Cittadinanza ai diciottenni, comuni attivi Roma non c’è

Italia-razzismo
È cominciata un anno fa la campagna «18 anni in Comune» promossa da Anci, Save the Children e Rete G2. Si tratta di un’iniziativa volta a sollecitare i sindaci affinché inviino una lettera alle persone straniere nate sul territorio comunale e iscritte al registro anagrafico di riferimento perché sappiano che al compimento dei 18 anni, e fino che non ne abbiano compiuti 19, possono richiedere la cittadinanza italiana. È l’unica possibilità di presentare questo tipo di domanda in virtù dello ius solii, anche se si tratta di un’applicazione di questo diritto sempre moderata.

Sono stati oltre 300 i Comuni aderenti e che si sono fatti portavoce di questa importante possibilità. Nell’elenco dei lodevoli non c’è, però, il Comune di Roma. Un assente ingiustificato dal momento che la presenza straniera in quella città è davvero cospicua. La campagna è comunque ancora in atto e questo fa ben sperare che si tratti solo di una dimenticanza.
La scadenza di questa iniziativa non è stata definita perché l’obiettivo è quello di arrivare alla modifica dell’attuale legge sulla cittadinanza, la numero 91 del 1992. Una normativa che non riesce a rispondere all’attuale composizione della società italiana e che avrebbe potuto essere più lungimirante dal momento che il fenomeno dell’immigrazione straniera nel nostro Paese era già visibile e poteva essere già allora meglio compreso e analizzato. Certo, si trattava di numeri molto diversi da quelli odierni (nei primi anni 90 la presenza di stranieri non raggiungeva il milione di persone), ma non per questo si doveva ignorare il futuro mutamento sociale e demografico. Il tema della cittadinanza è strettamente legato a quello del diritto di voto: possono votare alle elezioni governative solo le persone provviste di cittadinanza e, alle amministrative, i cittadini e i comunitari. Quest’ultimi però si devono prima iscrivere in un’apposita lista. L’anno scorso, nell’ambito della campagna L’Italia sono anch’io,  erano state raccolte le firme a sostegno di una proposta di legge che avrebbe esteso il diritto di voto amministrativo a tutte le persone straniere in Italia dopo 5 anni di residenza. Un’idea questa in linea con la Francia, il Regno Unito e la Germania. E la condivisione della linea europea è quello che ci si augura anche sul fronte della cittadinanza. In Germania, per esempio, basta che uno dei due genitori viva legalmente sul territorio da 8 anni per concedere, dalla nascita, la cittadinanza al figlio; in Irlanda ne bastano tre; in Belgio è automatica al compimento dei 18 anni oppure, se i genitori sono residenti da almeno 10 anni, il figlio diventa cittadino entro un anno;  chi nasce e cresce in Francia ha l’obbligo al compimento di 18 anni di prendere la cittadinanza. In Spagna, invece, si acquisisce la cittadinanza per nascita da madre o padre spagnolo, oppure per nascita sul territorio anche da cittadini stranieri se almeno uno di essi è nato in Spagna. L’Italia da questo punto di vista ha posizioni più rigide e sarebbe auspicabile che si avvicinasse al modello americano dove chi nasce sul territorio è cittadino.
Senza se e senza ma.
l'Unità, 22-11-2012

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