che si registra un vero e proprio boom di nuovi italiani: le acquisizioni di cittadinanza in un anno sono passate da 65mila a più di centomila. Un vero record, a fronte di un’altra novità assoluta: cala il numero di chi arriva da noi per lavorare e di chi si stabilisce al Nord.
Il Dossier stima che gli immigrati presenti in modo regolare in Italia all’inizio del 2014 sono 5.364.000, in aumento rispetto ai 5.186.000 del precedente rapporto. Le donne sono il 52,7%, i minori oltre un milione (e più di 802mila gli iscritti a scuola), il 9% del totale ma ben il 20% in città come Piacenza e Prato. L’incidenza dei residenti stranieri sulla popolazione totale ha raggiunto l’8,1% e in 27 province supera il 10%, con punte massime in alcuni piccoli comuni, tra i quali spicca Baranzate in provincia di Milano (31%).
Ma se la quota maggiore risiede nelle regioni del Nord, in realtà negli ultimi anni le percentuali in queste regioni sono diminuite, mentre sono salite al Centro e al Sud.
Rispetto al periodo pre-crisi, i flussi d’ingresso di nuovi lavoratori sono molto diminuiti: nel 2013 i visti rilasciati per soggiorni superiori a 90 giorni sono stati 169.055. Attualmente a far crescere la popolazione immigrata sono soprattutto gli ingressi per ricongiungimento familiare (76.164) e le nuove nascite (77.705 a fronte di 5.870 decessi). A fronte delle quali il dossier registra un calo delle persone non autorizzate che sono state intercettate alle frontiere italiane (7.713), degli stranieri rimpatriati (8.769) e di quelli intimati di espulsione ma che non hanno ottemperato (13.529), per un totale di circa 30mila individui, in costante diminuzione dal 2006 quando erano stati 124.381. Meno irregolari, dunque.
Un ruolo positivo e del tutto inedito viene svolto dagli immigrati sul piano previdenziale, grazie alla loro più giovane età (in media 31,1 anni contro i 44,2 degli italiani). Nel 2012 sono stati versati circa 8,9 miliardi di euro di contributi da lavoratori stranieri e in futuro, secondo le stime di Idos, l’incidenza degli stranieri tra quanti raggiungeranno l’età pensionabile sarà del 2,6% nel 2016, del 4,3% nel 2020 e del 6 % nel 2025, quando tra i residenti stranieri i pensionati saranno all’incirca 1 ogni 25 (oggi tra gli italiani sono 1 ogni 3). La discriminazione, nonostante tutto, resta: i casi segnalati all’Unar nel 2013 sono stati 1.142, dei quali 784 su base etnico-razziale.



Immigrati, sono circa 5 milioni ma ne arrivano sempre meno e aumentano i permessi di soggiorno scaduti e non rinnovati
Il dossier Statistico Immigrazione 2014, realizzato da Idos per conto dell'Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), mette ogni anno a disposizione i dati più aggiornati sui flussi migratori verso l'Italia. Il risultato? Un quadro completo, che aiuta anche a sfatare molti luoghi comuni
la Repubblica, 29-10-14
VLADIMIRO POLCHI
ROMA  - "Ci rubano le pensioni". Falso. "Entrano sempre più facilmente". Sbagliato. "Sono impermeabili alla crisi". Neanche per sogno. "Commettono reati". Vero. "I loro crimini aumentano". Non proprio. Il dossier Statistico Immigrazione 2014, realizzato da Idos per conto dell'Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), mette ogni anno a disposizione i dati più aggiornati sui flussi migratori verso l'Italia. Il risultato? Un quadro completo, che aiuta anche a sfatare molti luoghi comuni.
Oltre 1 milione di minori. In Italia, gli stranieri residenti a fine 2013 sono 4.922.085 su una popolazione di 60.782.668, con un'incidenza dell'8,1%. Le donne sono il 52,7% e i minori oltre 1 milione, mentre sono 802.785 gli iscritti a scuola nell'anno scolastico 2013/2014 (incidenza del 9% sulla popolazione scolastica complessiva), tra cui 11.470 rom. Il livello di istruzione è notevole: il 10,3% ha una laurea e il 32,4% un diploma.
Calano gli ingressi. Secondo la stima del Centro studi e ricerche Idos la presenza complessiva degli immigrati in posizione regolare è più alta e ammonta a 5.364.000 persone. Nel 2013, i visti per soggiorni superiori a 90 giorni sono stati 169.055, di cui solo 25.683 per lavoro subordinato e 1.810 per lavoro autonomo. Attualmente hanno maggiore peso sull'aumento della popolazione straniera i visti per ricongiungimento familiare (76.164) e le nuove nascite (77.705 a fronte di 5.870 decessi). Notevole è anche l'incidenza delle famiglie con almeno uno straniero (2.354.000, pari al 7,1% di tutte le famiglie residenti in Italia).
Dove vivono? Nonostante il policentrismo delle provenienze (196 Paesi), si riscontra una notevole prevalenza di alcune aree di origine: oltre la metà (51,1%) proviene da soli cinque Paesi (Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina). Un quarto della popolazione straniera risiede in quattro province (Roma, Milano, Torino e Brescia). Gli stranieri residenti in Lombardia (oltre 1 milione) rappresentano il 22,9% del totale nazionale e quelli della provincia di Roma (oltre mezzo milione) il 10,3%.
Via dall'Italia. I permessi scaduti senza essere rinnovati sono stati 262.688 nel 2011, 166.321 nel 2012 e 145.670 nel 2013. Tuttavia, ufficialmente, le partenze per l'estero hanno coinvolto solo 44mila cittadini stranieri e 82mila cittadini italiani.
Un aiuto all'Inps. Al censimento del 2011 in media la differenza di età tra stranieri e italiani è stata di 13 anni (31,1 rispetto a 44,2) e questo divario fa sì che l'immigrazione influisca positivamente sul sistema pensionistico. Nel 2013, secondo la stima di Idos, la quota di immigrati che raggiungeranno l'età pensionabile salirà al 2,6% rispetto al totale dei casi, per poi passare al 4,3% nel 2020 e al 6% nel 2025.
Boom di cittadinanze. I cittadini italiani per acquisizione, che erano solo 285.785 nel 2001, sono aumenti a 671.394 al censimento del 2011, cui se ne sono aggiunti 65.383 che hanno acquisito la cittadinanza nel 2012 e 100.712 nel 2013.
Frenano le espulsioni. Sono in aumento gli sbarchi dei profughi dall'Africa e dall'Asia medio-orientale. Anche nel 2013 le richieste di asilo sono state in Italia di numero contenuto (26.620) rispetto ad altri Paesi europei (127mila in Germania). Risultano in diminuzione le persone non autorizzate all'ingresso che sono state intercettate alle frontiere italiane (7.713), le persone rimpatriate (8.769) e quelle intimate di espulsione ma non ottemperanti (13.529), per un totale di 30.011 individui, in costante diminuzione dal 2006 (quando furono 124.381). Secondo la convinzione prevalente, la popolazione straniera in posizione irregolare è inferiore al mezzo milione, anche perché 430mila non autorizzati a stare in Italia sono stati interessati dai provvedimenti di emersione varati nel 2009 e nel 2012.
Il problema Cie. Una realtà molto problematica è quella dei centri di identificazione e di espulsione. Su 420 Cie operanti in tutta l'Ue (37.000 posti in totale), 10 sono in Italia, dove nel 2013 sono stati trattenuti 5.431 uomini e 585 donne (inclusi 395 romeni, molti provenienti dal carcere), con un tasso di espulsioni eseguite pari al 45,7% e condizioni di vita critiche, come attesta anche l'organizzazione Medici per i diritti umani (MEDU) e come la stessa Commissione del Senato per i diritti umani ha riconosciuto.
La crisi colpisce duro. L'incidenza degli stranieri sul totale degli occupati era del 3,2% nel 2001 ed è aumentata nel 2011 all'8,2%. I dati dell'Istituto nazionale di statistica attestano che nel 2013 si è trattato di 2,4 milioni di lavoratori. Tra i lavoratori stranieri il tasso di disoccupazione è salito nel 2013 al 17,3% e il numero di disoccupati a 493mila.  La crisi ha influito anche sull'invio delle rimesse che sono ulteriormente diminuite nel 2013 a 5,5 miliardi di euro, circa un quinto in meno rispetto all'anno precedente e molto di meno rispetto al picco raggiunto nel 2011 (7,4 miliardi di euro).
Le discriminazioni. Non sono mancati i casi di discriminazione segnalati dall'Unar, che nel 2013 sono stati 1.142, dei quali 784 (pari al 68,7%) determinati da fattori di carattere etnico-razziale.
Le nuove religioni. Con l'immigrazione la società italiana è diventata strutturalmente multi religiosa. Tra gli stranieri le appartenenze religiose si ripartiscano come segue: musulmani 33,1%, ortodossi 29,6%, cattolici 18,5%, fedeli delle tradizioni religiose orientali 6,4%, evangelici e altri cristiani 5% e a seguire altri gruppi di ridotte dimensioni tra cui gli ebrei.
I crimini degli stranieri. Le denunce contro italiani sono passate da 467.345 nel 2004 a 642.992 nel 2012 (+37,6%), quelle contro stranieri da 224.515 a 290.902 (+29,6%); per di più, nello stesso periodo, i residenti italiani sono diminuiti, mentre quelli stranieri, pur essendo quasi raddoppiati (da 2.210.478 a 4.387.721), hanno visto diminuire la loro incidenza sul totale delle denunce.



Regolarizzazione. Scattano i controlli sui contributi, ma si potranno versare a rate
Basterà il pagamento della prima rata per chiudere la procedura di regolarizzazione. Le nuove istruzioni dei ministeri dell'Interno e del Lavoro
stranieriinitalia.it, 30-10-14
Roma - 30 ottobre 2014 – Sono passati due anni dall'ultima regolarizzazione, ma tanti, tra lavoratori e datori di lavoro, sono ancora in attesa. E venerdì scorso dai ministeri dell'Interno e del Lavoro sono arrivate nuove istruzioni riguardo l'esame delle domande.
Tra i requisiti richiesti per la regolarizzazione, c'era il versamento da parte dei datori di lavoro  dei contributi per almeno sei mesi e comunque per tutta la durata del rapporto di lavoro fino alla firma del contratto di soggiorno. Quanti datori dal 2012 a oggi hanno continuato a pagare?
Per scoprirlo, si legge nella circolare, il ministero dell'Interno ha inviato l'elenco delle domande di emersione per lavoro subodinato insieme ai codici fiscali dei lavoratori all'Inps. Questa potrà verificare se ci sono "buchi" nel versamento dei contributi e il risultato verrà comunicato agli Sportelli Unici per l'immigrazione.
Considerato il tempo trascorso dalla domanda di emersione, spiega la circolare, "le somme dovute risultano essere di notevole consistenza". Nel caso saltino fuori delle irregolarità, lo Sportello Unico invierà un preavviso di accertamento negativo al datore di alvoro, chiedendogli di mettersi in pari. Il versamento degli arretrati, "potrà avvenire anche con modalità rateale".
Basterà il pagamento della prima rata per chiudere la procedura di regolarizzazione con il rilascio al lavoratore del permesso per lavoro subordinato. E se al datore mancano altri requisiti o intanto il rapporto di lavoro è cessato, al lavoratore potrà comunue essere rilasciato un permesso per attesa occupazione



Spagna, ormai a Ceuta e Melilla i migranti sono respinti automaticamente e non possono chiedere asilo
Le due città spagnole sono le uniche frontiere di terra tra l'Unione Europea e l'Africa. La denuncia al governo spagnolo dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
La Repubblica.it, 29-10-14
ROMA - L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) denuncia la proposta avanzata dal governo spagnolo di legalizzare i respingimenti automatici di persone che cercano di oltrepassare le recinzioni di confine per entrare nelle sue enclavi di Ceuta e Melillain Nord Africa. Nell'ambito di questa iniziativa, una persona che cerca di entrare a Ceuta e Melilla in modo irregolare, senza la documentazione richiesta, sarebbe automaticamente respinta e non avrebbe diritto alle garanzie legali previste dalla legislazione nazionale e comunitaria sul diritto di chiedere asilo.
Arrivano da più parti. Le due città spagnole sono le uniche frontiere di terra tra l'Unione Europea e l'Africa. Dal 2013 vi è stato un aumento nel numero di persone che entrano irregolarmente attraverso tale via. Si è inoltre registrato in proporzione un incremento di persone provenienti da paesi afflitti da guerre, violenze e persecuzioni, tra cui la Siria, la Repubblica Centrafricana e il Mali. Nel 2013, circa 4.200 persone hanno raggiunto Ceuta e Melilla irregolarmente (via terra e via mare). Dall'inizio dell'anno sono arrivate 5.000 persone, tra cui 2.000 in fuga dal conflitto in Siria (di cui il 70% sono donne e bambini). Per far fronte a tale afflusso, il governo spagnolo ha proposto un emendamento alla normativa vigente da applicare esclusivamente alle frontiere di Ceuta e Melilla. La proposta introduce il concetto di "rifiuto alla frontiera" ("rechazo en frontera" in spagnolo) e mira a legalizzare l'attuale prassi dei respingimenti. Tale pratica non darebbe la possibilità di chiedere asilo a chi fugge da persecuzioni e conflitti.
Consapevoli della complessità. In questo contesto, l'UNHCR sottolinea l'importanza di consentire l'accesso al territorio per richiedere protezione internazionale. L'UNHCR è consapevole della complessità nella gestione delle frontiere di Ceuta e Melilla. Tuttavia, il governo deve garantire che ogni iniziativa legale rispetti gli obblighi internazionali sottoscritti, in particolare la Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951, a cui la Spagna ha aderito. Inoltre, l'UNHCR continua ad esprimere la propria preoccupazione per il crescente uso della violenza al confine, mirato a dissuadere i migranti e i richiedenti asilo dall'entrare. Quest'anno sono stati documentati diversi episodi di violenza e sono aumentate le segnalazioni di respingimenti dalle enclavi. Più recentemente, il 15 ottobre, le immagini mostrano le autorità di frontiera usare la violenza durante un tentativo di ingresso di circa 200 persone presso le recinzioni a Melilla. L'UNHCR chiede alle autorità spagnole di assicurare che non venga esercitata alcuna violenza alle frontiere spagnole e che la gestione delle stesse avvenga nel pieno rispetto dei diritti umani e della normativa sui rifugiati. L'UNHCR è pronto a dare il proprio sostegno alle autorità spagnole.



Videoreportage: "Io, rom universitario e modello per i ragazzi del campo"
la Repubblica, 28-10-14
Valeria Teodonio
riprese di Maurizio Tafuro
montaggio: MariaGrazia Morrone

La storia di Ion Dumitru, romeno di etnia rom. Che vive in un campo nomadi e che studia alla Sapienza di Roma. Un caso rarissimo.
Frequenta l'università (facoltà di Sociologia) da due anni: vuole diventare un assistente sociale. All'inizio era preso in giro da tutti, mentre oggi viene visto come un modello da molti ragazzi del campo. Che vogliono seguire il suo esempio.
Un viaggio nella vita di chi studia nelle baracche e che non ha i soldi per comprare i libri. Tra ragazze che sognano di emanciparsi "perché da noi le donne sono considerate solo delle cose", e ragazzi che a scuola non possono dire chi sono davvero: "A nessuno piacciono gli zingari".
I rom residenti in un campo che vanno all'università sono - secondo le stime - non più di cinque in tutta Italia
Videoreportage: "Io, rom universitario e modello per i ragazzi del campo"

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