Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 febbraio 2012

Si afferma il diritto internazionale fino ad ora negato
di Valentina Brinis e Valentina Calderone,  Osservatorio Italia Razzismo
l'Unita, 24-02-2012
Quella emessa ieri dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo è davvero come ha detto Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati una “sentenza storica”. Sotto il profilo giuridico, ribadisce in maniera inequivocabile il diritto dei profughi alla tutela della propria incolumità, alla protezione dal rischio di subire trattamenti disumani e degradanti nel paese da cui fuggono, alla possibilità di presentare e documentare la richiesta di asilo. Sul piano politico, suona come una condanna severa della pratica dei respingimenti effettuata dal governo Berlusconi a partire dal 2009 e fino a tutto il 2010. In particolare secondo la Corte europea sono stati violati il divieto di tortura, il divieto di espulsioni collettive e il diritto ad un ricorso effettivo.
Questo in occasione dell’episodio, avvenuto il 6 maggio 2009 a Sud di Lampedusa, quando le autorità italiane dopo aver intercettato una nave con 200 migranti irregolari (somali ed eritrei), li riportava a forza in Libia. Successivamente 24 di quei migranti si sono appellati alla Corte europea di Strasburgo che ha dato loro ragione perché quelle persone: a) non dovevano essere respinte in un paese dove la loro incolumità era a rischio; b) dovevano essere ascoltate individualmente da una regolare Commissione per l’asilo; c) dovevano avere la possibilità di ricorrere contro un eventuale provvedimento di rifiuto. Ma se la sentenza, come è ovvio, interessa solo coloro che si sono rivolti alla Corte europea dei diritti umani il suo significato va ben oltre, riguarda e mette in discussione proprio quella strategia dei respingimenti che ha costituito la principale bandiera ideologica della politica per l’immigrazione del Governo Berlusconi. Immediatamente dopo quell’episodio, infatti, il 15 maggio del 2009 entra in vigore il Trattato di amicizia Italia-Libia. La parola amicizia è indicativa del fatto che l’Italia doveva “risarcire”, con la firma di quell’intesa, le responsabilità dell’epoca coloniale. L’accordo tra i due paesi aveva da subito presentato delle evidenti criticità. In primo luogo proprio quella che riguardava i respingimenti di quanti tentavano di approdare irregolarmente sulle nostre coste.
Il patto è poi stato sospeso nel periodo della primavera araba e ripreso a gennaio del 2012 dal Governo Monti che, con la nuova amministrazione libica, ha siglato la “Tripoli declaration”. Ma tra il maggio del 2009 e la fine del 2010 molto è accaduto. Per un verso si è registrata una riduzione delle richieste di asilo presentate agli organi italiani: dalle oltre 31mila del 2008 a poco più di 17mila nel 2009 alle 8,200 nel 2010. Per altro verso, c’è il dato crudele e ineludibile, rappresentato da quei 6 morti al giorno tra coloro che tentano la traversata del Mediterraneo.
In altre parole il successo vantato dal Governo Berlusconi meno sbarchi, meno richieste d’asilo e Lampedusa che torna a essere “la perla del Mediterraneo” è l’esito di una politica dell’immigrazione che si è manifestata attraverso la negazione sistematica di uno dei diritti umani fondamentali. Quello alla protezione e all’asilo per chi fugga da condizioni di persecuzione politica, etnica, religiosa, o da situazioni di conflitto bellico e di guerra civile. Tutto ciò era perfettamente conosciuto e documentato, registrato dalle telecamere che hanno per mesi mostrato lo strazio di chi cercava di sbarcare sulle nostre coste, i relitti di imbarcazioni di fortuna, i cadaveri che emergevano dalle acque del mare. Ora la sentenza di Strasburgo dà alla denuncia di tutto ciò la forza che discende dal diritto internazionale.



La Corte europea per i diritti umani: caso Hirsi, per 22 profughi un risarcimento di 15mila euro
Condanna unanime. I 17 giudici bocciano tutte le argomentazioni del governo italiano
Respingimenti, condannata l’Italia «La sentenza peserà»
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sentenziato che, rimandando i migranti verso la Libia, l’Italia ha violato la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo. Una battaglia di civiltà. Monti: rifletteremo sul futuro.
l'Unità, 24-02-2012
Umberto De Giovannangeli
Una sentenza storica. Che realizza un principio di civiltà. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sentenziato che, rimandando i migranti verso la Libia, l’Italia ha violato la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo e in particolare il principio di non refoulement (non respingimento), che proibisce di respingere migranti verso Paesi dove possono essere perseguitati o sottoposti a trattamenti inumani o degradanti.
LA SVOLTA
Il caso Hirsi e altri contro Italia riguarda la prima operazione di respingimento effettuata il 6 maggio 2009, a 35 miglia a sud di Lampedusa, in acque internazionali. Le autorità italiane hanno intercettato una barca con a bordo circa 200 somali ed eritrei, tra cui bambini e donne in stato di gravidanza. Questi migranti sono stati presi a bordo da una imbarcazione italiana, respinti a Tripoli e riconsegnati, contro la loro volontà, alle autorità libiche. Senza essere identificati, ascoltati né preventivamente informati sulla loro reale destinazione. I migranti erano, infatti, convinti di essere diretti verso le coste italiane. 11 cittadini somali e 13 cittadini eritrei, rintracciati e assistiti in Libia dal Consiglio italiano per i rifugiati dopo il loro respingimento, hanno presentato un ricorso contro l’Italia alla Corte Europea, attraverso gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci, dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani. «Nel caso di specie – dichiara l’avvocato Anton Giulio Lana – non si è trattato di un mero rischio di subire in Libia trattamenti inumani e degradanti; i ricorrenti hanno effettivamente subito tali trattamenti nei campi di detenzione, come drammaticamente testimoniato dai sopravvissuti». La Corte, all’unanimità, ha pienamente condannato l’Italia per la violazione di 3 principi fondamentali: il divieto di sottoporre a tortura e trattamenti disumani e degradanti (art. 3 CEDU), l’impossibilità di ricorso (art.13 CEDU) e il divieto di espulsioni collettive (art.4 protocollo aggiungitvo CEDU). La Corte quindi per la prima volta ha equiparato il respingimento collettivo alla frontiera e in alto mare alle espulsioni collettive nei confronti di chi è già nel territorio. La Corte ha ricordato che i diritti dei migranti africani in transito per raggiungere l’Europa sono in Libia sistematicamente violati. Inoltre, la Libia non ha offerto ai richiedenti asilo un’adeguata protezione contro il rischio di essere rimpatriati nei Paesi di origine dove possono essere perseguitati o uccisi.
A causadiquestapolitica,secondo le stime dell’UNHCR, l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, circa 1.000 migranti, incluse donne e bambini, sono stati intercettati dalla Guardia costiera italiana e forzatamente respinti in Libia senza che prima fossero verificati i loro bisogni di protezione.
LA POLITICA DEL «GENDARME»
Nel difendersi, il Governo italiano con i ministri dell’Interno (Maroni), Esteri (Frattini), Difesa (La Russa) in testaaveva sostenuto che la Libia dovesse considerarsi un “luogo sicuro” e che, inoltre, i ricorrenti non avrebbero in alcun modo manifestato agli ufficiali di bordo la loro volontà di richiedere l’asilo o altra forma di protezione internazionale. La Corte ha respinto integralmente le difese del Governo Italiano, ritenendo che ai migranti intercettati in acque internazionali non sia stata offerta alcuna possibilità effettiva di ottenere una valutazione individuale delle loro situazioni al fine di beneficiare della protezione accordata ai rifugiati dal diritto internazionale e comunitario, in violazione
dell’art. 13 della CEDU. «Questa sentenza prova che nelle operazioni di respingimento sono stati sistematicamente violati i diritti dei rifugiati, l’Italia ha infatti negato la possibilità di chiedere protezione e ha così respinto in Libia più di mille persone che avevano il diritto di essere accolte in Italia. Vogliamo che questo messaggio arrivi in maniera inequivocabile al Governo Monti: nel ricontrattare gli accordi di cooperazione con il Governo di Transizione Libico, i diritti dei rifugiati non possono essere negoziati, su questo tema ci aspettiamo dal nuovo esecutivo posizioni chiare e più forti di quelle che abbiamo rilevato in queste settimane», dichiara Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati. Una posizione che unisce il mondo della solidarietà, quello da sempre in prima linea nella difesa dei diritti umani e dei più deboli.
«Questa sentenza sarà esaminata con la massima attenzione. Si riferisce a casi del passato», ma anche «alla luce dell’analisi di questa sentenza prenderemo decisioni per quanto riguarda il futuro», commenta il premier Mario Monti. «Osservo inoltre che in occasione della mia recente visita a Tripoli questi temi sono stati oggetto di particolare attenzione», aggiunge. Questa sentenza «ci farà pensare e ripensare alle nostre politiche sulle migrazioni», concorda il ministro per l’Integrazione e la cooperazione Andrea Riccardi.



Immigrati, condanna amara dell'Italia
Il Mattino, 24-02-2012  
Alessandro Campi
La sentenza (inappellabile e vincolante) della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, che ha condannato i respingimenti verso la Libia attuati dall'Italia in osservanza del Trattato di amicizia sottoscritto con il Paese nord-africano nell'agosto del 2008, era largamente attesa, stando alle normative vigenti e agli orientamenti della dottrina in materia di diritto d'asilo e di protezione e assistenza da riservare ai profughi e ai rifugiati.
A ben vedere, il pronunciamento della Corte - che ha riguardato in particolare il cosiddetto caso Hirsi, avvenuto il 6 maggio 2009, quando circa duecento emigranti di nazionalità somala ed eritrea furono intercettati in acque internazionali, a sud di Lampedusa, e riaccompagnati contro la loro volontà a Tripoli - non ha fatto altro che riaffermare alcuni principi previsti solennemente da numerosi trattati e accordi internazionali: dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951, che sancisce tra le altre cose - art. 33.1 - il divieto di espellere o respingere "in qualsiasi modo, un rifugiato verso confini di territori in cui Ia sua vita o la sua liberta sarebbero minacciate", alla Convenzione sui diritti umani, secondo la quale - art. 3 - "nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti".
La colpa delle autorità italiane, dopo aver bloccato i migranti in alto mare non per prestare loro soccorso ma in ottemperanza a politiche di controllo delle frontiere e a misure di contrasto all'immigrazione clandestina decise dal governo dell'epoca, è stata giudicata duplice.
Da un lato, non avendo proceduto alla loro identificazione e quindi alla verifica del loro status eventuale di rifugiati, esse non hanno consentito a questi ultimi di avanzare - come poteva essere nel loro diritto -una richiesta d' asilo e di protezione nei confronti dello Stato italiano che in quel momento, pur essendo lontani dai confini territoriali nazionali, aveva egualmente piena giurisdizione su tutte le persone a bordo delle navi.
Dall'altro, anche se in osservanza alle clausole di un trattato formalmente sottoscritto da due Paesi e pienamente vigente, esse li hanno ricondotti forzatamente verso un Paese - la Libia ancora sotto il pungo di ferro di Gheddafi - dove sono stati ospitati in centri di detenzione sovraffollati e privi di ogni elementare assistenza, gestiti notoriamente con metodi brutali e senza alcun rispetto per i più elementari diritti della persona.
Da qui, da queste duplice inadempienza, la condanna per l'Italia a risarcire con un indennizzo di 15 mila euro una ventina di questi migranti che, rintracciati e assistiti dal Cir (Consiglio italiano per i rifugiati) dopo il loro respingimento, si sono a suo tempo rivolti con un ricorso alla Corte europea dei diritti umani e hanno alla fine ottenuto ragione.
Ma se sul piano dei diritto (positivo e naturale) questa sentenza - giudicata da molti commentatori, ad esempio da Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di portata storica e universalistica, come Ia sconfessione definitiva delle politiche migratorie incentrate sulla sicurezza più che sul rispetto dei diritti umani fondamentali - non sembra fare una grinza, sul piano politico generale essa mérita un commento meno dettato dall'entusiasmo e dall'emozione.
Non si può nascondere, ad esempio, che la linea della fermezza scelta dal governo Berlusconi a partire dal 2008, se da un lato ha obbedito ad una (discutibile) linea ideologica cavalcata in particolare dalla Lega, dall'altro ha anche risposto ad un interesse precipuo dell'Italia, che nel corso dell'ultimo decennio si è trovata ad affrontare praticamente da sola - senza alcun sostegno reale da parte dell'Europa - l'emergenza degli sbarchi sulle nostre coste di migranti provenienti, in particolare, dall'Africa sub-sahariana. Un fenomeno che al momento sembrerebbe essersi rallentato, ma che potrebbe presto riesplodere - avendo sempre come terminale le frontiere meridionali dell'Italia - considerati la crescente instabilità politica e l'endemico sottosviluppo economico di quella parte del mondo.
I respingimenti in mare saranno pure una pratica contraria al diritto internazionale e al senso di umanità, ma limitarsi a invocare lo spirito di accoglienza e l'osservanza delle norme, lasciando però che sia un solo Paese a farsi carico di un problema che dovrebbe invece riguardare l'intero continente europeo, appare una pratica nel segno dell'ipocrisia e della malafede. Se ne è avuto un esempio eclatante durante la guerra
di Libia o mentre erano in corso le rivolte di piazza in Tunisia ed Egitto, con i blocchi alle frontiere e le restrizioni agli ingressi di migranti extracomunitari decisi praticamente da tutti i Paesi europei. L'idea, avanzata in quel delicato frangente proprio dall'Italia, di concedere a coloro che sbarcavano a Lampedusa permessi temporanei di circolazione validi per l'intera area Schengen fu considerata un'eresia dagli altri membri dell'Unione, ben intenzionati a non accogliere profughi sul proprio territorio. Chi non ricorda la polizia francese schierata sul confine di Mentone per bloccare l'arrivo di tunisini in fuga dal loro Paese in fiamme?
Insomma, l'Italia certo si merita la condanna legale che le è stata inflitta, a partire da un episodio che sicuramente non le fa onore, ma una condanna politica non meno solenne andrebbe rivolta a chi - in primis proprio l'Unione europea - non perde occasione per lanciare moniti morali e per invocare il rispetto dei principi e delle regole, ma poco sinora ha fatto per affrontare e risolvere, con politiche d'accoglienza e d'integrazione che per quanto liberali non possono a loro volta trascurare l'esigenza della sicurezza collettiva, il dramma divenuto ormai biblico dell'immigrazione.



"RISARCIRE GLI  IMMIGRATI RESPINTI"
La Corte europea condanna l'Italia per 24 stranieri rimandati in Libia
il Fatto Quotidiano, 24-02-2012  
Roberta Zunini
Voglio che quello che abbiamo passato per colpa degli italiani sia conosciuto da tutto il popolo europeo", dice il giovane rifugiato politico eritreo Ermias Barhane nel documentario "Mare chiuso" di Andrea Segre e Stefano Liberti, dopo aver raccontato le torture subite in Libia in seguito al respingimento in mare dell'imbarcazione su cui si trovava assieme ad altre decine di migranti nel luglio 2009. Il giorno alla fine è arrivato. Con la sentenza unanime di condanna dell'Italia relativa al caso Hirsi - uno dei primi respingimenti effettuati nelle acque internazionali al largo di Lampedusa- l'alta corte europea di Strasburgo ha fatto effettivamente sapere all'Europa che i respingimenti in mare violano la convenzione europea dei diritti dell'uomo perché mettono in atto un'espulsione collettiva. Con l'aggravante che il respingimento in mare, senza identificazione, impedisce ai migranti di esercitare il diritto - sancito dalla convenzione stessa - di richiedere asilo politico. La sentenza è stata definita storica dall'alto commissariato Onu per i rifugiati e da molte organizzazioni umanitarie come la comunità di Sant'Egidio, Save the children e il Consiglio italiano per i rifugiati ( Cir) i cui operatori in Libia raccolsero le testimonianze delle terribili vessazioni subite da 24 migranti, tra cui alcune donne incinte, una volta rimandati in Libia.
"QUESTA sentenza smantella la politica del precedente governo in materia di immigrazione e crea un precedente non solo in Europa ma anche nel resto del mondo, data l'autorevolezza della Corte di Strasburgo". A dichiararlo è l'avvocato Anton Giulio Lana, che assieme al collega Andrea Saccucci, ha rappresentato i migranti respinti davanti ai 17 giudici europei. Il verdetto, che prevede anche un risarcimento di 15mila euro per ciascun migrante, sottolinea che l'Italia ha violato ben 3 importanti articoli della Convenzione europea. "Gli articoli 3,4e 13 proibiscono l'espulsione verso Paesi dove si potrebbe correre il rischio di essere vittime di torture e comportamenti degradanti, e obbligano gli Stati europei aprendere in esame le richieste di protezione internazionale", spiega Lana. Secondo gli avvocati a mostrare la colpevolezza delle decisioni prese dall'allora ministro Roberto Maroni è "che il Governo italiano avesse affermato pubblicamente che i migranti respinti non rientravano tra le persone aventi diritto all'asilo e non correvano alcun rischio in Libia, affermazione poi clamorosamente smentita dai fatti".
Ermeis Barhane dopo essere riuscito a fuggire dal carcere libico e a imbarcarsi nuovamente, una volta arrivato a Crotone ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Nel difendersi, il governo italiano aveva sostenuto che la Libia dovesse considerarsi un "luogo sicuro" e che, inoltre, i ricorrenti non avrebbero in alcun modo manifestato agli ufficiali di bordo la loro volontà di richiedere l'asilo o altra forma di protezione internazionale. "La Corte ha respinto integralmente le difese del governo, ritenendo che ai migranti intercettati in acque internazionali non sia stata offerta alcuna possibilita di otte- nere una valutazione individuale della loro situazione", ha sottolineato in un comunicato il Cir. La sentenza non ha fatto cambiare idea a Roberto Maroni che ha dichiarato: "Lo rifarei, i respingimenti hanno salvato la vita ai migranti che sarebbero morti in mare" . Il premier Mario Monti invece ha detto che "il governo presterà massima attenzione alla sentenza". L'Italia è obbligata al risarcimento dopo tre mesi dalla pubblicazione della sentenza e non potra fare alcun ricorso.



Respingimenti, Italia condannata
il sole 24 ore, 24-02-2012
Karima Moual
Nel 2009 l'Italia respinse per la prima volta in alto mare, verso la Libia, un barcone di migranti. A due anni di distanza è arrivata ieri la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo per aver violato la Convenzione europea.
Il caso è noto come "Hirsi Jamaa e altri contro Italia". Era il 6 maggio 2009, quando a 35 miglia a sud di Lampedusa – come ha ricostruito il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) – in acque internazionali, le autorità italiane intercettano una nave con a bordo circa 200 persone. Erano somali ed eritrei, e tra loro vi erano bambini e donne in stato di gravidanza. I migranti - si legge nel ricorso - vengono trasbordati su imbarcazioni italiane e riaccompagnati a Tripoli contro la loro volontà, senza essere prima identificati, ascoltati né preventivamente informati sulla loro effettiva destinazione. Questa procedura ha fatto sì che i migranti non abbiano avuto alcuna possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale in Italia.
Di queste 200 persone, 24 (11 somali e 13 eritrei) sono state rintracciate e assistite in Libia dal Cir e hanno incaricato gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci dell'Unione forense per la tutela dei diritti umani di presentare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
La sentenza della Corte di Strasburgo colpisce, dunque, i respingimenti attuati dall'Italia verso la Libia, a seguito degli accordi bilaterali e del trattato di amicizia italo-libico siglato dal governo Berlusconi. Ora la palla passa al governo di Mario Monti. Il premier ieri ha spiegato che «questa sentenza sarà esaminata con la massima attenzione. Si riferisce a casi del passato», ma anche «alla luce dell'analisi di questa pronuncia prenderemo decisioni per quanto riguarda il futuro». «Osservo inoltre che – ha aggiunto Monti – in occasione della mia recente visita a Tripoli questi temi sono stati oggetto di particolare attenzione».
Si annuncia dunque una revisione della politica dei respingimenti in alto mare. A non gradire il verdetto della sentenza non a caso è l'ex ministro dell'Interno Roberto Maroni, la cui politica di respingimento è stata di fatto bocciata da questa pronuncia: «La corte - ha spiegato Maroni - condanna un comportamento a mio avviso assolutamente conforme alle direttive europee. I respingimenti sono stati fatti dalle autorità libiche e noi ci siamo limitati a prestare assistenza». Dunque, ha proseguito l'ex ministro, «si tratta di una pratica che io rifarei, anche perché ha contribuito a salvare molte vite umane, impedendo la partenza di barconi con migranti dalla Libia». Quello di Strasburgo, ha poi sottolineato Maroni, è una sentenza «politica che colpisce la linea di estremo rigore da noi adottata contro l'immigrazione clandestina e apre la strada all'immigrazione libera».
Per il ministro alla Cooperazione Andrea Riccardi, la sentenza «sarà ricevuta e valutata con grande attenzione» dal governo italiano «e ci farà pensare e ripensare alla nostra politica per l'immigrazione». Il ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri si affretta a traquillizzare: «Sono in corso serrati contatti con la nuova dirigenza libica al fine di riavviare la collaborazione operativa fra i due Paesi. Ogni iniziativa intrapresa sarà improntata all'assoluto rispetto dei diritti umani».
Di fatto la sentenza ha accolto le posizioni in materia di respingimenti dell'Unchr (l'agenzia Onu per i rifugiati), per cui l'Italia non può rinviare forzatamente le persone in paesi dove potrebbero essere a rischio di persecuzione o di subire un danno grave. L'Unhcr ha sottolineato che, data la situazione in Libia in quel momento, la politica italiana dei respingimenti minava l'accesso all'asilo e violava il fondamentale principio del non respingimento che si applica in qualsiasi luogo gli stati esercitino giurisdizione sulle persone, anche in alto mare.
Fermati in mare
231 6 maggio 2009 Le persone soccorse dalla Guardia costiera, poi trasbordate su una nave militare italiana e di lì su motovedette libiche
163 9-10 maggio 2009 I profughi (tra loro 49 donne e due bambini) soccorsi dalla nave militare Spica e poi consegnati ai libici
82 30 giugno 2009 I migranti intercettati dalla nave Orione della marina militare a 30 miglia da Lampedusa e riportati in Libia il 1° luglio
80 12-13 agosto Le persone, tra le quali 18 donne, soccorse dalle motovedette della Guardia di Finanza e riconsegnate ai militari libici



Noi brava gente? Non è sempre vero
La Stampa, 24-02-2012
Vladimiro Zagrebelsky
L’ Italia non pratica e anzi vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. L’Italia assicura asilo ai profughi secondo le regole internazionali. Italiani brava gente.
La Corte dei diritti umani ha condannato, in via definitiva, e quindi senza possibilità di appello da parte dell’Italia, i respingimenti verso la Libia attuati dal 2009. La sentenza che i diciassette giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno ieri all’unanimità emesso, ci dice che non è sempre vero e che qualche volta c’è scarto tra la realtà e la diffusa convinzione di esser noi all’avanguardia delle nazioni civili. Occasione quindi di riflessione e reazione, per far sì che quello scarto non ci sia mai più.
I fatti oggetto della sentenza vennero all’epoca molto pubblicizzati. Canali televisivi influenti ne dettero compiaciuta notizia, come di un’occasione in cui il governo aveva dimostrato la sua efficienza nel difendere i confini dall’invasione di migranti illegali. Invece di continuare a ricevere stranieri sulle nostre spiagge, per poi dover iniziare la difficile e spesso impossibile pratica dell’espulsione, semplicemente erano state inviate navi militari a intercettare in alto mare e a riportare indietro, in Libia, gli indesiderati barconi ed il loro carico umano. Semplice, economico e pratico, «poche storie! ». Come ricordò il ministro dell’Interno in Senato si trattava di applicare l’accordo firmato nel 2009, sotto la tenda di Gheddafi. In quell’anno furono eseguite nove operazioni simili e centinaia di migranti furono respinti in quel modo. L’accordo italo-libico è poi stato sospeso nel 2011 nel corso della recente rivoluzione libica.
La Corte europea ha giudicato sul ricorso di undici somali e tredici eritrei respinti in Libia con quelle modalità. Essi hanno sostenuto che l’Italia li aveva esposti al rischio di trattamenti inumani da parte delle autorità libiche e di quelle del Paese di origine, se fossero stati colà riportati, e che l’Italia aveva eseguito una «espulsione collettiva», proibita dalle convenzioni internazionali e in particolare dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le modalità poi del respingimento avevano impedito ai ricorrenti di ottenere il controllo giudiziario della loro posizione. Una serie di autorevoli organismi internazionali è intervenuta davanti alla Corte, in appoggio ai ricorrenti. Tra questi gli uffici dell’Alto Commissario ai Rifugiati e dell’Alto Commissario ai diritti umani delle Nazioni Unite.
La Corte ha innanzitutto dichiarato che i ricorrenti erano stati imbarcati a bordo delle navi italiane e che quindi, secondo la legge internazionale e italiana, si erano venuti a trovare nella giurisdizione dello Stato italiano: sotto il controllo continuo ed esclusivo, di diritto e di fatto, delle autorità italiane, tenute ad osservare le disposizioni della Convenzione europea. La Corte ha affermato che le autorità italiane avevano consegnato i ricorrenti a quelle libiche nella piena consapevolezza del trattamento che rischiavano. Come accertato da organizzazioni internazionali serie ed affidabili come Amnesty International e Human Rights Watch e come anche confermato dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa, i migranti respinti in Libia erano messi in detenzione in condizioni inumane, anche con casi di tortura. E lo stesso rischio vi sarebbe stato se e quanto dalla Libia i ricorrenti fossero stati riportati in Somalia o Eritrea, dove esisteva una pratica di detenzione e tortura dei cittadini che avevano tentato di lasciare il Paese.
La Corte ha quindi affermato che l’Italia aveva violato il divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti. Si tratta di un divieto assoluto, che non riguarda solo il comportamento diretto delle autorità statali, ma anche quello indiretto del trasferimento ad altro Stato ove quelle pratiche hanno luogo. Non solo quindi il divieto di torturare, ma anche quello di non trasferire la persona in uno Stato ove sarà esposto al rischio di tortura o trattamento inumano. Lo stesso meccanismo della protezione anche indiretta opera quando l’espulsione o l’estradizione è verso uno Stato che pratica la pena di morte.
La violazione di cui l’Italia è stata ritenuta responsabile è tra le più gravi. Colpisce che essa si riferisca ad azioni che gli equipaggi delle navi militari sono stati obbligati a compiere, dopo che in altre circostanze quello stesso personale militare si era guadagnato l’ammirazione per l’opera efficace e rischiosa compiuta, secondo la legge del mare, per soccorrere battelli in difficoltà, scortarli a terra e salvarne da morte gli occupanti. Per questa loro attività quegli equipaggi erano stati elogiati dal Commissario di diritti umani del Consiglio d’Europa.
La Corte europea ha anche ritenuto che l’Italia abbia commesso una violazione del divieto di «espulsione collettiva», di espulsione cioè in blocco, senza esame della situazione individuale di ciascuna persona. Senza identificazione e accertamento dei motivi che inducono la persona alla fuga dal suo Paese, non si può accertare se l’espulsione crei pericolo per la vita o l’incolumità della persona o di persecuzione politica o religiosa o altro. Il diritto al rifugio che un migrante può avere non è assicurato quando, com’è avvenuto, non si accerti la condizione personale di ciascuno. La pratica della riconsegna collettiva alla Libia di tutti i migranti raccolti in mare, ha evidentemente impedito ogni esame individuale e, a maggior ragione, il ricorso a un giudice.
La sentenza è definitiva. I principi affermati - non nuovi nella giurisprudenza della Corte europea - valgono per l’Italia come per tutti i quarantasette Paesi del Consiglio d’Europa. Ed anche, val la pena di ricordare, per i Paesi membri dell’Unione Europea quando definiscono la politica e le iniziative comunitarie di contrasto e gestione dell’immigrazione irregolare. Ma intanto e innanzitutto il governo italiano (il nuovo governo) deve dare esecuzione alla sentenza, non solo indennizzando i ricorrenti, ma anche cessando pratiche come quelle che la Corte ha condannato ed assicurando a tutti coloro che in qualunque modo, anche irregolare o illegale, vengono a trovarsi nella giurisdizione italiana, il pieno ed eguale godimento dei diritti fondamentali. Diritti che non appartengono ai soli cittadini, ma sono propri di tutte le persone umane.



Condannati da Strasburgo
Europa, 24-02-2012
Massimo Livi Bacci
La corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha emesso una storica quanto attesa sentenza di condanna dell’Italia in merito al caso Hirsi. Per chi non lo ricordasse, il 6 maggio del 2009 venne intercettata a sud di Lampedusa, in acque internazionali, una nave con 200 profughi eritrei e somali; questi vennero trasbordati su natanti italiani e riaccompagnati nel porto di Tripoli. I profughi non vennero né sentiti, né identificati né, ovviamente, venne loro concesso di presentare domanda di protezione internazionale. Furono riconsegnati nelle mani del regime di Gheddafi, le cui credenziali in tema di diritti umani facevano rabbrividire chiunque avesse qualche dimestichezza con la realtà della Libia.
Senza alcuna garanzia che non venissero rispediti nei paesi di origine con gravi pericoli per la loro vita o per la loro incolumità. O rinchiusi in centri di detenzione chiusi all’ispezione delle organizzazioni umanitarie. Fu questa una delle prime conseguenze dell’applicazione dell’accordo tra Italia e Libia sul controllo delle migrazioni. I giuristi spiegheranno la portata della sentenza, le sue motivazioni, i suoi fondamenti giuridici.
Ci sono dei princìpi di civiltà, fortunatamente recepiti dai trattati e dalle convenzioni internazionali, che debbono essere rispettati e, vorrei aggiungere, coltivati e fatti crescere. Tra questi il principio che coloro che vengono intercettati o soccorsi in mare non possano essere rinviati al paese di provenienza – sia questa la patria o un paese di transito – dal quale sono in fuga. I profughi intercettati quel 6 maggio avrebbero dovuto essere condotti in un porto italiano, identificati, ascoltati, informati dei loro diritti. Avrebbe dovuto essere data loro l’opportunità di presentare domanda di protezione internazionale che, trattandosi di fuggitivi da regimi tirannici e crudeli, sarebbe stata accolta.
Così non venne fatto, e per tutti loro – c’erano bambini e donne incinte – ricominciò un’odissea di sofferenze. Questa condanna deve servire da ammonimento e da stimolo. Comincio con l’ammonimento, che riguarda le relazioni italo-libiche e il seguito da dare al Trattato di amicizia firmato tre anni fa ed attualmente congelato. È vero che il trattato impegna le parti ad agire conformante «agli obiettivi e ai principi delle Nazioni unite e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo» (articolo 6), anche se si tratta di una formulazione troppo debole e generica.
Ma lo stesso trattato (articolo 19) impegna le parti a una stretta collaborazione per quanto riguarda la lotta al terrorismo, alla droga, alla criminalità e «all’immigrazione clandestina » posta sullo stesso piano delle altre gravi attività criminali.
Nella recente audizione del Ministro Terzi di sant’Agata alle commissioni esteri di camera e senato, il tema della “reviviscenza” del trattato è stata sollevato: il governo sembra orientato a grande prudenza e ad affrontare con gradualità, assieme ai partner libici, le numerose questioni concrete dell’accordo. È sicuramente un buon metodo, vista l’instabilità della situazione e ci auguriamo che la questione dei diritti umani faccia da sfondo nel graduale riannodarsi delle relazioni e degli impegni. Lo stimolo riguarda l’azione dell’Italia e dell’Europa nell’ambito delle migrazioni mediterranee.
Nel 2011, duemila persone sono perite nel disperato tentativo di traversare il canale di Sicilia e di giungere a un approdo europeo alla ricerca di protezione. Non ci sono riuscite. È una catastrofe umanitaria che non deve continuare. Ma per chiedere asilo, occorre toccare una frontiera. E per chi viene dall’Africa l’unica via è quella del mare. Su natanti precari. E contro la legge. Ma le regole possono essere riscritte. Per esempio, l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), in accordo con i paesi della Ue e con le autorità libiche, potrebbe istituire dei presidi presso i quali i richiedenti asilo trovino accoglienza e possano presentare le loro domande, che dovrebbero essere esaminate e vagliate col concorso delle autorità diplomatiche. Senza porsi nelle mani dei trafficanti, senza rischiare di restare in balìa delle onde.
Questa ipotesi è stata seriamente formulata, ed ha il favore – credo – della stessa Unhcr. È sperabile che il ritrovato muscolo internazionale dell’Italia possa convincere i partner europei a guardare oltre le proprie frontiere.



EDITORIALE
La regola
Avvenire, 24-02-2012
?Marco Tarquinio
 La sentenza pronunciata ieri dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nulla dice che ogni cristiano come ogni persona civile e di retta coscienza già non sappia: non si scaccia chi bussa alla tua porta senza neanche guardarlo in faccia, senza ascoltarlo, senza riconoscerlo. E questo è un po’ più vero quando la "porta" è il mare: la soglia della casa di tutti. Respingere in mare aperto – come in modo drammatico e ripetuto avvenne per iniziativa italiana, a partire dalla primavera del 2009 nel Canale di Sicilia – e farlo senza minimamente preoccuparsi di identificare e capire chi c’è e perché sulle barche intercettate non si potrà più fare, e non si dovrà. È una bella e buona notizia (e vogliamo sperare che sia letta e accettata come tale in tutta Europa e dalla stragrande maggioranza dei nostri politici e dei nostri concittadini, e che nessun ricorso sia opposto alla deliberazione giudiziaria che l’ha generata). Una notizia ancora più bella e più buona perché, purtroppo, ci siamo disabituati a sentenze che allargano il cuore e che corrispondono con eloquente naturalezza al diritto fondamentale che sta scritto nel cuore degli uomini e delle donne di ogni tempo. Su Avvenire, in questi anni nei quali l’Italia dello sboom demografico si è misurata con crescente e impegnativa intensità con il fatto nuovo di una forte immigrazione dal Sud e dall’Est del mondo, abbiamo scritto molte volte – in sintonia con la voce della Chiesa, con gli appelli del Papa e dei vescovi – che accoglienza e legalità sono sorelle, che i flussi vanno governati dalle nazioni con umano e fermo senso delle regole e della giustizia ma, soprattutto, che nessun uomo e nessuna donna possono mai essere considerati "clandestini" sulla faccia della terra. Nessuno, mai. Un principio che vale sempre e per tutti, ma infinitamente di più per chi è in fuga, sradicato dalla propria terra da feroci conflitti, da fame e persecuzione. Per questo guardare in faccia, capire e riconoscere è fondamentale. È la regola.
I lettori di Avvenire conoscono bene la storia terribile e vergognosa del traffico di persone e di organi umani che continua ad accadere nel Sinai egiziano. Ne sono vittime uomini, donne e bambini eritrei. L’abbiamo scoperta e raccontata, quella storia, e stiamo cercando – per quanto può un giornale – di farla finire, perché cominciammo a seguire le tracce degli eritrei respinti in mare al largo delle coste italiane e risospinti nel deserto dal quale erano venuti per cercare scampo dalla dittatura e dalla guerra. Ecco: respingere ciecamente chi bussa alla nostra porta significa anche essere alleati di tutti gli aguzzini del mondo. Ricordiamocelo.



Boldrini: «Decisione storica tutti devono prenderne atto»
Il Messaggero, 24-02-2012  
ROMA - Il telefono di Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati, è bollente. Chiamano giornalisti da ogni dove: ora è la volta della radio tedesca, prima c'era stato il collegamento della Bbc, prima ancora l'in- tervista con Le Monde.
Perché tutti questi Paesi sono cosi interessati alla sentenza che condanna l'Italia?
«Perché la sentenza è anche un monito per tutti gli altri Paesi europei. L'Europa ha sempre guardato con attenzione a ciò che avveniva a Lampedusa, quando c'erano gli sbarchi».
Ora che vi aspettate che faccia l'Italia?
«II presidente del Consiglio, Mario Monti, ha detto che la sentenza peserà sulle scelte future. Apprezzo molto questo atteggiamento. E ricordo che finora non c'è mai stata una presa di distanza netta da parte dell'attuale Governo rispetto alle politiche sull'immigrazione del Governo precedente».
E se l'Italia facesse ricorso?
«Non credo che si possa fare. La decisione è stata presa dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti umani: di- ciassette giudici si sono espressi all'unanimità. E non è previsto l'appello per le decisioni della Grande Camera».
Dunque il nostro Paese non può che prendere atto della decisione dei giudici europei.
«Si, Voglio poi dire che e la prima volta in assoluto che la Corte di Strasburgo si e espressa sui respingimenti, e anche questo e un fatto storico».
Bisognerä rivedere il trattato Italia-Libia. E' da li che i respingimenti hanno preso le mosse, o no?
«II trattato Italia-Libia e stato sospeso con la guerra. Poi c'e stato il viaggio in Libia di Monti e il trattato pare essere stato riattivato. Ma il punto e che non c'e nessuna norma, nel trattato, che preveda esplicitamente i respingimenti. E' stata una prassi, non una norma. Nel senso che, grazie al trattato, la Libia ha accettato di riprendere sul proprio territorio i Cittadini di altri Paesi che venivano respinti. In futuro i respingimenti in alto mare non potranno piü essere considerati come strumenti di controllo dell'immigrazione irregolare».
I respingimenti a cui fa riferimento la sentenza risalgono al maggio 2009. Le risulta che, dopo quella data, ce ne siano stati altri? «Si, fino all'agosto dei 2009. Dopo, a noi dell'Unhcr non risultano altri respingimenti. Nel 2011, ad esempio, i mi- granti richiedenti asilo sono stati tutti accolti. Ma l'Italia finora non ha mai dato un segnale formale di discontinuità rispetto alle politiche sull'immigrazione del Governo precedente».



Fortezza Europa, una sentenza storica
il Fatto quotidiano, 24-02-2012
Tana de Zulueta
Un post per salutare l’Europa dei diritti, dimenticata e trascurata di questi tempi a favore dell’Europa dei mercati. Ieri la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per avere violato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo respingendo in alto mare delle persone che cercavano protezione, e rimandandole contro la loro volontà in Libia. “Una sentenza storica”, secondo l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU (UNHCR) — che avrà ripercussioni anche in altri paesi della nostra vecchia e sempre più arcigna “Fortezza Europa”.
E non solo perché ai 22 ricorrenti eritrei, somali ed etiopici è stato riconosciuto un compenso di 15.000 euro per i danni subiti, ma perché la sentenza obbligherà l’Italia a rivedere un modello di lotta all’immigrazione irregolare che ha messo in pericolo la vita e l’incolumità di centinaia di persone, privando chi ne aveva disperatamene bisogno del diritto alla protezione. L’UNHCR stima che almeno 1000 persone sono state intercettate in mare e rispedite in Libia, dove rischiavano abusi e torture, a seguito dell’accordo di cooperazione firmato tra Italia e Libia nel 2009.
Il giudizio è netto: i diciasette giudici della Grande camera hanno votato all’unanimità. “Le misure di controllo delle frontiere non esonerano gli stati dai loro obblighi internazionali”, come ricorda il rappresentante dell’Alto Commissario. Che rammenta, però, che l’Italia ha riattivato il trattato bilaterale con l’attuale Governo libico senza rinunciare formalmente alla pratica dei respingimenti che è il risultato dell’accordo firmato tra Gheddafi e Berlusconi.
Nessuno dei 22 ricorrenti era presente in aula a Strasburgo questa mattina. Dopo lo scoppio della guerra in Libia alcuni fra i 200 migranti, tra cui donne e bambini, caricati su navi italiane e riportati in Libia quella mattina di marzo del 2009 sono riusciti a raggiungere l’Europa o a mettersi in salvo. Altri sono stati meno fortunati. Cito da una nota dei loro avvocati: “Sulla base di testimonianze, si teme che altri ricorrenti abbiano perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Italia via mare. Al riguardo, si deve ricordare che secondo le stime dell’UNHCR sarebbero circa 1.500 i migranti ad aver perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Italia via mare nel 2011.”



L'Europa condanna solo noi per i respingimenti
La rabbia di Maroni: «Una sentenza politica». Spagna e Grecia usano gli stessi metodi, ma nessuno dice nulla
Libero, 24-02-2012
Tommaso Montesano
Lo scorso anno la Corte di giustizia dell'Ue aveva bocciato il reato di clandestinità. Ieri è toccato alla Corte europea dei diritti umani affossare un altro pezzo della politica anti-immigrazione del governo Berlusconi: i respingimenti in mare. I giudici di Strasburgo, infatti, hanno condannato l'Italia a risarcire con 15mila euro a testa più le spese 22 Cittadini somali ed eritrei rimpatriati in Libia dopo essere stati intercettati, il 6 maggio 2009, a 35 miglia a sud di Lampedusa. Una pronuncia che nell'esecutivo di Mario Monti dà fiato a quanti, come Andrea Riccardi, puntano a «ripensare alle nostre politiche sulle migrazioni». Magari concedendo, come è tornato a chiedere in settimana il ministro della Cooperazione, la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. Oggi, intanto, il consiglio dei Ministri è pronto a intervenire sui permessi di soggiorno, raddoppiando la durata della loro validità, sotto forma di emendamento al decreto per la semplifi- cazione fiscale.
Secondo la Corte di Strasburgo, consegnando ai libici i migranti l'Italia ha violato in tre punti la Convenzione europea dei diritti umani: sul mancato rispetto della norma che vieta 1'espulsione verso un Paese dove persiste il rischio di essere sottoposti a torture o trattamenti degradanti; sul divieto di espulsione collettiva; sulla mancata concessione dei diritto ad un ricorso presso i tribunali italiani per chiedere asilo politico. Per i giudici, circa 200 persone sono state riaccompagnate a Tripoli contro la loro volontà. Da qui la decisione di 22 di loro - per due il ricorso è stato giudicato inammissibile - di ingaggiare, a partire dal luglio 2009, una battaglia legale contro l'Italia grazie agli avvocati messi a disposizione dal Consiglio italiano peri rifugiati.
La sentenza fa esultare il Pd, che inneggia al «colpo, ci auguriamo definitivo, alla politica migratoria costruita in questi anni dai governi Berlusconi». Adesso, incalza il capogruppo al Senato, Anna Finocchiaro, «ci sono le condizioni per un ripensamento delle politiche sull'immigrazione». Iniziando, incalza l'exministro Livia Turco, dalla «politica dei respingimenti in mare», una pagina da «archiviare rapidamente e definitivamente».
Le prime mosse del governo, nonostante una timida difesa da parte della Farnesina - «il trattamento riservato a migranti e profughi messi in salvo è stato sempre conforme agli obblighi internazionali e ai principi di salvaguardia dei diritti umani» - vanno in questa direzione. «Vogliamo fare una politica chiara, trasparente e corretta sull'immigrazione, senza niente da nascondere», sostiene Riccardi. Il premier Mario Monti, cui spetterà prendere la decisione in merito all'eventuale ricorso contro la decisione di Strasburgo, assicura «la massima attenzione del governo. Alla luce dell'analisi di questa sentenza prenderemo decisioni per quanto riguarda il futuro». L'orientamento sembra quello di non tirare troppo la corda con Strasburgo. «La decisione della Corte va rispettata», intima Annamaria Cancellieri, ministro delllnterno.
Parole che fanno infuriare l'ex centrodestra. A partire dalla Lega. Roberto Maroni, ex ministro dell'interno, parla di «sentenza politica che apre la Strada all'immigrazione libera». Duro anche Umberto Bossi: «L'importante è
non aver riempito il Paese di immigrati. Noi abbiamo fatto il nostro lavoro». Nella lista delle contestazioni, insieme all'allungamento dei permessi di soggiorno, c'è anche la "carta acquisti" che i Comuni con più di 250mila abitanti possono concedere agli stranieri in virtù del disegno di legge su semplificazione e sviluppo. «Un ennesimo regalo agli immigrati», attacca il Carroccio.
Anche dal Pdl, tuttavia, si levano voci critiche contro l'atteggiamento di Palazzo Chigi. Alfredo Mantovano, ex sottosegretario all'Interno, chiede «al governo italiano di impugnare la sentenza della Corte». Osserva Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo al Senato: «Dopo il danno, la beffa: l'Italia attualmente accoglie sei- mila minori non accompagnati che gravano sull'erario per circa 150 euro al giorno. L'Europa si è ben guardata dal condividere questo fardello».Non solo: è la prima volta, in sessant'anni di attività, che la Corte emette una condanna per una violazione relativa agli stranieri fuori dal territorio di uno Stato. Eppure la Spagna, attraverso la Guardia civil, attua i respingimenti in mare fin dal 2006. E anche la Grecia usa il pugno duro.




Il razzismo è di Stato
il Fatto Quotidiano, 24-02-2012
Iside Gjergji
Pietro Basso, nell’ultimo libro da lui curato, Razzismo di stato. Stati Uniti, Europa, Italia (Franco Angeli, 2010), afferma che “il primo propellente del revival del razzismo in corso è il razzismo istituzionale, e i suoi primi protagonisti sono proprio gli Stati, i governi, i parlamenti: con le loro legislazioni speciali e i loro discorsi pubblici contro gli immigrati, le loro prassi amministrative arbitrarie, la selezione razziale tra nazionalità ‘buone’ e nazionalità pericolose, le ossessive operazioni di polizia e i campi di internamento” (p. 9). E’ una tesi controcorrente, non c’è dubbio, non solo rispetto ai discorsi massmediatici, dove la rappresentazione dominante vede il razzismo come un processo che sale dal basso verso l’alto, sviando l’attenzione dei più sui sentimenti e sui comportamenti ostili diffusi a livello popolare verso gli immigrati, ma anche rispetto a quelle produzioni accademiche che, acriticamente, adottano il medesimo punto di vista, finendo per fare così “la guardia del corpo dell’imperatore o accontentarsi di produrre aria fritta a mezzo di aria fritta” (p. 9).
Ebbene, eccolo qui il razzismo istituzionale, certificato con tanto di sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che ha condannato l’Italia per il respingimento in alto mare dei profughi provenienti dall’Africa nel 2009.  Per 11 cittadini somali e 13 cittadini eritrei, la Corte europea ha accertato il trattamento inumano e degradante (art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo) perpetrato da parte dello stato italiano. La Corte ha rilevato, inoltre, la violazione dell’art. 4 del protocollo n. 4 della sopramenzionata Convenzione (che vieta l’espulsione collettiva) nonchè dell’art. 13 (che garantisce il diritto individuale ad un ricorso effettivo, ovvero l’Abc della civiltà giuridica).
Il respingimento degli immigrati in alto mare da parte dello stato italiano è un puro atto di razzismo, se per razzismo s’intende – come ci insegna Franz Fanon – la riduzione allo stato di assoluta inferiorità (giuridica, politica, economica, culturale) di individui o popoli. E l’Italia è, in questo senso, avanguardia in Europa. Non che il razzismo istituzionale costituisca una novità in Europa, o in Italia, – basti pensare, a tal proposito, al razzismo istituzionale sviluppato a giustificazione delle imprese coloniali o in corrispondenza di frangenti storici drammatici –, ma il balzo in avanti che si è registrato con le politiche e le leggi dei governi Berlusconi non ha precedenti nella storia repubblicana.
La guerra agli immigrati, però, è stato il leit-motiv di tutti i governi degli ultimi venticinque anni. E in questa guerra hanno avuto un ruolo centrale i provvedimenti legislativi (leggi e decreti) e amministrativi (circolari, direttive) dello Stato, in quanto fattori di socializzazione della paura e di promozione del razzismo di massa. Non sono di certo mancati in questi anni le critiche e gli ammonimenti lanciati ai vari governi italiani (di centro-sinistra e di centro-destra) da vari organismi europei (Commissione europea, Parlamento europeo, Consiglio d’Europa) ed internazionali (Fundamental Rights Agency di Vienna, Osce, Unhcr, Onu). Nel suo rapporto del marzo 2007, Daudou Die’ne, relatore speciale presso l’Onu, affermava, infatti, che la legge Bossi-Fini “ha messo l’accento più sulla sicurezza che sull’integrazione degli immigrati”, giungendo a parlare espressamente di “schiavizzazione” degli immigrati in Italia.
Le politiche sperimentate sugli immigrati nel “laboratorio-Italia” hanno conosciuto però, in seguito, una larga espansione in tutta l’Europa (sia nelle legislazioni nazionali di ciascun paese membro sia nella legislazione comunitaria) e, così, i richiami fatti all’Italia, appaiono, in questa prospettiva, più come un gioco delle parti che delle vere critiche che puntano a scoraggiare seriamente le politiche razziste. Ciò vale anche per alcuni ammonimenti europei sui respingimenti in alto mare effettuati dal governo italiano, considerato che, in Europa, anche a livello comunitario, si rafforza sempre di più la pratica del pattugliamento congiunto delle coste africane per “bloccare le partenze”. L’ultimo accordo, in tal senso, risale al vertice italo-francese dell’8 aprile 2011, finalizzato a “bloccare le partenze” dalla Tunisia.
Tuttavia, la decisione della Corte di Strasburgo, che condanna l’Italia al pagamento di 15 mila euro agli stranieri ingiustamente ed illegittimamente respinti (si tratta dei soli ricorrenti, naturalmente), può essere letta come un forte segnale, in controtendenza con le politiche finora sviluppate in Europa e, soprattutto, in Italia. La sentenza, infatti, è chiara e senza ambiguità: da un punto di vista giuridico blocca i respingimenti in mare, sotto il profilo politico, invece, intima allo Stato italiano di cambiare radicalmente la politica sugli immigrati.
La sentenza, ad avviso di chi scrive, segnala anche lo stato di barbarie in cui si è arrivati e lancia un forte allarme su ciò che sta avvenendo nelle “nostre” società, imponendoci di “svegliarci”, prima che su di noi scenda la notte.


 
«Nessun trattato internazionale può concepire maltrattamenti»
Il ministro per la Cooperazione: colpire i traffici di persone ma non abdicare alla solidarietà
Il Mattino, 24-02-2012
Antonio Manzo
Nell'ufficio al ministero Andrea Riccardi ha portato con sè un testo di un grande studioso francese di relazioni internazio- nali, Jean Baptiste Durosell. L'invasion, è il titolo del libro degli anni Ottanta, l'immigrazione come invasione ma soprat- tutto come, sosteneva lo scrittore, realtà di cui bisogna prendere le misure.
L'Italia condannata per i respingimenti verso la Libia. Ministro, come giudica la sentenza? «Con attenzione e rispetto. Ogni richiamo sui diritti umani che ci viene dall'Europa non può non trovare l'attenzione di questo Governo. Conosciuti i particolari faremo anche considerazioni più approfondite».
Ma non può negare che si archivia la stagione dei respingimenti, barconi fermati alla deriva con donne, bambini, uomini come avvenne nel maggio del 2009.
«L'obiettivo è contrastare l'immigrazione illegale e colpire i trafficanti di esseri umani, ma non possiamo sottrarci agli obblighi internazionali, europei e costituzionali sul diritto d'asilo e sulla protezione di profughi e di minorenni. C'è poi da aprire un dialogo con i nuovi governi della sponda sud del Mediterraneo per gestire al meglio i flussi migratori. La politica dell'immigrazione è fatta anche di cooperazione internazionale: condizioni economiche migliori nei Paesi di emigrazione possono garantire un futuro ai giovani anche nel Paese di provenienza».
Sara rivisto l'accordo con la Libia dopo questa sentenza?
«L'accordo con la Libia non prevede di maltrattare i migranti o di violare i diritti dell'uomo. Non sempre questo rispetto è stato garantito nella Libia di Gheddafi. Nei recenti incontri tra il nuovo governo libico e quello italiano è stata ribadita più volte la nostra richiesta di aprire i centri di accoglienza degli immigrati alle organizzazioni umanitarie e di permettere all'Acnur (l'agenzia delle Nazioni Unite per i richiedenti asilo) di svolgere in piena liberta il suo lavoro».
Cambierà la gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo?
«I flussi non fanno parte delle mie dirette competenze, ma del ministro Cancellieri, che assolve al suo compito con serietà, precisione e grande senso di umanità. C'è tra noi una particolare sintonia sul fatto che rigore, rispetto dei diritti e solidarietà possono camminare insieme».
C'è il tema della cittadinanza ai figli degli immigrati con una polemica tra fautori e contrari. Lei che ne pensa?
«Un paese di passaggio come l'Italia non può permettersi uno ius soli cosi come lo abbiamo conosciuto in grandi Paesi come gli Stati Uniti. Per cui mi sembra una fuga in avanti, date anche le condizioni economiche e sociali del Paese, stabilire automatismi tra nascita in Italia e cittadinanza. Il mio discorso, però, si rivolge ai figli degli immigrati che stanno in Italia da tanti anni: sono ragazzi nati qui, che parlano italiano come prima lingua, che spesso non sono mai stati nel Paese d'origine dei loro genitori e che frequentano le nostre scuole. Per loro è giusto e utile pensare a un percorso di cittadinanza, magari dopo il completamento di un ciclo scolastico. Nella disputa tra ius soli e ius sanguinis, insomma, ho provato a introdurre uno ius culturae».
Il governo presentera un provvedimento su questa materia? «La cittadinanza ai figli degli immigrati non fa parte del programma del governo Monti. Da ministro sono molto attento al tema. Esistono alle Camere numerosi disegni di legge sulla cittadinanza e guardo con favore e interesse alla ripresa della discussione parlamentare in vista di una soluzione che possa raccogliere un largo consenso tra le forze politiche».



Molteni: «Un altro richiamo per gli stranieri»
la Padania, 24-02-2012
«Come gruppo della Lega Nord, siamo intervenuti prontamente perché la Carta acquisti non diventi un ulteriore richiamo per l'immigrazione incontrollata alle spalle di tutti i Cittadini chiamati a fare sacrifici a fronte delle politiche economiche del Governo». Cosi la capogruppo dei Carroccio in commissione Affari sociali di Montecitorio Laura Molteni, che ha preso la parola per prima contro la nuova "Carta acquisti" del Governo, nata per sostituire la vecchia "social card", e che è distríbuibile anche agli stranieri comunitari o tra quelli stranieri in possesso di permesso di soggiorno. «Le nuove norme favoriscono poi i ricongiungimenti - continua Molteni - con le famiglie d'origine di chi già non è in grado nemmeno di mantenere se stesso». Viceversa - sostiene la capogruppo - andrebbero affrontate politiche per aiutare il rimpatrio di chi, da straniero, non riesce piú a mantenersi con íl proprio lavoro nel nostro Paese». «Mi sarei aspettata da questo Governo - conclude Laura Molteni - che i sacrifici non fossero a carico sempre e soltanto dei soliti noti, cioè dei nostri Cittadini e di chi ha lavorato per una vita intera per lo sviluppo di questo Paese. Visto che vengono chiesti sacrifici ai Cittadini, è giusto che anche i provvedimenti di carattere sociale diano una risposta ai Cittadini stessi, che in questo momento sono impegnati dai sacrifici chiesti dall'Esecutivo». Ora c'è una settimana di tempo per l'approvazione definitiva, e l'impegno del Carroccio contro questa nuova "sorpresa" proseguirà sempre piú stretto.
Ci. Pol.



Sorpresa, puniscono solo noi per aver respinto i profughi
La Corte di Strasburgo usa due pesi e due misure: condanna l’Italia ma lascia libertà d’azione a Spagna, Malta, Francia e Grecia
il Giornale, 24-02-2012
Stefano Zurlo
Tre anni fa. A Roma c’era Berlusconi, a Tripoli Gheddafi. Dopo estenuanti trattative i due leader avevano raggiunto un accordo: respingimento per i clandestini che tentavano di raggiungere le nostre coste.
Un’operazione dura e cruda, ma anche un modo per mettere un argine all’avanzata incontrollabile dei disperati che dall’Africa cercavano il grande salto verso l’Occidente. Una vicenda che, se misurata col metro del diritto, presentava molti aspetti quantomeno discutibili. E oggi, puntuale, arriva la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo. La sentenza di Strasburgo, all’unanimità, punisce l’Italia per il primo respingendo, del 6 maggio 2009. Due motovedette italiane intercettarono un barcone alla deriva a 35 miglia a sud di Lampedusa, in acque internazionali. A bordo erano in duecento: giovani, vecchi, donne, bambini. Furono riportati in Libia e lì finirono nelle fauci del regime di cui nessuno, ma proprio nessuno, immaginava la fine imminente. La polizia li caricò sui camion, come bestiame, e li deportò in varie regioni del Paese. Umiliazioni. Privazioni. Botte. Oggi la Corte (nulla a che fare con la Ue) dice che l’Italia «riportando i migranti in Libia senza esaminare i loro casi li ha esposti al rischio di maltrattamenti» con un trattamento che si è risolto in «un’espulsione collettiva».
La Corte naturalmente fa il suo mestiere e valuta la violazione dei diritti umani. Peccato che si decida in punta di diritto un problema che riguarda l’Europa intera, scaricandolo sulle spalle di Roma. Ad ogni ondata migratoria parte la gara a spostarsi e a lasciare il cerino nelle mani del nostro governo. Malta, che pure si trova da quelle parti, scansa, anzi dribbla tutti i barconi e il massimo che fa è avvisare le nostre navi. Malta non si fa scrupoli e non interviene nemmeno quando le carcasse del mare sono sul punto di rovesciarsi e le vite di quei poveracci sono un azzardo senza futuro. E Parigi? E Madrid?
Parigi, quando la Tunisia scossa dalla crisi del regime di Ben Alì era diventata un trampolino verso l’Europa, ha scelto una soluzione spiccia che assomiglia ad una scorciatoia furbastra: molti fuggitivi venivano agguantati dai poliziotti in Costa Azzurra e scoprivano nelle tasche bucate scontrini dei bar di Ventimiglia e Sanremo. Dunque, in base alle solite leggi dello scaricabarile europeo, venivano rispediti in Italia e l’Italia si ritrovava con il solito cerino acceso fra le dita. Per non parlare del defunto leader della destra carinziana e austriaca Jorg Haider. In un’intervista al Giornale spiegò e risolse così il problema dei clandestini: «Quando li acciuffiamo in Carinzia, li mettiamo sui treni e li rimandiamo in Italia perchè è sicuramente da lì che sono arrivati in Europa». L’Europa ha pure un’agenzia che dovrebbe sbrogliare la matassa, Frontex, ma alla fine la palla finisce sempre sullo stivale.
L’Italia oggi viene condannata. Gli spagnoli, i socialisti di Zapatero, sparavano sui migranti che tentavano di entrare in un modo o nell’altro nelle enclave del Marocco spagnolo. O, più sottilmente, lasciavano fare la polizia locale. Si potrebbe proseguire a lungo e parlare anche della Grecia, ma il concetto è chiaro: l’Europa dovrebbe battere un colpo. Per ora il nostro Governo dovrà dare un indennizzo di 15 mila euro a testa a 22 dei 24 profughi africani - 11 somali e 13 eritrei -che avevano fatto ricorso e si erano affidati a due avvocati di grande esperienza: Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci. I 24, come tutti gli altri, non furono nemmeno identificati e non furono ascoltate le loro ragioni: fu un’operazione a scatola chiusa, come sono i respingimenti, e questo non andava bene. Particolarmente per i somali che provenivano da un Paese disintegrato e avrebbero potuto chiedere protezione a Roma. «Questa sentenza - spiega il premier Mario Monti - sarà esaminata con la massima attenzione dal governo», anche se il capo dell’esecutivo sottolinea che «si riferisce a casi del passato». Ma anche il futuro è incerto e il ministro della cooperazione Andrea Riccardi si spinge in là: il verdetto «ci farà ripensare la nostra politica nei confronti dell’immigrazione».
D’altra parte Gheddafi non c’è più e la primavera araba ha cambiato la faccia della sponda meridionale del mar Mediterraneo. Secco, infine, Umberto Bossi: «Quando arriverà l’Europa delle regioni la musica cambierà».



Vivevano nel pilone della tangenziale sgomberato insediamento abusivo
Scoperti nomadi accampati anche nell'area archeologica delle Mura Aureliane. In sette dentro una cabina dell'elettricità
Il Mattino, 23-02-2012
ROMA - Un pilone della tangenziale est usato come abitazione, una cabina dell'elettricità trasformata in rifugio da sette extracomunitari, accampamenti nell'area archeologica delle Mura Aureliane. Sono le incredibili scene che il Gruppo Sociale Sicurezza Urbana della Polizia Municipale si è trovato di fronte nel corso di un'azione di controlli nella capitale. Gli insediamenti abusivi sono stati sgomberati.

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