Poveri Cie, due giorni senza capire e farsi capire

Italia-razzismo
I centri di identificazione e di espulsione (Cie) in Italia, (in cui, lo ricordiamo, vengono trattenuti i migranti privi di regolare titolo di soggiorno in attesa di essere identificati ed eventualmente espulsi), sono sempre più luoghi sprovvisti degli standard minimi necessari a garantire un’accoglienza dignitosa. Le strutture attive sono, a oggi, cinque, mentre altre sette sono chiuse per ristrutturazione o per insufficienza di fondi dedicati alla gestione. Ciò è una conseguenza delle gare d’appalto indette per l'amministrazione dei Centri, il cui criterio fondamentale come è risultato ultimamente pare essere quello del massimo ribasso.

La conseguenza è che i 21 euro a persona al giorno stanziati per la gestione dei Cie determinano condizioni e problematiche insostenibili se si vogliono assicurare i servizi minimi previsti dalle linee guida del ministero dell'Interno. Problematiche evidenti anche nei casi – rari per la verità – nei quali il costo «procapite pro die» (per dirla con il linguaggio burocratico) risulti più alto. È questo, ad esempio il caso dei mediatori culturali che – come recitano gli stessi capitolati d’appalto relativi ai servizi di gestione dei centri – dovrebbero essere sempre previsti al fine di «garantire le elementari esigenze di comunicazione ed interrelazione con gli ospiti». Talvolta, ma dovremmo dire spesso, non è così.
Un’assenza, ad esempio, all’origine delle traversie e degli equivoci nei quali è incorsa una donna somala che si era presentata, qualche giorno fa, in Questura per formalizzare la richiesta di asilo. La signora – che non parla alcuna lingua, tranne la propria ed ha evidentemente bisogno di un mediatore – viene trasferita in un Cie di zona perché in precedenza non aveva ottemperato a un decreto di espulsione. Un assenza, quella del mediatore, che ha reso impossibile alla signora comprendere le informazioni di base: orari e regole; quali erano i propri diritti; a quali servizi poteva avere accesso; persino dove era capitata e come poter uscirne.E invece a causa dell’assenza di un mediatore che parlasse la sua lingua è stata due giorni, dal trattenimento all’udienza con il giudice di pace, senza poter parlare con qualcuno. La signora somala è stata dunque 48 ore senza capire nulla di ciò che le stava accadendo. Questo fatto è pesato soprattutto quando la mattina del secondo giorno è stata fatta salire su un’auto e condotta fuori dal centro. Il suo primo pensiero, rivelatosi per fortuna errato, è stato quello del rimpatrio. Quando invece si è trovata in un palazzo e non all’aeroporto, ha immaginato che quello poteva essere il tribunale dove si sarebbe tenuta l’udienza di convalida del trattenimento al Cie. Il suo avvocato, nonostante non fosse stato avvisato in tempo, è riuscito ad arrivare e a impedire la convalida, e impedire che la signora passasse un intero mese (o forse più) senza comunicare.
Capita così che una persona può rimanere per due giorni senza informazioni e in balia degli eventi e che la spiegazione che viene fornita è che i mediatori siano previsti solo quando sono presenti più ospiti di una determinata lingua e nazionalità. Come non è accaduto per una donna somala, sola e priva di qualsiasi mezzo di comunicazione.
l'Unità, 12-12-2013

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