Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

05 dicembre 2014

Immigrati, nuovo naufragio a sud di Lampedusa. Diciotto morti
La tragedia 150 miglia a sud di Lampedusa. 76 supersiti salvati dalla Marina militare
la Repubblica.it, 05-12-2014
PALERMO - I cadaveri di 18 immigrati sono stati recuperati da motovedette della Guardia costiera che, con l'intervento anche della nave "Etna" della Marina militare, hanno soccorso altri 76 profughi che viaggiavano su un gommone nel Canale di Sicilia, a 40 miglia a Nord di Tripoli e 150 miglia a Sud di Lampedusa. E' il primo naufragio da quando è iniziata l'operazione europea "Triton" ed è finita quella italiana "Mare nostrum". In zona proseguono le ricerche di eventuali dispersi. Le motovedette CP302 e CP309 sbarcheranno le salme a Porto Empedocle (Agrigento). Altre due imbarcazioni cariche di extracomunitari sono state assistite in queste ore da navi della Marina. La "Driade" ha prelevato 100 persone e la "Cigala Fulgosi" altre 102.



Migranti, 17 morti su un gommone
Avvenire, 05-12-2014
Ennesima tragedia del mare vicino alle coste italiane: diciassette migranti che erano a bordo di un gommone in navigazione dalla Libia verso l'Italia sono morti. Probabili cause, viste le condizioni disperate del viaggio, sono state la disidratazione e l'ipotermia. I cadaveri sono stati individuati dagli equipaggi di alcuni mezzi di soccorso che hanno raggiunto il gommone ad oltre centro miglia a sud di Lampedusa. È la prima sciagura dall'inizio dell'operazione Triton.
Con l'aiuto della nave "Etna" della Marina militare, sono stati soccorsi altri 76 profughi, a 40 miglia a Nord di Tripoli e 150 miglia a Sud di Lampedusa.
Intanto in zona proseguono le ricerche di eventuali dispersi. Le motovedette porteranno le salme a Porto Empedocle (Agrigento). Altre due imbarcazioni cariche di migranti sono state assistite in queste ore da navi della Marina. La "Driade" ha prelevato 100 persone e la "Cigala Fulgosi" altre 102.



"Mare Nostrum non c'è più". Ma ci costa 3 milioni al mese
Alfano: "Non capisco perché non si dica che ora ci sono le navi europee". Peccato che i mezzi di Triton abbiano salvato solo 1.600 profughi su 8mila
il Giornale, 05-12-2014
Fausto Biloslavo
«Mare Nostrum non c'è più» sottolinea ad ogni intervista il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, sostituito dalla missione europea Triton, ma in realtà sono ancora le nostre navi a recuperare una bella fetta dei clandestini in mare.
Dal primo novembre abbiamo soccorso circa 3.000 persone in gran parte partite dalla Libia. Navi mercantili, le motovedette italiane, maltesi e la mini flotta Ue altri 5mila, ma solo le navi di Triton appena 1.600.
L'ultimo comunicato del primo dicembre annunciava che sono arrivati a Pozzallo «97 migranti salvati dalla Guardia Costiera». Dal gommone, che rischiava di affondare a 42 miglia a nord di Tripoli, hanno telefonato con un satellitare per lanciare l'Sos.
La missione Mare Nostrum si è conclusa formalmente il 31 ottobre. Ed è intervenuta l'Europa con poche e in maggioranza piccole navi, in un'operazione coordinata da Frontex. Meglio che niente, ma Gil Arias Fernandez, responsabile dell'agenzia, ha ribadito più volte «che la Ue non si sostituisce agli Stati membri (l'Italia), ma garantisce solo appoggio». Alfano invece cantava vittoria in un recente intervento su Repubblica tv : «Mi dispiace molto che si parli ancora di Mare nostrum e non si dica, invece, che con Triton abbiamo ottenuto un risultato importantissimo in Europa: e cioè che l'Unione europea mettesse personale, mezzi, elicotteri nel Mediterraneo». In tutto i famosi mezzi europei sono 25 in diversi turni e solo in emergenza la missione si estende oltre le 30 miglia da Lampedusa. E per di più «dei due pattugliatori più grandi uno è portoghese e l'altro italiano - spiega una fonte della Difesa - Molti dei mezzi navali più piccoli sono della Guardia di Finanza o della Capitaneria di Porto».
In pratica il grosso del lavoro in mare continuiamo a farlo noi. Il 18 novembre i 600 migranti a bordo di un mercantile in avaria, vengono avvistati da un elicottero della Marina militare. Il pattugliatore Vega, che fa parte dello schieramento Triton, li soccorre portandoli tutti ad Augusta.
Il 17 novembre era toccato al pattugliatore portoghese Viana do Castelo salvare 204 migranti, ma sono stati subito trasferiti sulla nostra nave anfibia San Giorgio. Il comunicato nr.208 della Marina aggiunge che il San Giorgio «ha imbarcato anche i migranti soccorsi dai pattugliatori Sirio, Libra e Orione con il concorso delle motovedette 319, 309 e 290 delle Capitanerie di Porto per un totale di 864 tra uomini e donne». Nelle stesse ore il pattugliatore Borsini ha soccorso un gommone con 102 persone e l'Orione con la Corvetta Driade sono riusciti a salvare altri 387 migranti.
Il ministro dell'Interno con Repubblica tv ha pure sostenuto che «Mare nostrum è costata 114 milioni in un anno. Triton, invece, non costerà nulla all'Italia, perché sarà pagata dall'Europa». L'Italia, però, continua a mantenere un terzo della flotta sul fronte dell'immigrazione spendendo 3,5 milioni di euro ogni mese.
I nodi verranno definitivamente al pettine il primo gennaio, quando scade questa specie di «prolungamento» di Mare Nostrum previsto fino a al 31 dicembre in appoggio a Triton. Poi l'Europa, che schiera diversi mezzi navali italiani, dovrebbe arrangiarsi da sola «perché non c'è più la copertura economica - spiega una fonte autorevole - Anche se continueremo a vigilare sul Mediterraneo e non abbandoneremo gente in mare». Il rischio è che l'operazione di Frontex sia un palliativo nei confronti dell'impegno italiano. «Triton fa comodo, ma non è la missione ottimale - ammette la fonte della Difesa - Bisogna risolvere il problema a monte con un intervento in Libia. Fino a poco tempo fa c'era qualche clan che speculava, ma adesso si rischia che il business del traffico di uomini finisca nelle mani dei terroristi finanziando chi sventola la bandiera nera del Califfato alle porte di casa nostra».


 


Quel lavoro (meritato) negato alla rom  Chi fa la guerra ai poveri ha sempre torto
Avvenire, 05-12-2014
Marco Tarquinio
Caro direttore,
a Roma da tre anni la Comunità di Sant’Egidio, la Caritas e Migrantes hanno organizzato con l’aiuto del cardinale vicario, un corso di sartoria per alcune donne rom. La decisione nasceva con uno scopo chiaro: aiutare quelle che gli esperti definiscono “vittime di discriminazione multipla” e noi riteniamo “le più deboli tra le escluse”. Il corso è andato molto bene, in parte al di là delle previsioni di alcuni. Ha raccolto donne molto diverse tra loro, per provenienza, religione ed età ed è stato un momento di confronto e soprattutto di formazione importante. Al termine di questi anni siamo arrivati con le prime tre partecipanti a un punto fondamentale: quello di trasformare la formazione in ricerca di lavoro. Ieri è accaduto qualcosa di particolarmente significativo nel percorso di questo progetto e anche di illuminante per comprendere il rapporto tra i rom e “noi”. Nei giorni scorsi infatti una delle partecipanti, tra le migliori, è stata accompagnata a fare un colloquio di lavoro (le donne rom hanno sempre bisogno di essere “presentate“). Avevamo dalla nostra un punto di forza: abbiamo trovato fondi perché l’inserimento potesse arrivare con una borsa lavoro. Cioè, chi assume non deve sborsare un soldo pur godendo del lavoro. Il colloquio è andato bene, la donna ha fatto una buona impressione e pur non sapendo usare macchine industriali, ha mostrato abilità sufficienti.
Poi, però, è giunta una telefonata: con grande imbarazzo il responsabile del negozio ci ha spiegato che non voleva assumere quella donna. Nonostante lunghi giri di parole il problema di fondo era semplicemente uno: è una “zingara”. Messo in imbarazzo dalle nostre risposte, il titolare ha anche affermato a un certo punto: “Peraltro credo non sia neanche deontologicamente corretto il fatto che in un primo momento (al telefono prima del colloquio) non mi abbiate detto che lei era rom”. L’interlocutore ha risposto secco: allora se un ebreo fa un colloquio di lavoro lei ritiene che debba riferirle prima di presentarsi di appartenere a quella confessione religiosa? “No, ma che c’entra, lei non è ebrea…”. È stata la risposta imbarazzata. Ho cercato il sito dell’impresa: alla voce “chi siamo” si legge anche, “forte sensibilità per il sociale”.
Ok, nell’immaginario collettivo sono tutti ladri, sporchi, violenti; ma lei no, sicuramente no: che c’entra? Mi domando: se non trova lavoro una donna rom regolare, che si presenta bene, formata, presentata, che non ha costi per il datore di lavoro, chi mai potrà trovar lavoro? Solo le poche che continueranno (e riusciranno) a nascondere la propria appartenenza o quelle impiegate “nell’economia del ghetto” (cioè nei progetti che ruotano intorno ai rom). Da tanti anni ho molti rom per amici, e quindi non sono nuovo a certe cose, ma questa sconfitta è particolarmente bruciante. Come quando con fatica riusciamo a iscrivere bambini rom a scuola e vediamo genitori “autoctoni” lamentarsi. Ma come: non “devono mandare a scuola i loro figli!”? Poi accendo il computer e vedo che il governatore della Toscana Enrico Rossi è ricoperto di insulti sui social perché ha osato pubblicare una foto sua insieme a dei rom definendoli suoi amici e suoi vicini di casa. Poi sfoglio alcune pagine e leggo che un deputato, ex ministro della Difesa, definisce i rom “ladri per natura”, esattamente come i “medici” nazisti.
Torno a casa e nel mettere a letto le mie figlie penso a come costruire un mondo migliore per loro. Da giorni, ogni volta che accendiamo la tv vedono ovunque talkshow definire gli “zingari” come ladri di bambini e causa di ogni male per le nostra città. Niente di strano si potrebbe pensare. Ma non per loro: hanno una tata rom da quando sono nate. “Perché papà?”. Ieri, ho raccontato loro la storia di Rosa Parks, del cui gesto eroico ricorreva il 59° anniversario. Parks era sarta, come vorrebbe essere la mia amica rifiutata perché romnì. L’antigitanismo va estirpato come ogni razzismo, altrimenti la nostra città, il nostro Paese e l’Europa intera non saranno mai pienamente civili.
Paolo Ciani, Comunità di Sant’Egidio
Sottoscrivo parola per parola, caro Ciani. Parola per parola, davvero. Perché queste sono parole che aiutano a ragionare, a “vedere” le persone e a vivere insieme e non «parole che possono uccidere» (come quelle frutto dei pregiudizi e dei meccanismi mentali che denunciamo della campagna di comunicazione sostenuta da noi di “Avvenire” assieme a “Famiglia Cristiana” e ai settimanali della Fisc). E continuo a chiedermi come si faccia a non capire quanto insensata e autolesionista all’interno di una comunità civile sia la tendenza, e persino la pretesa, di tenere fuori dalle porte delle proprie scuole e dei propri luoghi di lavoro (qualcuno vorrebbe anche lontano dalle chiese...) ragazzi e ragazze, uomini e donne non per ciò che sono e che credono, ma a causa della “categoria” in cui vengono incasellati e, cioè, a motivo della stirpe a cui appartengono, della pelle che portano, delle tradizioni in cui hanno radici. Ma che cosa più dello studio e del lavoro comune consolida le basi della cultura comune di un popolo, valorizza e integra le diversità, costruisce – anche pragmaticamente – la possibilità e la fecondità di una civile convivenza? Che cosa più di tutto questo aiuta ad aprire gli occhi – e non lo dico per maniera, ma per esperienza – su ciò che è davvero “storto” anche nella vita delle comunità rom, consentendo a ogni persona che vuol camminare sulla strada diritta di non essere ricacciata indietro? Credo anche io, caro amico, che l’antigitanismo sia una questione gravissima, e che il lavoro per «estirparlo» meriti un impegno pieno di passione, di senso della giustizia e di amore della verità. Un lavoro urgente, perché vedo un serio rischio di regressione. Infatti, ogni volta che nelle società umane si sperimentano impoverimenti (come quelli che toccano anche a noi italiani, in questa dura stagione della nostra vicenda nazionale) si finisce per innescare guerre tra poveri  e per far la guerra ai poveri. E se le prime armi di battaglia stanno, appunto, nella testa e sulla bocca di tanti, i “no” al bene possibile – come il “no” al lavoro preparato e meritato da una giovane donna rom – sono delle vere bombe atomiche. Fanno del male subito e poi, in modo divorante, continuano farlo nel tempo. Fare la guerra ai poveri è la cattiveria più facile e più grande. E, qualunque ragione accampi, chi fa la guerra ai poveri ha sempre torto.



Fatture gonfiate e acquisto di terreni La grande torta dei campi nomadi
Così la cooperativa “29 giugno” lucrava sulla gestione degli spazi per i rom
La Stampa, 05-12-2014
Grazia Longo
Quando si dice la scuola del carcere. È proprio dietro le sbarre che Salvatore Buzzi - 59 anni, condannato a 24 anni per omicidio del suo ex socio impiegato di banca che gli riciclava assegni rubati - s’inventa imprenditore per gestire i campi nomadi. Nell’85 - uscirà dalla prigione nel ’91 - crea la cooperativa «29 Giugno» (nome che deriva da una rappresentazione teatrale proprio in quel giorno), coinvolgendo ex detenuti, che fa parte del consorzio Eriches. Una onlus che controlla direttamente tredici cooperative e che - al 31 dicembre 2013, quando si focalizza l’analisi dei carabinieri del Ros - ha un fatturato di 51 milioni di euro e 1200 dipendenti. Con un passato di vicinanza all’estrema sinistra, Buzzi non ha esitato un momento ad allearsi con il Nero Massimo Carminati per macinare milioni di euro attraverso gare d’appalto truccate e fatture gonfiate.
Fiore all’occhiello della gestione criminale dei campi rom è quello a Castel Romano. Ospita 1400 nomadi e dà lavoro a 986 dipendenti di cui il 32% «lavoratori svantaggiati». In altre parole ex detenuti, tra cui anche nomi noti come Pino Pelosi (riconosciuto con sentenza definitiva il colpevole dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini) e il boss Luciano Casamonica, utilizzato come «mediatore culturale» in virtù dei suoi legami con le etnie italo-rom.
Il campo rom ovviamente non risente dell’inchiesta e continua ad essere attivo. Lo stesso vale per la cooperativa «29 giugno», posta sotto sequestro e già affidata ad un amministratore giudiziario.
Impeccabile e collaudata la macchina del crimine messa in piedi da Buzzi, braccio operativo di Carminati, svelata dai carabinieri del Ros di Roma, guidati dal colonnello Stefano Russo. Il giro d’affari intorno a Castel Romano viaggia su due binari. Il primo è relativo alle fatture gonfiate in modo che da un iniziale investimento di 1 milione e 200 mila euro - versati a metà da Buzzi e Carminati - il guadagno finale per la gestione del campo inizialmente raddoppia e poi sfiora i 5 milioni di euro.
Il 24 maggio 2012 la giunta Alemanno deliberò «l’affidamento del servizio di gestione del campo nomadi per un importo di 2.900.000 euro iva inclusa». Ma a questo si deve aggiungere la «variazione di bilancio fatta appositamente per favorire Buzzi: vennero stornati 5 milioni di euro dal capitolo assistenza minori in favore del campo rom». Un regalo all’amico Buzzi, e nel timore di eventuali vendette del killer della Magliana Carminati. Come si evince da un’intercettazione del segretario di Alemanno, Lucarelli (indagato anche lui per associazione mafiosa) che al presidente della quinta commissione Scozzava, dopo l’approvazione della variazione di bilancio confida: «Meno male che è finita bene, sennò chissà come andava a finire». Un’altra registrazione dell’orecchio investigativo spiega invece il ruolo di Carminati per garantire l’appalto a Salvatore Buzzi: «Perché a me ’na grande mano me l’ha data… per quel campo nomadi me l’ha data Massimo perché un milione e due, seicento per uno, chi cazzo ce l’ha un milione e due… cash? [...] le opere di urbanizzazione, d’impresa che poi… ce siamo divisi chi pagava chi. Io me so’ preso le casette mobili, le commissioni… e lui s’è preso tutta la costruzione del campo».
Ma non finisce qui. Non pago della gestione del campo rom - inaugurato nel novembre 2012 con tanto di strette di mano e sorrisi ai fotografi da parte dell’allora sindaco Alemanno - Buzzi tramite un’agenzia immobiliare a lui riconducibile acquista i terreni intorno al campo rom iniziale. Così incassa pure l’affitto del terreno da parte del Comune.
E al capitolo campo rom, si aggiunge quello per «la somministrazione dei pasti al centro profughi». Sempre con Carminati che dice: «... calcola che stiamo parlando di pasti intorno ai due euro e mezzo al giorno, eh, il pasto. Quindi calcola che una persona sono sette, sette e venti, sette e trenta più, però su mezzo... ogni pasto finisce che lui se prende otto e trenta, cioè è un bel ..alla fine sembra una cazzata ma alla fine quando fai grandi numeri so’ soldi eh!».



Il business dell’accoglienza
“Noi fatturiamo 40 milioni l’anno” Il clan si arricchiva su profughi e rom
“In sei mesi famo doppietta”, prometteva Carminati a imprenditori interessati a “fare affari” con l’immigrazione
Così, tra false fatturazioni, insediamenti abusivi e corruzione, guadagnavano “più che con la droga”
la Repubblica, 05-14-2014
Fabio Tonacci e Maria Elena Vincenzi
ROMA Quello che per l’Italia è emergenza, per Mafia Capitale è business. «In sei mesi famo doppietta », prometteva il “guercio” Carminati agli imprenditori, ingolositi dall’idea di guadagnare il doppio di quanto investivano nell’affare dell’accoglienza dei profughi e dei campi rom. «Abbiamo chiuso con 40 milioni di fatturato, gli utili li facciamo sugli zingari, sull’emergenza abitativa e sugli immigrati», calcolava l’anno scorso Salvatore Buzzi, l’uomo delle cooperative sociali. Quel «fruttano più della droga» captato dalle cimici del Ros, poi, ne era il logico corollario. Eccolo il sacco di Roma, è cominciato così. Lucrando sui posti e sugli spazi che la città non aveva, prima che intervenisse la mano “amica” di Luca Odevaine.
117MILA EURO ALLA FAMIGLIA ODEVAINE
Oggi i profughi e i richiedenti accolti a Roma sono 2.581, nel 2014 costeranno allo Stato circa 35 milioni di euro più altri 7 messi dal Campidoglio. Metà di questa torta è stata, fino al giorno degli arresti, roba loro. Anche e soprattutto grazie al lavoro che Odevaine, ex segretario di Walter Veltroni, ha fatto con il Viminale, lui che, da ex capo della polizia provinciale, sedeva nel Tavolo di coordinamento nazionale per l’accoglienza dei rifugiati. «I posti Sprar che si destinano ai comuni — spiega Odevaine al suo commercialista il 27 marzo scorso — fanno riferimento a una tabella, tanti abitanti tanti posti... Per quella norma a Roma toccherebbero 250 posti.... Un mio intervento al Ministero ha fatto in modo che fosse portato a 2.500». Aggiungendo un dettaglio che dettaglio non è. « Loro... secondo me ce n’hanno almeno un migliaio».
Loro sono Carminati e Buzzi e il “disturbo” di Odevaine si paga. Sul libro nero della contabilità parallela di quella che i pm definiscono Mafia Capitale, risulta percepire uno “stipendio”. «Cazzo gli diamo 5mila euro al mese da tre anni! — si sfoga Buzzi con sua moglie Alessandra in un’intercettazione — c’abbiamo gli appartamenti affittati alla moglie, che paghiamo il figlio e i soldi se li piglia lui! Ma dai...». E infatti, annota il gip nell’ordinanza, la “Eriches 29 giugno”, la capogruppo del consorzio di cui Buzzi è amministratore, «versa sui conti della moglie e del figlio di Odevaine una somma pari a 117.200 euro, senza una plausibile giustificazione economica ». E con false fatturazioni.
OCCUPAZIONI IN PERIFERIA
Ottenuti i profughi, il compagno B. e il “guercio” devono trovare dei campi e delle strutture, e farsi dare poi gli appalti per la gestione. Si attrezzano soprattutto per organizzare Misna, cioè quelli per minori stranieri non accompagnati, perché da tariffario del Viminale, un adulto costa allo Stato “solo” 35 euro, un minorenne invece 91 euro. Più bambini, più soldi. Buzzi arriva addirittura a organizzare un’occupazione abusiva. «Ha individuato un edificio disabitato nella disponibilità del comune di Roma da occupare in via del Frantoio — scrive il gip — risulta essere stata progettata per trasferirvi un numero imprecisato di minori (a partire dal 19 febbraio 2013 saranno circa 230, ndr), previo interessamento del presidente del V Municipio affinché dopo l’occupazione non si sarebbe proceduto allo sgombero». Carminati intuisce subito dove andare a parare. «Al mese c’hai due o tre sacchi di guadagno... capito? Stiamo a parlà deinte-ressi al 40 per cento», dice a uno degli imprenditori collusi, Giuseppe Ietto, “l’ingegnere”, per i sodali di Carminati.
I PASTI PRECOTTI
La galassia di cooperative di Buzzi ottiene, grazie all’intercessione di Odevaine, la gestione dei centri per minori di Anguillara Sabazia (fino al 22 febbraio 2013, poi è stato chiuso dal sindaco per inagibilità dei locali), di via del Frantoio, di via Silicella (dal giugno 2013 in poi, 600 posti), di via Maremmana. Altri due nei comuni di Ciampino e Licenza, fuori Roma. Buzzi lavora anche per organizzare la cucina del carcere femminile di Rebibbia. Appalti su cui i carabinieri del Ros e i finanzieri del nucleo di polizia di tributaria di Roma stanno ancora indagando. Anche perché i pasti in queste strutture, (16.240 al mese solo per quello di via del Frantoio), li prepara sempre, o quasi, un’a- zienda: la Unibar di Giuseppe Ietto, uno degli imprenditori collusi con la Mafia Capitale finiti nell’inchiesta. «Un ragazzo nostro», lo definisce Carminati che gli ha anche fatto assumere sua sorella, Micaela Anna Maria. È proprio il “guercio” a spiegargli il “giochino” per fare di un’emergenza umanitaria, un bancomat per la banda. «Loro (l’amministrazione pubblica, ndr) sono disposti a pagare il pasto 7 euro per dire, invece di 5 o 4... lì devi avere dei margini da spavento». E poi: «Lo so sembra una cazzata ma alla fine quando fai i grandi numeri so’ soldi eh!».
IL CAMPO DI BUZZI
Chi lavora con Carminati, però, sa che il 20 per cento di quello che guadagna sulla piazza di Roma, finirà a lui.
Oltre a Ietto, tra i collusi c’è Agostino Gaglianone, che ha un’azienda di movimento terra, la Imeg. Nelle carte dell’inchiesta i magistrati annotano anche l’esecuzione del parco giochi per bambini fatta dalla Imeg nel terreno di Marco Staffoli, marito di Rosella Sensi, ex presidente della A. S. Roma. È a Gaglianone che la banda affida l’ampliamento e la manutenzione dei fabbricati mobili del grande campo rom di Castel Romano gestito dalla Eriches 29, il più grande della città (989 nomadi, 5 milioni di euro di fondi ricevuti solo nel 2013). L’uomo è «a disposizione », non muove un passo che il guercio non voglia. Nelle cucine, invece, mettono come al solito la Unibar. «Io me so’ prefisso, me deve fa 500mila all’anno », dice Ietto alla moglie. 500mila euro di guadagno, meno i 100.000 per il boss.
Era Carminati a gestire personalmente «la faccenda degli zingari», con la complicità di funzionari del Campidoglio. Il suo gancio era Emanuela Salvatori, responsabile del Coordinamento amministrativo per l’attuazione del piano nomadi. Una figura centrale da avvicinare per mettere le mani sul business e da remunerare facendo assumere la figlia della donna, Chiara Derla, in una delle aziende nelle mani della Mafia Capitale.



La Svezia in crisi si scopre meno tollerante
Corriere della sera, 05-12-2014
Luigi Offeddu
«Sarà un referendum contro l’islamismo»: così hanno annunciato loro, parlando del voto anticipato fissato per il 22 marzo. Loro, cioè i Democratici Svedesi, terzo partito del Paese europeo che accoglie più immigrati extracomunitari: 80 mila permessi di residenza attesi solo per il 2015, e solo per i profughi siriani. Hanno ragione, i Democratici Svedesi, 12,9% dei voti, autori di uno sgambetto sul bilancio che ha appena ribaltato il governo pro europeista, e giudicati in gran crescita da tutti i sondaggi: quello del 22 marzo sarà un referendum, e non solo svedese perché avrà riflessi per tutta l’Europa. La Svezia è un simbolo: di tolleranza per gli uni, di anarchia per gli altri. «L’islamismo è il nazismo e il comunismo dei nostri tempi, deve essere affrontato con disgusto», ha affermato mesi fa il leader del partito Jimmie Akesson, 35 anni (foto), ora scomparso da Tv e comizi perché vittima — fonte ufficiale — di «un forte esaurimento».
I Democratici Svedesi hanno un paio di eurodeputati, al fianco dell’antieuropeista Nigel Farage. Ma soprattutto, hanno un amore dichiarato per il Fronte Nazionale di Marine Le Pen. Lei prende 9 milioni di euro da Putin, ci sono voci che accada anche con altri partiti antieuropeisti. Nel frattempo, il malessere cresce: i giovani musulmani spesso in rivolta nella banlieu parigina ricordano i coetanei che si battevano, nel 2013, nelle periferie di Stoccolma. Ma un dramma sociale così, in qualunque Paese, non può essere solo bianco o nero. L’America lo affronta da 80 anni, e ancora non l’ha risolto: imparare la convivenza richiede decenni, e molto cervello oltre che cuore. I Democratici Svedesi credono nella soluzione zero: giù la serranda, e basta. Però l’Ue non ha serrande a sufficienza, né vuole averle. Allora via dall’Ue la Svezia, una delle più antiche democrazie europee? E via da Stoccolma i turchi, i curdi, i marocchini con i loro taxi e ristoranti, con la loro cultura? Può darsi, ma forse non era questo che sognavano Robert Schuman o Altiero Spinelli.

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