Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 dicembre 2010

I test per gli immigrati
INTEGRAZIONE SIMBOLICA
La Stampa, 10-12-2010
IRENE TINAGLI
Da ieri gli stranieri che vorranno ottenere un permesso di soggiorno di lungo periodo dovranno svolgere un test che verifichi la conoscenza della lingua italiana.
I sostenitori del provvedimento affermano che l'obiettivo è quello di garantire le condizioni minime per un'effettiva integrazione nel Paese, altri invece ritengono che si tratti solo di una scusa per alzare le barriere all'entrata in un Paese già abbastanza ostile agli stranieri, reclamando quantomeno maggiori risorse per consentire a questi stranieri di imparare effettivamente la lingua (il Pd ha chiesto 30 milioni).
In effetti la questione dell'integrazione - e non solo della mera accoglienza - è divenuta di rilievo in molti Paesi europei negli ultimi anni, e la capacità di esprimersi nella lingua locale è certamente uno strumento importante di integrazione. Ancora oggi negli Stati Uniti ci sono comunità di vecchi emigranti italiani arrivati quaranta o cinquanta anni fa per lavorare nelle miniere o nelle acciaierie che stentano con l'inglese, e vivono barricati nelle loro comunità biascicando dialetti incomprensibili. Forse (im)memori o timorosi di queste esperienze, oggi si cerca di evitarle imponendo per legge la conoscenza della lingua locale. Ma al di là del principio ispiratore, in larga parte di buon senso, è davvero necessario, oggi, questo provvedimento? E cosa cambierà realmente nella pratica?
Tutti gli stranieri che vorranno far domanda di permesso di soggiorno di lungo periodo dovranno prima far richiesta al prefetto per esprimere il desiderio di svolgere il test. Dopodiché riceveranno la convocazione per svolgere la prova in uno dei Centri provinciali per l'Istruzione degli adulti. Ciascun centro abilitato, nel frattempo, dovrà sviluppare e condurre il proprio test, secondo le linee guida elaborate dagli organismi attualmente certificati a svolgere test di italiano (sono 4 in tutta Italia), correggerlo e inviare i risultati al Ministero.
Tutta questa trafila di adempimenti burocratici per testare una conoscenza della lingua italiana di "livello A2" secondo i criteri definiti dal Consiglio d'Europa nel 1992 - vale a dire una conoscenza minima, equivalente al sapersi presentare, chiedere o capire un'indicazione se ci si perde per strada, comprare un oggetto o cercare un servizio.       
Considerato che ormai gli immigrati che giungono da noi arrivano, per la maggior parte, non tanto per lavorare in miniera ma in occupazioni ad alta interazione interpersonale come badanti, baby sitter, oppure nel commercio, e che oltretutto per richiedere un permesso di lungo periodo devono essere già titolari di un permesso regolare da almeno 5 anni, viene da chiedersi quanti siano, nei fatti, gli stranieri in tali posizioni che non sono in grado di dire come si chiamano o capire un'indicazione stradale. Una badante, un muratore o un commesso non sarebbero in grado di trovare un'occupazione e di sopravvivere se non fossero in grado di capire un'indicazione per recarsi al lavoro o comprare un panino. Non è un caso se l'ultimo rapporto del Censis mostra come l'85% degli stranieri in Italia abbia una conoscenza della lingua italiana almeno sufficiente.
Il dubbio che sorge è che alla fine questo provvedimento, pur ispirato da validi principi e pur avendo un alto valore simbolico - primo tra tutti quello di rassicurare tanti italiani preoccupati di una invasione straniera irrispettosa della cultura locale ed incapace di integrarsi -, finisca tuttavia per scontare i limiti di molti altri provvedimenti simbolici, ovvero quello di introdurre norme che alla fine creano più aggravi burocratici che benefici reali, e soprattutto quello di arrivare a normare questioni di cui il mercato e l'evoluzione delle società già si prendono cura.



Vuoi stare in Italia? Da oggi devi sapere l’italiano

il Giornale, 10-12-2010
Enza Cusmai

Sei sposato? Quanto costa la carne? Dov’è il supermercato? E infine il basilare «come ti chiami?».
Debuttano i quiz di conoscenza dell’italiano per gli immigrati che chiedono il permesso di soggiorno di lungo periodo. E, manco a dirlo, il Pd già insorge e grida al complotto contro gli stranieri indifesi. Ma il decreto del 4 giugno scorso, firmato dai ministri dell’Interno e dell’Istruzione, Roberto Maroni e Mariastella Gelmini, ha un senso logico e non demagogico.
Come si può pretendere di vivere in Italia per anni senza poter dialogare con gli altri cittadini? Bisogna che gli extracomunitari sappiano masticare almeno qualche frase comprensibile di italiano da utilizzare nella vita di tutti i giorni. La grammatica, per carità, non viene neppure presa in considerazione. È sufficiente che lo straniero comprenda brevi testi, frasi ed espressioni di uso frequente. Deve dimostrare, insomma, di essere in grado di capire e farsi capire, a voce e per iscritto, su temi che riguardano la vita di tutti i giorni. Tutto qui.
È infatti di questo tenore «l’esamino» a cui viene sottoposto chi vuole richiedere il rilascio del cosiddetto «permesso CE per soggiornanti di lungo periodo». In pratica, si tratta di un documento a tempo indeterminato che, rispetto al normale permesso di soggiorno, rappresenta l’anticamera della cittadinanza (che si può richiedere dopo 10 anni di legale residenza in Italia). Dunque, niente panico per i circa 80 mila immigrati interessati. Perché in caso di insufficienza, il test si può ripetere ogni sei mesi. E nel frattempo, nessuno verrà espulso, rimane semplicemente col permesso di soggiorno che ha già. Inoltre, le convocazioni per i test non partiranno prima di febbraio, cioè 60 giorni dopo l’invio della domanda.
C’è tempo per farsi esaminare. Ma molti sono impazienti. E da ieri stanno piovendo al Viminale le domande online degli interessati: circa 240 nelle prime ore. Che si presume sappiano già la nostra lingua, almeno parlata. I test, infatti, riguardano solo gli stranieri regolarmente presenti in Italia da almeno 5 anni, che abbiano compiuto i 14 anni di età.
Sono esclusi gli immigrati che dimostrino con titoli di studio o professionali di avere già una buona conoscenza della lingua italiana. E le persone affette da gravi patologie o handicap.
Tutti gli altri interessati possono già recarsi in libreria e prenotare le dispense. Già, perché a gennaio uscirà una vera guida al test mentre chi si accontenta di un bigino lo può già acquistare in librerie fornite. E nel frattempo può presentare la domanda. Come? Via web oppure con l’aiuto dei patronati. Il sito è http://testitaliano.interno.it ed entro 60 giorni si riceverà per posta la convocazione della Prefettura. Il test sarà gratuito e si svolgerà nelle scuole vicino alla rispettiva abitazione. Sostenuta la prova, collegandosi dopo pochi giorni allo stesso indirizzo web, si potrà conoscere l'esito. Con l'80 per cento del punteggio massimo si potrà presentare domanda per il permesso di soggiorno.
Ma in Alto Adige le cose si complicano. L’esame di lingua si estenderà anche al tedesco anche se non sarà vincolante. I promossi avranno una corsia preferenziale per ottenere i sussidi provinciali.



Con il test di italiano per i permessi CE rischio ritardi per le pratiche di regolarizzazione. La denuncia delle Acli.

L’associazione cattolica critica il provvedimento “i test non garantiscono l’effettiva integrazione”.
ImmigrazioneOggi, 10-12-2010
Il test di italiano per le richieste dei permessi CE di lungo soggiornanti entrato in vigore ieri, rischia di ritardare ancora le pratiche di regolarizzazione per colf e badanti. È la denuncia delle Acli e del Patronato Acli espressa ieri in una nota.
È probabile – spiega il responsabile del servizio immigrazione del Patronato Acli, Pino Gulia – che il nuovo sistema avrà bisogno di un periodo di rodaggio, malgrado l’impegno profuso dai funzionari delle amministrazioni coinvolte: il Ministero dell’Interno e quello dell’Istruzione, le Questure e le Prefetture, i centri provinciali per l’istruzione degli adulti. Di fatto questo test aggrava il lavoro già oneroso dell’amministrazione pubblica e rischia di prolungare ulteriormente le procedure per il rilascio della ordinaria documentazione necessaria ai cittadini stranieri”.
Per il responsabile immigrazione delle Acli, Antonio Russo, “l’anomalia di questa procedura è quella di istituire una 'prova' della conoscenza elementare della lingua senza aver prima mai previsto e progettato un piano articolato per l’insegnamento della lingua italiana. Chiediamo cioè agli immigrati di fare i test senza avergli mai fatto fare i corsi. È evidente che i test non garantiscono di per sé l’effettiva integrazione degli immigrati né certo soddisfano l’esigenza di sicurezza della popolazione italiana”.



Giusto il test agli stranieri Lo facevano i nostri nonni

il Giornale, 10-12-2010
Luca Zaia
Quante volte, nel ricorrente dibattito sull'immigrazione  in Italia, ci siamo trovati a discutere o a prendere d'esempio il caso statunitense? Molto spesso, per la verità, tirato per la giacchetta da insigni intellettuali e politici da salotto, dimentichi delle differenze profonde - di storia, cultura ed economia - esistenti (...) (...) fra il nostro Paese e l'America di Barack Obama.
Mi viene in mente oggi - dopo l'approvazione del Decreto sull'esame di italiano obbligatorio per gli immigrati - che proprio ad Ellis Island, sotto cappelli e giacche impolverati dalla lunga traversata in mare, i nostri nonni e bisnonni aspettavano il visto d'ingresso. E si sottoponevano ad un esame di alfabetismo, introdotto con la restrizione dei flussi migratori nel 1917.
Oggi, per ottenere un visto di lungo periodo, gli immigrati in Italia dovranno sostenere un piccolo test di conoscenza della lingua italiana. Si tratta di un passo importante compiuto verso l'integrazione concreta di coloro che scelgono di vivere sul nostro territorio, lavorando.
Persone come Mohamed Fikri, l'operaio edile coinvolto suo malgrado nella terribile scomparsa di Yara Gambirasio, a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo. Fermato e interrogato dalla magistratura inquirente, Fikri è stato poi rilasciato perché innocente: la conversazione in arabo intercettata e che aveva portato al suo fermo, era
stata tradotta male. Fikri parla un arabo bastardo, con un accento ormai naturalmente bergamasco. Conosce la nostra lingua e rispetta le regole del territorio che l'ha ospitato. È un immigrato regolare, integrato, lavoratore.     
Questa  è l'immigrazione che ci piace, che vorremmo. Un'immigrazione  governata, e non subita dalle città e dalle province italiane, fondate su un patrimonio di lingue materne, di culture, di tradizioni e di leggi da rispettare che devono essere conosciute e accettate dagli immigrati realmente intenzionati a costruirsi una vita qui.
Non può esistere integrazione senza legalità, senza dialogo e senza confronto. E in questo senso la conoscenza della lingua -intesa non come insieme di fonemi e regole grammaticali, ma come lo sviluppo storico di una regione del mondo, come linguaggio - non è un dettaglio trascurabile, ma il presupposto primo del convivere civile.



«Imparo l'italiano e sono cittadino» Pd: fondi per corsi a immigrati

l'Unità, 10-12-2010
Cinzia Zambrano
''La lingua italiana deve essere veicolo di integrazione e non motivo di discriminazione''. Le parole di Livia Turco accompagnano lo sguardo sorridente di Ajath, che da un manifesto ci dice: “Per leggere la mia nuova Costituzione imparo l'italiano e sono cittadino”.
Ajath è solo uno dei volti-simbolo della campagna Pd “Imparo l'italiano e sono cittadino''. Una campagna che non a caso è stata lanciata ieri, giorno del debutto dei quiz di verifica di conoscenza dell'italiano, preliminari alla richiesta del permesso di soggiorno. La presidente del Forum immigrazione Pd rilancia, e presenta una proposta di legge che chiama in causa il diretto sostegno dello Stato: preveda un fondo di 30 milioni per l'apprendimento di lingua e cultura italiane e corsi gratuiti per i cittadini stranieri immigrati nel nostro paese.
Imparo l'italiano: “per aiutare mia figlia a fare i compiti”; “per parlare con il medico”, per compilare il modulo in Comune”. Scuola, Sanità, burocrazia, sono solo alcuni degli ostacoli incontrati dagli immigrati quotidianamente e raccontati nei manifesti della campagna, che per il responsabile delle seconde generazioni del Pd Khalid Chaouki "parte da una filosofia diversa da quella dell'attuale governo, per cui sembra che sia l'immigrato a non voler imparare l'italiano e lo Stato che deve imporglielo: i cittadini stranieri sono invece consapevoli dell'importanza della lingua per la loro integrazione e vogliono, anzi chiedono di imparare l'italiano".
''Ancora una volta – denuncia la Turco, prima firmataria della proposta di legge - ci troviamo di fronte ad un'iniziativa del governo che impone ma non offre possibilità. Anzi, impone tagli consistenti alle risorse destinate agli istituti di cultura e depotenzia i centri territoriali per la formazione".
Nel dettaglio la proposta di legge del Pd propone invece “di finanziare un programma nazionale che deve far capo al ministero dell'Istruzione, il quale, in collaborazione con Regioni, Comuni, e associazioni di volontariato, deve organizzare e coordinare questi corsi”. Corsi, che dovrebbero svolgersi su due livelli: uno di educazione civica per imparare la Costituzione e la legislazione del nostro paese, anche nella lingua d'origine del migrante, e un corso di lingua e cultura coordinato dal ministero dell'Istruzione, coinvolgendo associazioni di volontariato e sindacati.
E' previsto anche il coinvolgimento delle imprese. Che dovrebbero concedere agli immigrati permessi dal lavoro, da una a tre ore a settimana, per seguire i corsi di lingua. In più, l'organizzazione di corsi di lingua in italiano anche presso le sedi degli Istituti di cultura presenti nei vari paesi stranieri.
Come finanziare tutto questo? Secondo il Pd, tra le fonti, si possono prevedere i contributi pensionistici non riscossi dai lavoratori e le multe comminate ai datori di lavoro che sfruttano gli immigrati senza permesso di soggiorno.
La Turco ha espresso poi preoccupazione per la bozza del decreto attuativo per la legge 64 sulla sicurezza, che prevede l'espulsione per chi entro due o tre anni non superi i test di lingua: "Vogliamo evitare di diventare l'unico paese dell'Unione europea che prevede, come motivo di possibile espulsione, la non conoscenza della lingua, che deve essere elemento di unione e non di discriminazione".
Dal canto suo, Marco Pacciotti, coordinatore del forum sull'immigrazione, ricorda l'appuntamento per la manifestazione Pd di domani "dove troveranno voce e rappresentanza anche le associazione dei migranti”, perché il “punto vero è definire un'altra idea di cittadinanza, essere riconosciuti cioè come persone e come capitale umano”.



Ma se è ‘emergenza immigrazione’ perché tagliano il personale delle Prefetture?

libertiamo, 10-12-2010
Ma se è ‘emergenza immigrazione’ perché tagliano il personale delle Prefetture?
- Le riduzioni della spesa pubblica sono assolutamente necessarie ma la scelta deve essere ponderata attentamente. Sbaglia quindi chi pensa di poter impunemente sacrificare i più deboli e indifesi sull’altare della riduzione del debito pubblico, mantenendo i propri privilegi e la propria  colpevole incoscienza e confidando nella esasperazione dei contribuenti oppressi dalle tasse e dalla burocrazia.
Sono forse parassiti i 650 giovani e meno giovani che da quasi 10 anni lavorano nelle Prefetture (Sportelli Unici per l’Immigrazione, uffici cittadinanza) o presso gli Uffici Immigrazione delle Questure in tutt’Italia?
Non è certamente a loro addebitabile il miope approccio alla gestione dell’immigrazione che, almeno dal 2002, va avanti in una continua fase di “gestione emergenziale”, come se si trattasse di una catastrofe naturale continua. Nonostante il susseguirsi di contratti interinali, a tempo determinato, di somministrazione di lavoro e chissà cos’altro per anni ed anni i “650 del Ministero dell’Interno”, come si sono autodefiniti nei loro comunicati (per informazioni rivolgersi a Alessia Pantone: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. ) sono riusciti negli anni ad accumulare una notevole esperienza e professionalità nei vari settori dell’immigrazione e della cittadinanza, dalla gestione dei “flussi” alle complesse pratiche dei “fuori flusso” , dalle pratiche per regolarizzare una “badante” alle procedure per far entrare un megadirettore generale.
I politici e gli alti burocrati che in quest’ultimo decennio se ne sono  occupati  hanno preferito giocherellare a rimpiattino sul delicato tema dell’immigrazione. Hanno cavalcato l’idea di affidare a “civili” pratiche prima di competenza della Polizia creando dal nulla un Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione al Ministero dell’Interno. Non hanno però mai concesso a tale Dipartimento un potere reale alternativo rispetto a quello comunque mantenuto dal “Dipartimento della Pubblica Sicurezza”, dandolo in gestione a Prefetti “generalisti” e come tali continuamente “di passaggio” al Dipartimento. A dire la verità un’eccezione a tale prassi si è verificata con la nomina dell’attuale dirigente del Dipartimento, il Prefetto Angela Pria, che ha accumulato una notevole esperienza nell’immigrazione sia nel settore giuslavoristico che in quello della sicurezza pubblica
Sarà un caso ma solo dopo la sua nomina sono stati firmati una serie di protocolli d’intesa per semplificare alcune tipologie di nulla osta al lavoro per personale altamente qualificato sulla base di una legge del 2009!
Nell’ottica dell’affidamento ai “civili” della gestione dell’immigrazione sono stati istituiti all’inizio degli anni 2000 gli “Sportelli Unici per l’Immigrazione”, il cui scopo non è stato ben concepito neppure da chi li ha creati. Altrimenti non ne avrebbe affidato la gestione a delle persone mai inserite organicamente nella struttura, ma assunti con una miriade continua di contratti di minima durata di volta in volta rinnovati. Nonostante il mancato riconoscimento ufficiale e l’impossibilità di seguire logici itinerari di carriera interna i “650 del Ministero dell’Interno” hanno saputo ritagliarsi negli anni una notevole professionalità.
Professionalità che adesso rischia di sparire per sempre perché l’attuale governo, che si autoproclama “liberista”, ha pensato bene di individuare in loro una delle cause del pesante deficit pubblico che pesa come una spada di Damocle sulla Nazione e di non rinnovare più loro il contratto oltre il 31 dicembre del 2010. E questo sulla base di disposizioni di riduzione della spesa pubblica nate per tutt’altro scopo, quello di impedire assunzioni sfacciatamente clientelari da parte di enti pubblici gestiti finora in maniera a dir poco “allegra”.
Appare inoltre stupefacente da parte del governo l’enfatizzazione sulle “nuove tecnologie” che dovrebbero facilitare la gestione delle procedure di immigrazione e il rilascio dei documenti, ma se è prassi ormai consolidata da parte delle questure facilitare gli stranieri con il rilascio di permessi “cartacei” , viste le lungaggini del Poligrafico nella stampa degli ultramoderni e sofisticati permessi elettronici!
Inoltre qualsiasi altra soluzione sarà presa dopo il 31 dicembre 2010 per ovviare alla mancanza dei “650” rischia per mesi, se non per anni , di riaprire una fase di incertezza normativa ed organizzativa dalla quale l’immigrazione era appena uscita dopo i primi anni di implementazione degli Sportelli Unici per l’Immigrazione.
Insomma la riduzione dell’elefantiaca spesa pubblica, per molti versi derivante dalle spese per stipendi dei dipendenti , è sacrosanta e non sarò certamente io a metterla in discussione, ma che non si trasformi in una una carneficina di deboli. I liberisti sono ben coscienti che i tagli alla spesa pubblica vanno fatti dove è evidente il latrocinio e il peggior parassitismo e non devono essere distrutte con un colpo di penna professionalità indispensabili per la Pubblica Amministrazione.



La cacciata degli accattoni

Brescia, fermati e rimpatriati in Romania. Il vice sindaco: "Ho ripulito la città per Natale"
La Stampa, 10-12-2010
BEATRICE RASPA
BRESCIA -Chiamiamolo pure modello Sarkozy. Con la differenza che noi qui abbiamo pagato ai romeni solo il biglietto per il rimpatrio, senza i contributi che invece regala la Francia». Il vicesindaco leghista di Brescia, Fabio Rolfi, è molto soddisfatto. «Ho ripulito la città proprio sotto Natale - dice - quando la gente vuole essere lasciata in pace e non intende essere molestata dagli emarginati di professione».
Mercoledì, giorno dell'Immacolata, gli agenti della polizia municipale hanno sorpreso tredici romeni accampati in un giaciglio di fortuna tra cellophane e cartoni sotto il cavalcavia Kennedy, alle porte del centro. Undici uomini e due donne, tra i 20 e i 40 anni. Unico bagaglio: flauti, fisarmoniche, scatoline e piattini per l'elemosina.
Un gruppo di suonatori di strada, insomma. I vigili li hanno portati al comando per le foto segnaletiche e l'identificazione, quindi è stato chiesto e ottenuto dalla Questura il foglio di via. E ieri, a spese dell'assessorato comunale alla Sicurezza che ha messo i 60 euro a testa necessari per il viaggio, gli immigrati sono stati fatti salire su un pullmann. Destinazione: Bucarest. In una mano il biglietto di sola andata, nell'altra l'invito a lasciare l'Italia. «Mi stanno chiamando in molti per capire quale è stata la procedura applicata - aggiunge tutto orgoglioso Rolfi, 33 anni, che ha anche la delega alla Sicurezza urbana -. E' semplice. Tecnicamente non si tratta di un'espulsione, ma solo di un invito al rimpatrio, che se non viene accolto potrebbe pure sfociare in un arresto. Ma questo è raro che poi accada. Il foglio di via è previsto per legge per quei cittadini comunitari senza fissa dimora e che non dispongono di un reddito».
Proprio il caso dei suonatori di strada: «Erano già stati pizzicati il 20 novembre e il 3 dicembre ad occupare abusivamente uno stabile demolito. E' chiaro che non hanno alcuna fonte di sostentamento lecita, si dedicano solo all'acattonaggio in centro o presso i luoghi di cura. Utilizzano case abbandonate o tendopoli improvvisate. Insomma, aumentano la percezione di insicurezza tra i cittadini, mettendo a repentaglio la loro stessa salute per il freddo».
«Convincerli» a tornarsene in Romania, come puntualizza il vicesindaco, è stato semplice: «Abbiamo spiegato loro che se fossero rimasti ogni santo giorno li avremmo portati al comando. Hanno capito". Al prezzo di 700 euro, dunque, il vice sindaco ha centrato il suo obiettivo: liberare dai mendicanti  la città che si prepara allo shopping natalizio tra negozi e centri commerciali e rispettare alla lettera il regolamento di polizia urbana che vieta «l'accattonaggio molesto».
Ma non tutti sono d'accordo: «Sul fatto che il gruppo in questione fosse molesto avrei parecchio da ridire - stigmatizza Giovanni Valenti, storico responsabile dell'ex Sportello immigrati del Comune e ora a capo dell'Osservatorio
sull'immigrazione. Questa è gente conosciuta, la si vede in giro dal 2008. Sono musici. Mai sono stati al centro di episodi criminosi. Al massimo si avvicinano per l'elemosina. Sono come gli italiani a New York a inizio del 1900».
Per il segretario provinciale del Pd, Pietro Bisinella è «1' ennesima ridicolaggine leghista»: «Come al solito se la pren-dono con i più deboli per buttare fumo negli occhi, lasciando poi insoluti i problemi reali. Riprova ne è che Brescia è al 44 ° posto tra le città italiane per qualità della vita».



Il Vaticano
«I diritti umani prima della sicurezza»
La Stampa, 10-12-2010
«L'inviolabilità dei diritti umani fondamentali» va riaffermata «indipendentemente dalla situazione migratoria contingente», l'impegno «nella difesa e nella promozione della dignità umana non può essere sottomesso a interessi economici o di sicurezza nazionale». È quanto afferma l'arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio dei migranti,  nell'intervento che pronuncerà oggi al Campidoglio al Convegno «Mattone su Mattone. Un progetto di cooperazione transnazionale tra Italia, Spagna e Filippine». La lectio magistralis di Vegliò è stata anticipata ieri da Radio Vaticana.



Caritas: "Serve regolarizzazione per i braccianti immigrati"
Mons. Nozza: "Favorevole ad una sanatoria che possa migliorare la loro situazione"
stranieriinitalia. 09-12-2010
Marco Iorio

Roma – 9 dicembre 2010 – “Siamo favorevoli ad una nuova sanatoria anche per i lavoratori agricoli immigrati,  che regolarizzi il lavoro di queste  persone e gli permetta di essere inseriti in contesti occupazionali migliori”.
Questo l’auspicio del direttore della Caritas, Monsignor Vittorio Nozza, intervenuto in una trasmissione di TV2000 che denunciava nuovamente la situazione d’emergenza in cui continuano a vivere gli immigrati nella zona di Rosarno e Gioia Tauro.
Il direttore della Caritas ha voluto spendere parole d’apertura verso una nuova regolarizzazione che possa comprendere anche i lavoratori agricoli immigrati, dandogli la possibilità di poter migliorare la loro situazione ed evitare che il dramma di queste persone possa continuare ad essere invisibile alle decisioni della politica.
Mons. Nozza ha definito "indispensabili nuove misure che siano strutturali in materia e che diano la possibilità ai lavoratori nei campi di essere trattati in maniera più dignitosa".



la tragedia degli eritrei
Nuova sconvolgente rivelazione dei prigionieri africani che dalla metà di novembre sono nelle mani dei trafficanti di uomini nella zona meridionale del Sinai: «In gruppetti di poche unità saremmo alla mercé delle bande di beduini che controllano il deserto»
«Vogliono venderci ad altri predoni»
Avvenire, 10-12-2010
ILARIA SESANA
MILANO _ Si chiama Abu Khaled ed è noto alla polizia egiziana per traffico d'armi e di esseri umani. E gestisce anche il mercato degli organi che vengono espiantati ai profughi che non possono pagare. «È lui ad avere in mano i 250 profughi africani sequestrati da quasi un mese nel deserto del Sinai», la denuncia arriva da Roberto Malini, copresidente del Gruppo EveryOne che, in collaborazione con l'agenzia Habeshia, sta seguendo da vicino la vicenda. Oltre ad Abu Khaled sarebbero coinvolto anche un secondo trafficante, Abu Ahmed, che però non gestisce direttamente il gruppo. Assieme ai due predoni, secondo quanto riferito da EveryOne, opera anche un uomo di origine eritrea, Wedi Koneriel, che ha il compito di avvicinare e rassicurare i suoi connazionali per poi condurli nelle mani dei predoni. «Abbiamo deciso di rendere pubblici i nomi dei trafficanti per metterli ulteriormente sotto pressione - spiega Roberto Malini -. Al di là dell'esito di questa vicenda, chiediamo al governo egiziano di iniziare a perseguirli». Il traffico di esseri umani (assieme a quello di armi e di droga, infatti) è un business fiorente per i predoni del deserto. «Nel Sinai è presente una rete forte e ben strutturata. Andando a leggere i giornali locali, si scopre che lo scorso anno sono spariti nel nulla centinaia di migranti. Probabilmente sono stati operati e uccisi per espiantare loro gli organi», spiega ancora Malini.
Prosegue intanto l'attesa, un misto di preoccupazione e speranza, per il destino dei profughi (tra cui un'ottantina di eritrei) con cui don Mosé Zerai, presidente dell'agenzia Habeshia, mantiene regolari contatti. Le ultime notizie, purtroppo, non sono positive: «Li stanno dividendo in piccoli gruppi - spiega -. Temono di essere spostati, nascosti in un luogo più i-naccessibile o essere rivenduti ad altri gruppi di trafficanti nella zona». Ma la preoccupazione del sacerdote eritreo e del Gruppo EveryOne va anche a un secondo gruppo di persone (formato da 63 cittadini somali ed eritrei) che mercoledì è stato rilasciato dai predoni vicino a Suez City. Tutti sono stati arrestati con l'accusa di immigrazione clandestina. Ricordiamo al governo egiziano - si legge nel comunicato congiunto, diffuso dal Gruppo EvervOne e dall'agenzia Habeshia - che l'Egitto ha sottoscritto la convenzione di Ginevra sui rifugiati e che i 63 migranti hanno diritto alla protezione internazionale perché fuggono da una crisi umanitaria». Da qui la richiesta, da parte delle due associazioni, all'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Antonio Guterres e al suo portavoce in Italia Laura Boldrini di attivarsi affinché ai profughi sia concessa protezione internazionale e non vengano deportati in Eritrea. Un rischio che potrebbero correre anche i 250 profughi eritrei, somali e sudanesi per cui si stanno battendo le due associazioni. «Vorremmo evitare che, una volta liberati, finiscano in un carcere egiziano - conclude don Mussie Zerai -, per questo chiediamo che l'Acnur vigili sul rispetto dei loro diritti e avanzi preventivamente la richiesta formale all'Egitto. L'Europa deve essere pronta ad accoglierli». Anche dal direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, Christopher Hein, arriva un appello all'Europa «affinché si mobiliti per un'evacuazione umanitaria degli ostaggi. L'Europa li accolga e garantisca loro l'accesso alle procedure di asilo. Stiamo lanciando un'iniziativa con l'associazione "A buon diritto", - aggiunge Hein - affinché i parlamentari di entrambi gli schieramenti firmino una lettera in cui si chiede a Bruxelles di intervenire».
Ieri, in tarda serata, almeno una buona notizia: la polizia egiziana ha fatto sapere di aver sollecitato i capi tribù del Sinai a fare da tramite con i predoni per tentare di localizzare dove vengono tenuti prigionieri. Rafforzate anche le misure di sicurezza all'ingresso del tunnel El Shahid Ahmed Hamdi, che passa sotto il canale di Suez e che approda nel Sinai.



Eritrei schiavi nel deserto: «L’Egitto non li cerca»

l'Unità, 09-12-2010
Umberto De Giovannangeli
Ora si sono inventati un’altra «favola». Non riescono a trovarli. Una «favola» che può sfociare in tragedia. E in parte lo è già. Nel campo del deserto del Sinai dove sono prigionieri dei predoni i 250 profughi africani, tra cui una ottantina di eritrei, denunciano ieri una «grande agitazione, che li preoccupa, perché temono che i carcerieri li vogliano trasferire». A riferirlo è don Mussie Zerai, il sacerdote eritreo, presidente dell’Ong Habeshia che è in contatto telefonico con alcuni dei giovani tenuti in ostaggio. Continuano i maltrattamenti e le percosse, e le continue richieste di denaro da parte dei rapitori. SITUAZIONE DRAMMATICA I ragazzi hanno appreso da don Zerai dei contatti tra i capi tribù del Sinai e i servizi di sicurezza egiziani, per arrivare a un rilascio. Il sacerdote è anche critico sull'idea che il governo egiziano non sappia dove sono i prigionieri: «Se sanno che sono in mano di un unico trafficante di esseri umani, e se uno dei nomi di località che ha fatto il governo, Rafah, coincide con quello che raccontano i prigionieri - argomenta don Zerai - come si fa a dire che non li hanno ancora localizzati?». I sequestratori hanno chiesto 8mila dollari di riscatto per il rilascio di ciascuno dei prigionieri, sottoposti ad abusi e privazioni, denuncia l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), informato dall’agenzia Habeshia. Ogni anno migliaia di persone cercano di attraversare il confine egiziano per recarsi in Israele e spesso si affidano a trafficanti beduini che non tengono in alcun conto la loro sicurezza. Molte di queste persone sono migranti, mentre altri provengono da Paesi di origine di rifugiati proprio come l'Eritrea. Secondo le linee guida dell'Unhcr, la maggior parte degli eritrei in fuga dal loro Paese dovrebbero essere considerati rifugiati. L'Unhcr continua a sollecitare le autorità egiziane affinchè sia consentito ai suoi funzionari l’accesso a coloro che vengono arrestati durante il viaggio allo scopo di determinare quali tra questi siano da considerare rifugiati e bisognosi di protezione internazionale. Le notizie si rincorrono in un’alternanza di speranza e cupo pessimismo. Un gruppo composto da 63 etiopi e di una ventina di eritrei è stato rilasciato da trafficanti di uomini nei pressi di Suez City. Sono stati poi arrestati dalle forze di sicurezza egiziane per immigrazione clandestina mentre tentavano di spostarsi verso il confine con Israele. A riferirlo all’Ansa sono fonti della sicurezza egiziana, spiegando che l'arresto è avvenuto ad un centinaio di chilometri dal confine e che questo gruppo, che è stato rilasciato dopo avere pagato il riscatto richiesto, non ha nulla a che vedere con gli eritrei che sono tenuti in ostaggio da bande di predoni da circa un mese. «Tra i trafficanti - aggiunge ancora don Zerai - è salito il nervosismo anche per il tam tam mediatico sulla vicenda. C'è il rischio che possano spostarsi insieme ai prigionieri per far perdere le proprie tracce». Il sacerdote Don Zerai è in contatto con un giovane eritreo di 26 anni, che in una telefonata ha descritto una situazione che va peggiorando. In grave difficoltà anche le donne incinte e quello con bimbi piccoli: «Non ci laviamo da un mese - ha raccontato una di loro - viviamo nella spazzatura, come in una putrefazione». «La politica dei respingimenti ha spostato i flussi migratori verso est con l'aggravante di una situazione geopolitica ben più complessa e con una crescita della violenza che nè l'Italia, nè l'Unione europea possono tacere perchè conseguenza di una politica di chiusura delle frontiere», rimarca Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir). CORSA CONTRO IL TEMPO Una denuncia penale per i crimini di sequestro di persona a scopo di rapina e di estorsione, tortura, omicidio, lesioni gravi, minacce, traffico di esseri umani. È la nuova azione del Gruppo EveryOne, organizzazione internazionale per i diritti umani. «Dopo contatti con il ministero degli Interni della Repubblica Araba d'Egitto, abbiamo depositato un atto di denuncia al procuratore Maher Abd al-Wahid al Cairo, e per conoscenza al Presidente della Repubblica Araba d'Egitto Hosni Mubarak, al Primo ministro Ahmed Mahmoud Mohamed Nazif e al Ministro dell'Interno, il generale Habib Ibrahim Habib El Adly», comunicano i tre co-presidenti dell'Ong, Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau. «Fate presto, o moriremo uno dopo l’altro»: è il disperato appello che giunge dal Sinai. Non accoglierlo è un crimine. Contro l’umanità. Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.



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