Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

13 dicembre 2010

PROVE TECNICHE DI LINGUA E INTEGRAZIONE
La Stampa, 13-12-2010
WALTER PASSERINI
Giovedì 9 dicembre è entrato in vigore il decreto che subordina il rilascio del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno) al superamento di un test di conoscenza della lingua italiana. I cittadini stranieri possono effettuare la prenotazione on line della prova d'esame attraverso il sito web http://testitaliano.interno.it.
E' previsto che gli esami inizino a febbraio. Secondo il patronato delle Acli il nuovo sistema avrà bisogno di un periodo di rodaggio. Di fatto il test rischia di prolungare ulteriormente le procedure per il rilascio della documentazione necessaria ai cittadini stranieri, creando problemi a quanti hanno oggi in scadenza il permesso di soggiorno e sono in possesso dei requisiti per richiedere il permesso. L'anomalia di questa procedura è che si chiede agli immigrati di fare i test senza aver mai organizzato i corsi, se non quelli affidati ai soggetti del volontariato. Il rischio è che tutto si traduca in un'ennesima complicazione per il percorso di regolarizzazione e integrazione degli stranieri. Per non parlare dei risultati a sorpresa che tale test avrebbe se applicato anche ai cittadini italiani.
www.lastampa.it/lavoriincorso



La lingua italiana strumento per includere non per escludere
l'Unità, 11-12-2010
Italia-razzismo
La conoscenza della lingua è fondamentale per l’integrazione e gli immigrati sono i primi a saperlo. Tutt'altra cosa è utilizzare la conoscenza della lingua per escludere gli immigrati da diritti e servizi: è il caso dell’obbligo, a partire dal 9 dicembre, di superare un test di lingua italiana per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo CE (ex carta di soggiorno), come è previsto dal pacchetto sicurezza.
La carta di soggiorno ha una durata a tempo indeterminato ed è stata istituita per risparmiare a chi risiede in Italia da almeno 5 anni, la lunga, costosa e faticosa pratica del rinnovo del permesso di soggiorno. Fino a quando l'immigrato non ottiene quella carta rischia sempre di perdere il permesso e di diventare irregolare. In questa condizione si trova costretto a lavorare in nero ed è più esposto al ricatto della criminalità. Un pacchetto "sicurezza" degno di questo nome avrebbe dovuto facilitare il rilascio della carta di soggiorno, un documento che consolida la regolarità, ma è oggi posseduto solo da una minima parte di coloro che teoricamente ne avrebbero diritto a causa di un’applicazione eccessivamente rigida e restrittiva.
Coincidenza vuole che qualche giorno fa è stato presentato il 44° Rapporto Censis dal quale risulta che l’85% degli immigrati ha una conoscenza della lingua italiana almeno sufficiente. Test inutile, dunque, che finirà per aggravare la situazione degli sportelli unici per l’immigrazione già alle prese con pratiche arretrate di sanatoria e flussi, e minacciati di perdere 650 lavoratori precari lì applicati. Si aggiunga che per quel test lo Stato dovrà investire risorse che in questa fase scarseggiano anche per necessità  più urgenti.



IMMIGRATI: IN 30 SCOPERTI SU UN TIR AL PORTO DI BARI
(AGI) - Bari, 13 dic. - Trenta cittadini stranieri sono stati scoperti dagli agenti della Polizia di Frontiera, a bordo di un Tir sbarcato ieri sera al porto di Bari. Il conducente, un cittadino bulgaro di 41 anni, e' stato arrestato con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. L'autista, durante i controlli dopo lo sbarco da una motonave proveniente dalla Grecia, era apparso nervoso e cosi' gli agenti hanno approfondito l'esame della documentazione di viaggio e del carico, scoprendo i trenta stranieri, iracheni, afgani e iraniani tutti adulti, che al termine degli accertamenti sono stati nuovamente imbarcati sullo stesso traghetto per essere rimpatriati.



L'ODISSEA INFINITA
I predoni non si fermano: uccisi altri profughi eritrei
Avvenire, 13-12-2010
Ilaria Sesana
Continua la tragedia dei profughi eritrei nel deserto del Sinai. Altri due giovani sono stati uccisi ieri dai trafficanti che da quasi un mese li tengono imprigionati e in catene. Un duplice omicidio che porta ad otto la tragica conta da quando questi poveretti sono finiti nelle mani dei predoni. A dare la notizia don Mussie Zerai. «Avevano meno di trent’anni ed erano due diaconi della chiesa ortodossa che animavano e guidavano nella preghiera il gruppo dei prigionieri - spiega il direttore dell’agenzia Habeshia-. Già qualche giorno fa i predoni avevano strappato le loro Bibbie.
Erano visti un po’ come gli animatori del gruppo e li hanno accusati di aver lanciato l’allarme».  Nemmeno tra le associazioni che da settimane tengono i contatti con il gruppo dei profughi si sapeva che ci fossero due diaconi tra i prigionieri. Anche se, nella chiesa ortodossa eritrea, si definisce diacono non solo chi ha ricevuto l’ordinazione, ma anche i semplici animatori che guidano la comunità nella preghiera.
Dopo le catene e le botte, gli stupri subiti dalle donne e le privazioni di un mese di prigionia ieri si è consumata l’ennesima tragedia. L’accusa ai due giovani, la brutale esecuzione di fronte a tutti gli e nuove violenze. Una tragedia cui si aggiungono le menzogne delle autorità locali che negano la presenza di questi ostaggi nel loro territorio. «Li hanno picchiati selvaggiamente, accanendosi in cinque su una sola persona. Alcuni sono quasi in fin di vita - racconta con voce rotta don Mussie -. Il ragazzo con cui di solito sono in contatto è stato picchiato così duramente da non riuscire nemmeno a parlare».
A quel punto è stata una giovane a prendere in mano il cellulare e aggiungere agghiaccianti particolari: da qualche giorno gli aguzzini non danno più nemmeno l’acqua ai loro prigionieri che sono costretti a bere le proprie urine per sopravvivere. «Lei continuava a piangere: sono stati picchiati sulla pianta del piede per costringerli a telefonare nuovamente ai loro parenti per chiedere aiuto -conclude don Mussie-. Ogni volta sentirli è uno strazio».
La situazione precipita di ora in ora, dopo il cauto ottimismo di qualche giorno fa. Si sono persi anche i contatti con il gruppo formato da circa un centinaio di profughi che venerdì è stato prelevato dalla prigione di Rafah e trasferito non si sa dove. «Non riusciamo a contattarli telefonicamente e non sappiamo dove li abbiano portati -spiega Roberto Malini, co-presidente del Gruppo EveryOne-. Il nostro timore è che Abu Khaled, il trafficante che fin dall’inizio ha avuto in mano i 250 profughi africani, li abbia rivenduti ad altri predoni». Ma l’angoscia più grande, che pesa sul cuore di chi sta lottando per salvare queste persone, è che i profughi possano sparire nel nulla, vittime dello spietato traffico clandestino degli organi.
L’attenzione mediatica che in queste settimane si è concentrata sul Sinai probabilmente infastidisce Abu Khaled e i suoi complici, sebbene possano contare su una vasta rete di supporto nella città di Rafah e, probabilmente, anche della complicità della polizia locale. «Non è possibile che centinaia di persone possano essere imprigionate in una città come Rafah che conta poco meno di 70mila abitanti, dove ci sono persino un carcere e una stazione di polizia. In una delle aree più militarizzate del Medioriente, a pochi chilometri dalla frontiera con  Israele», aggiunge Malini.
Eppure il governo egiziano (il solo che potrebbe agire concretamente per risolvere la situazione) continua a tentennare. Voci disperate che nessuno sembra voler ascoltare. "È una cosa assurda. Non si può più aspettare i tempi delle diplomazie, perché la gente sta morendo di fame e di sete - si tormenta don Mussie -. Quella che sta accadendo è una vera e propria barbarie: chiediamo che la comunità internazionale condanni tutto ciò e che richiami il governo egiziano a intervenire con decisione».
"Quello che sta succedendo è orribile", conclude Roberto Malini che, assieme a Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti del Gruppo EveryOne, sta lavorando in queste ore per ottenere le necessarie autorizzazioni per raggiungere Rafah. «Speriamo di poter partire già martedì o mercoledì -spiega-. Da lì, probabilmente, potremo intervenire con maggiore efficacia».



Profughi eritrei, "Ci vendono ad altri come loro"
L'infinita odissea nel deserto del Sinai egiziano
la Repubblica, 10-12-2010
Il timore che siano per essere "venduti" ad altri trafficanti della zona. Il rischio di essere coinvolti nel traffico di organi in mano alle bande. La replica del governo egiziano: "tutto è cominciato con il rifiuto di certi Stati ad accoglierli". L'appello di un gruppo di parlamentari italiani e del Centro italiano per Rifugiati
ROMA - Poco dopo le 10 di stamane c'è stato un nuovo contatto fra padre Moses Zerai - direttore dell'agenzia eritrea Habeshia - con i profughi eritrei, i quali hanno  riferito che ieri sera un centinaio di loro (in tutto sarebbero 250) sono stati spostati di nuovo, dove erano prima del trasferimento di un paio di giorni fa, ma ancora non si sa  esattamente dove siano. aumenta intanto il timore che siano in procinto di essere "venduti" ad altri trafficanti della zona. "Siamo molto preoccupati per quello che sta accadendo nel Sinai - dice padre Zerai - tra sequestri di persona, traffico di organi e commercio di esseri umani, tutto in mano alle bande di beduini, che all'occasione  uccidono, come è già accaduto".
I Parlamentari italiani. Deputati e Senatori del Parlamento Italiano e rappresentanti di associazioni umanitarie hanno oggi lanciato un appello alle Istituzioni Europee affinché ci sia un loro immediato interessamento per promuovere una evacuazione umanitaria del gruppo di profughi sequestrati in Sinai verso il territorio europeo. Firmatari dell'appello Savino Pezzotta, Livia Turco, Matteo Mecacci, Rita Bernardini, Paola Binetti, Benedetto Delle Vedove, Guido Melis, Marco Perduca, Flavia Perina, Jean Leonard Touadì, Luigi Zanda, Gennaro Malgieri e Luigi Manconi Presidente di A Buon Diritto.
La proposta. L'appello raccoglie la proposta lanciata dal Consiglio Italiano per i Rifugiati 1- CIR per spingere affinché si agisca subito attraverso una evacuazione umanitaria dei profughi sequestrati. Una volta in salvo sul territorio dell'Unione si potrà deciderne la distribuzione tra i diversi Stati Membri rispetto alla disponibilità che i Governi dovranno segnalare, nella logica di una equa condivisione di responsabilità. L'evacuazione umanitaria rappresenta l'unico segnale in grado di garantire alle autorità egiziane che, nel caso della liberazione dei profughi, non verrebbero lasciate sole nella gestione di questa difficile crisi umanitaria, ma riceverebbero il supporto dell'Unione Europea. E' necessario sottolineare che molti di questi migranti sono stati costretti a una nuova via di fuga dopo la chiusura delle frontiere europee a seguito della politica dei respingimenti. Molti provengono dalla Libia e ci sono testimonianze circa la presenza tra questi di persone respinte a pochi chilometri delle coste italiane.
La risposta egiziana. Nel frattempo, il ministero degli Esteri egiziano si dice "sorpreso dalle dichiarazioni attribuite ad alcune parti che non hanno tenuto in considerazione la sofferenza di questi eritrei, cominciata col rifiuto di certi Stati ad accoglierli e che si sono infiltrati in Egitto in modo illegittimo". E' quanto si legge in un comunicato del ministero degli Esteri egiziano, prima presa di posizione ufficiale sulla vicenda del gruppo di eritrei tenuti in ostaggio nel Sinai. Il comunicato sottolinea inoltre che le informazioni "circolate a questo riguardo non sono confermate".



Internet, stampa locale e Gazzetta dello Sport. Così si informano gli immigrati presenti in Umbria.
ImmigrazioneOggi, 13-12-2010
Presentata la ricerca “Mass media e immigrazione in Umbria” realizzata dalla Facoltà di Scienze della comunicazione dell'Università di Perugia.
Gli stranieri utilizzano internet molto più degli italiani, guardano in televisione soprattutto Canale 5 e Rete 4, mentre la Rai, al pari delle televisioni dei Paesi di provenienza, è seguita poco. Ascoltano poco la radio e molto la musica, soprattutto quella del loro Paese. È quanto emerge dalla ricerca Mass media e immigrazione in Umbria, realizzata dalla Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università di Perugia e presentata ad Orvieto nell’ambito del concorso-festival “Comunicare in Umbria” indetto dal Corecom.
“Il 64 per cento degli intervistati – ha esposto Giuseppina Bonerba, docente universitaria e coordinatrice della ricerca – legge solitamente i giornali. Il più letto, secondo il nostro campione, è il Corriere dell’Umbria (21,3 per cento degli intervistati), seguito dalla Gazzetta dello sport (10 per cento)”. Per quanto riguarda la rappresentazione degli immigrati sui media locali, la ricerca curata da Marco Mazzoni – riferisce un comunicato della Regione – evidenzia che, come già verificato in ambito nazionale, anche in Umbria essa è strettamente collegata agli articoli di criminalità, mentre raramente tocca gli aspetti socio-culturali della popolazione straniera, con delle buone eccezioni, durante il “prime time” delle tv locali, dove si segnalano alcuni programmi extra Tg, riguardanti il tema dell’immigrazione.



La tollerante Svezia scopre la paura degli ultra islamici

L'attentato di sabato sera a Stoccolma moltiplica i dubbi sui rischi di un'immigrazione incontrollata
il Giornale, 13-12-2010
Gian Micalessin
È il primo, ma non è una sorpresa. Il duplice attentato che sabato sera ha infranto la tranquilla atmosfera natalizia di Stoccolma era già previsto, già scritto. Se lo aspettavano i servizi di sicurezza che da qualche settimana avevano inasprito i controlli e innalzato il livello di allerta. Se lo attendevano gli esperti di terrorismo che da un po' di tempo sottolineavano il crescente flusso di minacce rivolte a Lars Vilks, il vignettista svedese finito nel mirino dei fondamentalisti islamici per aver disegnato il ritratto di un Maometto con un corpo di cane. Ma soprattutto lo sentivano arrivare gli elettori. Lo scorso settembre avevano confermato la coalizione di centro destra al potere regalando però un inatteso 5,7 per cento ai cosiddetti Democratici Svedesi, una formazione di estrema destra il cui principale obbiettivo è la lotta all'immigrazione e all'islam dipinti come forieri di delinquenza, inciviltà e terrorismo. Quella premonizione "elettorale" promette ora di fornire ulteriori argomenti ai 20 deputati guidati dal carismatico Jimmie Akesson, che giudicano eccessiva per un paese di 9 milioni di abitanti una percentuale di stranieri superiore al 5 per cento e giurano di voler ripulire la Svezia dagli immigrati illegali.
Il duplice attentato di sabato sera, conclusosi con la morte di un attentatore suicida e il ferimento di due passanti, va in scena pochi minuti prima delle cinque di sera. Ad annunciarlo ci pensa però un messaggio di posta elettronica recapitato a Dan Skeppe, un redattore dell'agenzia di stampa Tidningarnas Telegrambyra. Al messaggio è allegato un file audio indirizzato «alla Svezia e ai cittadini svedesi». Il file denuncia il silenzio sulle vignette blasfeme disegnate da Lars Vilks e condanna la presenza di 500 militari svedesi in Afghanistan. «Ora i vostri bambini, le vostre figlie e le vostre sorelle moriranno come già muoiono i nostri fratelli e le nostre sorelle. Le nostre azioni -promette il messaggio audio -parleranno da sole fino a quando non metterete fine alla guerra all'Islam e non la smetterete di appoggiare quel maiale di Vilks e i suoi insulti al Profeta».
Pochi minuti dopo un doppio boato scuote Drottninggatan, la via dello shopping e degli acquisti di Stoccolma. Da una parte c'è un'automobile in fiamme piena di bombole di gas, dall'altra il cadavere di un attentatore dilaniato dall'esplosione di uno degli ordigni rudimentali pieni di chiodi che porta con sé. Stando a vari testimoni l'uomo si sarebbe fatto esplodere dopo aver urlato alcune frasi in arabo, ma le autorità svedesi hanno confermato solo ieri la matrice terroristica del doppio attacco. Il Mail on Sunday scrive che si tratterebbe di un 29enne iracheno che si era laureato a Luton in Inghilterra ma si manteneva facendo pubblicità come uomo-sandwich. Su un sito islamico ieri sera è apparsa una sua foto con il nome di Taimour Abdulwahab Al-Abdaly. Resta da capire se l'attentato sia stato progettato dai vertici di Al Qaida in Pakistan o nello Yemen o se invece sia il gesto isolato di un gruppo di terroristi "fai da te" ispirato dalla propaganda "qaidista", ma privo di contatti diretti con i vertici internazionali del terrorismo. Nel primo caso si potrebbe pensare alla compiuta realizzazione della minaccia segnalata dalle principali agenzie di sicurezza lo scorso novembre. A quel tempo sia l'intelligence americana sia quella tedesca ricevettero informazioni che facevano pensare a un imminente, sanguinoso attacco al cuore di una grande capitale europea. L'allarme portò alla chiusura della Torre Eiffel e a quella della cupola del Reichstag.
La modalità dell'attentato di Stoccolma messo a segno utilizzando bombole di gas e ordigni rudimentali privilegerebbe piuttosto l'ipotesi di un "commando fai da te" simile a quello che nel luglio 2005 fece strage nel metrò di Londra. Comunque sia, l'attentato rafforzerà le tesi di quanti sostengono che la presenza di una vasta comunità d'immigrati favorisce sia l'infiltrazione di terroristi provenienti dall'estero sia la nascita di gruppi di fanatici pronti a emulare le azioni di Al Qaida. E il fatto che in 5 anni la minaccia si sia spostata da Londra, cuore del fondamentalismo europeo, ad una Stoccolma considerata un tempo tranquillissima, conferma in parte questi timori.



L'ITALIA CHE CAMBIA
La montagna spopolata salvata dagli immigrati

Avvenire, 12-12-2010
Paolo Ferrario
Quando i primi arrivarono in paese, la notizia fece in un baleno il giro delle case e in molti pensarono “Mamma li turchi”. Come fossero riusciti a trovare la strada per la valle era un mistero per i montanari, che fino a quel momento avevano visto gli immigrati soltanto alla televisione. I primi tempi non furono facili e non mancarono occasioni di scontro con i nuovi venuti. Ora, però, dopo alcuni anni, non sono pochi coloro che pensano che proprio i “turchi” salveranno la comunità dall’estinzione e l’intera valle dallo spopolamento.
Quello dei migranti stranieri che scelgono di stabilirsi in piccoli centri delle Alpi italiane è un fenomeno ancora abbastanza recente, che sociologi e antropologi hanno appena cominciato ad indagare. Di certo rappresentano una piccola minoranza, appena qualche migliaio dei circa 5 milioni di immigrati residenti nel nostro Paese (secondo l’ultimo rapporto Caritas-Migrantes), ma il loro numero sta aumentando anche per effetto della crisi economica, che spinge tante famiglie a lasciare le città, dove il costo della vita è più alto, alla volta di realtà più piccole in periferia, dove i prezzi delle case e della vita in generale sono senz’altro più contenuti.
Un’indagine in profondità sulle comunità immigrate residenti in alcuni comuni montani delle Alpi piemontesi, intitolata appunto “Mamma li turchi” e pubblicata in italiano e occitano, è stata recentemente compiuta da Maurizio Dematteis, esperto di temi sociali e ambientali dei territori alpini, per conto dell’Associazione di promozione della lingua e cultura occitana Chambra d’Oc di Roccabruna (Cuneo) e di Paralleli, istituto euromediterraneo del nord ovest con sede a Torino, di cui lo stesso Dematteis è direttore. Naturalmente, la presenza di immigrati extracomunitari non è osservabile soltanto nelle vallate alpine occidentali del Piemonte, ma anche in quelle centrali a nord di Milano (Varesotto, Lecchese, Valtellina e Valchiavenna) e in quelle del Triveneto a nord est, nonchè sull’Appennino tosco-emiliano, dove si è stabilita da qualche anno una comunità bosniaca abbastanza folta, arrivata ai tempi della guerra dei Balcani.
«Quando le prime avanguardie giunsero nei paesi di montagna – spiega Dematteis – come abbiamo potuto appurare attraverso le interviste ai residenti in valle da generazioni, la convivenza con gli “autoctoni” non fu affatto semplice e non mancarono nemmeno le “scintille”, almeno verbali, quando le due culture vennero in contatto. Oggi, dopo alcuni anni di presenza continuativa dei migranti, la situazione è molto migliorata e gli stranieri intervistati per la ricerca, hanno raccontato che l’integrazione in montagna è avvenuta più rapidamente rispetto a precedenti esperienze cittadine».
Soprattutto, i romeni di Pragelato, piuttosto che gli albanesi al Sestriere, gli ivoriani a Dronero o i turchi (quelli veri) a Pietrabruna - soltanto per citare alcune delle tredici comunità immigrate intervistate da Dematteis - hanno permesso a paesi lentamente ma inesorabilmente destinati al declino e, forse, anche all’estinzione, a causa dello spopolamento delle montagne, di riprendere a crescere mantenendo sul territorio servizi preziosi per la popolazione.
«A Pragelato e a Pietrabruna – ricorda Dematteis – le scuole elementari, destinate alla chiusura per mancanza di iscrizioni, hanno invece trovato nei figli degli immigrati romeni e turchi, tanti nuovi alunni che ne giustificavano la presenza. E lo stesso vale anche per altri servizi come le Poste o i piccoli negozi di vicinato. Inoltre, lo abbiamo osservato in Valsusa, gli immigrati magrebini hanno a loro volta aperto dei negozi di prodotti “etnici”, contribuendo alla “contaminazione” positiva tra culture diverse».
La dice lunga, a questo riguardo, la presenza, da cinque anni, di un bar gestito da una famiglia albanese al Sestriere, località sciistica tra le più rinomate della zona. Non solo. Come spiega Dematteis, la presenza della comunità albanese, costituita da 47 persone tutte residenti e regolarmente registrate in Comune, è talmente radicata che ormai i nuovi immigrati dal Paese delle aquile non passano più per Torino, come fu per i primi venuti, ma salgono direttamente ai duemila metri del colle a cercare casa.
«Le ragioni di questo “effetto rimbalzo” dalla città alle vallate alpine – osserva ancora Dematteis – risiedono anche nella crisi economica, che ha certamente accelerato questo processo. In città, infatti, la vita è più cara, gli affitti sono più alti e anche il lavoro scarseggia. Da questo punto di vista ci sono senz’altro più occasioni nei paesi di media e bassa valle, dove anche l’accesso ai servizi è meno faticoso. Praticamente tutti i testimoni intervistati, con precedenti esperienze abitative in città, concordano nel dire che la vita familiare nelle valli alpine è migliorata».
Negli anni sono anche cresciuti i legami tra i valligiani e le terre d’origine dei migranti. Un esempio su tutti, quello di Borgo San Dalmazzo, nel Cuneese, dove vive una folta comunità di Santo Domingo. Il paese si è gemellato con la città caraibica di La Vega - dove oltre due secoli fa operò il missionario francescano di Borgo padre Fantino - sostenendo un progetto di adozione a distanza per aiutare l’orfanotrofio, fondato dal sacerdote, che oggi ospita una trentina di bambini. Piccoli “turchi” che ai piedi delle Alpi hanno trovato tanti nuovi amici.



Protesta in Cie Milano, De Corato: si rischia collasso

Vice sindaco: "Dove sono nuovi centri promessi da Maroni?"
Virgilio, 12-12-2010
Nuova protesta di immigrati nel Centro di identificazione e espulsione di Milano con contusi tra le persone ospitate nella struttura e le forze dell'ordine. "La situazione è al collasso", afferma il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza del Comune di Milano, Riccardo De Corato "Siamo alla sesta protesta nel Cie di via Corelli dall'inizio dell'anno, l'ultima aveva avuto luogo solo tre settimane fa. E ogni volta - osserva De Corato - si registrano agenti feriti e danneggiamenti alla struttura, a causa dei quali decine e decine di posti diventano inagibili. Una situazione d'emergenza che rischia il collasso perché, di questo passo, i circa 80 posti disponibili, comunque insufficienti, saranno sempre meno". "Mi chiedo cos'altro deve succedere prima che si decida di potenziare le strutture in Lombardia. Lo stesso Ministro Maroni ha affermato che i centri di identificazione sono fondamentali per aumentare la sicurezza e contrastare efficacemente la clandestinità, eppure delle 4 nuove aperture annunciate nel 2010 (peraltro non ancora realizzate) nessuna riguarda la Lombardia. Bensì regioni come Veneto, Toscana, Marche e Campania che hanno 'bacini' di clandestinità ben diversi dalla nostra regione". "Malpensa - aggiunge il vice Sindaco - sarebbe l'area ideale per realizzare un nuovo Cie visto che, come Maroni ha ricordato, le zone aeroportuali sono da privilegiare in quanto facilitano i rimpatri. E considerato che, sempre secondo il Viminale, Malpensa è la nuova frontiera dell'immigrazione clandestina dopo Lampedusa, la decisione di escluderla dalla rosa delle aree in lista per un nuovo Cie cozza con la realtà. Ci auguriamo pertanto - conclude De Corato - che il ministro cambi idea perchè la situazione della Lombardia e di Milano è unica in Italia e andando avanti così rischiamo di vanificare l'impegno degli agenti nella lotta alla clandestinità".



Cinema: Roma, dal 15 dicembre al Cinema dei Piccoli Immigrazione Festival

Libero, 11-12-2010
Roma,  - Dal 15 al 19 dicembre 2010 si svolgera' al Cinema dei Piccoli di Roma la rassegna Cinema e Immigrazione organizzata da CortoItaliaCinema in collaborazione con Le Ultime Carovane. La rassegna riprende uno dei temi cari al Festival Internazionale del Cortometraggio di Siena, che continua purtroppo a tenere chiusi i battenti, presentando una ricca selezione di cortometraggi, lungometraggi e documentari realizzati in Africa e in Europa dedicati all'immigrazione.
Il programma intende mettere a fuoco le diverse questioni che ruotano intorno al tema: la partenza e l'arrivo, ma anche le dinamiche di integrazione come pure il ritorno, talvolta momento altrettanto complesso. Inaugura la rassegna mercoledi' 15 dicembre alle ore 21 Sotto il Celio azzurro, documentario che Edoardo Winspeare ha realizzato nel 2009 seguendo un anno di lavoro dei maestri della Celio Azzurro, piccola scuola materna nel cuore di Roma, alle prese con 45 bambini di 32 paesi diversi. Nata vent'anni fa, la scuola continua a essere uno straordinario laboratorio interculturale.
Tra i film in programma si segnala la rara occasione di vedere Al-Makhdu'un (Gli ingannati, 1972), controverso capolavoro del regista egiziano Tewfiq Saleh, dove si raccontano le vicende di tre palestinesi che cercano di raggiungere clandestinamente il Kuwait. Tratto dal romanzo Uomini sotto il sole di Ghassan Kanafani del 1963, Gli ingannati e' tra le opere piu' significative mai realizzate sul tema dell'immigrazione. Il programma completo sara' disponibile sul sito www.cortoitaliacinema.com. Tutti i film saranno proiettati in lingua originale sottotitolati in italiano. Dal 20 al 22 dicembre 2010 la rassegna si spostera' nella sala del Teatro Comunale di Sant'Oreste.

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