Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

02 novembre 2010

Termini Underground  La protesta sotterranea merita tutte le luci
l'Unità, 2-11-2010
Italia-razzismo Osservatorio

Tutto avviene sottoterra o, meglio, in un sottopasso che attraversa i binari della Stazione Termini di Roma e da una porticina che dà accesso ai locali di un circolo del Dopolavoro Ferroviario. E’ qui, per iniziativa dell’Associazione Ali Onlus e per simpatia solidale dei soci del Dopolavoro, che i locali si trasformano in palestra e sala prove per una scuola di ballo particolare, frequentata da allievi di ben sedici nazionalità (italiani inclusi). La particolarità di questa palestra sta nel fatto che i ragazzi sono quasi tutti dei rifugiati politici - come Farid, afgano di vent’anni fuggito dai sobborghi di Kabul - o immigrati alle prese con problemi di regolarizzazione – come nel caso di Anido, venuto in Italia dall’Albania -. Un piccolo miracolo di convivenza, cementato dall’hip hop e dalla gratuità dei corsi e reso complicato dalla decisione delle Ferrovie dello Stato di sfrattare la palestra e mettere a reddito gli angusti locali. Ne nasce una vertenza che vede mobilitarsi anziani del Dopolavoro Ferroviario e ragazzi del corso, e un documentario, presentato alla Festa del Cinema di Roma: Termini Underground, di Emilia Zazza, che racconta l’intrecciarsi della mobilitazione per salvare la scuola e l’allestimento di uno spettacolo, in chiave hip hop, ispirato all’Eneide. Storie che s’intrecciano, Enea che diviene un rifugiato e il protagonista, Farid che, avendo trovato lavoro in un bar, rischia di saltare la “prima”, la festa di un allievo che ottiene la cittadinanza e l’ansia per le decisioni - burocraticamente sorde - delle FF.SS. Tra qualche settimana i promotori di questa storia rientreranno nei locali, decisi a resistere, purché, da sotterranea, la loro vicenda emerga alla luce del sole.



Intervista a Tahar Ben Jelloun
«L'Europa? Sempre più razzista. E la politica è una questione di ego»

Lo scrittore marocchino affronta nel suo nuovo libro il tema della famiglia e del ruolo della donna nel mondo islamico. Di Berlusconi, Bossi, Sarkozy dice: «Cavalcano l'onda xenofoba per stare in televisione il più possibile»
l'Unità, 2-11-2010
ROBERTO CARNERO
MILANO Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
La storia di un divorzio, raccontato in modi opposti, prima dal marito e poi dalla moglie, mentre l'uomo sta morendo. E al tempo stesso un affresco del mondo arabo, intorno a una vicenda che potrebbe accadere ovunque: l'inevitabilità di una crisi di coppia, il divorzio, l'impossibilità di essere giusti con la persona che un tempo abbiamo amato. Questo nell'ultimo romanzo di Tahar Ben Jelloun, L'uomo che amava troppo le donne (trad. di Anna Maria Lorusso, Bompiani, pp. 302, euro 17,50). Lo scrittore marocchino - nato a Fes nel 1944, premio Goncourt nel 1987 - affronta nel libro il tema della famiglia e del ruolo della donna nel mondo islamico. «Mi è stato chiesto se questo romanzo si ispirasse alla mia vita personale. Ho risposto che tutti i romanzieri attingono alla loro esperienza personale. Certamente non manca l'immaginazione, ma la base su cui costruire le narrazione è sempre la vita. Anche le prove più dure dell'esistenza possono essere esorcizzate tramite la letteratura. È una lezione che ho imparato da uno scrittore italiano, Primo Levi, che ha mantenuto un lungo silenzio perché trovava che fosse difficile narrare ciò che era inenarrabile. Eppure
alla fine ha deciso di farlo, forse perché non poteva farne a meno».
Il protagonista del suo libro è un dongiovanni, un uomo che ama molto le donne, appunto. Un atteggiamento detestato dalla moglie, che, quando lui si ammalerà, troverà, nella malattia di lui, il proprio modo per vendicarsi. Nel testo, la voce e il punto di vista della donna seguono, nella seconda parte del volume, quelli dell'uomo. Perché questa scelta? «L'alternanza delle due voci mi serviva a rendere come due persone possano vivere una stessa storia in maniera completamente diversa. Il romanzo si svolge tra la Francia e il Marocco, e questo è utile per mostrare il contrasto tra due culture diverse. Ma il contrasto è anche interno alla stessa cultura marocchina: l'artista è il rampollo di una famiglia non più ricca, ma con alle spalle una prestigiosa tradizione culturale, che sposa una berbera del Sud del Marocco. Ma il meticciato culturale tramite un matrimonio è difficile da ottenere, perché nello sposarsi entrano in gioco diversi fattori, che prescindono dalla relazione tra due persone: ad esempio i rapporti tra le famiglie dei due coniugi, con le loro attese e pretese».
In Occidente si discute su una questione: l'Islam è compatibile con la democrazia?
«Nel mio romanzo c'è l'Islam ma spira un vento di laicità. Io non perdo l'occasione di rivendicare la separazione tra la sfera politica e quella religione. Nel mondo islamico criticare l'Islam è molto pericoloso, quando lo fanno, anche in maniera molto sommessa, gli intellettuali rischiano la vita. In Marocco si sta provando da un po' di tempo a favorire un processo di laicizzazione. La stessa cosa accade in Egitto, anche se lì la situazione è un po' più difficile per la presenza di un'organizzazione fondamentalista come quella dei Fratelli Musulmani. In Egitto il potere politico gioca su più tavoli, dando un colpo al cerchio e uno alla botte per non scontentare nessuno. E questo rende il cambiamento molto lento e incerto. Ma è importante che gli intellettuali musulmani imparino a parlare di laicità, a separare la sfera politica da quella religiosa, a fare la stessa cosa che in Europa è avvenuta due secoli fa con la Rivoluzione francese. Dell'Islam dobbiamo riscoprire l'aspetto spirituale. Il Corano tra l'altro è un testo letterario bellissimo. Va superata la lettura letterale del testo sacro, imparando dalla critica letteraria e dalla filologia a decodificarne simboli e metafore». Come si fa, allora, a superare le difficoltà di integrazione tra Europa e Paesi islamici?
«L'Europa è destinata a vivere con gli immigrati di religione islamica, e dunque è necessario trovare una strada per dialogare. È difficile proporre ricette astratte, ma non bisogna mai stancarsi di cercare soluzioni concrete».
Come spiega le tensioni xenofobe e razziste che caratterizzano l'Europa odierna?
«Ho l'impressione che in Europa il razzismo sia molto cresciuto negli ultimi anni: Berlusconi, Bossi, Sarkozy hanno deciso di seguire un'onda xenofoba presente nella popolazione e di incrementarla per cavalcarla meglio. Non si tratta neanche di prese di posizione in virtù di un assunto ideologico. Queste polemiche servono loro per starsene in televisione il più possibile. Non è una questione ideologica, ma è una questione di ego. La politica è spettacolo e queste polemiche sono utili per essere sui media, per tenere la presa su un elettorato che, ormai, è prima di tutto pubblico televisivo».
Qual è attualmente la situazione interna del Marocco?
«Paradossalmente, oggi, il Marocco mi sembra più vicino all'Europa rispetto a quanto lo sia la Turchia. È per questo che, dopo trent'anni vissuti in Francia, ho deciso di tornare nella mia terra, dove c'è democrazia, si sta riformando la legislazione familiare in senso più moderno, c'è libertà di stampa e di espressione. Anche se la mancanza di lavoro spinge molti giovani a tentare la strada della migrazione». Come vede il futuro del contrasto israelo-palestinese?
«Premetto: sono arabo, ma non evito di condannare gli attentati terroristici dei kamikaze. Allo stesso modo denuncio le aggressioni militari israeliane. Al momento non vedo grandi spiragli per essere ottimisti. La violenza oggi è a livelli troppo alti. I due popoli sono presi in un ingranaggio di sangue e di morte da cui non sembra esserci via d'uscita».
La diplomazia potrebbe fare qualcosa?
«Non sono un politico, ma credo che l'unica speranza sarebbe un'azione energica da parte degli Stati Uniti. Se l'America esercitasse una forte pressione su Israele per l'attuazione di un serio piano di pace, forse si potrebbe vedere qualche risultato. Però se parlano le armi e la violenza, ogni discorso diplomatico diventa vano».
Qual è il ruolo degli scrittori di fronte alla guerra?
«Dobbiamo difendere i valori fondamentali. Con tutto il rispetto per alcuni miei colleghi, io non amo scrivere, come fanno loro, contemplando il mio ombelico, cioè lavorare tutto ripiegato su me stesso. A me interessa scrivere per dare voce a coloro che non possono parlare, per suscitare nel lettore un sentimento di compassione nei confronti del loro dolore».
Tornando alla letteratura, recentemente una polemica l'ha opposta al suo collega Michel Houellebecq a proposito della candidatura di questo scrittore al Premio Goncourt. Che cosa è successo?
«Sono da tre anni membro dell'accademia che conferisce il premio Goncourt. Ho letto quest'estate una trentina di romanzi. Ho letto libri interessanti, qualcuno più qualcuno meno. Mi sono semplicemente permesso di dire che c'erano romanzi più interessanti di quello di Houellebecq, la carta e il territorio (in Italia pubblicato da Bompiani, n.d.r.). Un romanzo che aspiri al Goncourt deve essere dotato di stile, coerenza interna, coerenza anche, al limite, nella destrutturazione della lingua. Non deve essere frutto di una letteratura prefabbricata. Criticando Houellebecq, mi sono attirato gli strali dei suoi fautori. Ho ricevuto anche su Internet insulti furibondi. Io ho solo detto che Houellebecq ha scritto un libro fatto deliberatamente in modo da poter aspirare al Goncourt. Per farlo ha cancellato le sue caratteristiche salienti: la misognina, il razzismo, l'apologia dei bordelli tailandesi. Ha voluto fare un libro politicamente corretto, ma è uscito un mobile Ikea. I mobili Ikea sono carini, semplici, leggeri, ma non durano molto. Tra l'altro si è scoperto che Houellebecq in questo libro ha copiato, con un copia-incolla, alcune pagine da Wikipedia. Ma la stampa francese non si è indignata più di tanto. Se l'avessi fatto io, mi avrebbero linciato». ?
Dal Marocco alla Francia fra articoli e romanzi
TAR BEN JELLOUN NATO A FES, IN MAROCCO, NEL 1944
SCRITTORE
In Marocco ha insegnato filosofia, ma nel 1971 si è trasferito a Parigi dove ha ottenuto un dottorato in psichiatria sociale sulla confusione mentale degli immigrati ospedalizzati, che verrà pubblicata col titolo «L'estrema solitudine». La sua esperienza di psicoterapeuta sarà anche riversata nel romanzo «La Réclusion solitaire» (1976). Nel frattempo ha continuato a scrivere, sempre esclusivamente in lingua francese, collaborando regolarmente col quotidiano «Le Monde». Il primo romanzo, «Harrouda» è del 1973.
Oggi è padre di quattro figli ed è tornato a vivere in Marocco. Con il libro «Il razzismo spiegato a mia figlia» e per il suo profondo messaggio gli è stato conferito dal segretario delle Nazioni Unite il Global Tolerance Award. Tra le opere più importanti: «Creatura di sabbia» (1987); «Nadja» (1996); «Ospitalità francese» (1984).



L'esempio del Cairo
Il quartiere copto che predica il dialogo e fa paura all'islam
Libero, 2-11-2010
ALESSANDRO MELUZZI
IL CAIRO - Oggi le vie del Cairo sono congestionate come non mai. Circolano un po'di leggende metropolitane su una forte attivazione del ministero degli Interni dopo i fatti di Bagdad. Effettivamente, intorno al bellissimo e antico quartiere copto della metropoli, abitata da più di 22 milioni di abitanti, la sorveglianza militare è stata rafforzata, anche se il quartiere appare sereno e tranquillo come sempre. Vivono qui, da 2000 anni, i discendenti forse più antichi della prima evangelizzazione portata da Marco, l'evangelista col simbolo del leone noto a Venezia. Nell'Egitto moderno, i copti rappresentano circa il 10% della popolazione che è di 80 milioni di abitanti. Otto milioni di cristiani, in un paese ad assoluta maggioranza musulmana: rappresentano la più grande comunità cristiana, fino ad ora serenamente coabitante con gli islamici. Anzi, questa parte del popolo egiziano ha espresso personaggi di grande leadership, come Botrus Ghali, segretario generale delle Nazioni Unite.
Attraverso l'Egitto passa tutto l'equilibrio dello scacchiere mediorientale. Fu la pace fortemente voluta da Anwar Al-Sadat e pagata con la vita di un attentato estremista a porre fine ad un interminabile successione di guerra tra Israele e i suoi vicini. Spezzare gli equilibri interni dell'Egitto vuol dire rompere i delicati meccanismi che presiedono una pace fragilissima in tutto il Medioriente. Il feroce attentato di Bagdag, con la morte anche di decine di cristiani dopo l'attacco alla chiesa, mette al centro una storia forse incredibile. Due mogli di preti copti che sarebbero tenute sotto sequestro un monastero nel deserto, nella zona del delta, dopo aver cercato di convertirsi all'islam e di sottrarsi ai loro ecclesiastici mariti. Ricordo infatti che, in tutti i riti mediorientali ortodossi, i sacerdoti non monaci possono sposarsi. È una storia decisamente negata anche qui al Cairo da tutta la comunità copta, che parla invece di tentativi di conversione forzata di queste due donne e di molte altre. Evidentemente c'è chi soffia sul fuoco per impedire che la serena coabitazione delle due comunità cristiana e musulmana possa proseguire.
I cristiani di tutto il Medioriente rappresentano presidi di dialogo scomodo per tutti coloro che vogliono far prevalere le ragioni della guerra su quelle della pace e quelle della pulizia etnica su quelle del dialogo e della convivenza pacifica. Persino le conclusioni del sinodo dei vescovi mediorientali cattolici hanno suscitato reazioni furiose, sia nel mondo dell'integralismo islamico che in quello degli ambienti più oltranzisti del mondo ebraico. Che i cristiani riaffermino i diritti del popolo palestinese aduna patria è ovvio, non fosse altro perché molti cristiani sono arabi senza per questo essere musulmani, così come i copti sono egiziani. Anzi, copto significa, nella lingua locale semplicemente egiziano. Ricordiamo che già qualche tempo fa nella zona del cosiddetto medio-Nilo, nella regione di Azyut vicino a Luxor ci furono attentati di estremisti locali legati alla tradizione integralista dei frati musulmani, ma ispirati ad Al Qaeda. Colpire il turismo in Egitto significherebbe danneggiare la principale risorsa economica del paese, ancora più importante delle rimesse del Canale di Suez e del petrolio.
In riferimento ai fatti egiziani e al rapporto tra religiosi in Egitto durante il tragico attentato di Bagdad è quindi particolarmente inquietante. Esprime infatti una strategia geo-politica nell'area volta a danneggiare attraverso l'aggressione a comunità cristiane locali di ogni prospettiva e pacifica coabitazione tra le grandi religioni del Libro di Adamo: ebraismo, cristianesimo, islam. La comunità dei cristiani caldei a Bagdad era floridissima sotto il "mostro" Saddam Hussein. Dopo la recente stagione di guerre del petrolio e dintorni è ridotta quasi zero. E il governo iracheno attuale, egemonizzato dagli sciiti e meno tollerante e aperto in materia religiosa di quanto non lo fosse il nazionalsocialismo del Baad. Come ben si vede, in questa zona magmatica del mondo i confini tra bene e male, pace e guerra sono più labili e confusi di quanto non possano apparire.



DONNE, EUROPEE E MUSULMANE: COME SI SPIEGA?

La conversione di Lauren Booth, cognata di Tony Blair, apre il dibattito sulla crescente fascinazione per l'Islam
e la scelta di nuovi stili di vita.
Al modello delle ragazze islamiche integrate e perfettamente europeizzate nei costumi corrisponde un fenomeno inverso: la volontà di diventare musulmane come consapevole scelta intellettuale
Secolo, 2-11-2010
Omar Camiletti
Non sappiamo al momento se le implicazioni dell'affaire Ruby lieviteranno fino al punto di provocare un impasse della intera situazione politica nazionale; sicuramente la storia della ragazza marocchina di Letojanni in Sicilia ci fornisce molte indicazioni che le cifre dell'annuale rapporto della Caritas non possono raccontarci e smentisce il commento di Angelo Panebianco sul Corsera della scorsa settimana su un non meglio precisato «ciclo fondamentalista» che affliggerebbe i musulmani d'Europa. «Ruby -ha scritto Karima Moual - risponde perfettamente ai clichè della musulmana "accettabile", ragazza integrata, o meglio, cosi perfettamente "occidentalizzata", tale da arrivare a rinnegare completamente le origini».
«Sì, mi sono convertita al cattolicesimo, e mio padre mi cacciò di casa», ha detto nell'intervista esclusiva rilasciata  all'Ultima parola di Paragone. Non basta, ovviamente per farne un' icona della musulmana oppressa: «Mio padre mi voleva in sposa ad un 50enne quando ancora ero una bambina di 12 anni». Da quel che si è visto, conclude Karima Moual, «la conversione di Ruby è piuttosto ad un credo che qualsiasi genitore avrebbe fatto fatica ad accettare. Ma come reagiscono ora le paladine dei diritti delle donne, soprattutto quelle che si pongono la questione se le musulmane sono velate, burqate e sottomesse? Forse che lo squallore ha due pesi e due misure? È interessante riportare quanto scritto da Ahmed Eve su un "On mail" un sito britannico che si occupa di questi argomenti : «Ho passato gran parte della mia infanzia a cercare di scappare dall'Islam. Nata a Londra da madre inglese e da padre musulmano pakistano, fui educata a seguire la fede di mio padre, senza fare domande. Le ragazze della mia condizione sono state escluse da molte delle cose che per le mie coetanee inglesi era scontato. In effetti, sembrava che tutto il divertimento per ragazze come me fosse haram, proibito. Ad esempio non si doveva fischiare. Non si poteva masticare gomme. Non andare in bicicletta. Non indossare abiti troppo stretti che rivelassero la forma del proprio corpo. Non mostrare in pubblico i capelli o pitturarsi le unghie. E, naturalmente, non sedersi mai accanto ai maschi. Queste norme mi furono trasmesse da mio padre e io, di conseguenza, ho pensato che ciò facesse parte integrante dell' essere una buona musulmana. A18 anni lasciai la casa dei miei per andare all'università, non c'è da stupirsi, quindi, che respinsi l'Islam. Dopo tutto, quale donna moderna, europea, libera sceglierebbe di vivere una vita simile? Tuttavia dopo la rottura con il mio passato, ho cominciato a seguire la crescente tendenza delle donne occidentali a convertirsi all'Islam. Mi chiedevo, come mai delle donne potrebbero sentirsi attratte da una religione che io avevo provato invece così dura con la propria femminilità ? Come poteva la loro esperienza dell'Islam essere così radicalmente diversa dalla mia»?
Kevin Brice, dell'Università di Swansea, che ha fatto uno studio specializzato su donne europee convertite all'Islam, spiega: «Queste donne fanno parte di un trend interessante: da una parte ci sono quelle che alla ricerca di spiritualità, di un senso più alto della esistenza umana elaborano dei pensieri profondi su se stesse. Un altro tipo di donne abbracciano l'Islam perché sono quello che io chiamo "conversioni di riflesso": trattano i simboli della religione per compiacere gli uomini che amano, ovvero i loro mariti musulmani, ma non necessariamente frequentano la moschea, pregano o digiunano». Una delle ultime sorprendenti conversioni è stata quella di Lauren Booth, la cognata di Tony Blair, 43 anni, che ora indossa il velo ogni volta che esce di casa, prega cinque volte al giorno e frequenta la moschea locale. «Sono sempre impressionata dalla forza che mi ha dato e quanto sia gratificante», dice Kristiane Backer, 43 anni, ex presentatrice di Mtv con sede a Londra. Era stata il tipo di donna libera occidentale che molte ragazzine musulmane sognano da adolescenti, ma poi è cambiata e ha abbracciato l'Islam. «La ragione? La società permissiva del "tutto è possibile" ha dimostrato di essere in realtà tremendamente vuota». La svolta avviene quando Kristiane nel 1992 incontra l'ex giocatore di cricket pakistano Imran Khan. Khan la portò in Pakistan, dove lei venne immediatamente colpita dalla spiritualità e dall'accoglienza della gente. Kristiane ora afferma: «Anche se il nostro rapporto non durò a lungo, ho iniziato a studiare la fede dei musulmani; a causa della natura del mio lavoro, intervistavo rock star, viaggiavo per il mondo e mi occupavo di tutte le mode e tendenze culturali giovanili, però, mi rimaneva sempre il vuoto dentro. Ora, finalmente, sono soddisfatta, l'Islam mi ha dato uno scopo nella vita. In Occidente, siamo stressati per motivi in fin dei conti cosi superficiali, del tipo cosa posso indossare oggi? Nell'Islam si guarda a un obiettivo più alto. Si tratta di un sistema di valori completamente diverso. Uno stile della vita che non fa andare a caccia di ogni capriccio».
Per un numero significativo di donne, il loro primo contatto con l'Islam avviene quando accettano di uscire con un ragazzo musulmano. Lynne Ali, 31 anni, di Dagenham, Essex, ammette di aver incontrato il suo fidanzato, Zahid, al college, soltanto per "divertirsi" un po' ma qualcosa di emozionante è accaduto dopo. Racconta: «Sua sorella un giorno ha iniziato a parlarmi di Islam, ed era come se tutto nella mia vita si ridefinisse al posto giusto, da quel giorno ho iniziato ad indossare il velo».
Conoscendo la conclusione di un recente sondaggio "YouGov", più della metà dei cittadini britannici crede che l'Islam abbia una influenza negativa, incoraggiando l'estremismo, la repressione e la disuguaglianza delle donne per cui non sempre si riesce a capire questa fascinazione per l'Islam. Tuttavia, le statistiche suggeriscono che la conversione all'Islam non è un semplice fuoco di paglia, ma ha uno sviluppo significativo. L'Islam è, dopo tutto, una delle religioni che aumenta di più nel mondo e gli europei che l'abbracciano cominciano a costituirne una parte importante di esso. Molti dei convertiti sono dotati di educazione e di brillante cultura, riconosce Ahmed Ève, hanno meditato a lungo prima di scegliere di convertirsi e ora sono dei musulmani ben appassionati della loro religione, anche se dice Kristiane Backer racconta: «Quando sono diventata musulmana ho perso il mio lavoro. Ci fu una campagna di stampa contro di me, insinuando che tutti i musulmani aiutano gli estremisti e i terroristi, è normale per i convertiti essere diffamati. Ora sono una presentatrice di Nbc Europa, mi definisco una "musulmana europea", il che è diverso dall'essere musulmani per nascita. Ero sposata a un marocchino, ma non ha funzionato perché metteva restrizioni al modo in cui sono stata educata. Come musulmana d'Europa, continuo a non accettare nulla alla cieca». Kristiane ribadisce: «Ora sono molti i giovani che hanno superato la versione dell'Islam stile "fiamme dell'inferno" che è stato loro insegnata da aridi maestri. Adesso hanno riscoperto un Islam più spirituale e intellettuale, da vivere in maniera differente dai dogmi culturali della generazione precedente».



CasaPound contesta Caritas Striscione alla sede di Bergamo

L'Eco Di Bergamo, 2-11-2010
Assurda provocazione quella messa in atto da CasaPound Italia che ha esposto di fronte alla sede Caritas di Bergamo - oltre che di Milano, Brescia e Varese - dei sacchi pieni di banconote false e uno striscione che contesta il rapporto «Migrantes 2010». Una critica alla ricerca messa in campo dalla Caritas per «ricordare - dice l'associazione CasaPound - che l'immigrazione è mossa dal profitto economico e, in tal senso, è assimilabile allo schiavismo».
«L'immigrazione fa comodo a molti - afferma Marco Arioli, responsabile regionale di CasaPound Italia - e di certo può essere una soluzione per chi pratica un volontariato pieno di buoni propositi ma funzionale agli interessi dei poteri forti». Per questo motivo l'associazione ha posto uno striscione davanti alle sedi della Caritas: «L'immigrazione riempie solo le vostre tasche» vi si legge. Un attacco violento e gratuito, del tutto ridicolo e privo di fondamento, contro Caritas da sempre a servizio dell'immigrazione e degli ultimi in generale cui quotidianamente garantisce e presta supporto e assistenza per una vita più dignitosa possibile, e contro lo studio che ha approfondito la percezione del fenomeno dell'immigrazione all'interno delle comunità parrocchiali.



Brescia - Prosegue l’occupazione della gru e la protesta

Aggiornamenti
dal sito dell’ass. Diritti per tutti Brescia
Brescia 2 novembre, ore 9
“Siamo inzuppati di acqua perche’ il telone con cui ci proteggiamo questa notte non ha tenuto, la pioggia era molto forte; comunque non ci arrendiamo, non scenderemo sulla gru fino a quando non ci saranno risposte positive per i permessi di soggiorno e per il nostro presidio”: queste sono state le prime parole pronunciate stamattina da Arun e Rachid, anche a nome degli altri tre giovani migranti che hanno trascorso la terza notte sulla gru del cantiere della metropolitana in Piazza Cesare Battisti-Via S faustino. La notte piu’ dura, per il freddo e per la pioggia che e’ stata battente e continua. Oggi doveva riprendere il lavoro nel cantiere ma tutto e’ rimasto bloccato.
Ieri centinaia di persone, migranti e italiane, hanno sostato ininterrottamente sotto la gru ed e’ stato creato un magazzino in un locale della Parrocchia di S. Faustino con decine di capi di abbigliamento pesante portati da cittadini solidali, per garantire ai 5 fratelli della gru cambi di indumenti asciutti ogni 4-5-ore.
Sempre ieri la Diocesi di Brescia ha preso posizione con un comunicato di Padre Toffari, della Pastorale migranti, in cui si afferma che la sanatoria colf e badanti ha dato origine ad ingiustizie ed imbrogli e che deve essere trovato un accordo “che garantisca loro di ridiscutere le diverse posizioni in vista di un reale accordo rispettoso dei diritti umani.” Il processo a Sauro che si doveva svolgere oggi al Palagiustizia sara’ sicuramente rinviato e per questo e’ stato sospeso il presidio in tribunale, mentre permane quello sotto la gru. L’appello che viene lanciato a tutto il movimento degli immigrati e degli antirazzisti a livello nazionale e’ quello di organizzare immediatamente iniziative di solidarieta’ in tutte le citta’ italiane a sostegno della lotta dei migranti per la sanatoria. Non lasciamo soli i fratelli sulla gru!
Brescia, 1 novembre ore 9
“Abbiamo la forza?”: dall’alto dei 30 metri della gru, Arun ha gridato col megafono piu’ volte questa domanda rivolgendosi alla folla solidale presente davanti al cantiere che rispondeva: “Si”! e poi lo slogan ritmato: “Se permesso non sara’, resteremo sempre qua”; cosi’ ieri sera i 5 migranti rimasti sulla gru hanno manifestato la loro determinazione a proseguire la protesta.
Questa notte ancora pioggia battente e forte vento ma i giovani nella cabina di guida e sulla piattaforma, con piu’ spazio vitale a disposizione, sono riusciti a ripararsi e a dormire, cosi’ che stamattina si sono svegliati con il morale alto. Hanno ricevuto la colazione e a pranzo arriveranno i pasti preparati dalla moschea pachistana della citta’. Per tutto il giorno proseguira’ il presidio di solidarieta’ sotto la gru e alle ore 18 e’ prevista un’assemblea per preparare le iniziative dei prossimi giorni, a partire dalla presenza di domani mattina (dalle ore 9-9,30) al Palagiustizia per il processo a Sauro, arrestato e poi rilasciato durante la carica dei carabinieri di sabato scorso in Via S Faustino.
Brescia ore 8 di domenica 31 ottobre
E’ stata una notte molto difficile, per il forte vento e la pioggia, quella trascorsa dagli immigrati sulla gru che da ieri pomeriggio occupano nel cantiere della metropolitana di Piazza Cesare Battisti a Brescia. La gru oscillava e si muoveva paurosamente e i migranti non riuscivano a ripararsi dalla pioggia perche’ solo in 2, massimo 3, possono entrare nella cabina; gli altri sono sulla piattaforma all’esterno coperti in maniera molto precaria con cerate e teli di plastica.
La loro determinazione non e’ pero’ venuta meno, solo un giovane ragazzo e’ stato fatto scendere verso le 4 di notte perche’ non c’era abbastanza spazio fisico: gli altri scenderanno solo quando il Ministero avra’ aperto una trattativa seria per la regolarizzazione di tutti i migranti che hanno avuto il rigetto della domanda di sanatoria colf e badanti dell’anno scorso e solo quando sara’ ripristinato il presidio permanente in Via Lupi di Toscana davanti all’ufficio unico per l’immigrazione della Prefettura; presidio che e’ stato vigliaccamente raso al suolo ieri pomeriggio su ordine del leghista Rolfi mentre carabinieri e polizia stavano caricando i manifestanti in Via S Faustino.
Il giovane che e’ sceso non e’ stato fermato ne’ identificato dalla pattuglia di polizia presente in zona. Tutta la notte decine di immigrati e di attivisti sono rimasti sotto la gru, mentre altre decine riposavano nei locali messi a disposizione accanto al cantiere nella parrocchia di S Faustino. Nel quartiere interculturale del Carmine, teatro ieri dello scontro con i carabinieri, e’ partita una gara di solidarieta’: i gestori di alcuni ristoranti e kebabberie hanno dato la disponibilita’ a rifornire di piatti e generi alimentari i loro fratelli sulla gru, mentre molti altri residenti hanno portato tele cerate, piumini, giubbotti e indumenti di lana per il freddo. E’ stata anche creata una cassa di resistenza: i contributi possono essere portati a Radio onda d’urto oppure consegnati direttamente a Sonia del gruppo di appoggio logistico ai fratelli della gru.
L’assemblea del presidio per i permessi di soggiorno e delle realta’ antiraziste ieri sera ha deciso una mobilitazione permanente: oggi e domani presenza di massa sotto la gru, con assemblee alle ore 18; martedi’ 2 novembre presenza di massa al Palagiustizia di Brescia in mattinata (seguiranno informazioni sull’orario) quando sara’ processato per direttissima il compagno arrestato e rilasciato dopo le pressioni dei manifestanti ieri pomeriggio; nei giorni successivi cortei di quartiere e sabato 6 novembre grande manifestazione per i diritti, per la sanatoria, contro la violenza di stato, contro gli sfratti e tutte le leggi razziste: concentramento alle ore 15 in Piazza della Loggia. Non lasciamo soli i fratelli sulla gru!!!



Democrazy. Quale differenza tra Nepal e Italia?

Agoravox, 2-11-2010
Il Nepal è stato definito un "failing state", secondo la letteratura internazionale significa un paese in cui il governo inefficacie, la corruzione diffusa, la legittimità statale erosa, incapace di provvedere a servizi pubblici fondamentali, scosso da un veloce declino economico, con tensioni sociali.
E l’Italia?
Penso a un immigrato senegalese, peruviano, marocchino che lavora, magari 12 ore al giorno su un impalcatura con un salario di fame, và in una questura, fa ore di coda è trattato come una merda, per rinnovare il permesso di soggiorno.
Mi viene in mente quel ragazzo di Roma finito in questura con qualche grammo di droga e pestato come il sale. Lo Stato in questi casi non ha telefonato.
Lo Stato (cioè i suoi rappresentanti nazionali e locali) predica (e impone) ai sudditi comportamenti e pene per contrastare la prostituzione, chiude discoteche, sberleffa i gay, tuona contro la pedofilia, sanziona gli spinelli, predica l’austerity. Parole e pene sante ma solo per gli sfigati, quelli senza protezioni, qualche potere, qualche amico. Per potenti ed amici tutto è giustificabile.
Stato in mano a uno affetto da demenza senile e da mania d’onnipotenza e da una schiera di amici, clienti, ragnatele che, spesso, uniscono chi a parole vi si oppone. Paese sputtanato nel mondo, con Mubarak costretto a smentire le farneticazioni di un bordellante. Infatti Foreign Policy (FP) titola un suo articolo sull’Italia: “Bordello State“.
Classe “dirigente” patetica tanto più che permane il più corrotto fra i paesi occidentali, e con le spese dello stato (politica) che salgono sproporzionate rispetto al PIL. Risorse succhiate, sparite, debiti accumulati per il futuro che tolgono risorse per i disoccupati (tasso di disoccupazione in costante aumento), le imprese, le famiglie, (cresce a dismisura l’indebitamento di entrambi), peggiorando la qualità della vita dei sudditi. Che la situazione sia brutta è segnalato dal fatto che alcuni membri della consorteria se ne accorgano come la Marcegaglia e Draghi.
Che dire, qua si parla del Nepal (e dell’Asia) ma almeno lì lo stato non c’è: non chiede e non dà. Quando qualche politico è stato trovato in un bordello se n’è andato. Anche in Nepal il sistema si protegge e si mantiene ma, almeno, non vogliono sembrare santi. In Nepal quando si è cercato di comprare qualche voto di parlamentari (a prezzi più modici) è scoppiato uno scandalo, non ci sono ancora Fondazioni, Enti, Associazioni (con fondi dello stato) per parcheggiare trombati, venditori di seggi parlamentari e voti. Insomma i sudditi sono più liberi, con meno zavorre da mantenere anche se vivono in uno stato definito prossimo al fallimento (failing state).
In Nepal non c’è contratto fra Stato e cittadini. In Italia questo contratto mi sembra che si è rotto. Il vecchio motto che lo reggeva “no taxation without representation” sarebbe da applicare oggi, scrivendo sul prossimo 740 (e scheda elettorale): Bunga Bunga.



«Basta alle espulsioni di massa». In Italia violazioni continue del diritto d’asilo

l'altracittà  domenica 31 ottobre 2010
Luca Fazio da il manifesto
Gli altri, ogni tanto, ci guardano. E anche se la politica italiana è in tutt’altre faccende impantanata, non può passare sotto silenzio – almeno a livello internazionale – la deportazionein massa in uno stadio di decine e decine di persone, poi espulse senza le necessarie e doverose procedure di rito. E’ successo il 26 ottobre scorso a Catania quando 68 persone (tra cui 44 minori) sono state soccorse in mare e poi imprigionate in un impianto sportivo per 24 ore. Le autorità italiane avevano sostenuto che il loro fermo era necessario per svolgere le procedure di identificazione di ognuno, mentre il giorno dopo tutti gli immigrati sono stati caricati su un volo diretto al Cairo. Una mini deportazione in totale violazione del diritto d’asilo, purtroppo una pratica routinaria per il governo italiano.«Nella fretta di procedere alle espulsioni, le autorità italiane stanno ignorando le consuete procedure e gli standard internazionali per la protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo», ha detto il vicedirettore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International, John Dalhuisen. Un’amara constatazione cui ha fatto seguito una richiesta che sembra un ordine:«L’Italia deve porre immediatamente fine alle espulsioni sommarie di massa di cittadini stranieri».
Dire che l’appello è destinato a cadere nel vuoto forse non rende l’idea, basti pensare che proprio ieri Silvio Berlusconi ha voluto prolungare il summit di Bruxelles proprio per discutere di immigrazione, o meglio, per chiedere soldi all’Europa affinché l’Italia continui a fare il lavoro sporco con più agio e con meno problemi. «Quello dell’immigrazione – ha detto il capo del governo – non è un problema che riguarda solo l’Italia o la Grecia, perché poi i clandestini si spostano in tutta Europa e specialmente nel nord».
Se in questi termini si continua a discutere di immigrazione a livello europeo, chi troverà iltempo di rispondere ad Amnesty International quando chiede se le persone sbarcate martedì scorso a Catania «hanno avuto la possibilità di richiedere protezione internazionale»? L’associazione solleva una questione fondamentale che andrebbe letta come un banco di prova per le democrazie europee. Quella di Catania, ha proseguito John Dalhuisen, «è un’espulsione di massa che sembra essere stata condotta senza riguardo per il diritto delle persone di chiedere asilo e in violazione degli obblighi dell’Italia derivanti dal diritto e dagli standard internazionali in materia di rifugiati e di diritti umani». A tutte le persone soccorse in mare, «deve essere data la possibilità di chiedere asilo e le loro richieste devono essere valutate nell’ambito di un’equa e soddisfacente procedura». E possibilmente non da sequestrati in uno stadio. Tant’è che Amnesty International sottolinea anche lo straordinario trattamento che il governo italiano, a Catania, ha riservato ad organizzazioni come l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu, Save the Children e la Croce Rossa Italia: «E’ stato negato l’accesso alle persone portate sulla terraferma, nonostante le ripetute richieste: è la prima volta dal 2005 che in Italia viene negato l’accesso all’Acnur dopo una richiesta ufficiale».
Dove porta questo approccio illegale delle politiche di contrasto dell’immigrazione? Disumanità e sofferenze procurate a parte, da nessuna parte se si considerano i recenti «successi» del governo Berlusconi. Nel corso del 2008, per esempio, in piena campagna securitaria, l’Italia ha espulso circa 18 mila persone, appena il 3% dell’immigrazione irregolare. Inoltre, gli arrivi dal mare rappresentano appena il 13% dell’immigrazione irregolare. Dare l’impressione di bloccare gli sbarchi, come sta facendo l’Italia violentando il diritto internazionale, è solo propaganda. Ma questo discorso non sarà di consolazione per i 68 migranti egiziani sequestrati in uno stadio.







Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links