Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

19 luglio 2012

Anche nello sport la cittadinanza ha un carattere escludente
l'Unità, 19-07-2012
Italia-razzismo
Il 25 luglio cominceranno le Olimpiadi di Londra a cui l’Italia si presenterà con 292 atleti, 53 in meno di Pechino 2008. Questa diminuzione non si è riscontrata nel numero di sportivi italiani naturalizzati che rimane, come ai giochi cinesi, di 24. Ovvero 24 persone non più straniere ma oramai italiane. Si tratta, però, di un numero sottostimato perché in quei 24 sono inclusi solo i nati all’estero che hanno ottenuto la cittadinanza italiana per residenza o per matrimonio. Diverso il calcolo che era stato fatto in occasione degli ultimi europei di atletica, quando il 18% della squadra italiana risultava formata da atleti di origine straniera, proprio perché non si operava alcuna distinzione tra i nati in Italia o all’estero. A questi giochi chi è diventato cittadino a 18 anni (e dopo aver presentato la richiesta non oltre il compimento dei 19 anni), rientra tra gli atleti da sempre italiani.
Non si vuole qui polemizzare, ma di certo una simile distinzione non fa emergere il rischio a cui questi atleti vanno incontro: non poter gareggiare in rappresentanza dell’Italia se, tra i 18 e i 19 anni, non riescono a ottenere la cittadinanza. E questo, si sa, non è un passaggio facile o che si possa dare per scontato. Insomma anche nello sport, come in altri ambiti, la cittadinanza assume un significato escludente, e chi non ne è in possesso si vede precludere molte possibilità. Ma non è questo l’unico aspetto discriminante che si riscontra nello sport, come si legge nel bel libro di Mauro Valeri, Stare ai giochi. Olimpiadi tra discriminazioni e inclusioni (Odradek Edizioni, 2012). Valeri, sociologo e direttore dell’Osservatorio su sport e razzismo, esamina addirittura cinque tipi di discriminazione, quanti sono i cerchi olimpici. Si tratta della discriminazione di genere, di quella razziale, di quella verso le persone con disabilità, di quella nei confronti delle persone transessuali e intersessuali e di quella religiosa. La sua è un’analisi condotta attraverso la ricostruzione delle biografie di quanti, in ambito olimpico, sono stati esclusi o penalizzati per uno dei cinque motivi sopra indicati. Ma racconta anche di come lo sport diventi terreno di dibattito proprio su quelle cinque questioni. Basti pensare al connubio tra Islam e Olimpiadi, e nello specifico a come faranno gli atleti musulmani a partecipare ai giochi se, per una settimana, gare e Ramadan (che prevede l’astensione, dall’alba al tramonto, dal mangiare e dal bere) coincideranno. A Londra saranno presenti 3.000 atleti musulmani, e, nonostante il digiuno possa essere rinviato, sono molti quelli che hanno dichiarato di volerlo rispettare. Il Comitato Olimpico Internazionale, come si legge nel libro di Valeri,  cerca di affrontare il tema religioso solo nelle sue implicazioni pratiche, mantenendo la religione “fuori dai giochi”. Invece molte delle richieste a cui deve far fronte sono rivendicazioni che riguardano l’identità culturale della persona. Speriamo che le Olimpiadi di Londra potranno essere anche un’occasione di confronto sul vasto e complesso tema dell’integrazione.



Diritto di voto agli immigrati Milano si prepara alla svolta
La giunta Pisapia è pronta a riscrivere lo Statuto estendendo a chi risiede in città da almeno
un anno la partecipazione ai referendum. Majorino: "Spero che l'aula si esprima al più presto"
la Repubblica, 19-07-2012
ALESSIA GALLIONE
Era una delle promesse della campagna elettorale: «Per coinvolgere gli stranieri nelle decisioni politiche della città è fondamentale riconoscere il diritto di voto», era scritto in quelle pagine di impegni del centrosinistra. Adesso la giunta Pisapia lancia la volata per estendere agli immigrati residenti da almeno un anno a Milano la possibilità di recarsi alle urne per i referendum cittadini. Un primo passo che sarà fatto inserendo questo principio nel Piano di zona, il libro mastro dei servizi sociali che l’assessore Pierfrancesco Majorino porterà in giunta all’inizio di settembre. E che poi dovrà continuare in consiglio comunale. Perché questa piccola rivoluzione avvenga, infatti, dovrà essere l’aula a votare - «al più presto», è l’auspicio dell’assessore - la modica dello Statuto di Palazzo Marino che oggi vincola alla cittadinanza italiana questa possibilità. Ma la strada è segnata.
Poche parole. Da inserire per cambiare l’articolo 6 comma 4 dello Statuto. È sotto la voce «diritti di cittadinanza» che viene regolata la materia: «Il diritto di voto nei referendum spetta ai soli cittadini iscritti nelle liste elettorali del Comune». È questa la parte che una delibera di iniziativa consiliare dovrà modificare, ampliando la possibilità agli immigrati regolari. Unico requisito la residenza: da almeno un anno, è la proposta di Majorino. Il dibattito è aperto.
L’idea sarebbe di non fermarsi agli stranieri, ma di far partecipare ai referendum anche chi è solo domiciliato in città (come gli studenti universitari o i giovani professionisti). Il modello è quello di Torino, che lo scorso marzo ha cambiato lo Statuto mettendo come unico requisito per i referendum l’iscrizione all’anagrafe da almeno sei mesi. Una realtà, con differenti versioni, in centri più piccoli come Livorno, Pescara, Gorizia e qualche comune del Bresciano.
Per ora parte da qui, Palazzo Marino. Oltre non si può andare. Il Comune aveva iniziato a studiare l’ipotesi di allargare il voto agli immigrati anche ai consigli di Zona. Ma si è scontrato con esperienze passate di altre città impugnate dal governo o bocciate dal Consiglio di Stato. «Sarebbe necessaria un’azione legislativa che modifichi il voto amministrativo», dice Majorino. Come per il registro delle unioni civili, insomma, «facciamo quello che possiamo». Ma già questo passaggio, sostiene, «non è solo simbolico. È un primo atto per rendere i migranti maggiormente corresponsabili delle scelte che riguardano la città». Una decisione che non mancherà di scatenare polemiche. Ma l’assessore si augura che «serva come sollecitazione ad andare oltre. Il parlamento dovrebbe intervenire perché l’introduzione del voto a livello amministrativo è un’assoluta necessità».



«Con questa operazione un freno all'illegalità»
il sole, 19-07-2012  
Marco Ludovico
ROMA - «È un'occasione per i datori di lavoro, che possono mettersi in regola dopo aver assunto stranieri in nero. Un'opportunità per gli immigrati, che ottengono di poter lavorare alla luce del sole. Ma è anche l'indicazione di una scelta severa contro lo sfruttamento dei migranti, come ci chiede l'Europa». Andrea Riccardi, ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, dopo l'approvazione definitiva del decreto legislativo per la lotta all'impiego senza scrupoli degli immigrati irregolari - attua una direttiva Ue del 2009, l'ltalia era già finita sotto procedure d'infrazione di Bruxelles - si dice «soddisfatto» anche perché «si sottraggono le questioni migratorie a dibattiti troppo caldi e talvolta strumentali, come nel recente passato».
Ministro, cosa significa questa norma sul piano politico?
Sottolineo, in particolare, l'accoglimento delle raccomandazioni della I e II commissione di Camera e Senato per introdurre una fase transitoria entro cui i datori di lavoro interessati possono volontariamente adeguarsi alle norme di legge ed evitare sanzioni più gravi.
In che modo?
Il meccanismo è semplice: tra il 15 settembre e il 15 ottobre i datori di lavoro che hanno fatto lavorare in nero dipendenti stranieri possono regolarizzarsi. Dovranno versare mille euro, contributo non deducibile, più sei mesi di oneri contributivi, retributivi e fiscali, per ogni lavoratore. Cosi potranno evitare sanzioni pesanti già previste da Bruxelles, ma ora anche dall'Italia, e riportarsi in un alveo di legalità che è poi condizione imprescindibile in un processo reale e positivo di integrazione. Cosi, però, riusciamo anche a prosciugare molte sacche di illegalità che si annidano sul territorio. Aggiungo che le norme in arrivo sono valide per i migranti presenti in Italia dal 31 dicembre 2011 e impiegati da almeno tre mesi.
Il tema della lotta al lavoro nero degli immigrati è stato più volte oggetto di discussione in questi anni. Le polemiche non hanno risparmiato neanche lei: gli attacchi sono arrivati da Lega e Pdl, s'è detto che migliaia di immigrati sarebbero sbarcati sulle nostre coste.
Non vedo perché, visto che la norma si applica solo a chi è in Italia dal 31 dicembre scorso. In realtà, la maggioranza nelle commissioni parlamentari è stata al completo nel sostegno al meccanismo di transizione.
Cioè proprio quello che consente, secondo gli accusatori, «I'ennesima sanatoria».
Stiamo parlando, questa è la definizione corretta, di emersione dal lavoro irregolare, anzi di ravvedimento operoso: meccanismo già in vigore da anni in molte altre fattispecie, come quelle fiscali. E la tutela è prevista proprio per i datori di lavoro, che possono evitare sanzioni e mettersi in regola. Non sono il ministro degli stranieri, ma dell'integrazione tra italiani e migranti. Ricordo, peraltro, che non facciamo un decreto flussi.
La configurazione di questo intervento di regolarizzazione si poteva prestare anche a usi spregiudicati.
Il punto più delicato di queste norme, infatti, era la necessità di evitare sistemi di ritorsione, se non di ricatto, esercitati nei confronti di datori di lavoro deboli,non parlo certo dei caporali che sfruttano decine e centinaia di immigrati. Il rischio era di far scatenare meccanismi odiosi contro anziani che hanno assunto in nero una badante, o imprenditori di piccole imprese di pulizie, o ancora famiglie neanche benestanti che non possono fare ameno di una persona d'aiuto in casa ma che hanno offerto un'occupazione senza rispettare le regole».
Ma sono stati previsti anche filtri per evitare di legittimare chiunque?
Certo: sono stati esclusi dalla possibilità di mettersi in regola i datori di lavoro con condanne o precedenti in materia di immigrazione cosi come non sono ammessi gli stranieri con condanne, anche non définitive, espulsi o considerati a rischio per l'ordine e la pubblica sicurezza. Le norme, dunque, sono rigorose.



Reportage Il Centro di identificazione ed espulsione per immigrati
Tra le urla e le proteste del Cie di via Corelli «Ditemi perché sono qui?»
Pisapia: «Bisogna ripensare radicalmente questi luoghi»
Corriere della sera, 19-07-2012
Alessandra Coppola
Ai ragazzi africani che passano il tempo in cortile è toccata una t-shirt beffarda: «Liberi di giocare, liberi di vivere». Gli avanzi di uno stock di magliette della Croce rossa per una campagna contro le mine antiuomo.
È tutto ripulito e rinfrescato al Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli, aperto per la prima volta dopo molti anni a un gruppo ristretto di giornalisti. Ma è ancora un limbo dove gli «ospiti» in attesa di rimpatrio abusano di antidepressivi, passano le giornate a far nulla, «prima potevo giocare a pallavolo adesso neanche quello», dice Jorge, brasiliano della sezione A, quella dei trans: «Sto male, tutti i giorni piango e prego».
L'esasperazione si fa sentire. Appena aperto l'accesso al corridoio centrale, salti, pugni, colpi ritmati sulle porte di ferro che si gonfiano e rimbombano paurosamente. Il viso contro il vetro, un uomo grida le parole: «Condizione umana». Qualche finestra è rotta, un'inferriata è piegata. La sezione E è ancora in ristrutturazione dopo la rivolta di gennaio che l'ha completamente distrutta. Abdelaziz era con i tunisini che hanno appiccato il fuoco ai materassi, ma non ha partecipato: «Mi sono messo una maglietta sulla bocca per il fumo e sono uscito. È bruttissimo qui perché entra il bravo con il cattivo, non si può dormire, non si può vivere. C'è gente che fa casino, uno picchia la porta, uno va in terapia, uno grida, un altro mette la musica all'una di notte, quello si alza la mattina presto, ogni tanto litigano tra loro... Non si può stare».
Non è un problema di operatori. «Un grazie particolare al personale della Croce rossa per l'insostituibile lavoro», annota Giuliano Pisapia su Facebook. Anche il sindaco ha fatto una visita ieri mattina in via Corelli, accompagnato dagli assessori Marco Granelli e Pierfrancesco Majorino. Quello che non va in tutti i Cie, sottolinea, sta nella funzione ibrida, nell'ambiguità del luogo in sé. «Sono sempre più convinto che sui Centri di identificazione ed espulsione sia tempo di rilanciare un messaggio chiaro - scrive Pisapia -. Ritengo che queste strutture vadano ripensate radicalmente... Vorrei che se ne parlasse di più per arrivare in tempi celeri a una auspicabile e profonda modifica, se non cancellazione, della Bossi-Fini». Una questione che sul Corriere aveva già sollevato l'assessore Majorino: «La mia sensazione, anche da questa visita, è di un luogo in cui nemmeno gli "ospiti" capiscono il senso - ribadisce -, a metà tra la funzione carceraria e non si sa cosa». Qualcuno si è avvicinato alla delegazione comunale, racconta: «Persone spaesate che ci facevano domande elementari: perché sono qua? Quando potrò uscire?».
Molta confusione, nonostante un'organizzazione efficiente: l'infermeria 24 ore su 24 (il medico invece 8 ore al giorno), tre mediatori (tra cui un'egiziana e un siriano), il catering che rispetta Ramadan e regimi dietetici, la distribuzione nelle stanze che tiene conto anche delle nazionalità e delle richieste. Sessantaquattro persone alloggiate in tre sezioni (D ed E non sono ancora agibili, la capienza massima sarebbe di 132 «ospiti»). I letti, la «sala benessere» (tavoli, macchinette delle bibite e tv), i telefoni a scheda, un buono di cinque euro ogni due giorni. Tutto bene, se fosse un carcere. «Penso alla loro funzione, al tema della "detenzione" amministrativa, alla permanenza in quei luoghi, anche per lunghi periodi, non per scontare una pena o per aver commesso un reato - aggiunge ancora Pisapia -. Sono elementi di profonda preoccupazione per chi ha a cuore il rispetto dei diritti delle persone, e, vorrei dirlo, i principi costituzionali».



Per i profughi di Mineo nuovo Sos aborto
?Avvenire, 19-07-2012
Nello Scavo
«Da 32 anni svolgo colloqui, e so che un faccia a faccia vale una vita». Mentre parla la voce di Rosa Maria Nicotra per un attimo s’incrina. È il solo cedimento in un racconto lucido e appassionato: «Quando le immigrate del Centro di accoglienza richiedenti asilo di Mineo che vorrebbero interrompere la gravidanza vengono accompagnate nell’ospedale, a Caltagirone, non facciamo altro che chiedere la presenza dei mediatori culturali e linguistici». Ma gli interpreti quasi mai ci sono. «E come si fa a comprendere le motivazioni che spingono la donna a chiedere di rinunciare alla maternità?».
A pensarci le fa rabbia.
Una rabbia che è anche frustrazione: «Perché molte volte, quando siamo riusciti a parlare a queste donne, ad ascoltarle, a dialogare con i loro uomini, siamo riusciti a convincerle ad accogliere la vita nascente». I numeri non danno alibi. Se dall’inizio dell’anno si sono contate sette interruzioni di gravidanza, altrettanti sono stati i casi di ragazze del Cara, dove oggi è atteso il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, che alal fine ci hanno ripensato, e che tra non molto saranno mamme.
Le motivazioni che solitamente vengono illustrate a chi si occuperà di eseguire l’aborto possono apparire banali: «Qui non abbiamo futuro, non sappiamo dove andremo a vivere né cosa faremo». Parole dietro a cui si nasconde il disagio dell’incertezza di chi, ospite di un villaggio a cui non mancano i comfort, vive in tempo sospeso.
Il racconto dell’assistente sociale è confermato da altre fonti ospedaliere e da operatori di organizzazioni di volontariato. C’è poi una questione, per così dire, culturale: «Non possiamo far passare un messaggio sbagliato - insiste Nicotra -, come se interrompere la gravidanza sia una cosa facile, da compiere senza pensieri». Non è un osservazione fuori luogo. È già successo, più di una volta. In ospedale sono state accompagnate dal Cara di Mineo ragazze che meno di tre mesi prima avevano interrotto la gravidanza e adesso volevano fare lo stesso con una nuova gestazione. «Eh no, non è possibile, ho detto. Non si può affrontare una cosa così importante con leggerezza. Non possiamo e non dobbiamo lasciar credere che si possa essere superficiali, quando invece occorrerebbe capire cosa c’è dietro ad una gravidanza indesiderata. Del resto, quando in un’unica struttura si mettono a vivere duemila persone, è impossibile - osserva Nicotra - sapere come stiano esattamente le cose».
Nelle ultime settimane si sono susseguite voci di un giro di prostituzione interno agli immigrati, su cui sta indagando la procura di Calagirone. Intanto la Provincia di Catania, a cui è affidata la gestione del Cara, già in questi giorni potrebbe varare modifiche sostanziali al sistema di assistenza sanitaria, passando da una gestione emergenziale a una più adatta a una struttura che non ha per niente l’aria di una sistemazione provvisoria. La strada per ottenere lo stato di rifugiato è lunga e piena di ostacoli. È anche di questo, con ogni probabilità, che parlerà domani il ministro Cancellieri incontrando una delegazione di rappresentanti delle varie etnie, i responsabili e gli operatori della struttura e la Commissione territoriale per il riconoscimento dell’asilo politico.
A Rosa Maria Nicotra, ora che si appresta ad andare in pensione, non resta che una delusione da trasformare in appello: «Si sarebbero potuti salvare molti altri bambini, se ci fosse stata una rete efficiente di mediatori culturali ed esperti. Se quantomeno ai consultori fosse permesso di lavorare nel Cara, avremmo avuto altre nascite da festeggiare».



Calabria, Riace come Rosarno gli immigrati sono alla fame
Il sindaco in sciopero della fame: la Protezione Civile accusata: non ha smistato i soldi. Stessa situazione ad Acquaformosa
Corriere della sera, 19-07-2012
Carlo Macrì
RIACE (Reggio Calabria) – Riace, paese d'accoglienza, potrebbe diventare una nuova Rosarno. I 150 migranti che vivono nella cittadina della Locride non ricevono un euro da luglio 2011. E da mesi non si trova più il modo per farli mangiare. I commercianti del paese si rifiutano di fare credito a vuoto, come invece hanno fatto in questi mesi. Sino ad oggi hanno accettato i bonus, ideati dal sindaco Domenico Lucano, a forma e sostitutivi dell'euro. Ora li considerano quello che sono, solo carta straccia.
SINDACO IN SCIOPERO DELLA FAME - Lucano, per evitare la rivolta dei nord africani, da mercoledì mattina, è in sciopero della fame. Seduto al tavolo del salone di casa Città Futura, che è il luogo d'incontro degli extracomunitari, cerca di dare risposte che non ha. Ha invano bussato alle porte della Protezione Civile Regionale - che gestisce il progetto Emergenza Nord Africa, avviato il 7 aprile 2011 con decreto del Consiglio dei Ministri, per far fronte ai barconi che affollavano le coste di Lampedusa. Poi, si è rivolto alla Corte dei Conti, chiamata a dare l'ok allo stanziamento dei finanziamenti, ma anche in questo caso non ha avuto risposte. E intanto i migranti gli chiedono pure le sigarette e i soldi per i documenti per il rilascio del riconoscimento di rifugiato politico. Non sa più a che santo votarsi, Domenico Lucano. Ma di certo non ha perso la lucidità.
I SOLDI CI SONO, MA NON A RIACE ED ACQUAFORMOSA - «Probabilmente l'origine del problema va scovato nelle pieghe della Protezione Civile calabrese». Da Roma, i soldi, circa 5 milioni di euro, sono arrivati lo scorso 11 giugno. A Riace però non hanno visto un euro. La stessa sorte la sta vivendo Acquaformosa, un altro paese dell'accoglienza dove i figli dei migranti, frequentando le locali scuole, hanno impedito la loro chiusura. Il sindaco del paese in provincia di Cosenza Giovanni Manoccio va giù duro. «Aver distrutto il sistema "Asilo" trasferendo le competenze dalla Politiche Sociali alla Protezione Civile, sostituendo le politiche di accoglienza ed integrazione, che rispondevano ai progetti Sprar, a quelli altamente redditizi della Protezione Civile ha vanificato di fatto una politica che in 10 anni aveva garantito, con la collaborazione tra Ministeri ed Enti Locali, politiche di inclusione sociale».
UNA FAVOLA CHE FINISCE - Wim Wenders, che è venuto appositamente in questa terra della Locride per girare il suo cortometraggio «Il volo» e raccontare così la riuscita integrazione, oggi non la riconoscerebbe più. La bella e reale favola rischia di scomparire. Per la solita motivazione: i soldi. Denaro pubblico, che ha fatto gola a tanti, ma che non si capisce dove è andato a finire. Per ogni migrante accolto lo Stato finanzia 46 euro al giorno. La rendicontazione delle spese, però, la si fa appuntando «solo» il numero degli ospiti. Senza dire, realmente, cosa viene loro garantito.

Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links