Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

18 febbraio 2014

NUMERI ALLA MANO  
Perché per l'Italia sarebbe un dramma avere un referendum contro l'immigrazione di massa
Il Foglio, 18-02-2014
Luigi Manconi
Aiuto! E se gli immigrati decidessero di darsela a gambe? Partiamo da un dato di cronaca. Il 9 febbraio scorso la Svizzera ha approvato, con una maggioranza del il 50.3%, un referendum contro l’immigrazione "di massa". La proposta prevedeva l’introduzione di quote d’ingresso per i lavoratori immigrati: e, tra essi, i frontalieri italiani.
Come risulta da un sondaggio del Corriere della Sera (domenica 16 febbraio), se nel nostro Paese si svolgesse un'analoga consultazione, il 34% voterebbe per la limitazione degli ingressi in Italia, mentre il 46% si dichiarerebbe a favore della libera circolazione di stranieri nel territorio europeo. Quest’ultima opinione risulta confermata dal 58% del campione, che ha dichiarato di condividere la medesima posizione critica assunta dall’Unione europea nei confronti del referendum svizzero. Questi due dati lasciano intendere che la maggioranza degli italiani non sarebbe favorevole alla limitazione degli ingressi di stranieri in Italia, ma la valutazione è - a mio avviso - potentemente condizionata dal fatto che, nel caso svizzero da cui muove il sondaggio, le "vittime" sono connazionali: i frontalieri italiani, cioè. Se l'oggetto della politica di contenimento/respingimento presa a modello non fossero gli italiani, è assai probabile che il numero degli ostili all'immigrazione aumenterebbe significativamente. C’è da stupirsi? No. Per due ragioni: innanzitutto perché la xenofobia - che non è il razzismo - è pulsione profonda e "istintuale", fatta di insicurezza e ansia, incertezza di sé e della propria sorte. E, poi, perché l'immigrazione resta un buco nero, pressoché sconosciuto e inesplorato, molto simile all'ignoto (e questo incentiva inquietudini e diffidenze). Dunque, di quel buco nero, nulla, o quasi, sappiamo. Non sappiamo, ad esempio, che in realtà il tetto, i limiti e le restrizioni, sono già tutti presenti in Italia. Tutti messi lì a ostacolare e contenere, selezionare e respingere l'arrivo dei migranti. Basti pensare ai flussi d’ingresso, alle difficoltà burocratiche relative al rinnovo dei permessi di soggiorno e alle politiche di restrizione e chiusura. Quello che balza agli occhi è la constatazione della irrazionalità e diseconomicità di tali politiche, e le loro mille incongruenze irrisolte. La prima – come scrive Maurizio Ambrosini (Lavoce.info, 12 luglio 2013) – è rappresentata dalle contraddizioni tra politica e mercato. Il gran numero di sanatorie e provvedimenti simili adottati nel corso di 25 anni dimostra che «centinaia di migliaia di datori di lavoro (famiglie e imprese) avevano bisogno del lavoro degli immigrati, anche non autorizzati, al punto da volerli mettere in regola: più di un milione nell’ultimo decennio». Espellerli sarebbe stato puro autolesionismo. Una seconda controindicazione è rappresentata dal fatto che oltre 1.300.000 tra gli stranieri presenti sono comunitari, per i quali la procedura di espulsione è complessa e lenta e, una volta completata, non costituisce un ostacolo al successivo rientro. Di conseguenza, o si riformano i trattati europei e si reintroducono le frontiere interne, oppure una parte consistente degli immigrati risulta di fatto inespellibile. La terza considerazione è traducibile nelle domande poste ancora da Ambrosini: "Quanto siamo disposti a spendere per espellere un maggior numero di immigrati indesiderati? Quanto personale delle forze dell’ordine siamo disposti a distogliere da altri compiti per rimpatriare, in aereo, braccianti moldavi e assistenti domiciliari ecuadoriane senza permesso?». Il risultato è che le espulsioni finora attuate sono assai poche, non perché prevalga il "buonismo" (Dio mi perdoni il ricorso, ancorché critico, a questa parola indecente), ma perché molto costose, in termini di stanziamenti, personale, mezzi di trasporto e accordi con i paesi di provenienza. Un ultimo problema  è rappresentato, ancora secondo Ambrosini, dagli effetti criminogeni di una politica delle espulsioni: «Quanta criminalità siamo disposti a fronteggiare, e con quali mezzi, allo scopo di limitare l’accoglienza? Non conviene regolarizzare, anziché lasciare che gli immigrati non autorizzati rimangano ai margini della società?». Parole sante.
Quanto detto va inserito in un discorso che continua a essere rimosso.  Nel corso del 2013 gli stranieri presenti arrivati in Italia sono stati 351 mila, 35 mila in meno rispetto all'anno precedente. E più in generale, dal 2007 al 2012 c'è stato un calo degli arrivi del 33,5%.
Al 1° gennaio 2012 i dati dell’Istat segnalano la presenza di 4.859.000 stranieri, ovvero l’8% della popolazione totale residente. Rispetto al gennaio del 2011 si registra un incremento di 289 mila unità: in termini assoluti una crescita inferiore a quella registrata negli anni precedenti. Insomma, dal 2009 la popolazione straniera aumenta, ma  a un ritmo meno intenso, e si riduce la misura di quell’incremento. Un dato che sembra confermato anche dalla «sparizione» di circa 800 mila immigrati: come provato dallo scarto tra popolazione residente e popolazione registrata dal censimento 2011. La differenza si deve, probabilmente, a molti fattori: i cambi di residenza da comune a comune non correttamente trasmessi all’anagrafe. E tuttavia molte fonti considerano l’ipotesi che una parte degli «spariti» sarebbe rientrata in patria, mentre un’altra parte si sarebbe indirizzata verso altri paesi. Un’altra quota ancora si è sottratta presumibilmente alla compilazione di un modulo, quello del censimento, per più ragioni, e non tutte necessariamente illecite. Insomma, qui tra poco ci toccherà dire: signora mia, non si trova più una badante ucraina a pagarla a peso d'oro, e tanto meno un maggiordomo senegalese (per non parlare di un piastrellista rumeno).



Immigrati, noi europei più duri degli svizzeri
Ben tre quarti dei britannici vogliono limitare gli ingressi. Francesi e tedeschi d'accordo a grande maggioranza
il Giornale, 18-02-2014
Roberto Fabbri
Nove giorni fa gli elettori della razionale Svizzera hanno sorpreso tutti approvando sia pur di stretta misura il referendum «contro l'immigrazione selvaggia» promosso dalla destra xenofoba.
Una scelta che ha fatto parlare di regressione degli svizzeri a uno stadio «pre-europeo», considerando che Berna ha firmato con l'Ue una serie di trattati che la impegnano anche alla libera circolazione delle persone. Da Bruxelles soprattutto arrivano proteste e minacce non tanto velate al governo svizzero se non rimetterà le cose a posto, il che non pare tanto facile visto che da quelle parti la volontà popolare ha un peso politico reale. Eppure, certi sentimenti non sono esclusiva degli svizzeri. Al contrario, semmai, sarebbe più corretto notare che «noi europei» siamo in realtà ben più radicali di loro sui temi dell'immigrazione.
Cantano i numeri al riguardo. Un sondaggio condotto in Francia, Germania e Gran Bretagna e pubblicato dal tabloid svizzero Blick lascia pochi dubbi. I dati più inequivocabili sono proprio quelli britannici, il 77,5% dei quali vorrebbero limitare l'immigrazione; ma sopra i due terzi del campione sono anche i francesi con un sonante 69,7%, mentre i tedeschi si fermano a un 61,8% che supera comunque di gran lunga il 50,3% con cui gli svizzeri hanno decretato il successo del referendum del 9 febbraio. Interessante notare che in Germania sono in proporzione i più giovani e le donne a chiedere più freni all'Einwanderung, mentre in Francia gli uomini sono più duri delle donne.
Come ha invece documentato il Corriere della Sera, gli italiani sono più tolleranti. Anche se i favorevoli a una parziale chiusura delle frontiere sono in aumento perfino tra gli elettori della sinistra, un referendum come quello svizzero avrebbe ottenuto il voto favorevole del 34% degli elettori, contro un 46% di contrari e un 20% di incerti e astenuti.
Rimane il fatto che la Svizzera sta facendo scuola. Un sondaggio pubblicato da Bild Zeitung, tabloid tedesco gemello del Blick elvetico, rivela che sull'onda dello choc del 9 febbraio il 72 per cento dei tedeschi vorrebbe anche in Germania la democrazia diretta. Tutti i partiti si dicono d'accordo sull'apertura ai referendum popolari, ma la Cdu fa eccezione: per la dirigenza del partito della cancelliera Angela Merkel, la consultazione diretta degli elettori è una buona idea a livello locale, «ma sulle grandi questioni politiche non è possibile ridurre tutto a un sì o un no».
La questione dell'immigrazione non si limita a quella legale, poiché esiste anche quella clandestina. Se l'Italia rimane la principale frontiera europea scoperta, in questi giorni la Spagna si sta riscoprendo vulnerabile. Bloccata la via di mare che conduceva alle Canarie con un accordo col Senegal e la Gambia, sono Ceuta e Melilla, le due città-exclave spagnole sulla costa del Marocco, gli obiettivi degli africani che cercano di entrare in Europa con ogni mezzo. Ieri circa 200 di loro hanno dato l'assalto a Melilla, sfondando il posto di frontiera di Barrio Chino all'alba dopo scontri con le guardie di confine che hanno provocato 8 feriti. Circa 50 persone si sono disperse per le vie della città e sono ricercate, ma un video piuttosto surreale diffuso dal sito internet del quotidiano El Mundo mostra un gruppo di africani che corrono verso il locale centro di detenzione dei migranti gridando «Barça, Barça», il nome popolare della squadra di calcio del Barcellona.
Il 6 febbraio 14 migranti erano annegati nel tentativo di entrare a Ceuta via mare. Secondo un rapporto dei servizi segreti spagnoli, sono circa trentamila gli africani accampati in territorio marocchino a poca distanza dalle frontiere di Ceuta e Melilla in attesa di tentare un ingresso clandestino che spesso avviene a bordo di auto e moto lanciate a tutto gas, o in doppi fondi nascosti sotto i pullman. Il traffico di uomini dall'Algeria al Marocco sarebbe ormai in mano a bande di nigeriani.
I francesi che chiedono meno immigrati: Oltralpe i più stanchi dell'attuale lassismo sono invece gli uomini
Gli italiani attualmente disposti a votare sì a un referendum come quello approvato in Svizzera
Gli inglesi che vogliono mettere un freno all'immigrazione nel loro Paese: sono più drastiche le donne degli uomini
    
    
    
Immigrazione, soccorso un gommone a bordo oltre 120 persone e due cadaveri
In tre giorni sono arrivati più di 1200 profughi. L'imbarcazione in avaria è stata raggiunta da un cargo greco che sta portando i migranti in salvo nel porto di Augusta. 12
la Repubblica, 18-02-2014
ALESSANDRA ZINITI
Erano arrivati in più di mille negli ultimi tre giorni, soccorsi a qualche decina di miglia da Lampedusa dalle navi dell'operazione "Mare nostrum" della Marina militare ma l'ultimo dei gommoni partito dalla Libia forse stava in mare da troppi giorni. In due non ce l'hanno fatta, i marinai di un mercantile greco dirottato a 145 miglia a sud-ovest dell'isola dal Comando delle Capitanerie hanno recuperato due corpi senza vita nell'imbarcazione di soli sette metri che trasportava 135 persone, 107 uomini e 16 donne. I corpi senza vita appartengono a due uomini.
Cosa sia successo a bordo di quel gommone ormai in balia delle onde dopo che il motore era ormai andato in avaria, non è ancora chiaro. Si sa soltanto che l'allarme è stato lanciato ieri mattina intorno alle 11.30 con un telefono satellitare che ha chiamato la Guardia costiera di Palermo. Le coordinate che hanno dato erano esatte, il natante è stato individuato e il comando generale delle Capitanerie ha dirottato per i soccorsi il mercantile più vicino, il cargo greco Rizopon che ha preso a bordo tutti i migranti.
I superstiti e le due vittime arriveranno nelle prossime ore nel porto di Augusta diventato ormai la destinazione sulla terraferma dei migranti salvati in mare da quando il centro di accoglienza di Lampedusa è stato chiuso per ristrutturazione.
E anche ad Augusta, così come a Pozzallo dove pure vengono dirottati centinaia di migranti, le condizioni delle strutture di accoglienza, tutte provvisorie, cominciano ad essere davvero precarie. Ad Augusta gli immigrati vengono ospitati al Palasport prima di essere smistati, a Pozzallo in una tensostruttura al porto.
 


Il ricatto di Mineo
Le voci raccolte da Alessandra Sciurba davanti al Mega Cara catanese
Melting Pot Europa, 18-02-2014
La strada che porta dalla circonvallazione di Catania al C.A.R.A. è lunga e ci si mette quasi un’ora. Una campagna meravigliosa, alle pendici del vulcano imbiancato di neve. Sarebbe un bel posto per venirci a fare una gita. Ma non per restarci emarginato dal resto del mondo per 12 mesi, un anno e mezzo, due, quanto ci rimangono quasi tutti i più di 4000 richiedenti asilo che vivono al C.A.R.A.
Isolati da tutto, liberi formalmente se non per l’obbligo di tornare a dormire dentro il campo, ma prigionieri del limbo di chi non può fare assolutamente nulla per costruirsi una vita, solo aspettare le decisioni prese da qualcun altro.
I primi manifestanti arrivano presto e davanti al centro non c’è nessuno. Tra le griglie della cancellata che circonda le decine di bungalow costruiti per soldati americani che in quell’isolamento non hanno mai voluto vivere, iniziano ad essere passati i primi volantini in lingua inglese.
A poco a poco i richiedenti asilo iniziano ad uscire. Alla fine ce ne sono fuori più di cento. Anche donne avvolte nei veli colorati, provenienti soprattutto dalla Somalia.
Chiedono libri da leggere, vocabolari. Perché lì dentro si impazzisce, molti compromettono per sempre la loro salute mentale. Un ragazzo si tocca con l’indice la fronte: qui non fai niente, dormi, sempre, cerchi di resistere, non puoi restare normale. Sai che uno di noi si è impiccato qui a dicembre? Ha preso una corsa e si è impiccato, perché non resisteva più.
Ma la maggior parte degli ‘ospiti’ del centro sono rimasti dentro. E i manifestanti non possono entrare. Nessuno può entrare a parte la polizia e gli operatori. Chi non esce ha paura.Qualcuno prende coraggio e inizia a spiegare: chi manifesta, chi parla con chi viene qui a manifestare, poi subisce minacce, rischia persino che la Commissione gli dia una risposta negativa per questo. Ricordano la manifestazione di dicembre, quando in centinaia avevano bloccato la statale e poi era arrivata la polizia.
Nonostante ciò alcuni richiedenti prendono il megafono, tra le bandiere No MUOS e alcune dei Cobas, e raccontano la loro vita ai confini del mondo. Altri portano da dentro il cibo che intanto sta venendo distribuito nell’unica mensa del C.A.R.A. : è nauseante e chi lo mangia tutti i giorni racconta di quanti soffrano di gastrointerite per questo: ci portano in ospedale solo in casi estremi e anche in ospedale comunque sottovalutano quando stiamo male. Qui siamo solo numeri.
Altri interventi si alternano al megafono. C’è chi denuncia, numeri alla mano, quanti soldi vengano sperperati per fare vivere migliaia di persone in queste condizioni, quanti accordi pseudomafiosi stiano dietro anche i piccoli dettagli che rendono la vita di chi sta al “residence degli aranci” di Mineo insostenibile. La piccola diaria prevista, ad esempio, viene distribuita in un pacchetto di marlboro rosse ogni due giorni: ed è così per tutti, anche per i bambini.
I bambini… sono centinaia, dicono i migranti. E anche loro non fanno nulla. Anche loro aspettano, anche loro impazziscono.
In molti, tra le associazioni e i movimenti presenti, ricordano la Carta di Lampedusa, immaginano come presentarla insieme ai richiedenti asilo del centro, prima possibile. Soprattutto per quanto riguarda quella parte che dice:
“La Carta di Lampedusa afferma la necessità di mettere fine al sistema di accoglienza basato su campi e centri per costruire invece un sistema condiviso nei diversi territori coinvolti, del Mediterraneo e oltre, basato sulla predisposizione, in ogni luogo, di attività di accoglienza diffusa, decentrata e fondata sulla valorizzazione dei percorsi personali, promuovendo esperienze di accoglienza auto-gestionaria e auto-organizzata, anche al fine di evitare il formarsi di monopoli speculativi sull’accoglienza e la separazione dell’accoglienza dalla sua dimensione sociale”.



Immigrazione e lavoro. Oim: "Così l'Italia deve cambiare"
Ingressi per cercare lavoro, più controlli contro lo sfruttamento,  rimpatri volontari per i disoccupati. Le proposte dell’Organizzazione Mondiali per le Migrazioni: “Migranti essenziali per la ripresa economica”
stranieriinitalia.it, 18-02-2014
Roma – 18 febbraio 2014 – Migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, contrastare lo sfruttamento e facilitare il rimpatrio volontario per i disoccupati. È lungo queste tre linee che secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni bisognerebbe indirizzare le politiche su migrazione e lavoro in Italia.
 “Il rapporto tra migrazione e lavoro” afferma José Angel Oropeza, Direttore dell’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell’OIM, “è da sempre un tema molto delicato, che, come dimostra il Referendum tenutosi in Svizzera qualche giorno fa, può portare all’adozione di politiche di chiusura, per mantenere lo status quo e tentare di fermare il fenomeno migratorio o - come da anni sostiene l’OIM -  può essere affrontato adottando politiche di apertura, che riconoscano  il ruolo delle migrazioni come parte integrante dell’economia mondiale e i migranti come componenti essenziali per la piena ripresa dalla crisi economica contemporanea.”
“Anche in Italia esistono a tal proposito diverse problematiche,  che vanno affrontate in maniera comprensiva - proprio in un periodo di forte difficoltà come questo. In questo contesto l’OIM esprime apprezzamento per il rilancio di una nuova politica sul tema da parte del Ministero del Lavoro.”
L’OIM ROMA ha presentato una serie di proposte dettagliate, come il rilascio di un permesso di soggiorno a tempo per ricerca lavoro, che consenta a un numero prestabilito di persone - in grado di prestare una garanzia finanziaria e disponibili a farsi identificare - di entrare e cercare un impiego in Italia;  o la possibilità che i datori di lavoro possano richiedere un lavoratore dall’estero in qualunque momento dell’anno e la semplificazione delle procedure di riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali dei migranti
Lo sfruttamento lavorativo andrebbe invece contrastato aumentando il numero degli ispettori del lavoro e la frequenza dei controlli. L’OIM insiste sull’importanza di assicurare ai migranti che lavorano nel settore agricolo condizioni alloggiative dignitose anche attraverso l’utilizzo di strutture confiscate alle organizzazioni criminali o messe a disposizione dallo Stato. Una lotta che potrebbe passare anche attraverso l’emersione di situazioni di irregolarità e la previsione di incentivi o sgravi fiscali in favore degli agricoltori che assumono in maniera regolare.
Infine, l’organizzazione chiede di facilitare il rientro volontario in patria di migranti disoccupati in Italia,  soprattutto verso quei paesi che hanno adottato politiche o servizi di assistenza al rientro e/o agli investimenti dei propri cittadini all’estero e la possibilità che i migranti riscattino almeno in misura parziale e pro quota i contributi versati in un’ottica di sostenibilità del loro ritorno in patria.
“Queste misure”, conclude Oropeza, “oltre a porre l’accento sulla necessità di rispettare i diritti umani dei migranti, potrebbero contribuire a risolvere molti dei problemi che hanno caratterizzato il rapporto tra migrazione e mercato del lavoro degli ultimi anni rendendolo più flessibile e adattabile ai mutamenti economici dell’Italia e dei paesi di origine”.



Marwan nel deserto, il piccolo profugo commuove il mondo
La foto scattata dall’Unhcr al confine tra Siria e Giordania a uno dei tanti bambini costretti a lasciare la loro casa. Era rimasto indietro durante la traversata
stranieriinitalia.it, 18-02-2014
Roma – 18 febbraio 2014 – Un bambino di quattro anni nell’immensità del deserto. Sta fuggendo dalla guerra trascinandosi dietro il suo povero bagaglio, una busta di plastica.
Una foto scattata e postata domenica su twitter da Andrew Harper, membro dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), racconta più di tante altre il dramma dei profughi siriani e del milione di bambini costretti a lasciare le loro case. Ritrae il piccolo Marwan mentre arriva al confine giordano e viene soccorso dagli operati umanitari.
Inizialmente si era diffusa la notizia che Marwan aveva fatto la traversata del deserto da solo. In realtà era insieme a un gruppo di profughi, ma nell’ultima fase della marcia era rimasto indietro. Lo stesso Harper ha spiegato che subito dopo aver attraversato il confine il bambino ha potuto riabbracciare sua madre.

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