Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

19 marzo 2010

I vu´ cumprà in spiaggia con il numero chiuso
La Repubblica 19 marzo 2010
MAURIZIO BOLOGNI
Spiaggia a numero chiuso per i venditori ambulanti extracomunitari. A Castiglione della Pescaia, perla della Maremma, coloro che il Comune chiama «vu cumprà» dovranno partecipare ad un «concorso per titoli» se la prossima estate vorranno vendere sulla battigia vestiti e collanine, scarpe e bigiotteria, ma anche gelati e bibite.
L´accesso ai 18 chilometri di spiaggia di Castiglione della Pescaia sarà infatti permesso solo a 25 venditori ambulanti di merce varia e a 8 di generi alimentari che risulteranno i primi della graduatoria stilata in base ad un bando pubblico del Comune. E´ l´era del numero programmato. Dopo quella della tolleranza zero. «Fino all´anno scorso - spiega infatti Monica Faenzi, sindaco del Comune maremmano e ora candidata dal centrodestra alla presidenza della Regione Toscana - abbiamo vietato l´accesso alla spiaggia a tutti i vu cumprà, ma i vigili urbani non ce la fanno più a correre dietro ai venditori. Con questa novità premiamo i regolari e teniamo sotto controllo un fenomeno che rischiava di sfuggirci di mano».
Ieri il bando per il numero chiuso in spiaggia è stato affisso all´albo pretorio e diffuso sul sito Internet del Comune grossetano. Le domande dei cittadini extracomunitari sono accettate fino al 7 aprile. Ammessi a partecipare sono esclusivamente persone con determinati requisiti (primo fra tutti la regolarità con il permesso di soggiorno e il possesso dell´autorizzazione per il commercio su aree pubbliche). Fanno punteggio l´anzianità di presenza autorizzata sulle spiagge di Castiglione, il fatto di aver partecipato senza successo all´assegnazione di posti per ambulanti nel Comune, la data di iscrizione alla Camera di commercio. Punteggio massimo ottenibile, 15 punti. Oltre a venticinque venditori nel settore non alimentare del commercio ambulante in forma itinerante, saranno ammessi anche 8 operatori nel settore alimentare (gelati, cibo, bevande) che esercitano la vendita con l´aiuto di carrelli elettrici. Anche per loro ci sono requisiti da rispettare come il possesso dell´autorizzazione per il commercio su aree pubbliche.
«Sui temi dell´immigrazione resto cattiva - tiene a puntualizzare il sindaco Faenzi - Questa non è un´apertura ma la regolamentazione di un´attività che fa parte dell´intrattenimento e del folclore della costa». Castiglione della Pescaia è il primo Comune a regolamentare l´accesso dei venditori ambulanti sulle spiagge della costa toscana dove, in più di una località, ogni estate vigili urbani e ambulanti giocano a guardie a ladri. Ci sono state polemiche e proteste per le multe salate. Succede a Forte dei Marmi. Succede a Pietrasanta. «Noi giriamo pagina» dicono a Castiglione. Sempre che i venditori esclusi dalla spiaggia accettino di restare a guardare.









Assemblea degli immigrati, eletti i delegati provinciali
La Provincia,19-03-2010
La Provincia di Fresinone ha i suoi rappresentanti stranieri. Si è svolta infatti nei giorni scorsi, presso la sala consiliare dell'amministrazione provinciale, la prima assemblea provinciale degli stranieri immigrati, prevista dall'articolo 25 della legge regionale n.10 del 2008. Scopo dell'assemblea è quello di eleggere due rappresentanti stranieri, residenti nella provincia di Fresinone, che faranno parte della Consulta Regionale prevista dalla medesima legge.
I lavori si sono aperti alle ore 16.30 e si sono prolungati fino alle 18,30 e l'assemblea è stata presieduta dal consigliere provinciale con delega all,immigrazione Maria Teresa Graziani. Alla riunione erano presenti i rappresentanti degli stranieri eletti nelle precedenti assemblee distrettuali tenutesi qualche mese fa. Le operazioni si sono svolte regolarmente e dallo spoglio sono risultati vincitori Chemkhi Souhaieb, giovane ventiquattrenne di nazionalità tunisina, residente a Fresinone già da molti anni, e Kuqi Mattida, trentaseienne di nazionalità albanese residente anch'ella a Fresinone.
Grande soddisfazione da parte degli eletti per il risultato raggiunto e ancor più grande da parte del consigliere Graziani per il successo dell'assemblea, dato anche dalla grande partecipazione degli stranieri che si sono sentiti coinvolti e protagonisti della vita politica della nostra provincia e quindi sicuramente più integrati.








Immigrazione, chi dimentica il dramma
Terra,19-03-2010
Francesco Esposito
Ogni mattina, che piova o che ci sia un sole che spacca le pietre, alle cinque sei già alla rotonda di Pianura. Insieme a te ci sono tanti altri ragazzi africani che aspettano i caporali che verranno a scegliervi come fanno le casalinghe con i vasetti dello yogurt. Ti guardano, poi guardano i tuoi compagni e poi scelgono. È il supermercato degli schiavi, in Italia, nel 2010. Uè, muoviti! Un caporale ti ha indicato, chissà forse lo hanno colpito i tuoi muscoli. Alla fine di una giornata di fatica lunga, dura, estenuante guadagnerai una miseria. Ma tu non vuoi rinunciare a quella miseria, ti capisco. Vuoi inviare una piccola somma a casa, nel tuo villaggio. È chiaro, con 20 euro, che ti danno i tuoi padroni quando hai la "fortuna" che ti scelgono, non ci fai granché. E così non compri niente, rinunci a tutto e i tuoi pochi soldi li mandi a tua mamma, ai tuoi figli, a tua moglie... e già, perché pure tu hai una mamma, dei figli, una moglie. E magari hai anche un nome. Il permesso di soggiorno no, quello ti manca, sei un immigrato irregolare anzi un clandestino, una parola che fa paura, che rende gli italiani più ostili nei vostri confronti. Qualche volta ti sei detto che un po' hanno ragione anche loro, la criminalità è in aumento. A Ca-stel Volturno per esempio non si può vivere più con tutta quella droga, quella prostituzione. Ma poi ti sei chiesto: «Ma perché in Italia prima che arrivassero gli immigrati non c'era già la mafia? Non si commettevano reati? E poi io che c'entro con la criminalità? È vero non ho il permesso di soggiorno ma ho tanta voglia di lavorare onestamente, non come quelli li che portano la droga dalla Nigeria». Che poi quelli il permesso ce l'hanno, te lo dico io. Mi ricordo quando il governo fece la prima sanatoria per gli stranieri; i trafficanti e i papponi, in cambio di tanti soldi, firmavano contratti di lavoro falsi con imprenditori locali, compiacenti e disonesti, e si misero a posto e quelli come te che si spaccano la schiena nei campi di pomodori diventarono la causa di tutti i mali sociali, economici e politici. Chi vuole lavorare onestamente ma non ha il permesso viene vessato perché è un clandestino; e i criminali, quelli veri che però hanno il per-messo, sono regolari! E poi c'è il "sistema". Mica i tuoi compaesani che vendono la droga o sfruttano le ragazze obbligandole a prostituirsi possono farlo liberamente. Pagano il pizzo, è ovvio. Per ogni ragazza 500 euro e così i camorristi non si devono nemmeno sporcare le mani, incassano e basta. Ma dei clan, a Castel Volturno, a Casal di Principe, a Pianura non parla nessuno. E nemmeno a Roma nel Parlamento. Quelli la, gli onorevoli, parlano di te, tu si che sei un problema serio... La verità è che con i camorristi qualcuno ci fa affari e tutti gli altri hanno paura e fanno bene. Uccidono come se bevessero un bicchiere d'acqua. Una volta ne hanno ammazzati sei di ragazzi africani, tutti insieme. E adesso vai, tornatene a casa... casa mò, quella specie e' catapecchia tutta fetente. Che poi queste sono le cose che esasperano la gente! Hai visto che è successo a Rosarno? I Calabresi erano incazzati neri! Eh, lo so hai ragione, quando gli italiani devono dire qualcosa di negativo per dare più forza al concetto lo colorano di nero, la tua pelle, peggio di un marchio a fuoco. Ma tanto te ne sei fatto una ragione, è vero? E poi, i Calabresi, più che incazzati neri erano incazzati con i neri. La televisione ha detto che era una specie di caccia all'uomo. No, lo capisco che non è giusto, però pure voi dovete capire loro, quelli sono stanchi, non c'è lavoro, se aprono una attività commerciale o pagano la 'ndrangheta o li costringono a chiudere. Oddio, possono pure fare gli eroi ma poi finisce male, gli conviene? Le aziende agricole, le ditte edili non ce la fanno ad andare avanti e allora devono risparmiare qualcosa, per esempio sulla manodopera e i soldi che dovrebbero dare a te se li tengono loro. Se vuoi sapere tutta la verità, i padroni ai lavoratori in queste terre li hanno sempre tenuti a nero, pure prima della crisi e pure quando i pomodori li raccoglievano gli italiani. Più soldi danno a te e meno guadagnano loro, non gli conviene. E poi poverini hanno quelle mazzate dalla camorra. A quelli li devono pagare per forza, sennò gli bruciano il capannone, e poi risparmiano con i soldi che dovrebbero dare a te, hai capito?! E dai! Adesso mi vuoi prendere in giro! Proprio tu che arrivi da uno dei paesi più corrotti della terra mi vieni a parlare di diritti? Ma se voi avete pure la dittatura! Come dici? "A maggior ragione?" Pensavi di venire in un paese democratico? Ma nun me fa ridere! E poi non vedi che nemmeno più gli italiani hanno diritti, i giovani sono tutti precari. Ci hanno detto che il posto fisso ce lo dobbiamo togliere dalla testa, non esiste più. E poi ci hanno pure spiegato che così è meglio per tutti... sarà! La settimana scorsa però la figlia di mia cugina è stata licenziata dal call center dove lavorava. Dopo due anni di contratti, di tre mesi in tre mesi, il direttore era obbligato ad assumerla e sai che ha fatto? L'ha buttata fuori con un pretesto e al suo posto ne ha preso un'altra. E mica è fesso il direttore, del resto lo poteva fare. Sarà pure meglio per tutti però, intanto, la ragazza ha perso il lavoro. Tu, intanto, non ti preoccupare: i pomodori per 20 euro al giorno non li vuole raccogliere. Quel lavoro non te lo tocca nessuno.









Onore alle immigrate e alle quarantenni
il Riformista,19-03-2010
Cinzia Leone
Tocca alle immigrate. A leggere i dati dell'Istat a fare i figli sono soprattutto loro. E la curva della natalità, da anni decrescente, ricomincia a salire. Il 12 per cento dei nuovi nati nel 2008 sono figli di stranieri e sommati a quelli nati da coppie miste raggiungono il 16,7 per cento del totale. Fanno un figlio in più rispetto alle italiane. Badanti, venditrici ambulanti, pizzettaie, sono le immigrate a riempire le culle vuote. 11 coraggio che manca alle giovani italiane doc, a loro non difetta. Li crescono in case modeste, li affidano ad amici e parenti, si tuffano in giornate multitasking, passando dai pannoloni dell'anziana italiana che accudiscono ai pannolini del loro bambino. Una vita difficile che affrontano per quel desiderio di maternità che l'occidente sembra ormai aver messo da parte.
Uno schiaffo alla sacrosanta lista dei «perché no» delle italiane: non ho lavoro, non ho il contratto fisso, non ho l'asilo dietro casa, non ce la faccio a pagargli il corso d'inglese, di danza, di musica e di ceramica. L'incubo di non potergli offrire tutte le opportunità, di farne uno svantaggiato e un diverso, alle immigrate non passa nemmeno per la testa. La loro è una via già così in salita.
Coraggiose e imprudenti come noi solo nel dopoguerra riuscivamo a essere. Capace che poi, anche grazie a questi figli fatti nascere, cresciuti e amati, per tutte queste intrepide donne arrivate da lontano con la voglia di mordere la vita, arrivi un futuro migliore. Ci vuole coraggio per meritarsi gli anni 60.
Accanto a loro, le italiane over forty, regine della gravidanza tardiva. La primipara attempata mito del capitalismo avanzato, quella scelta che salta una generazione e farà impazzire l'Inps con i conti delle pensioni di una generazione mancante, conquista le italiane. Meglio tardi che mai (o no?).








La nostra solidarietà ai kurdi, non si può criminalizzare la lotta di un intero popolo

Liberazione, 19-03-2010
Angela Bellei* Nando Mainardi**
Si è svolta a Modena sabato scorso, per iniziativa dell'Associazione Azad, del circolo Antonio Gramsci del Prc, e della locale comunità curda, una partecipata manifestazione di solidarietà con il popolo curdo che, anche nella città di Modena, ha subito, a fine febbraio, una operazione di polizia che ha portato a due arresti ed a molte perquisizioni.
L'operazione poliziesca del 26 febbraio e il raid compiuto in Belgio il 4 marzo nella sede di RojTv, serviva a smantellare, come è stato dichiarato anche dal ministro dell'Interno Maroni, una rete internazionale finalizzata al reclutamento di militanti per il Pkk, da inviare a combattere contro l'esercito turco. Nel corso dell'operazione, però, non sono state rinvenute armi; l'intervento delle forze dell'ordine è stato comunque motivato dal fatto che la struttura organizzativa scoperta è parte di una rete internazionale; in Italia vi sarebbe pertanto soltanto la componente che provvede alla formazione politica delle giovani "reclute" kurde. La stampa ha impropriamente presentato gli incontri che abitualmente avvengono tra kurdi e, spesso, anche con la presenza di rappresentanti delle Associazioni italiane che seguono da anni la questione kurda, definendoli "indottrinamento". Tuttavia si tratta solo, e non è cosa da poco, della presa di coscienza, da parte di centinaia di giovani kurdi, delle drammatiche condizioni di miseria, sfruttamento e repressione che affliggono il loro popolo, al quale è negata una patria. E' attraverso questi incontri che apprendono delle condizioni in cui vivono i loro coetanei che, rimasti in territorio turco, subiscono arresti e torture e talvolta -solo per aver partecipato a manifestazioni - anche dure condanne carcerarie. A ciò non sfuggono nemmeno i minori di età, nonostante la Convenzione internazionale sui diritti dell'Infanzia sia stata ratificata dalla Turchia. Berivan, 15enne kurda, è fra i 3mila minori processati: è stata condannata a 10 anni di carcere, solo per aver preso parte a un corteo.
E' dunque un crimine acquisire una coscienza politica? E' questo il reato imputato ai figli di persone cacciate dalla propria terra e costrette all'esilio, private di beni e della possibilità di costruirsi un futuro? Non è così. Al contrario, proprio la consapevolezza acquisita porta quei giovani a credere in un'organizzazione collettiva capace di agire, soprattutto ricercando il dialogo politico, al fine di esigere la libertà fi-nora negata al popolo kurdo. E' ormai da molti anni che in Turchia e in Europa è in atto un tentativo strisciante di criminalizzazione di un intero popolo, quello kurdo; nel silenzio e nell'indifferenza della comunità internazionale, esso sta subendo un processo di annichilimento. Tutto ciò mentre non si parla dei milioni di sfollati interni, presenti in Turchia, né delle migliaia di villaggi kurdi che sono stati distrutti in operazioni volte a fare "terra bruciata": massacrando persino il bestiame presente nelle stalle. Nessun rigo è stato scritto per denunciare l'abnorme decisione giudiziale che ha determinato a dicembre 2009 la messa al bando del Partito della società democratica (Dtp). Eppure esso partecipava alla vita politica turca: nelle elezioni amministrative di marzo 2009 aveva ottenuto nell'area popolata dai kurdi oltre il 70% dei voti. In seguito oltre 1.500 persone, fra sindaci, amministratori, esponenti sindacali e appartenenti alla società civile kurda, hanno subito arresti in Turchia. Perché ciò è passato sotto silenzio? Nulla dicono i media sulla prassi di mettere al bando giornali e riviste, di giornalisti assassinati, delle esecuzioni extragiudiziarie, di sparizioni e uccisioni di persone, in Turchia, solo perché si parla kurdo. Si oscurano, altresì, i molteplici tentativi di apertura di un dialogo democratico che il movimento kurdo continua a compiere, al fine di giungere a una soluzione giusta, pacifica e condivisa della questione kurda. Cala una cappa di silenzio sugli appelli al dialogo che il leader del popolo kurdo, Abdullah Ocalan, lancia: quello di agosto 2009 è stato accompagnato da una roadmap per giungere alla pace fra movimento kurdo e autorità turche, che le stesse autorità hanno tuttavia omesso di far conoscere. In Turchia e in Europa si sta lanciando al popolo kurdo, con arresti ed intimidazioni, il seguente messaggio: non organizzatevi, non discutete fra voi, restate passivi, mentre la vostra storia è messa nel dimenticatoio e la vostra identità è negata. In Italia la comunità kurda, anche se poco numerosa, si è comunque integrata pacificamente e propone numerose attività per illustrare la propria cultura millenaria, affinché non vada persa. La società civile italiana ha dimostrato di saper essere solidale con i kurdi e interessata alla conoscenza della loro storia e della loro cultura, della lingua e del folklore; ha anche avviato il dialogo con gli enti locali, per promuovere con essi progetti di sviluppo di cui siano beneficiari i kurdi che vivono in Turchia. Tutto ciò serve anche a ovviare a una linea politica turca che per decenni ha lasciato le province abitate in prevalenza da kurdi in una condizione di sottosviluppo e marginalità.
Venerdì scorso sono stati scarcerati 4 degli arrestati in Italia; venerdì prossimo si terrà una nuova udienza. Auspichiamo che anche agli altri, ancora detenuti, venga riconosciuta l'assenza di responsabilità e decadano le assurde accuse di terrorismo. Nel frattempo molte delle vittime di questa montatura saranno private per molto tempo della loro libertà; altre sono state espulse o saranno espulse dall'Italia, rischiando anche il rimpatrio forzato in Turchia, dove è facile immaginare la loro sorte; attraverso i mass-media, si è data una immagine distorta e calunniosa dei kurdi, assimilandoli ai terroristi.
Il nodo centrale, per quanto riguarda i movimenti che si battono per la liberazione dei popoli, italiani ed europei, è anche la errata decisione europea, su pressione tur-ca, ma soprattutto americana, di includere il Pkk nella lista delle organizzazioni terroriste; fino a pochi anni fa, il Pkk non era nella lista europea ed anche oggi importanti voci istituzionali si levano in varie parti d'Europa e negli stessi organi dirigenti del¬l'Unione Europea, nonché nel Consiglio d'Europa, per richiedere di togliere il Pkk da tale lista nera.
Rivendichiamo il pieno diritto di difendere la lotta del popolo kurdo, in Turchia e nella diaspora, dunque anche in Italia, esercitando questo nostro diritto attraverso la partecipazione al Newroz (festa di capodanno kurdo) che si terrà il 20 marzo a Pisa, alle delegazioni che stanno partendo per il Kurdistan e sostenendo tutte le iniziative di solidarietà con il popolo kurdo.







li testimone
«Così ho trasformato un giovane arabo in un europeo doc»
CORRIERE DELLA SERA,19-03-2010
«Sa cos'è il bello di un passaporto italiano ottenuto con la truffa degli antenati? È che alla fine è sempre vero». L'uomo che incontriamo in una cittadina vicina a San Paolo non ha nome e va preso con le molle. Ma ci racconta una storia credibile. Per anni ha fatto lo spallone di esseri umani, andava a prendere cinesi appena arrivati in Paraguay e Bolivia e li portava di nascosto in Brasile. Fino a quando è entrato in contatto con la gang dei passaporti italiani e il suo lavoro ha fatto un salto di qualità. «Il business del momento sono gli arabi. Dal Medio Oriente pagano fino a 80.000 dollari per riciclare una persona prima in Brasile, e poi ottenere un passaporto italiano. Con quello si vola facile negli Usa o in Canada. Pluf, spariscono». Prego?
«Qui, in un mese, si può costruire una identità brasiliana completa a chiunque, dal passaporto alla patente di guida. Abbiamo tutte le facce del mondo e molta corruzione, non è difficile. E visto che la mafia che lavora con i vostri riesce a far diventare italiano qualsiasi brasiliano in un due-tre mesi, il gioco è fatto»;
Come funziona il suo lavoro?
«Funzionava, perché ho smesso. Si inizia spedendo un passaporto brasiliano falso in Medio Oriente, di solito a Cipro, da dove il soggetto si imbarca, destinazione Asunción in Paraguay o Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia. Senza passare da altre dogane, solo transiti. Appena arriva, il tipo viene fermato, perché il suo documento è una patacca. Con l'aiuto di poliziotti corrotti di quegli aeroporti, lo andiamo a riscattare e lo portiamo di nascosto in Brasile».
Quindi inizia il riciclaggio di identità.
«Esatto, l'arabo a quel punto non ne ha nessuna. Prima si fanno i documenti brasiliani e poi le carte necessarie a diventare italiano. Lui intanto resta nascosto da qualche parte in Brasile. Il problema sorge al momento di far imbarcare il tipo per l'Italia, dove otterrà la cittadinanza. Il suo passaporto brasiliano funziona, entra dalla Malpensa o Fiumicino, ma non può andare nei comuni amici insieme agli altri, non parla portoghese, lo riconoscerebbero subito».
Quindi?
«Non lo so, questa parte non la conosco. So soltanto che lo nascondono e poi dopo altri due o tre mesi il tipo è già fuori dall'Italia, con passaporto italiano. Un paio di giovani che sono andato a prendere in Paraguay oggi sono già negli Stati Uniti, ne sono certo».
Ma perché non ci vanno con il passaporto brasiliano?
«Scherza? Per i brasiliani serve il visto, una intervista con gli americani, un arabo non passerebbe mai. Invece con un passaporto dell'Unione europea non c'è problema».
Che profili hanno questi arabi che lei ha conosciuto?
«Sono giovani, silenziosi. Come mi immagino un'integralista, se è questa la domanda».
Perché ci racconta questa storia?
«Ho finito e me ne vado da qui. Con gli arabi il gioco si è fatto pesante».








Il retroscena Dietro le parole del premier il grande scontro tra laicismo e islamismo
il Giornale,19-03-2010
di R. A. Segre
Chi sono i lOOmila armeni residenti in Turchia che il premier Erdogan vorrebbe cacciare dal suolo turco a causa dell'insistenza degli armeni (in Armenia e nella grande diaspora armena) a voler chiamare genocidio la strage armena fatta dagli ottomani nella prima guerra mondiale? Sono una nuova mina che il leader del partito islamico Giustizia e Sviluppo (Akp) al governo sta mettendo sulla strada della riconciliazione storica fra i due popoli. Poiché la ripresa dei contatti diplomatici fra Turchia e Armenia aveva fatto pensare il contrario solo qualche mese fa, come spiegare questa svolta del governo di Ankara? L'impressione è che, nonostante il costo interno e internazionale di questo nuovo irrigidimento turco sulla questione dell'Olocausto armeno, la svolta sia legata al grande scontro in corso in Turchia fra laicismo e islamismo.
Il costo interno è dovuto al fatto che almeno 70mila dei lOOmila minacciati di espulsione sono persone indispensabili alla società arricchita turca. Sono nella loro stragrande maggioranza donne, impiegate come cameriere o badanti di anziani nelle città. Ora i centri urbani, contrariamente alla Turchia tradizionalista e in gran parte analfabeta delle campagne, sono le cittadelle del laicismo, non meno di come l'esercito, per Costituzione, è il custode dell'ataturkismo. Il costo esterno, come si è visto con la recente approvazione alla commissione del Congresso di Washington, dell'accusa di «olocausto» armeno contro la Turchia (che violentemente lo nega) ha provocato il ritiro dell'ambasciatore turco da Washington, il non intervento della lobby israeliana (per la prima volta in anni) a sostegno dei turchi (a causa del raffreddamento delle relazioni fra Ankara e Gerusalemme). Sono «munizioni» che i due grandi opposti movimenti per il «controllo» dell'anima turca - il partito di Erdogane l'esercito - stanno da mesi combattendo nel quadro di un presunto «colpo di Stato» militare contro il governo. Questo «golpe» (che se fosse riuscito, sempre che non si trattasse di una montatura degli islamici, sarebbe stato il terzo nella storia della Turchia moderna in difesa della laicità della Repubblica) ha dimostrato con l'arresto di almeno 60 ufficiali, in servizio e di riserva, che la casta degli ufficiali non è più inviolabile. D'altra parte quando nel 2007 un giovane nazionalista assassinò Hrant Dink, direttore turco armeno di un giornale che aveva osato parlare dello «olocausto armeno», oltre 1OOmila persone di ogni origine e fede hanno seguito la sua bara. L'omicidio, lungi dall'aumentare l'odio per gli armeni, ha aumentato le critiche al governo per il perseguimento di una politica che non solo appare storicamente ingiustificata ma anche come un appello del partito islamico nella sua lotta contro il laicismo e soprattutto contro il ruolo dei militari a difesa della laicità turca. La minaccia del premier Erdogan di espellere gli armeni illegalmente residenti in Turchia fa parte dello stesso conflitto sulla identità turca che continua ad agitare la politica e la coscienza del paese. Questi armeni, o piuttosto armene, da espellere sono gli umili tessitori della tela comune della nazione turca. Sono - come scriveva il 14 scorso Y'Economistlondinese - persone che arrivano col cuore pieno di terrore per il turco e che tornano a casa a raccontare storie sulla benevolenza che hanno scoperto nelle case turche. Fanno parte di quel mondo sempre più esteso nella società turca che ne ha abbastanza dei miti di odio religioso e nazionale. Miti su cui si fonda ancora in larga parte il pregiudizio delle masse musulmane contro l'infedele. Che si tratti del cristiano nelle sue varie denominazioni, o dell'ebreo vestito da israeliano.










Se è cubano il dissidente non commuove nessuno
CORRIERE DELLA SERA,19-03-2010
di PIERLUIGI BATTISTA
Mancano pochi giorni, o forse poche ore, per impedire che la seconda «Primavera nera» di Cuba possa provocare tutti i suoi effetti luttuosi. Il dissidente Guillermo Farinas versa in gravissime condizioni dopo tre settimane di sciopero della fame e della sete. Se gli aguzzini dell'Avana non smetteranno di definirlo un «criminale» e un «mercenario», Farinas farà la stessa fine di Orlando Zapata, morto dopo 75 giorni di protesta eroica ed estrema contro un regime le cui carceri sono zeppe di prigionieri politici.
Per evitare questo esito catastrofico, la comunità internazionale ha ancora un margine di tempo, sempre più esiguo, per premere sui maggiorenti della dittatura cubana.
Finora hanno fatto sentire la propria voce gli Stati Uniti e, pur nel silenzio degli altri Paesi dell'Unione Europea, la Spagna e l'Italia. Amnesty International chiede di entrare a Cuba per verificare le condizioni di vita dei dissidenti rinchiusi in prigione: ma L'Avana ha respinto la richiesta bollandola come un'intrusione del nemico. Anche la Croce Rossa Internazionale vuole accertare la gravità delle condizioni di Farinas: ma anche in questo caso le autorità cubane si sono rifiutate di collaborare, trattando la vittima come un «ricattatore».
I dirigenti di Cuba, Raul Castro in testa, hanno espresso il loro «rammarico» per la morte di Zapata. Non hanno aggiunto che Zapata stava in galera, condannato a oltre vent'anni di detenzione per un reato d'opinione. Nel 2003, nella prima «Primavera nera», giornalisti, sindacalisti, medici e avversari del regime vennero sbattuti in carcere, condannati in processi farsa. Le loro abitazioni furono messe a soqquadro. Vennero confiscati i computer, i parenti minacciati e ricattati sul lavoro. La polizia politica agì con brutalità metodica, approfittando del disinteresse di una comunità internazionale paralizzata nell'attesa della scomparsa del dittatore Fidel. Alcuni dissidenti tentarono di fuggire per mare con imbarcazioni
di fortuna. Furono riacciuffati e fucilati, schiacciati dalle solite, risibili accuse: di essere al soldo della Cia, «mercenari», «criminali comuni», sabotatori del socialismo.
Cuba, la terra del socialismo tropicale, l'isola dell'utopia realizzata tra spiagge meravigliose e avventure alla Hemingway, dell' icona del «Che», dell'epopea dei barbudos nella Sierra Maestra, gode ancora, nonostante un cinquantennio di oppressione feroce e sistematica di ogni dissidenza, di una certa benevolenza. Ma l'immagine dei dissidenti che si lasciano morire, l'enormità delle condanne comminate senza un minimo di garanzie civili e di diritto, restituiscono il volto più lugubre del regime dell' Avana.
Qualche giorno fa, accanto a Mario Vargas Llosa che non ha mai cessato di denunciare il carattere oppressivo del comunismo cubano, si sono mobilitati per salvare la vita di Farinas e degli altri dissidenti impegnati nello sciopero della fame anche intellettuali come Pedro Almodóvar e Fernando Savater, la cui appartenenza alla sinistra è nota a tutti. In Italia tutto è più difficile. L'indignazione selettiva acuisce la reattività per le malefatte compiute a Guantanamo, ma spegne la sensibilità per i lager costruiti nella stessa isola, ma sotto il controllo del regime di Fidel Castro. Cuba non è più un modello, mi sogno, lo specchio dei desideri di una sinistra sempre meno attratta dal richiamo del terzomondismo anti-americano, ma viene cancellata nell'indifferenza e nell'interesse pubblico, come se, sepolti i sogni, si volesse evitare di fare i conti con un incubo.
Se si fosse consapevoli che una pressione appena appena più visibile potrebbe salvare la vita di persone che hanno l'unico torto di dissentire dal regime cubano, probabilmente l'opinione pùbblica potrebbe uscire dal letargo. Prima che sia troppo tardi. Prima che la comunità internazionale, gli stessi organismi che dovrebbero tutelare il rispetto dei diritti umani (a cominciare ovviamente dall'Onu) non abbiano a pentirsi di una passività che salva i buoni rapporti con Cuba ma rende impossibile la vita di chi è nel mirino della dittatura. E stavolta, davvero, è solo questione di tempo.







Moschee, fondi volontari a rischio
Dietro l'islamico «Waqf» in Italia c'è una semplice associazione privata
Il Sole,19-03-2010
di Karima Moual
Finanziamenti esteri, donazioni di fedeli musulmani o di semplici benefattori. Quanti soldi girano intorno alle moschee? Ed è sempre chiaro che fine fanno le donazioni dei fedeli? Certamente no.
Almeno nel caso denunciato da Mohamed Asafa, presidente della Casa della cultura islamica di Milano, che credendo di imbattersi in un «waqf» islamico, ha intestato, sulla fiducia, tutti i soldi raccolti negli anni, dalla comunità. Più di 1,2 milioni di euro andati al Waqfal Islami per comprare finalmente l'immobile atteso da adibire a moschea. «Siamo stati raggirati - dice Mohamed - ci siamo fidati e invece abbiamo scoperto che non era un vero waqf». Il waqf è un istituto molto diffuso nei paesi islamici, che può essere avvicinato in qualche modo alle nostre fondazioni e serve appunto a gestire i beni legati a opere pie e religiose.
In Francia è stato creato qualcosa di molto simile. È stata infatti istituita una fondazione nazionale voluta dall'allora premier Dominique de Villepin e sostenuta dall'allora presidente della Repubblica Jacques Chirac. Con un obiettivo chiaro: effettuare in modo trasparente la raccolta di fondi destinati alla costruzione delle moschee, monitorando i flussi di denaro sia interni che provenienti dall'estero.
Dell'esempio transalpino in Italia non c'è traccia, anche se la comunità è in crescita. E le moschee e i soldi pure. Oggi nel Bei-paese si stima che ci siano 749 moschee. Chi vuole edificarne una ha diverse possibilità. Come aZakat, uno dei precetti islamici obbligatori. Ogni anno, in occasione della festa islamica EidAl-Fitr, un buon musulmano pubere e in possesso delle sue facoltà mentali, è tenuto a versare una quota minima prestabilita (quest'anno 8 euro). A questa
quota fissa, che interessa un parte del milione di musulmani in Italia, si aggiunge la Sadaqa (elemosina non obbligatoria) che ogni venerdì i fedeli versano in donazione nelle casse della propria moschea. Più la moschea è grande più le somme versate a titolo di donazione dai fedeli sono cospicue. «Ogni venerdì riusciamo a raccogliere circa 12 mila euro con le sei/sette moschee a noi collegate», dice Mohammed della moschea di Milano. Quasi 600 mila euro l'anno.
Altro esempio è il centro culturale islamico Mecca di Torino: una piccola sala di preghiera, che una volta alla settimana è anche un punto di ritrovo e di insegnamento della lingua araba. Il suo costo annuale è di 5omila euro, coperte dalle piccole donazioni della comunità. Questa realtà è quella maggioritaria in Italia: l'immobile è solo in affitto ed è finanziato dalla comunità che lo frequenta. Tuttavia, esistono altre possibilità di finanziamento. Come i versamenti esteri da parte di alcune organizzazioni, specie quando si vuole l'acquisto degli immobili.
Il caso storico è la grande moschea di Roma, costata più di 90 miliardi delle vecchie lire, grazie soprattutto alle donazioni dell'Arabia Saudita e del Marocco. Oggi per il suo mantenimento arrivano 40omila euro all'anno dalla Rabitah (la lega musulmana mondiale a fronte di 5omila provenienti dai privati. Ciononostante sono in deficit di 150mila euro. A Milano, invece, la struttura di soli 300 metri quadri della Coreis (Comunità religiosa islamica italiana) è costata più di un milione di euro. Frutto delle donazioni dei soci ma soprattutto di alcune istituzioni: la Lega musulmana mondiale, l'organizzazione libica Wics (World islamic call society), il ministero degli Affari religiosi del Kuwait e il comune di Milano. A differenza delle altre moschee il venerdì la Coreis non fa la raccolta dei fedeli.
A Colle Val D'Elsa, per la nuova moschea, sono serviti 500mila euro di donazioni dalla comunità musulmana in Italia più i 30omila dalla fondazione Monte dei Paschi di Siena, mentre per il terreno su cui è edificata, è bastata un'intesa tra comunità e amministrazione, per un affitto in comodato sul terreno per una durata di 99 anni. Prezzo: 12mila euro annui. Da Torino arriva però una terza via. Rappresentata dai 2 milioni di euro donati dal ministero per gli affari religiosi del Marocco (Habous) all'Umi (Unione dei musulmani in Italia).
La comunità marocchina è la prima comunità musulmana d'Italia per presenza numerica. Negli ultimi anni il Marocco ha dimostrato di avere sempre più sensibilità alle sue esigenze, finanziando diversi progetti tra cui quello riguardanti gli imam qualificati che dà qualche anno manda in Italia per il mese del Ramadan. E proprio il ministro della Comunità marocchina all'estero, Mohamed Ameur, nella sua prima visita ufficiale in Italia di un anno fa ha dichiarato: «Bisogna stare molto attenti a non ripetere gli errori del passato. I giovani e non solo hanno voglia di conoscere la religione e la propria cultura e lasciarli allo sbando come inpassato è un gravissimo errore che ha favorito l'inserimento del fondamentalismo e dell'oscurantismo di un'interpretazione dell'Islam contraria all'idea marocchina dell'Islam, aperto al dialogo, tol-lerante e illuminato». Non è da escludersi dunque che altri finanziamenti possano arrivare in futuro proprio dal Marocco.
Le iniziative di questo genere sono solo la minoranza rispetto alla prassi. La tracciabilità del denaro in entrata e in uscita, infatti, risulta ancora poco chiara. Poiché il tutto viene gestito da semplici associazioni. Di fondazioni non vi è nemmeno l'ombra. Anche se negli ultimi anni, una ventina di immobili adibiti poi a moschea sono sotto il nome di Al Waqf al islami in Italia. Ma cosa significa esattamente la parola waqf? Risponde Ahmad Gianpiero Vincenzo, che insegna Diritti confessionali all'università Federico II di Napoli: «Nel diritto italiano l'istituto più vicino al waqf è la fondazione. Introducendole sotto forma di fondazioni lo Stato potrebbe verificare che le attività siano svolte secondo uno scopo predefinito, come gestire una scuola o una moschea, e non nascondano interessi di altra natura. Peraltro - aggiunge il docente - nella maggior parte dei paesi islamici i beni waqf sono stati nazionalizzati, tanto che è istituito il ministero degli Awqaf che amministra anche le fondazioni pie a carattere religioso. Questa che ci stiamo trovando davanti è un'anomalia che si è creata all'interno del territorio italiano al di fuori del diritto italiano». Tuttavia, secondo il legale del Waqfal Marni in Italia, Maher Kebakeji, il suo è proprio un waqf: «Un ente depositario degli immobili destinati ai luoghi di culto in Italia, questi beni sono inalienabili e di proprietà di tutti i musulmani».
Di sicuro intorno alla parola Waqfal islami in Italia girano diversi milioni di euro visto che sono 20 gli immobili intestati alla comunità locale che gira le donazioni e ottiene l'immobile in comodato d'uso. Il presidente Mohamed Asafa ha affidato al waqf le risorse della Casa della cultura islamica di Milano e ora denuncia: «Tutti i nostri soldi sono intestati a questa associazione, che non è una fondazione e ha rifiutato anche di ridarci i soldi. In più si sono presi anche l'immobile senza il nostro consenso, peraltro loro fanno parte dell'Ucoii mentre noi siamo indipendenti».
Mohamed ora è in causa con il Waqfal Islami in Italia che, come detto, è una semplice associazione. Gli immobili diventano dunque proprietà del waqf. Nella giurisdizione italiana non c'è una normativa che lo preveda allo stesso modo di com'è regolamentato nella Sharia. Basta forse questa anomalia a segnalare quel vuoto che ancora non è sta-
to risolto sui finanziamenti dell'Islam di casa. Sapere chi finanzia l'Islam e le moschee è importante per capire il nostro fu-
turo. E ciò al fine non solo di tutelarci ma anche di tutelare questa minoranza che ancora non riesce a trovare una voce autorevole che la guidi. Anche perché sono in gioco non solò i suoi soldi e risparmi ma anche le sue idee e la sua crescita culturale, che anche da quei luoghi si forma.







Patronati Acli: sanatoria flop
Avvenire,19-03-2010
ROMA. L'ultima sanatoria per colf e badanti regolarizzerà effettivamente non più di 100-150 mila lavoratori. È la previsione del Patronato Acli per il quale hanno pesato i costi aggiuntivi per la famiglia, intorno al 30-50% in più, rispetto al lavoro irregolare. Ecco perchè - ha detto Michele Rizzi, presidente del Patronato Acli ad un convegno sul sommerso nel lavoro domestico -l' «ultima emersione è andata al di sotto delle previsioni»: ci si aspettavano fra le 500 e le 700 mila domande, ne sono arrivate meno di 300 mila. Da qui, il ritorno all'invisibilità dei lavoratori del settore.Tre le proposte principali che avanzano le Acli colf, quella di abolire le retribuzioni convenzionali oggi vigenti ed introdurre una aliquota legata alla retribuzione effettiva.










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