Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

23 ottobre 2013

Immigrazione, Letta: Ue non stia a guardare, l'Italia non accetterà compromessi
Immigrazione, Tlc, ricerca: il premier chiede un'altra Europa: «Ha perso l'anima»
Il Messaggero, 23-10-2013
L'immigrazione è un tema che riguarda tutta la Ue, per questo «servono misure immediate per attuare una rete europea di sorveglianza». E poi la ricerca, le telecomunicazioni, la sorveglianza bancaria. Enrico Letta chiede un Europa nuova nel suo discorso a Montecitorio in vista del vertice Ue di ottobre. Un appuntamento a cui l'Italia, sottolinea, andrà con la volontà di non accettare compromessi.
«L'Europa non può restare a guardare». «La task force europea deve elaborare un piano d'azione. L'Europa, per la sua stessa storia» e per le sue «più profonde e nobili» radici, «non può stare a guardare» di fronte a tragedie come quelle di Lampedusa, «se lo fa, muore», dice il premier. Il Consiglio europeo che si apre giovedì prossimo «sarà l'occasione per iniziare a discutere di un'Europa diversa», dopo che più volte «in quest'Aula abbiamo parlato di un'Europa presa dentro le proprie contraddizioni e che ha smarrito la sua anima. A Bruxelles non accetteremo compromessi al ribasso».«Nessuno si illuda che queste tragedie siano episodi occasionali, destinate a risolversi» con l'arrivo dell'inverno, perché non è così.
«Sicilia avamposto dell'Europa». L'Italia è intervenuta «senza ulteriori indugi» nel Mediterraneo con il pattugliamento. «Si è assunta fino in fondo la sua responsabilità così come deve fare un grande paese europeo. Ma quello dell'immigrazione rimane un «problema europeo, perché la Sicilia non è la periferia dell'Italia ma l'avamposto dell'Unione europea».
«Quattro impegni». Sull'emergenza immigrazione «l'unione europea è stata distratta per troppi anni ora non lo è più», dice Enrico Letta che ringrazia Barroso e Van Rompuy per gli impegni presi e sottolinea: «Mi auguro che seguano atti immediati, l'impegno italiano sarà tutto in questo senso». «Chiederemo al Consiglio europeo di giovedì 4 impegni precisi: il dramma di Lampedusa è una questione europea; misure immediate per mettere in atto il programma di sorveglianza Eurosur e rafforzare Frontex; un piano d'azione per la gestione dell'emergenza migratoria; dialogo con i Paesi del Mediterraneo».
La Ue: sintonia con Letta. Per la Commissione Ue il piano di Letta «converge con le priorità già annunciate dalla Commissione», è il commento del portavoce del commissario agli affari interni Cecilia Malmstrom. «Fin dall'inizio - sottolinea - abbiamo indicato agli Stati che occorre rafforzare Frontex, rendere operativo Eurosur entro il 2 dicembre e dialogare con i Paesi di origine e di transito, oltre al fondamentale aspetto della ridistribuzione dei migranti».
Non solo immigrazione. L'immigrazione è solo uno dei temi su cui Letta fa appello all'Europa affinché assuma un approccio diverso. Il premier parla anche di sorveglianza bancaria, ricerca, telecomunicazioni, politica economica. «La disciplina delle finanze pubbliche è necessaria», ma è socialmente «accettabile» solo se c'è una «ricompensa», una «prospettiva», sottolinea Letta in vista del vertice Ue di fine ottobre. «Per uscire dalla crisi la via giusta è unire maggiore responsabilità e maggiore solidarietà».
Ricerca e innovazione. Sull'innovazione e la ricerca l'Europa «è ricca di potenzialità eppure perdiamo terreno nel confronto globale; la ricerca non può essere sacrificata sull'altare dei tagli, è una scelta suicida e noi vogliamo un'inversione di tendenza». L'obiettivo «è costituire un'area senza frontiere per la ricerca entro il 2014. Serve un cambio di passo, occorre creare le condizioni minime per fare uscire la ricerca dai recinti nazionali, ci batteremo per questo, anche nel nostro semestre di presidenza europea».
Tlc. «Gli Usa hanno 4 operatori di telefonia mobile, la Cina 3, l'Europa 100. Questo significa 110 miliardi di euro l'anno per consumatori per l'assenza di competitività», ricorda Letta. Al vertice europeo l'Italia chiederà di arrivare presto «alla prospettiva di un vero mercato unico della telecomunicazione con gestione europea delle licenze e in prospettiva un regolatore unico».
Unione bancaria. «Il governo si batterà perché al consiglio europeo ci sia un chiarimento politico» sui tempi di entrata in vigore dell'unione bancaria, dice inoltre il premier. «I meccanismi adottati devono essere adottati entro aprile, non devono essere spostati in avanti».
Agenda digitale. «L'agenda digitale è la principale riforma della Pubblica amministrazione», afferma infine. E lancia un allarme: «Nei prossimi due anni, senza competenze adeguate, potremmo avere quasi un milione di posti di lavoro non coperti nel digitale: un paradosso assolutamente intollerabile».



La Ue: stop ai respingimenti e regia comune per i soccorsi ma l’Italia blocca il piano
Polemica su Frontex. Il Viminale: no a cessioni di sovranità  
la Repubblica, 23-10-2013
ANDREA BONANNI
BRUXELLES — Pretendere solidarietà dall’Europa, ma rifiutarne l’autorità. È questa la linea che il ministero degli Interni italiano ha deciso di adottare sulla questione delle operazioni di ricerca e soccorso dei profughi condotte da Frontex, l’agenzia europea per la sorveglianza delle frontiere. Il 10 ottobre scorso, una settimana dopo la tragedia di Lampedusa, l’Italia ha sottoscritto con Grecia, Malta, Cipro, Francia e Spagna, una posizione comune che blocca l’adozione di un regolamento comunitario per definire i criteri di intervento delle unità marittime impegnate nelle operazioni di pattugliamento congiunto del Mediterraneo. La principale motivazione addotta per respingere la proposta della Commissione è che l’Europa non ha titolo per intromettersi in questo tipo di  regolamentazioni in quanto, scrive l’Italia, «le operazioni marittime di ricerca, soccorso e sbarco sono di competenza degli Stati membri».
Eppure era stato proprio il ministro Alfano, già poche ore dopo la tragedia di Lampedusa, a puntare il dito contro l’Europa e a chiederne un maggior coinvolgimento nelle operazioni di soccorso. «L’Unione europea si renda conto che non è un dramma solo italiano. L’Europa non può chiudere gli occhi, prenda in mano questa situazione. Queste donne, uomini, bambini, non vengono per fare una vacanza, ma sognano libertà, democrazia e benessere». Parole poco congrue con la posizione che i funzionari del ministro hanno adottato una settimana dopo a Bruxelles, sostenendo la piena sovranità nazionale sulle operazioni di salvataggio.
Il regolamento proposto dalla Commissione nasce dalla necessità di garantire meglio i diritti dei migranti che vengono soccorsi in mare. In base ad una decisione del vertice europeo dell’ottobre 2009 (premier Berlusconi, ministro dell’Interno Maroni) la Commissione era stata unanimemente invitata dai capi di governo a «stabilire chiare procedure operative comuni per le missioni marittime con particolare riguardo alla protezione dei bisognosi».
L’obiettivo del regolamento, spiega il testo del provvedimento, è «di superare le diverse interpretazioni della legge marittima internazionale adottate dagli stati membri e le loro pratiche discordanti per assicurare l’efficienza delle operazioni». Infatti, spiega ancora il documento «in questo quadro di incertezza legale la partecipazione degli Stati membri alle operazioni marittime era scarsa in navi, mezzi e risorse umane. E questo danneggiava l’efficacia delle operazioni e comprometteva gli sforzi di solidarietà europea».
La proposta della Commissione, che ora è all’esame del Parlamento europeo ma rimane bloccata dal veto dei sei Paesi, stabilisce una serie di criteri su come e quando intervenire e dove sbarcare i naufraghi, ma soprattutto fissa una serie di paletti a garanzia dei diritti umani dei profughi soccorsi in mare. In particolare vieta esplicitamente il respingimento, cioè proibisce di riportare le persone soccorse nel Paese di provenienza qualora corrano il rischio di vedervi violati i loro diritti. E cita esplicitamente un caso di condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per aver ricondotto dei naufraghi in Libia.
L’obiezione mossa dall’Italia e dagli altri firmatari non contesta queste disposizioni, peraltro derivate dal diritto internazionale e marittimo e dalla Convenzione sui diritti dell’uomo. Tuttavia la critica alla proposta di Bruxelles è molto dura «Gli articoli 9 e 10, che si riferiscono alla ricerca, soccorso e sbarco sollevano molte serie preoccupazioni per come sono formulati. La regolamentazione delle operazioni di ricerca, soccorso e sbarco in uno strumento legislativo dell’Unione europea è inaccettabile per ragioni legali e pratiche», è scritto nel documento sottoscritto dal governo italiano. Le argomentazioni apportate sono di due tipi. Il primo è la questione di principio, secondo cui l’Europa non deve occuparsi della questione, che è di pertinenza esclusiva degli stati membri contrariamente a quanto sostiene pubblicamente il ministro Alfano. Il secondo è di ordine pratico: «Stabilire questi dettagli nella legislazione eliminerebbe completamente la flessibilità » nella gestione delle operazioni stesse.



Profughi, l'eurotruffa della commissaria
Cita dati fuorvianti sulle richieste d'asilo, sbandiera i fondi elargiti (coi nostri soldi) e poi conclude: "Arrangiatevi"
il Giornale, 23-10-2013
Gian Micalessin
A legger l'intervista di ieri al Corriere della Sera di Cecilia Malmstrom vien da chiedersi «ci è?» o «ci fa?». O meglio la Commissaria agli affari interni dell'Unione Europea cerca scientemente di fregarci o proprio non c'arriva?
L'attenuante dell'incapacità d'intendere e volere mal s'adatta però a una signora che mastica pane e politica da quand'era ventenne, comunica in sette lingue, tra cui l'italiano, e sbriga questioni europee da un ventennio. Dunque c'è da propendere per il dolo. Un dolo sfrontato e palese, reiterato in almeno in tre passaggi dell'intervista. Un dolo rimodulato solo quando il ministro dell'interno Angelino Alfano la costringe a rimangiarsi le proprie dichiarazioni ribadendo con determinazione l'indisponibilità italiana ad «accettare compromessi al ribasso» nel corso del Consiglio europeo al via domani a Bruxelles. Dichiarazioni ribadite anche da Letta che all'Ue ha chiesto «atti immediati», a cui la commissaria ha replicato con un vago: «Noto una convergenza tra le proposte italiane e quelle di Bruxelles». Purtroppo per Cecilia però verba volant e scripta manent.
Partiamo dunque dalla risposta in cui ci rimprovera la cattiva gestione dei fondi per 614 milioni di euro assegnatici dalla Ue per gestire i flussi migratori e i confini. Quei soldi, al contrario di quel che insinua Cecilia, l'Italia non li ruba e non li elemosina. Sono in gran parte soldi nostri visto che anche nel 2011, all'apice della crisi, il Belpaese ha versato nelle casse dell'unione 16, 1 miliardi di euro, aggiudicandosi il titolo di principale contribuente netto. O meglio di grande Pantalone costretto a pagare in cambio di poco o nulla visto che la differenza tra il pagato e il ricevuto è nel 2011 di ben sei miliardi.
Problemucci che la Svezia di Cecilia, così fraterna con gli immigrati, manco si sogna potendosi permettere il lusso di versare all'Europa sei volte meno. Prima di rimproverarci la gestione dei soldi - restituitici dall'Europa in cambio di una bella cresta - la maestrina Malmstrom dovrebbe dunque controllare chi paga il suo stipendio. E farci capire chi finanzia la sua malafede. A legger l' intervista l'Italia non dovrebbe manco permettersi di chiedere al Consiglio Europeo la revisione delle regole che c'impediscono di ridistribuire i profughi negli altri paesi membri.
A sentir lei dovremmo tenerci tutti i disgraziati ripescati nel sud del Mediterraneo. Anche se nel frattempo i muri eretti in Grecia e progettati in Bulgaria trasformano il Mediterraneo nell'unica porta d'accesso al vecchio continente. Anche se le nostre navi sono le uniche a salvare le vittime degli «orribili eventi» che tanto turbano la sensibile Cecilia. E il nostro governo è l'unico ad aver pronta una missione ad hoc per salvarle.
Ma a Cecilia poco importa perché nel suo mazzo c'è un asso per ogni plagio. Per condannarci ad ultima spiaggia paragona le sole 15.700 richieste d'asilo ricevute nel 2012 con le 75mila della Germania, le 60mila della Francia e le 44mila della Svezia. Peccato che solo un anno prima l'Italia ne abbia ricevute 37.350 posizionandosi al quarto posto dopo Stati Uniti (99400), Francia (51.900 e Germania(45.700).
Ma l'evidenza della malafede del Commissario Malmstrom emerge dall'esame dei dati Eurostat del secondo trimestre 2013. In quel periodo la Germania ha respinto il 61% delle 15.455 richieste concedendo 10.350 asili e bloccandone 5.105. La Francia ha respinto l'81% delle 14.955 richieste. La Svezia ne ha negato il 51% su 11.610.
L'Italia ha invece concluso 6.820 istruttorie accogliendone 3.685 con una percentuale positiva del 54%, ben superiore cioè al 49% di pareri favorevoli emessi nella generosa terra natale della signora Malmstrom. Una che se fosse nata a Napoli avrebbero già ribattezzato Cecilia u' mariuol.



Massimo Livi Bacci «Tre regole per dire basta alle traversate di morte»
Per lo studioso italiano di demografia l’immigrazione clandestina si può vincere costituendo «presidi» nei Paesi di transito del Mediterraneo
l'Unità, 23-10-2103
intervista di Umberto De Giovannangeli
L’emergenza migranti, le politiche da attuare in sede europea, quale cooperazione attivare con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo.
L’Unità ne parla con il più autorevole studioso italiano di demografia e flussi migratori: Massimo Livi Bacci, professore di Demografia presso la facoltà di Scienze politiche «Cesare Alfieri» dell’Università di Firenze.
Professor Livi Bacci, l’Italia intende dare battaglia sui temi dell’immigrazione al Consiglio europeo che inizia domani a Bruxelles. Da quale situazione si parte?
«L’Europa mentre ha politiche che riguardano il controllo dei confini, le regole per l’integrazione, la mobilità al proprio interno, non ha una vera e propria politica comune di governo delle migrazioni, riguardanti gli ingressi legali nel Continente europeo. Questa è una prerogativa che il Trattato di Lisbona riserva ai singoli Stati. Non esiste nessun coordinamento delle politiche migratorie dei 28 Stati dell’Unione europea. Se si pone a mente il fatto che le popolazioni europee stanno rapidamente invecchiando, e che grandi Paesi, come la Germania, l’Italia, la Spagna, esprimeranno, passata la crisi economica, ulteriore e intensa domanda di immigrazione, è auspicabile che le politiche dei singoli Paesi su questa materia, possano essere coordinate tra di loro».
L’attenzione è concentrata soprattutto, e a ragione, su ciò che avviene nel Mediterraneo e nei Paesi della sponda Sud. Cosa rimarcare in proposito e quali politiche andrebbero, a suo avviso, attivate da parte dell’Europa?
«Ci sono tre grandi aspetti. Il primo, è come far sì che i migranti irregolari, composti in buona parte da richiedenti asilo, non debbano essere costretti alle rischiosissime, e spesso mortali, traversate mediterranee per poter presentare domanda di protezione. Una possibile via di soluzione potrebbe essere quella di costituire dei presidi nei Paesi di transito della riva Sud del Mediterraneo, particolarmente in Libia, dove possano essere presentate domande di asilo, con le dovute garanzie di sicurezza per chi le presenta. Tali presidi potrebbero essere costituiti sotto l’”ombrello” delle istituzioni internazionali e dell’Ue stessa. Un secondo, importantissimo punto, è che l’Europa abbandoni le attuali regole che impongono a chi presenta domanda di asilo in un determinato Paese di restarvi, anche se ha familiari o conoscenti in altri paesi europei, che potrebbero facilitare la sua integrazione. Infine, un terzo punto a mio avviso cruciale, è quello di stabilire regole più eque delle attuali, rispetto la condivisione degli oneri riguardanti l’asilo, attraverso criteri di redistribuzione delle risorse comunitarie tra i vari Paesi dell’Unione, e di redistribuzione degli stessi richiedenti asilo. In questo contesto, e nell’ottica di quel “global approach to migration” giustamente evocato, ma scarsamente praticato finora dall’Europa, è importante affermare che accordi migratori e cooperazione debbano essere indissolubilmente legati. Occorre poi che l’Italia stimoli l’Ue a procedere alla stipula di accordi di riammissione con i Paesi ad alta densità migratoria. Tali accordi hanno un peso maggiore dei singoli accordi bilaterali».
Resta il fatto, e il limite non solo politico ma direi anche di mentalità, per cui l’emergenza migranti viene considerata ancora, in Europa, essenzialmente come un problema di sicurezza se non di ordine pubblico.
«È un approccio sbagliato, per molti versi anacronistico. L’Europa è un continente che per essere fortemente integrato nell’economia e nella società globale, e per la sua attuale debolezza demografica, non potrà che continuare ad esprimere una robusta domanda di immigrazione. È chiaro che le politiche europee non possono essere di difesa e di chiusura, ma di coraggiosa apertura ben governata e coordinata tra Paesi».
Una politica come quella da lei auspicata, non deve tener conto della trasformazione dei caratteri delle migrazioni? «Certamente sì. Le politiche migratorie riguardano, in tempi “normali”, quei movimenti di popolazioni che si muovono per motivi economici o sociali. Ma situazioni catastrofiche, come quelle determinate dai conflitti o dalle instabilità dei Paesi mediterranei e africani, non possono ricadere nell’ambito delle normali politiche migratorie. Queste situazioni necessitano di azioni straordinarie che non possono ricadere su un solo Paese. Al contempo, va affermato con forza che le politiche di governo dei flussi, come quelle dell’accoglienza e dell’integrazione devono svolgersi nel pieno rispetto della dignità umana, dei diritti e delle libertà delle persone, e delle regole di convivenza della società italiana».
L’Italia, per l’appunto. Nel nostro Paese si discute e si polemizza sulla Bossi-Fini. Qual è in proposito la sua valutazione? «Penso che sia maturo il tempo per rivedere l’impianto generale della legge che governa l’immigrazione. Questa è stata concepita negli anno ’90, con la “Turco-Napolitano”, quando l’immigrazione riguardava qualche decina di migliaia di persone all’anno, ed è stata fortemente peggiorata dalla “Bossi-Fini”; una legge, quest’ultima, che è assolutamente inadeguata all’epoca attuale, nella quale i migranti si contano a centinaia di migliaia».



IL SENATORE PD MANCONI: PROTEZIONE TEMPORANEA DI UN ANNO
«Ospitiamoli tutti, costa meno che respingerli»
QN, 23-10-2013  
Rosalba Carbutti
«ACCOGLIAMOLI tutti». Il nuovo slogan di Sel? No, la teoria di Luigi Manconi (sociologo, Senatore Pd, presidente della commissione Diritti umani a Palazzo Madama) e della ricercatrice Valentina Brinis, contenuta nell'omonimo libro edito da Il Saggiatore (in uscita domani). L'assunto è semplice, ma non banale: «Per salvare l'ltalia e gli immigrati non si deve partire da una concezione buonista che strizza l'occhio allo straniero a prescindere. Ma si deve partire da un presupposto di utilità sociale». Per Manconi «si devono considerare gli stranieri per quello che sono, cioè una risorsa. Tant'è che in termini di Pil valgono tra l'11 e il 12 per cento». E lancia la sua proposta: «L'ltalia deve proporre al prossimo Consiglio europeo un piano di protezione temporanea di un anno, rinnovabile definendo quote di accoglienza per ciascuno Stato membro».
Come la mettiamo, allora, con la Bossi-Fini e il pacchetto sicurezza Maroni? Il Senatore Pd guarda oltre: «Accogliere gli stranieri è più conveniente che respingerli. Perché — spiega — questi meccanismi di criminalizzazione non fanno altro che incrementare la già ampia popolazione carceraria costituita da stranieri». E, proseguendo, in quest'ottica di utilità sociale, mettere in soffitta l'aberrante logica del vu' cumprà, vu'rubà, vu'stuprà diventa più semplice. Manconi lo dimostra nel suo libro: in primis perché gli immigrati ringiovaniscono la «vecchia Italia» (il nostro tasso di fecondità è tra i più bassi dei Paesi occidentali), in seconda battuta perché la manodopera di italiani è «iperspecializzata» a fronte di una richiesta di personale meno qualificato. Ergo — spiega — «l'ltalia ha bisogno di migranti e viceversa».
BADANTI, strilloni, infermieri e pizzaioli, ma anche altri settori sono 'retti' dai lavoratori stranieri. I dati lo confermano: dagli anni Novanta al decennio successivo il numero di immigrati impiegati nell'attività domiciliare ad
anziani passa da uno su cinque a cinque su sei, con oltre un milione e seicentomila persone impiegate che, nel 2030, potrebbero raggiungere quota 2 milioni (rapporto Ismu, Censis e Iprs). E, visto che la quota di badanti made in Italy è solo del 22,7 per cento, è difficile che si arrivi a coprire l'offerta.
ALTRO DATO che potrebbe far impallidire i movimenti razzisti è, poi, il tasso di attività dei lavoratori stranieri che, secondo l'Istat, supera quello dei nostri connazionali: 70,6 per cento contro il 63,7 per cento. Quindi sostiene Manconi, «la maggior parte degli immigrati arriva in Italia per lavorare».
Basta qualche numero: nel settore dell'edilizia, oltre un operaio su quattro è straniero (30,9%), 32,7% tra i manovali, 27,4% tra i braccianti, 16,2% tra gli impiegati nella ristorazione. Morale: «Accoglierli tutti è faticoso — conclude il senatore Pd — e può sembrare un'utopia. Ma diventa irrealizzabile solo se non c'è una politica condivisa a livello europeo».



I profughi siriani a Milano: “Perché non ci aiutate ad andare in Svezia?”
Corriere della sera, 23-10-2013
Shady Hamadi
Li vedi appena entri. Stanno tutti accampati sul mezzanino, appena dopo le scale mobili all’ingresso principale. Sono profughi siriani. Tutti raccontano di essere partiti dalla Libia, di aver sfidato il mare, la morte, e di essere arrivati a Lampedusa. Il più è fatto. Poi basta prendere un treno per il nord Italia e qui, a Milano, comincia l’ultima sfida. Tutti i siriani vogliono andare in Svezia o in Germania. “Qui in Italia non c’è nulla, già lo sappiamo. Vogliamo andarcene il più presto possibile, aiutateci” mi dicono all’unanimità. Ogni giorno arrivano a decine alla stazione centrale e aspettano, non sanno neanche loro esattamente cosa. Così, basta sedersi con loro per ascoltare le loro storie, le storie di intere famiglie scappate dai massacri. Un ragazzo si tira su la maglia e mi fa vedere la cicatrice di una ferita “mi hanno sparato”.
    “Ero a Homs nel 2011 e mi mettevo di vedetta per avvisare i manifestanti dell’arrivo dell’esercito. Allora non avevamo armi. Erano tutte manifestazioni pacifiche. Un soldato da lontano ci ha sparato. Il ragazzo che era vicino a me è stato trapassato da fianco a fianco dal proiettile che, poi, mi ha colpito. Lui è morto, io no. Gli uomini dell’esercito mi hanno preso e mi hanno portato al carcere di Bab Sba-quartiere di Homs. Per 11 giorni mi hanno torturato. Nel 2011 non ti ammazzavano subito, ti torturavano “soltanto”".
Poi c’è il padre con la moglie e due figli che ha venduto tutto per pagarsi il “viaggio della speranza”. E’ scappato da Ghuta-Damasco- a settembre, un mese dopo la strage chimica: quella che ha provocato la morte di 1400 persone.
    “Io ero lì. Ho visto con i miei occhi quei missili colpire una parte della città. Siamo scappati subito. Non c’è nulla di più prezioso di mia mogle e dei miei figli” a stento mantiene le lacrime questo uomo mentre accarezza il figlio.
Alcuni mi chiedono perchè il governo italiano non li lascia andare in Svezia, perchè l’Italia non ha aperto un corridoio umanitario con questo Stato che accoglie i siriani (unico in Europa). Provo a spiegargli che serve tempo. L’Europa deve capire cosa fare, ma questa gente non ha tempo, vuole vivere.
    Due ragazzi stanno seduti su una panca a fumare, uno mi guarda e mi confessa a bassa voce “siamo arrivati due settimane fa a Lampedusa e da due giorni siamo qui a Milano. Siamo alcuni dei pochissimi sopravvissuti di quel barcone che si è ribaltato al largo, quello dove sono morte centinaia di persone. Ne hanno parlato i giornali italiani o si sono dimenticati come dei morti in Siria? Potevamo essere in Siria e vivere in pace. Potevamo non essere qui, dopo aver visto la morte in mare, ma nessuno a sostenuto la nostra rivoluzione!. Non vogliamo nè il regime, nè il fondamentalismo ma l’Occidente non lo capisce. Per Assad siamo tutti terroristi, anche i bambini che vedi qui”.
E’ sera. Arriva gente comune che lascia vestiti e coperte. Alcune associazioni arrivano e contano i profughi. Sono 40, i posti rimasti nei centri d’accoglienza del Comune (che ne ospita già più di 200) sono 18. Le famiglie con bambini sono 23. Si troverà qualche posto in più. Per tutti gli altri c’è  il freddo della stazione, un pasto caldo e qualche coperta.



La rivolta dei rifugiati, sei ore di guerriglia
Catania, sassaiola e scontri con la polizia. Letta all’Europa: niente compromessi al ribasso  
la Repubblica, 23-10-2013
MICHELA GIUFFRIDA
CATANIA — Stavolta è stata una rivolta. Con scene di guerriglia urbana, un assalto ad una stazione di servizio, automobilisti che per miracolo hanno scansato le sassate, blindati della polizia attaccati con bastoni e pezzi di guardrail divelti. Bilancio: un migrante arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, alcuni poliziotti contusi, la strada statale bloccata fino al primo pomeriggio e tanta paura e preoccupazione. Perché quella di ieri non è la prima protesta degli ospiti del Centro accoglienza richiedenti asilo di Mineo, in provincia di Catania. Ma mai era accaduto che la rabbia di chi, in molti casi anche da 8 mesi, aspetta ancora di essere valutato dalla commissione che dovrà attribuirgli lo status per il quale ha rischiato di morire, arrivasse a tanto.
La rivolta è scoppiata di prima mattina. Quando alcune centinaia di migranti hanno bloccato la Catania-Gela, disseminando l’asfalto di massi, bruciando copertoni, incendiando campagne, isolando, di fatto, il centro abitato.
Un gruppetto ha scagliato pietre contro un autobus di linea, un altro ha danneggiato un paio di blindati della polizia. Lacrimogeni e caroselli di auto, la risposta, mentre all’interno del centro un altro gruppo danneggiava una ambulanza e le strutture tanto da rendere necessaria l’evacuazione del personale interno. Rientrata la protesta, sei ore dopo, la sensazione è quella di una tregua.
«L’Europa ha smarrito la sua anima in balia di discussioni interminabili sulle procedure — dice invece il premier Enrico Letta alla Camera — serve invece solidarietà. Chiederemo al Consiglio europeo quattro impegni precisi e non accetteremo compromessi al ribasso: il dramma di Lampedusa è una questione europea; misure immediate per mettere in atto il programma di sorveglianza
Eurosur e rafforzare Frontex; un piano d’azione per la gestione dell’emergenza migratoria; dialogo con i Paesi del Mediterraneo ». Gli fa eco il ministro dell’Interno Angelino Alfano: «L’accoglienza degli immigrati è un punto fermo ma non possiamo tenerli tutti. Prima del futuro degli altri dobbiamo occuparci del futuro degli italiani». Intanto sull’Italia rischia di piovere una procedura
di infrazione da parte dell’Europa: «Non ha ancora recepito la direttiva europea contro il traffico di essere umani», ha anticipato a
RNews Maria Grazia Giammarino responsabile della “campagna contro la tratta umana” dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.
Gli sbarchi, nel frattempo, non si fermano. Ieri su un barcone con a bordo 250 migranti è nata una bimba. Si chiama Hammad, è siriana, e adesso si trova a Lampedusa, dove è stata accolta con i suoi genitori e i 4 fratelli. Gli uomini della Guardia Costiera, che ieri hanno contato almeno altri 600 migranti approdati in Sicilia, l’avevano chiamata — al momento di affidarla ai volontari — Marina.



Guerriglia al centro di accoglienza L’audio: sparate ad altezza uomo
Auto bloccate e sassaiole. La polizia usa i lacrimogeni
Corriere della sera, 23-10-2013
Felice Cavallaro
MINEO (Catania) — Lo chiamano il «Villaggio della solidarietà», ma non sono bastate le rivolte di giugno per far capire che non si possono stipare per mesi e mesi 4 mila migranti in stanzette dove ne entrano la metà. Così il centro Cara di Mineo, approdo di tanti disperati salvati a Lampedusa, diventa un inferno.
E, com’è accaduto ieri mattina, centinaia di extracomunitari, stanchi di attendere il riconoscimento dello status di rifugiati, spaccano i lucchetti, abbattono le cancellate, corrono per le campagne fra gli ulivi, le vigne, i muretti a secco fino alla statale Catania-Gela. Stavolta con una rabbia che trasforma la protesta in guerriglia. Fino all’incendio di attrezzature elettroniche dello stesso centro mischiate a materassi e suppellettili mentre perfino una ambulanza veniva distrutta, come parte del presidio della Croce Rossa.
Per un’intera giornata volano pietre contro gli automobilisti di passaggio, contro camion e autobus di linea. Mentre in un’area di servizio impiegati e clienti in coda per fare benzina si barricano negli uffici abbassando le saracinesche, terrorizzati. Con centinaia di agenti di polizia impegnati in una caccia ai rivoltosi. Caccia ripresa dalle telecamere che hanno inquadrato i poliziotti armati di fucili spara candelotti spianati contro nugoli di ragazzi di colore impegnati a brandire spranghe, a tirare pietre ovunque. Sequenze drammatiche puntellate dall’affannata voce fuori campo di un suggeritore rivolto agli agenti: «Sparate ad altezza d’uomo».
Segno devastante di una tensione che rischia ormai di provocare scontri dall’esito drammatico. Anche se ieri sera il bilancio ufficiale si è limitato a dieci contusi fra i poliziotti. Con tanti ospiti del Cara che si sono adoperati per sedare i migranti più turbolenti, decisi a scatenare l’inferno per dire no ai tempi lunghi per il riconoscimento di rifugiato politico e per chiedere di mettere all’opera delle commissioni governative sufficienti ed efficienti, visto che da settimane si esaminano 6 casi al giorno. Almeno questa è la voce rimbalzata attraverso i volontari che cercano di frenare anche una crescente insofferenza a Mineo e dintorni.
È il caso del camionista uscito dal bar dell’area di servizio dove si era rifugiato per un’ora, imbestialito: «Noi questi disperati li stiamo sfamando e loro si rivoltano contro. Al mio paese c’è gente che muore di fame. E loro mangiano a nostre spese...». Una rabbia che fa sussultare anche il titolare della pompa di benzina, Lorenzo Silva: «Ci siamo rintanati in ufficio, mentre loro rompevano tutto...». Anche i finestrini di un autobus di linea carico di passeggeri. Con l’autista che aveva preferito fermarsi per scansare pietre e massi lanciati sull’asfalto, ma subito dopo in fuga, impegnato in una gimcana fra uomini e mille ostacoli.
I lacrimogeni, sparati anche rasoterra, hanno finito per creare dei muri di nebbia, l’arretramento dei migranti, evitando scontri diretti, come constata e protesta il responsabile del Centro Cara, Sebastiano Maccarone: «Questi pazzi attaccano le strade, ormai. Sento Letta parlare di emergenza a Lampedusa, ma di Mineo non si occupa più nessuno e l’emergenza è qui».
È la stessa collera che si avverte nelle parole del sindaco di Mineo, Anna Aloisi, decisa a lanciare un appello al governo: «Non portateci più nessuno qui, finché Viminale e prefetture non saranno in condizione di garantire il rapido espletamento di tutte le pratiche». Poi l’invito ad avviare «immediatamente» i risarcimenti per i cittadini che hanno subito danni negli scontri: «Ci vuole anche il sostegno della Regione Siciliana, di fatto latitante...». Attacchi incrociati, mentre si spera che comunque nessuno spari ad altezza d’uomo.



Sbarcati in 250 a Siracusa; tra loro una bimba nata nel viaggio
Avvenire, 23-10-2013
Sono sbarcati al porto di Siracusa i 250 profughi soccorsi ieri sera su un barcone a 160 miglia dalle coste siciliane. Nel gruppo, per lo più composto da siriani, c'è anche una neonata partorita dalla madre sull'imbarcazione durante la traversata. La piccola e la puerpera sono state trasportate all'ospedale Umberto I di Siracusa. Qui è stata poi accompagnata anche un'altra donna in stato di gravidanza, arrivata con lo stesso natante.
Sono invece sbarcati poco dopo la mezzanotte a Portopalo 93 migranti tra cui iracheni, iraniani, siriani e
afghani, giunti sul litorale siracusano su un vecchio mercantile in ferro che si è arenato in contrada Morghella.
Sulla nave è salito a bordo un militare della Guardia costiera che l'ha condotta fino a Portopalo. Ci sono 59 uomini, 13 donne e 21 minori.



Rifugiati, l'intesa fra la Kyenge e il Policlinico Gemelli per i richiedenti asilo
Un protocollo d'intesa tra la Struttura di Missione per l'integrazione e l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. L'intervento della ministra Kyenge domani al Gemelli in occasione della conferenza "I percorsi di salute dei richiedenti asilo e rifugiati"
la Repubblica, 22-10-2013
ROMA - Se ne parla, ed è già qualcosa. L'accoglienza e il processo d'integrazione di immigrati e richiedenti asilo attivano differenti meccanismi istituzionali, non ultimo quello dell'assistenza sanitaria. Domani pomeriggio alle 15, al Policlinico Gemelli, la ministra per l'Integrazione, Cécile Kyenge interverrà alla conferenza I percorsi di salute dei richiedenti asilo e rifugiati. La conferenza è promossa dall'Università Cattolica del Sacro Cuore e dal Centro di Ricerca Universitario Health Human Care and Social Intercultural Assessments - H. E. R. A.,  con il patrocinio del  Ministero per l'Integrazione. Nel corso della conferenza, il Capo della Struttura di Missione del Ministro per l'Integrazione, Patrizia De Rose, firmerà un protocollo di intesa con il Rettore dell'Università Cattolica, Franco Anelli. Numerose le autorità che parteciperanno all'evento
Far emergere bisogni e vulmerabilità. Per la Kyenge. "L'aggravarsi della crisi economica mondiale - ha detto l'esponente del governo - ha un impatto forte anche sulla salute della popolazione. La presenza significativa dei migranti in Italia ha reso solo più evidente la necessità e l'urgenza di studiare le cause del disagio fisico e psichico delle persone a rischio di marginalità sociale. Credo che occuparsi dei migranti - ha aggiunto - ci permetterà di far emergere bisogni e vulnerabilità, che appartengono alla condizione di vasti strati della popolazione e di trovare risposte che possano essere valide per l'intera collettività".
Il film: "Non morire fino aprimavera". Nel corso della conferenza sarà proiettato in anteprima il documentario "Non morire fino a primavera" di Camilla Ruggiero, prodotto da Il Labirinto e Roma-Tre, Centro produzione audio visivi. Il documentario affronta il tema dei richiedenti asilo evidenziando in maniera chiara l'impatto che la  normativa vigente ha sulla loro vita.

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