Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

19 maggio 2010

Gli insediamenti rom fiorentini e gli ostacoli alla cura: l’esperienza del Camper per i Diritti MEDU.
Medu, 19 maggio 2010
Il territorio comunale del capoluogo toscano da circa due decenni è interessato da flussi migratori di gruppi rom dell’Est Europa. Macedonia, Kosovo (e, più in generale, ex-Jugoslavia) e Romania sono le nazioni da cui maggiormente provengono tali gruppi, generalmente strutturati in famiglie allargate o giovani coppie. Non è facile stabilire una cifra precisa di quanti migranti rom ad oggi vivano a Firenze e nelle aree limitrofe: questo tipo di migrazione, in effetti, si caratterizza per una notevole mobilità. I rapporti tra i nuclei familiari presenti in Italia e quelli nei paesi di orgine sono stretti e costanti. Le persone si spostano di continuo per visitare parenti, per lavoro, per questioni personali; ed è probabilmente questa mobilità che ha fondato il più classico stereotipo che viene attribuito ai Rom e cioè quello di essere nomadi. Sulla base di questo stereotipo – che nulla ha a che fare con una questione di mobilità – che definisce i Rom come una popolazione senza casa, senza paese e, di conseguenza, senza richiesta di casa o di “paese”, si sono costruite le leggi nazionali e regionali che dovrebbero regolamentare la presenza di queste popolazioni sul territorio italiano. Queste legislazioni sono in genere molto limitanti rispetto al godimento di certi diritti e trattano tutte le questioni che riguardano i Rom in senso “emergenziale”. La giustificazione di questo è che alla “cultura” rom vengono attribuiti quei tratti di nomadismo che, dal punto di vista dei legislatori, giustificava regolamentazioni “provvisorie” (come quelle per i campi rom). Di conseguenza la popolazione rom non è mai riuscita ad ottenere il soddisfacimento di quei bisogni fondamentali (alla casa, al lavoro, alla salute, alla scolarità, etc.) che dovrebbero costruire le fondamenta di una società democratica e della dignità della persona e questo perchè, implicitamente o indirettamente, ad essi e alla loro “cultura” venivano attribuiti caratteri di fatto inventati. Così, in questo quadro, la questione della possibilità di curarsi da parte dei Rom è diventata piuttosto problematica.
A Firenze, come altrove nel territorio nazionale, i Rom sono in primo luogo oggetto di vessazioni, episodi di razzismo, discriminazioni sia nella quotidianità sia, purtroppo, all’interno di quelle strutture sanitarie che dovrebbero costituirsi come luoghi di esercizio di un diritto per tutti. Difficile è per i Rom anche la possibilità di utilizzare la tessera STP (tessera sanitaria per Straniero Temporaneamente Presente, diritto concesso dalla Regione Toscana), innanzitutto perchè si tratta di un provvedimento temporaneo (“provvisorio”) a scadenza annuale. In secondo luogo perchè una volta ottenuta la tessera il cittadino rom si trova spesso di fronte alla non conoscenza dei diritti concessi dalla tessera da parte degli impiegati amministrativi e del personale sanitario delle strutture pubbliche, cosa che lascia perplessi sul funzionamento della macchina amministrativa e, purtroppo come spesso sembra accadere, dà adito ad incomprensioni tra utenti stranieri e dipendenti della sanità che spesso sfociano in atteggiamenti di discriminazione. Anche l’ambiente domestico dei Rom fiorentini desta preoccupazioni. Essi vivono in strutture fatiscenti o in baracche ai margini del contesto urbano: l’insediamento di Ponte a Quaracchi (circa 60 persone) è formato da due ex hangar con il tetto in Eternit, mentre l’insediamento ex-Osmatex (circa 150 persone) era una vecchia fabbrica di bitume. In tali condizioni l’emergenza sanitaria è costante: senza acqua corrente, in condizioni abitative precarie, immersi nei rifiuti e nell’indifferenza del circondario e delle istituzoni, i Rom fiorentini vivono con il rischio costante di ammalarsi.
Il team di Medici per i Diritti Umani, nell’ambito del progetto Camper per i Diritti, ha organizzato un’attività costante (settimanale) di assistenza sanitaria d’urgenza, monitoraggio delle condizioni di salute e sociali e facilitazione dei contatti tra i Rom e le istituzioni sanitarie pubbliche. L’idea di fondo di MEDU, in effetti, non è di sostituirsi agli enti addetti alla cura nel territorio italiano (ASL, Ospedali, medici di base) bensì quello di costituirsi come tramite, da un lato, e osservatore/garante dell’esercizio dei diritti fondamentali alla cura, dall’altro.
Per ottenere questo fine il team si compone di una squadra di medici ed infermieri che si occupano di una prima assistenza e dell’indirizzamento alle strutture sanitarie e di un antropologo, il cui compito è di favorire il dialogo tra medici ed i gruppi rom e di fornire un quadro sociale, culturale e politico della questione Rom e salute. Il lavoro di MEDU fino a dicembre 2009 ha tentato, quindi, di portare avanti l’idea di promozione della salute pubblica: esso si è svolto alternando momenti di difficoltà interne dovute alla precarietà sociale in cui i Rom erano inseriti, a momenti di seria tensione provocata da sgomberi coatti da parte delle amministrazioni locali. In questo quadro alternante, l’evento dello sgombero dell’area ex- Osmatex, nel gennaio di quest’anno, da parte delle forze dell’ordine fiorentine ha maggiormente sconvolto sia la già precaria vita dei Rom lì domiciliati sia il difficile compito che il progetto Un camper per i diritti si era posto. Un centinaio di persone si sono trovate nel giro di poche ore, e senza alcun preavviso, in strada, al freddo delle notti di gennaio. MEDU è immediatamente intervenuto con un team d’emergenza per gestire le prime necessità, in collaborazione anche con altre associazioni del territorio. Superata una fase di stretta emergenza, tuttavia, i nodi della “questione rom” sono venuti al pettine e, ancora oggi, l’amministrazione pubblica fiorentina non ha trovato per queste persone né una sistemazione né ha messo in piedi un progetto di accoglienza sociale.
Il team MEDU ha ripreso le sue attività di monitoraggio e assistenza, in un contesto preoccupante da un punto di vista di atteggiamento delle istituzioni sanitarie e politiche. Finchè la questione della salute degli stranieri non viene concepita in un quadro di trasformazione sociale e politica che concretamente favorisca l’inclusione dei cittadini migranti nel tessuto italiano sotto tutti gli aspetti (casa, lavoro, salute, istruzione, diritti della persona), un lavoro di assistenza sanitaria rischia di fermarsi al mero assistenzialismo, bloccando di fatto un pieno godimento del diritto alla salute (come degli altri). E questa trasformazione non può che provenire da un ruolo trainante delle istituzioni pubbliche (locali e nazionali) come promotrici di diritti, sia legislativi che concreti: spetta a loro la responsabilità politica e civile di permettere il libero accesso alla salute, così come alla casa e al lavoro, eliminando quelle disuguaglianze sociali che in maniera sempre più preoccupante stanno caratterizzando la società italiana contemporanea. Alle organizzazioni della società civile, alle associazioni, così come ai liberi cittadini, rimane il compito doveroso di fare pressione sulle istituzioni affinchè svolgano questo ruolo.
Umberto Pellecchia


Clandestini, l'errore della Moratti

il Fatto Quotidiano 19 maggio 2010
Tito Boeri e Marta De Philippis
Caro sindaco Letizia Moratti, è di qualche giorno fa la Sua equazione tra immigrati clandestini e criminalità: "Il clandestino che non ha un lavoro regolare normalmente delinque" . Ci risulta difficile pensare a un clandestino con un lavoro regolare. Ci sta quindi dicendo che tutti i clandestini sono delinquenti? E sulla base di quali dati giunge a una tale inquietante conclusione? Le poniamo queste domande perché i dati di cui disponiamo ci portano a conclusioni molto diverse dalle sue. E crediamo che il dovere del primo cittadino sia quello di documentarsi prima di alimentare pregiudizi diffusi. Tra ottobre e novembre 2009, la Fondazione Rodolfo Debenedetti ha condotto un'indagine sugli immigrati in otto comuni del Nord Italia, tra cui Milano. L'innovativo metodo di campionamenrati irregolari. Tutti i comuni interessati hanno dato il patrocinio (gratuito) all'indagine, tranne il comune di Milano, che oltretutto è quello in cui sono state raccolte il maggior numero di interviste. Né lei né l'assessore alle Politiche sociali ci avete ricevuto quando abbiamo chiesto un incontro per illustrarvi l'indagine e per chiedervi di renderne edotta la cittadinanza. Ecco alcuni dei principali risultati che abbiamo conseguito e che saremmo lieti di esporle in maggiore dettaglio se ce ne concederà la possibilità.
Primo, non ci sono differenze significative fra immigrati regolari e irregolari nella percentuale di chi dichiara di avere avuto problemi con la giustizia in Italia. Secondo, sappiamo da altre fonti (Istat) che la probabilità di essere denunciati è più alta per gli immigrati irregolari che per quelli regolari, ma comunque è ben inferiore al cento per cento da lei ipotizzato. Rapportando i numeri dell'Istat alla popolazione totale degli immigrati irregolari, si può stimare che circa il 18 per cento degli irregolari è stato oggetto di una denuncia nel 2005. Almeno un quarto delle denunce riguarda, però, reati legati all'immigrazione clandestina in quanto tale e non crediamo che il senso delle sue parole fosse "è irregolare chi è irregolare". Terzo, l'irregolarità è una condizione da cui quasi tutti gli immigrati sono passati. Il 60 per cento degli immigrati attualmente regolari da noi intervistati ha vissuto un periodo non breve di irregolarità. Sono arrivati senza per¬messo di soggiorno e hanno do¬vuto attendere diversi anni prima di essere regolarizzati. I tempi di attesa medi per il rinnovo o la concessione del permesso di sog-giorno sono infatti di tre anni. Non abbiamo ragione di ritenere che in questo lasso di tempo gli immigrati diventino tutti delinquenti. Quarto, durante il perio¬do in cui non si ha un regolare permesso di soggiorno si incontrano maggiori difficoltà nel trovare lavoro perché non si può passare per i canali di assunzione legali: a Milano solo il 55 per cento degli immigrati irregolari lavora e il 31 per cento sostiene di essere in cerca di un lavoro. Anche chi trova lavoro, ha per lo più impieghi saltuari e a condizioni peg¬giori, forse perché sotto il ricatto del proprio datore di lavoro (salari dal 20 al 30 per cento più bassi a parità di altre condizioni, turni di notte, meno ore totali ma concentrate nei week end, etc). Circa il 40 per cento degli irregolari sono impiegati nell'edilizia dove vengono spesso disattese norme elementari di sicurezza sul lavoro. In quest'ultimo caso, il reato è commesso dal datore di lavoro, non certo dall'immigrato.
Quinto, gli immigrati irregolari sono fortemente ghettizzati nel tessuto urbano. In via Padova il 2 5 per cento degli immigrati intervistati è irregolare. L'indice di segregazione abitativa (un indice delle differenze nella distribuzione degli immigrati rispetto alla popolazione autoctona) per gli immigrati irregolari a Milano è il più alto tra i comuni considerati. Il primo censimento dei senzatetto a Milano condotto nel 2008, anche in questo caso senza ricevere il patrocinio del Comune, ha messo in luce che il 68 per cento dei senza fissa dimora a Milano è straniero (in totale 619 persone) e, di questi, il 13 per cento non ha un permesso di soggiorno. Molte sono badanti che hanno perso il lavoro e la casa al tempo stesso. Sono persone che in gran partepotrebbero essere reinserite nel tessuto sociale.
Lasciamo comunque a Lei l'interpretazione di questi dati e soprattutto il loro utilizzo nella defini-zione di politiche più appropriate per gestire il fenomeno dell'immigrazione nella nostra città. Le suggeriamo di parlarne anche coi Suoi colleghi sindaci e con i ministri competenti perché il problema dell'immigrazione non può essere affrontato da un solo Comune. In questi colloqui per favore faccia precedere l'analisi dei dati, gli studi di fattibilità, alle parole. Ad esempio, faccia pre-sente al ministro Gelmini che la sua proposta di limitare le presenze di immigrati in ogni quartiere al 30 per cento, come nelle scuole, comporterebbe deportazioni in massa degli immigrati. Dal solo quartiere di via Padova bisognerebbe spostare più di mille immigrati trovando loro un alloggio in quartieri con bassa densità di immigrati.
I dati che le abbiamo voluto ricordare testimoniano il fatto che ci stiamo muovendo su di un terreno minato, trattandosi di fasce di popolazione che vivono in condizioni di marginalità e che, in assenza di alternative, possono finire nelle braccia delle organizzazioni criminali. Non crediamo che sia interesse di nessuno, neanche di chi vuole cavalcare sentimenti diffusi per raccogliere qualche consenso in più, gettare benzina sul fuoco. Cordialmente.


E ora la Francia manda a ripetizione chi porta il burqa

Rolla Scolari
il Giornale 19 maggio 2010
Burqa, niqab, velo integrale. Da mesi la Francia dibatte su come vietare alle donne musulmane nel Paese di apparire in pubblico con il volto coperto. Un progetto di legge sulla questione, firmato dal guardasigilli Michèlle Alliot-Marie, sarà discusso oggi in Consiglio dei ministri. Parigi spera di approvare una legge entro l'autunno.
Le prime multe a chi indossa il velo integrale per strada o nei luoghi pubblici potrebbero arrivare già nella primavera del 2011, qualche mese dopo l'adozione della norma: 150 euro alle donne con il volto coperto e fino a 15mila euro (e la possibilità di finire in carcere) agliuomini che obbligano mo¬gli, compagne o figlie a nascondersi dietro a burqa e niqab «attraverso la minaccia, la violenza, la costrizione, l'abuso dipotere o autorità».
Da Place Vendòme, sede del ministero della Giustizia, la novità sono i corsi di recupero per chi non seguirà la legge. Le

donne che indosseranno il velo integrale in pubblico, in alternativa alla multa, potrebbero infatti essere costrette dal giudice a frequentare un corso di cittadinanza francese: sei ore al giorno anche per un mese. E a spese di chi ha infranto la norma. Durante queste lezioni di educazione civica (in realtà già esistenti dal 2004 per chi non rispetta il codice stradale), «saranno insegnati o ripassati i valori della République», fondamentali, secondo un credo bipartisan in Francia, all'ottenimento della cittadinanza.
A febbraio, il ministero dell'Immigrazione francese ha rifiutato di naturalizzare un marocchino. L'uomo imponeva alla moglie di indossare il velo integrale. «Non c'è posto per lui in Francia», aveva detto Francois Fillon, premier di po-che parole. «Secondo il codice civile, la cittadinanza può essere rifiutata a chi non rispetta i valori della République».
Lo stesso Fillon ha ribadito la settima scorsa che il governo andrà avanti con la legge contro il burqa nonostante i due pareri contrari del Consiglio di Stato. Peri saggi che assistono il governo nella preparazione della leggi, l'interdizione del niqab «non ha fondamento giuridico». Ma il loro pa¬rere è soltanto consultivo.
Da mesi il Paese si interroga su burqa e niqab. Nell'estate del 2009, il presidente francese Nicolas Sarkozy, dai saloni del palazzo di Versailles, ha lanciato uno dei più grandi attacchi da parte di un leader europeo contro il velo integrale: «Il burqa non è il benvenuto in Francia», aveva detto. Poco do¬po sono iniziati i lavori di una commissione parlamentare bipartisan, presieduta dal comunista André Gerin, che per sei mesi ha esaminato la questio¬ne del velo islamico. A gennaio, ha consigliato al Parlamento di adottare una legge contro il niqab nelle amministrazioni e sui trasporti pubblici. Tutti i 434 deputati dell'Assemblée nationale hanno votato pochi giorni fa a favore di una risoluzione contro il velo. Oggi, i politici della maggioranza appoggiano una legge che sia in grado di cancellare totalmente il burqa dalle strade francesi.
Hervé Morin, deputato dell'Ump, partito del presidente, auspica addirittura una riforma nel caso la legge fosse incostituzionale. L'opposizione socialista non appoggia il burqa, ma è favorevole soltanto a un divieto limitato ai luoghi pubblici. Contrarie a una norma le associazioni islamiche di Francia come il Conseil francais du eulte musulman.
Il dibattito politico continua nelle cancellerie e sui giornali. Soltanto pochi giorni fa ha contagiato per la prima volta la strada. Durante un tranquillo sabato di shopping, in una cittadina della regione della Loire-Atlantique, due donne -una completamente velata -sono quasi venute alle mani, proprio a causa del velo integrale. «Non vedo l'ora che passi la legge sul burqa», avrebbe detto, secondo le cronache locali, un'avvocatessa, dando del Belfagor a una cliente musulmana completamente coperta (riferimento al fantasma del Louvre di una nota serie tv francese degli anni 60). Immediata la reazione violenta dell'altra donna. Per le due, la giornata si è conclusa al commissariato di polizia.



Permesso di soggiorno a punti Chi sbaglia rischia l'espulsione

Come con la patente, in Italia gli immigrati avranno crediti con lezioni di educazione civica e lingua. Ma li perderanno se commetteranno reati
Francesca Angeli
il Giornale 19 maggio 2010
Roma Per una conoscenza elementare della lingua italiana parlata: più dieci punti. Per la frequenza di un intero anno scolastico con profitto: più trenta punti. Per la scelta del medico di base: più quattro punti. Attenzione però si torna indietro se si commettono reati. Per una condanna anche non definitiva a una pena di reclusione non inferiore a tre anni: meno 25 punti. Per aver commesso un illecito che prevede una multa non inferiore a diecimila euro: meno due punti.
Sono i punteggi dei crediti, da attribuire o decurtare allo straniero che chiede il permesso di soggiorno, previsti dall'Accordo di integrazione. Regolamento messo a punto dal ministero del Welfare e dal Viminale che domani dovrebbe essere discusso dal consiglio dei ministri.
Si tratta di una bozza, passibile di modificazioni, che una volta licenziata dal governo dovrà ottenere i pareri della Conferenza Unificata e del Consiglio di Stato per poi tornare al governo prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Sia il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, sia il titolare del Viminale, Roberto Maroni, appaiono però determinati a varare il regolamento al più presto perché lo considerano uno strumento indispensabile per promuovere l'integrazione piena di chi arriva nel nostro Paese.
Come funziona? Qualsiasi straniero che entri in Italia e abbia dai 16 ai 65 anni, nel momento in cui chiede il permesso di soggiorno allo sportello unico per l'immigrazione o alla questura, dovrà contestualmente firmare l'accordo con il quale si impegnerà a compiere un percorso di inte-grazione che passa attraverso vari gradi di conoscenza.
L'accordo richiede ad esempio un sufficiente livello di conoscenza della lingua italiana e pure dei principi fondamentali della nostra Costituzione e del funzionamento delle istituzioni pubbliche. Richiede pure che si apprendano i meccanismi fondamentali della nostra vita civile come ad esempio rispettare l'obbligo scolastico mandando i propri figli a scuola.
Anche lo Stato però si assume degli impegni nei confronti dell'immigrato che firma l'accordo. Prima di tutto deve assicurargli un corso di formazione civica di almeno cinque ore la cui frequenza è obbligatoria. Lo Stato si impegna pure a sostenere il proces¬so di integrazione in collaborazione con gli enti locali.
L'accordo prevede una durata di due anni con possibilità di proroghe. In questo biennio lo straniero acquisirà crediti imparando l'italiano, frequentando scuole, corsi di studio e di formazione professionale. E ancora con attività di volontariato o frequentando corsi di integrazione linguistica e sociale. Ma non solo. Anche le attività lavorative e imprenditoriali faranno guadagnare punti. Li perderà invece se delinque.
Al termine del biennio sarà sempre lo sportello unico a procedere alla verifica. L'accordo potrà essere considerato soddisfatto se l'immigrato avrà raggiunto almeno trenta crediti. A quel punto verrà rilasciato l'attestato e lo straniero potrà avere accesso alla carta di soggiorno. Ovvio che il conseguimento dell'attestato nel periodo previsto e un buon numero di crediti rappresenteranno un buon viatico per ottenere eventualmente la cittadinanza.
L'accordo si considererà comunque non adempiuto se lo straniero non avrà frequentato il corso di formazione civica previsto e soprattutto se non avrà mandato i figli minori a scuola. Se lo straniero invece non avesse raggiunto almeno i trenta punti o non sapesse ancora abbastanza bene l'italiano l'accordo potrà comunque essere prorogato di un anno. Se invece avesse racimolato zero crediti scatterà l'espulsione. Si terrà conto ovviamente dei casi particolari. Ad esempio se lo straniero in questione fosse affetto da gravi patologie o non fosse autosufficiente, o avesse deficit di apprendimento basterà la certificazione di un medico Asl che ne attesti l'impossibilità ad assolvere l'accordo.
L'immigrato "secchione" che invece avesse accumulato quaranta o più punti usu-fruirà di agevolazioni per frequentare attività culturali e formative.
La bozza infine prevede pure l'istituzione di una Anagrafe nazionale di tutti coloro che arrivano in Italia e stipulano l'accordo che non avrà valore retroattivo.




L'Europa ci lascia soli Serve una polizia di frontiera

la Padania 19 maggio 2010
IGOR IEZZI
I mali dell'Europa hanno ingabbiato anche l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne, quell'organismo comunitario, definito Frontex, che dovrebbe occuparsi della difesa dei confini del Vecchio Continente dal pericolo dell'invasione clandestina. Purtroppo, come spesso succede con ciò che parte da Bruxelles si sta rivelando solo un «eurocarrozzone». Questo il termine usato dal ministro dell'Interno Roberto Maroni per descrivere quella che poteva essere una grande risorsa e invece si sta scoprendo essere inefficace per contrastare l'immigrazione irregolare. Tanto che gli Stati membri sono pressochè abbandonati ad affrontare un fenomeno che ha dimensioni enormi. In audizione davanti alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Politiche dell'Unione europea l'esponente leghista ha puntato il dito contro ciò che ad oggi appare uno spreco di risorse e che, al contrario, andrebbe rafforzato per essere «operativa» attraverso operazioni congiunte fra Stati membri, cooperazione e concertazione. Il titolare del Viminale non si è limitato infatti a puntare l'indice accusatore ma ha illustrato le proposte di modifica al regolamento a Frontex presentate dal Parlamento europeo e dal Consiglio.
«Come molte altre strutture europee, Frontex rischia di diventare un eurocarrozzone». Maroni, riguardo a Frontex, ha parlato di
«una inarrestabile tendenza a impiegare risorse per le spese amministrative e non per quelle operative». Il titolare del Viminale ha citato alcuni dati, sostenendo che dal bilancio 2008 a quello previsto per il 2011, il budget di Frontex è passato da 71,2 a 88,2 milioni di euro, ma che la percentuale per le spese amministrative è a sua volta passata da 19,8 milioni nel 2008 (27%), a 36 milioni per il 2011 (41%), con una riduzione di quelle per le spese operative dal 73% al 59%.A fronte di questo rischio, «che noi paventiamo», ha detto Maroni, l'Italia ha chiesto che Frontex «diventi una  struttura veramente operativa», non solo con compiti di controllo dei confini terrestri e marittimi dell'Unione, ma che si faccia carico anche dei voli di rimpatrio degli immigrati clandestini e della gestione dei centri di identificazione ed espulsione. A tale scopo, ha spiegato Maroni, l'Italia ha chiesto alla Ue l'istituzione di Cie europei e, in materia di richiedenti asilo, «un sistema europeo», che sostenga i costi e provveda ad uniformare le normative dei vari Stati membri.
Nel corso del suo intervento, Maroni ha ribadito il suo giudizio critico sull'Agenzia, ritenendo che l'apporto di Frontex alle attività di contrasto all'immigrazione clandestina, «non può considerarsi sufficiente». Frontex, ha detto Maroni, «non svolge in realtà compiti di natura operativa, demandandoli agli Stati membri» e spiegando che «l'Italia ha sollevato la questione».
Maroni ha poi illustrato la proposta italiana di riforma dell'Agenzia, tendente a trasformare Frontex in «un efficace strumento per il controllo delle frontiere comuni». Proposta che si articola su tre punti principali: introdurre il concetto di operazioni congiunte; conferire maggiore efficacia alla cooperazione di Frontex con i Paesi terzi di origine e transito dell'immigrazione clandestina; definire i meccanismi di cooperazione tra Frontex e gli Stati membri. Un processo, ha detto Maroni, destinato a concludersi con la creazione di una «polizia di frontiera europea».
Tra i dati illustrati dal ministro, quelli relativi ai rimpatri di immigrati clandestini effettuati nel 2009. Quelli volontari, i cosiddetti rimpatri assistiti, sono stati 228, a fronte degli oltre 18mila non volontari. Quella dei rimpatri volontari, ha detto Maroni, «può essere una strada da intensificare» ma ad oggi «sono previsti dei finanziamenti europei, è vero, ma tra l'altro il contributo economico non va al rimpatriato ma al suo paese». A tale riguardo, ha aggiunto, «il reato di immigrazione clandestina può essere un deterrente e stiamo lavorando per superare questo ostacolo». Infine, Maroni ha sostenuto che «l'Itaia è all'avanguardia» in materia di valutazione delle richieste di asilo, che vengono giudicate «in meno di sei mesi, ampiamente al di sotto della media europea».



Il Quirinale: il confronto tra le diverse fedi è una delle sfide più urgenti e delicate

Avvenire 19 maggio 2010
ROMA. «La promozione di un confronto aperto e costruttivo tra i rappresentanti delle diverse fedi e confessioni e di una più autentica conoscenza reciproca tra le culture, compito al quale la Comunità di Sant'Egidio si dedica con tenace, fervido impegno, costituisce una delle sfide più urgenti e delicate dell'agenda internazionale». È quanto afferma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato in occasione delle due tavole rotonde sui temi del dialogo interreligioso e tra le culture, organizzate dalla Comunità di Sant'Egidio con il contributo del «Doha International Center for Interfaith Dialogue».
«Solo attraverso il riconoscimento universale del valore della persona umana e della libertà di credo, e quindi attraverso il rispetto delle diversità secondo princìpi che sono patrimonio comune delle grandi fedi - ha spiegato il Capo dello Stato nel suo messaggio - è possibile consolidare nel sistema internazionale le garanzie dei diritti inviolabili dell'uomo e favorire lo sviluppo pacifico dei rapporti tra le nazioni e i continenti. Considero le iniziative di incontro interreligioso promosse dalla Comunità di Sant'Egidio un prezioso contributo verso il conseguimento di questi importanti obiettivi». Napolitano ha infine voluto esprimere il proprio «apprezzamento per l'azione del Doha International Center for Interfaith Dialogue, che rappresenta ormai da anni un punto di riferimento riconosciuto nel mondo islamico e nel più vasto ambito internazionale».






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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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