Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 maggio 2014

Il calvario infinito dei bimbi africani nelle scuole trasformate in dormitori
Ad Augusta giacigli di fortuna tra i banchi. I volontari: "Un`emergenza dimenticata"
La Stampa, 22-05-14
Silvia Giralucci
E' ora di cena nella scuola primaria di via Dessiè, ad Augusta, enorme porto commerciale in provincia di Siracusa.
Dalla guardiola del bidello, esce-un volontario della Protezione civile con la casacca gialla fosforescente: in mano ha una bacinella carica di scatolette di lasagne. Attorno decine di ragazzi scuri, alcuni scurissimi, una babele di lingue e di razze che si accalcano per le nostre lasagne. La maggioranza sono teenager, ma ci sono anche bambini di 11-12 anni. Probabilmente
anche diversi «finti» minorenni.
Non è un centro di accoglienza accreditato, non è neppure un centro di accoglienza. Nelle classi con gli abbecedari alle pareti ci sono le brande per dormire. I disegni dei bambini sono appesi accanto ai vestiti dei migranti. Si mangia seduti sulle coperte appoggiando il cibo sulla seggiola delle elementari. Fuori da ogni norma, quando la norma non c`è.
Dall`inizio dell`operazione Mare Nostrum la Marina Militare - le cui enormi navi non possono attraccare ovunque - ha fatto sbarcare ad Augusta 52 carichi di migranti, oltre 24 mila persone, tra le quali 2.400 bambini o ragazzini. La legge prevede che i «minori non accompagnati» vengano affidati ai Servizi Sociali del Comune in cui vengono trovati. Di certo nessuno poteva immaginare che un Comune in dissesto finanziario come Augusta, guidato da un commissario prefettizio perché l`amministrazione
è stata sciolta più di un anno fa per infiltrazioni mafiose si trovasse a gestire questa enormità di minori non accompagnati.
«L`unica soluzione che possiamo adottare - spiega il commissario prefettizio Maria Carmela Librizzi - è quella che si usa nel caso delle calamità: scuole e palestre per far in qualche modo dormire questi ragazzi evitando che rimangano al porto per mesi. Perché nessuno, proprio nessuno li vuole».
Nelle aule della scuola di via Dessiè ce ne sono 160. Ne sono arrivati di 40 etnie diverse. Al momento ci sono soprattutto ragazzi siriani, del Ghana, del Gambia e del Bangladesh. Di loro si occupano i volontari della Protezione civile di Augusta, ricevono ogni giorno le visite dei mediatori culturali, ma pare che non abbiano mai visto una donna bianca: «Perché siamo qui? Ci hanno detto che ci portavano a scuola. E siamo in una scuola, ma non ci insegnano niente, non facciamo niente tutto il giorno!».
Nella scuola di via Dessiè, Yerry, 16 anni, è il più intraprendente. E` partito dal Gambia a fine gennaio ed è ad Augusta da un mese. Fa la guida per la scuola. Ti mostra che è pulita, perché qui vige il principio che prima riordini e poi mangi, e poi chiede: «Portami conte, a casa tua. Voglio solo stare con una famiglia italiana e andare a scuola. Education is important».
Ibraihim ha 13 anni e parla un inglese quasi incomprensibile. Mostra i vestiti, si alza la maglietta, si tocca i pantaloni.
Traducono i compagni di stanza: è qui da 15 giorni, è arrivato che non aveva nulla e non ha abiti per cambiarsi. Solo la maglietta blu e jeans che gli hanno dato i volontari allo sbarco. Con Wheed 17 anni del Pakistan e Mamun, 16, del Bangladesh il dialogo è una triangolazione tra arabo e inglese.
Sono tutte diverse e tutte simili queste storie, se non c`è posto per farsi carico di ogni dramma. Il Comune
di Augusta può fare proprio poco per  centro di prima accoglienza questi ragazzi. Le palestre sono un doppio problema: i ragazzi mangiano e dormono sulle loro brandine nel campo da gioco sotto gli spalti tutti assieme.  I ragazzi di Augusta hanno perso le uniche due strutture che avevano per fare sport al coperto.
Man mano che si liberano letti, i ragazzi vengono spostati in strutture di prima accoglienza. Trenta ragazzi di Gambia, Mali e Senegal possono lasciare la palestra del Palajonio per il centro Papa Francesco di Priolo Gargallo, pbchi chilometri da Augusta. Salgono su un pulmino con le ciabatte ai piedi e un sacchetto della spesa che contiene tutte le loro cose. All`arrivo, prima dell`assegnazione della stanza, c`è la seconda identificazione. E foto per il tesserino con un cartello con la data dello sbarco. «In questo centro - racconta il responsabile Daniele Carrozza - dovrebbero stare un massimo di 72 ore, e invece ci stanno dei mesi». Perché per i minori non accompagnati nessuno paga e quindi nessuno li vuole. «E` un`emergenza - afferma Carrozza - che il governo non sta proprio gestendo.
C`è una palese differenza tra il trattamento per i migranti adulti o minori accompagnati da genitori per i quali il ministero
dell`Interno stanzia 35 euro al giorno, e i minori stranieri non accompagnati che sono di competenza del ministero del Welfare e per i quali vengono stanziati 20 euro al giorno per ragazzo. In teoria  Regioni e Comuni dovrebbero integrare questa cifra, ma è  chiaro che nessuno vuole farsene carico. E` una sperequazione seria e grave».
Con i 20 euro al giorno un un centro di prima accoglienza può garantire cibo, un letto, e  qualche genere di prima necessità. Già le visite mediche  per chi sta male sono un problema. «Ma come facciamo a non farle?». Tra i 30 arrivati dal Palajonio c`è un ragazzo  con una grande escrescenza  su un orecchio.  Dice che gli è venuta qualche mese fa e sta crescendo. Si può negare una visita dermatologica perché i venti euro non bastano?  Le storie che raccoglie la psicologa di Terre del Hommes che si occupa di loro sono terribili. «Un ragazzino di 16 anni - ricorda Carrozza - è stato 18 giorni in ospedale con una rabdomiolisi. Abbiamo scoperto che quella malattia era un conseguenza delle 50 elettrocuzioni che gli avevano fatto in una prigione libica, prima dr attraversare il canale di Sicilia». Alcuni ragazzi giocano a calcio nel cortile, altri dormono o stanno seduti sul letto tutto il giorno. «Perché la gente per strada quando ci vede scappa?» chiede uno dei ragazzini della scuola di via Dessiè. Paura di questi adolescenti vestiti con gli abiti smessi dai nostri figli? O piuttosto la difficoltà di guardare? Di farsi carico di un problema? L`Europa non aiuta abbastanza l`Italia nell`accoglienza dei disperati che attraversano il Canale di Sicilia, ma forse anche l`Italia non aiuta abbastanza le varie Augusta, Pozzallo, Porto Empedocle che si trovano sole nell`emergenza.
Questa mattina al porto di Augusta ci saranno altre due navi della Marina Militare, la Grecale e la Foscari. A bordo ci sono altri 500 migranti, tra i quali un centinaio di bambini piccoli e mamme



Quelle famiglie ritrovate in mezzo al Mediterraneo
La spola sui gommoni per riunire padri e figli
La Stampa, 22-05-14
LAURA ANELLO
PALERMO- Quando li hanno visti arrivare sul gommone, quasi si precipitavano dal ponte per la felicità. Mohammed e Ahmed, i due bambini siriani di dieci anni portati a bordo della Grecale, hanno potuto così riabbracciare i padri salvati dall`altra nave, la Foscari. Abbracci, pianti, grida di felicità. «Mi sono commosso anch`io, anche se ne ho viste tante. Le madri? Non ho osato chiedere», racconta il comandante della Grecale, Stefano Frumento.
Sono stati loro, Mohammed e Ahmed, i protagonisti del primo dei ricongiungimenti familiari fatti tra la fregata e il
pattugliatore della Marina militare che hanno salvato i due barconi con 488 migranti - tra cui 133 bambini - che arranca-
vano nello Ionio in tempesta. Durante la lenta navigazione verso Augusta, dove sono attesi stamattina, complice il mare
più calmo, i due comandanti hanno inviato i mezzi dall`una all`altra delle loro navi per fare riabbracciare figli, madri, padri. «Abbiamo accolto a bordo cinque persone - racconta il comandante - i padri di Mohammed e Ahmed con un altro figlio diciassettenne, il marito di una giovanissima donna in gravidanza avanzata, un altro uomo che aveva qui la moglie e quattro figli, di cui un neonato di sei mesi. E ne abbiamo mandato alla Foscari altre sei. Padri di famiglie numerose, altri due uomini con donne in attesa di partorire. Sono in tanti qui a avere la famiglia sull`altra nave, a invocare di riabbracciarla subito, abbiamo chiesto a tutti un po` di pazienza e dato priorità alle situazioni più difficili». Così, in mezzo al Mediterraneo di morte, per tutto il giorno è stato un via vai di gommoni e motobarche. Piccoli sorrisi che hanno illuminato gli occhi dei bambini, donne aggrappate a mariti che in Siria facevano i professionisti - medici, ingegneri, consulenti - e che adesso sono qui, a tentare di salvare la vita propria e dei figli.
Il comandante del Foscari, Alberto Raganato, è quello che ha preso a bordo la maggior parte dei bambini, 125, grazie ai gommoni veloci di cui è dotato. E adesso racconta che`sulla sua nave, un pattugliatore militare, l`hangar adibito a ricovero per elicotteri è stato trasformato in angolo tv con cartoni animati, mentre sono comparsi indumenti asciutti e puliti e giocattolini portati dall`equipaggio. «C`è un bambino autistico che viaggia accompagnato solo dal papà - dice -. C`è un dentista al quale è stato distrutto lo studio e assassinato il padre nel corso dei combattimenti.
C`è un adolescente egiziano che viaggia da solo. E tante famiglie incomplete, che hanno lasciato qualcuno nel Paese di
origine in Egitto, perché il denaro non era sufficiente a pagare a tutti la traversata».
Dall`altra nave gli fa eco il comandante Frumento: «Un giovane di 25 o 30 anni, anche lui in fuga dalla Siria, mi ha
`raccontato che il suo cantiere edile è stato trasformato in una prigione. Ha due lauree, mi chiedeva dove trovare facilmente lavoro. Non le nascondo che ho faticato a rispondergli».



«Mille bimbi immigrati spariti La mafia è pronta a reclutarli»
Nello Musumeci, presidente dell`antimafia siciliana: «I piccoli traghettati dagli scafisti scappano dai centri di prima accoglienza e finiscono nelle mani di spacciatori e schiavisti»
Libero, 22-05-14
ALBERTO SAMONÀ
PALERMO- Sarebbero oltre mille i bambini arrivati nelle scorse settimane in Sicilia a bordo di barconi e di cui non si saprebbe più nulla. In pratica, dopo essere finiti nei centri di prima accoglienza dell`isola, i piccoli migranti sarebbero fuggiti, facendo perdere le proprie tracce e il rischio è adesso che possano cadere nella rete della criminalità organizzata. A lanciare l`allarme è Nello Musumeci, presidente della Commissione parlamentare siciliana antimafia, che, documenti alla mano, traccia il quadro degli sbarchi di extracomunitari avvenuti nell`ultimo periodo e dei minori che mancano all`appello, sottolineando come si tratti di un fenomeno tutt`altro che trascurabile.
In pratica, si è in presenza di un altro risvolto di quella stessa strategia criminale che vede al centro proprio i bambini,
come Libero ha denunciato nell`edizione di ieri a proposito dalle organizzazioni di trafficanti di uomini, che negli ultimi tempi hanno riempito i barconi di minorenni non accompagnati: un modo per incrementare ulteriormente un giro di affari,
che frutta svariati milioni di euro alle casse delle bande criminali che organizzano i viaggi dalle coste nordafricane.
E una volta arrivati in Sicilia, di tantissimi piccioli migranti sbarcati non si ha più alcuna notizia.
È sempre Musumeci, a questo proposito, a rivelare che «i ragazzi e le ragazze, quasi tutti in età adolescenziale, dopo
aver vagato nei primi giorni per centri abitati e campagne, finiscono quasi sempre nelle mani di spregiudicati, non solo
loro connazionali, dediti allo sfruttamento della prostituzione, allo spaccio di droga o al lavoro stagionale nei campi agricoli, vittime del capolarato». Che non sia una boutade o una provocazione da campagna elettorale lo spiega poi lo
stesso presidente della Commissione antimafia: «Il dato è quello ufficiale», sottolinea Musumeci, «per l`esattezza 1.030
unità, trasmesso dal ministero delle Politiche sociali e fa riferimento ai minori non accompagnati sbarcati negli ultimi mesi sulle nostre coste e non identificati in tempo o registrati con false generalità, quasi sempre senza neppure essere sottoposti a visita medica». Insomma, una situazione gravissima che fino ad ora è praticamente passata sotto silenzio, evidentemente per non turbare la campagna elettorale e il governo con una bomba ad orologeria, quella dei continui arrivi di extracomunitari e degli interessi criminali che vi sono dietro, che rischia di esplodere da un momento all`altro.
Il presidente dell`Antimafia regionale rivela ancora che nella maggior parte dei casi questi bambini si renderebbero irreperibili immediatamente dopo l`arrivo nei centri di prima accoglienza. Una volta messo piede in terraferma e sbrigate
le prime formalità, svaniscono nel nulla e solo in minima parte attraverserebbe lo Stretto per tentare di raggiungere i genitori in altre parti della Penisola: «Il resto», afferma, «è condannato in Sicilia a una vita di stenti, sfruttamenti ed espedienti».
Parole durissime queste di Nello Musumeci, che rivelano l`esistenza di una realtà sommersa e in drammatica espansione,
di cui fino ad ora le istituzioni isolane non si sarebbero occupate se non per erogare contributi, che, però, non sono
serviti ad arginare la fuga di massa di questi bambini dai centri di accoglienza. Giusto per citare qualche numero, lo
scorso anno l`assistenza agli immigrati minori è costata alle casse regionali 25 milioni di euro, mentre per quest`anno la
somma prevista nella mini-finanziaria proposta dal governo siciliano e pronta per andare in commissione Bilancio è di 35 milioni. Il tutto, mentre le carrette del mare mandate alla deriva nel Mediterraneo si fanno sempre più numerose e sarebbero centinaia di migliaia i profughi pronti a raggiungere l`Italia dalle coste libiche e dagli altri porti del Nordafrica.



La rete dell`accoglienza verso i 3mila letti
La Repubblica, 22-05-14
ZITA DAZZI
UNA vecchia scuola che diventa un albergo. Non un albergo qualunque, ovvio. Ma un pensionato sociale per famiglie sfrattate, per senza tetto, per malati dimessi dall`ospedale ma ancora bisognosi di cure e in piccola parte per ex tossicodipendenti e alcolisti. Il contenitore di via Mambretti 33 è l`ennesima struttura che il Comune affida al terzo settore - in questo caso a Progetto Arca - con l`idea di non farne un semplice dormitorio ma un pezzo di quel mosaico dell`accoglienza che ormai in città è un sistema con mille articolazioni e oltre 2.500 posti. Letti destinati a rifugiati, senza fissa dimora, rom, ragazzi senza famiglia, pazienti dimessi dai centri di cura.
Progetto Arca ieri pomeriggio ha ricevuto simbolicamente le chiavi dell`ex elementare dove verranno realizzati alloggi per 180 persone. Per metà si tratterà di famiglie di sfrattati con bambini, anziani e disabili, perché quella degli inquilini
buttati fuori da casa per le difficoltà nel pagamento dell`affitto è una delle emergenze più gravi generate dalla crisi economica. Di Progetto Arca il Comune si fida visto che gli ha già affidato in gestione l`ex concessionario di viale Toscana 31 e l`ex asilo di via Aldini 74 ( Quarto Oggiaro), dove in questo periodo sono alloggiati i profughi che arrivano da Lampedusa.
Persino in largo Treves, sede dell`assessorato alle Politiche sociali, non c`è una persona o un ufficio che abbia il quadro esatto di quanti stabili il Comune abbia affidato tramite bando alle organizzazioni no profit per sviluppare iniziative di accoglienza. Quel che è certo, raccontano nell`ufficio dell`assessore, è che i posti sono almeno raddoppiati rispetto all`era Moratti e che la disponibilità di letti si allarga a fisarmonica ogni volta che c`è un`emergenza da parare. Così, se per i siriani l`assessore Pierfrancesco Majorino aveva firmato a ottobre con la prefettura una convenzione per ospitare 240 profughi ( 30 euro al giorno a persona riconosciuti all`ente che accoglie) in queste ultime settimane, di letti, ne sono stati allestiti 808, perché gli arrivi dal sud Italia si sono intensificati. «Grazie all`alleanza fra pubblico e privato sociale, Milano è un laboratorio unico di accoglienza - dice Majorino - . Ma ci aspettiamo però che anche le altre istituzioni facciano la loro parte con misure strutturali contro povertà e un piano nazionale di intervento sui migranti».
Le sedi che il Comune affida al no profit per accogliere chi non ha casa o patria sono distribuite in tutti i quartieri. Si parte dallo storico dormitorio di viale Ortles 69, intitolato recentemente ad Enzo Jannacci, dove sono ospitate 474 persone, in gran parte clochard. Ma durante l`inverno il Comune spende circa un milione di euro all`anno per offrire oltre 2milaposti a chi vive in strada. I centri di accoglienza in questo caso sono in via Saponaro ( Gratosoglio ),via Isonzo e via Calvino ( Scalo Romana) gestiti dalla Fondazione Fratelli di San Francesco di padre Clemente Moriggi, che in queste ultime settimane ha accolto
anche i profughi dalla Siria. Così come sta facendo don Virginio Colmegna nella Casa della carità di via Brambilla 10, altra ex scuola, data in comodato gratuitodal Comune allaFondazione Angelo Abriani, nella quale c`è anche la Curia.
Ormai, i volontari, montano e smontano brandine alla velocità della luce. Allestiscono dormitori con un`efficienza giapponese.
In via Barzaghi ( Certosa) e via Lombroso ( Ortomercato ) sono stati allestiti due centri con container per ospitare i rom dopo gli sgomberi. Qui i fondi sono del ministero degli Interni ( Piano Maroni) e la gestione è affidata a Padri Somaschi e Casa della Carità. E un altro grande pezzo del lavoro, lo fanno gli operatori Caritas e la cooperativa Farsi Prossimo che nell`ex scuola di via Fratelli Zoia e via Padre Salerio ( Lampugnano ) accolgono siriani, senzatetto, rom. Sempre con lo stesso meccanismo: i volontari ci mettono il know how, l`amministrazione l`hardware.



Il caos libico moltiplica gli arrivi
Avvenire, 22-05-14
Nuovi scontri a fuoco ieri a Tri­poli mentre il piano «Kara­ma » («Dignità») del generale Khalifa Haftar raccoglie il supporto di nuovi pezzi di apparato dello sta­to libico.
Un copione da 'nuovo Egitto', ac­cusano i Fratelli musulmani, men­tre ad Augusta è attesa per l’arrivo – con 24 ore di ritardo a causa del cat­tivo tempo – della fregata Grecale e del pattugliatore Foscari della Mari­na Militare con a bordo 488 migran­ti soccorsi a sud di Capo Passero tra il 19 ed il 20 maggio. Tra loro anche 133 minori e 64 donne. Una crisi che si avvita su se stessa e per cui si te­mono pure importanti sviluppi sul versante immigrazione.
Gli scontri, a Tripoli, sono scoppiati vicino alla base della difesa aerea di al-Yarmouk, dopo che il comandan­te in capo dell’aviazione aveva an­nunciato il proprio sostegno al generale Haftar che vuole sciogliere il Parlamento e reprimere i gruppi i­slamici. Si erano registrati com­battimenti già in nottata anche vi­cino alla base militare di Tajoura, alla periferia di Tripoli: due morti, uno dei quali cittadino del Mali, il bilancio degli scontri. Bombarda­ta pure la sede degli uffici Nato, ha fatto sapere il vicario apostolico di Tripoli, monsignor Giovanni Inno­cenzo Martinelli.
Giallo, invece, sull’adesione al golpe da parte del ministro dell’Interno, Saleh Mazeg: «Sto con il popolo libi­co », non con l’ex generale Khalifa Haftar ha precisato il ministro a un’e­mittente pochi minuti dopo che l’a­genzia ufficiale Lana aveva annun­ciato che il ministero si era unito al generale. Con Khalifa Haftar è inve­ce l’ambasciatore libico alle Nazio­ni Unite, Ibrahim al-Dabashi: quel­lo del generale in pensione «non è un golpe, ma un movimento nazio­nalista », ha dichiarato esprimendo il suo appoggio alla richiesta di so­spensione del parlamento domina­to dagli islamici.
Sempre più chiaro lo scontro fra la formazione paramilitare di Haftar e gli islamisti: «C’è solo un nemico, i Fratelli Musulmani, il morbo mali­gno che cerca di infettare le ossa del mondo arabo», ha tuonato l’ex ge­nerale in una intervista ad Asharq Al-Awsat. In serata il Parlamento an­nuncia di appoggiare «tutte le ini­ziative contro il terrorismo, ma sot­to il controllo delle istituzioni».
Le milizie della città di Misurata, considerate tra i più forti gruppi ar­mati vicini ai Fratelli musulmani e ai gruppi islamisti, hanno annunciato di essere contrari «al tentativo di gol­pe » ma di non voler entrare a Tripo­li per difendere le istituzioni, come ri­chiesto dal presidente ad interim Nouri Abu Sahimin. Le milizie di Mi­surata si sarebbero invece proposte di mediare tra le parti per evitare di scontrarsi con le brigate al Saiq e al
Qaaqa, forze armate provenienti da Zintan che hanno invece aderito al piano «Karama» di Haftar.
L’Italia intanto si prepara ad acco­gliere i quasi 500 migranti, in gran parte siriani, salvati a sud di Capo Passero. I barconi sui cui viaggiava­no i migranti sono stati rimorchiati dalle navi della Marina e saranno messi a disposizione della Procura di Siracusa quale elemento probato­rio connesso al reato di favoreggia­mento all’immigrazione clandesti­na. Sempre nel pomeriggio di mar­tedì la nave anfibia San Giorgio ha soccorso un’altra imbarcazione in difficoltà con 458 persone a bordo. Tutti i 458 migranti sono stati tra­sbordati sulla motovedetta CP940 della Capitaneria di Porto che dirige per il porto di Pozzallo per il succes­sivo sbarco dei migranti. A suppor­to delle operazioni di soccorso sono intervenute anche due navi mer­cantili.



Alunni stranieri. Il Ministero si corregge: "Il permesso di soggiorno non serve"
Modificate le Linee Guida per l’accoglienza e l’integrazione. Le segreterie non dovranno più chiedere il documento al momento dell’iscrizione. "L’Irregolarità non influisce sull’esercizio del diritto all’istruzione"
stranieriinitalia.it, 22-05-14
Elvio Pasca
Roma -21 maggio 2014 - Per iscriversi a scuola non serve il permesso di soggiorno. Lo dice la legge e ora anche il ministero dell’Istruzione.
Da Viale Trastevere è arrivata ieri un’invocata modifica delle Linee guida per l’accoglienza ed integrazione degli alunni stranieri pubblicate lo scorso febbraio, che così com’erano rischiavano di tenere ingiustamente lontani dai banchi i figli degli immigrati irregolari.
Descrivendo la procedura per l’iscrizione a scuola, le Linee Guida dicevano infatti che la segreteria scolastica deve richiedere alla famiglia anche “permesso di soggiorno e documenti anagrafici”, salvo poi specificare che si poteva procedere con l’’iscrizione anche in mancanza del permesso.
Il Testo Unico sull’Immigrazione, però, specifica che per l’iscrizione alla scuola dell’obbligo non si deve esibire il permesso di soggiorno, una  norma che tutela il diritto all’istruzione. Questo prevale sulla necessità di contrastare l’immigrazione irregolare.
Nelle Linee Guide era perciò prevista una richiesta illegittima. Secondo l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, che aveva sollevato il caso, si profilava anche una prassi discriminatoria, irragionevole e dannosa, di qui la richiesta al Ministero dell’Istruzione di modificare quel passaggio.
La risposta di viale Trastevere non si è fatta attendere. Ieri la Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione ha diffuso un avviso che correggere le Linee Guida, eliminando la richiesta del permesso di soggiorno. Eccolo:
“A seguito di una rilettura delle Linee Guida per l’accoglienza ed integrazione degli alunni stranieri  in data 19 febbraio 2014 si rappresenta la necessità di sostituire il punto 2.2 di pag. 10 relativamente Alla voce “Permesso di soggiorno e documenti anagrafici” con il seguente articolato: “Documenti anagrafici. In mancanza di documenti la scuola iscrive comunque il minore straniero poiché tale situazione non influisce sull’esercizio del diritto all’istruzione”.



Famiglie immigrate “adottate” dai vicini: quando l’accoglienza funziona
A Sutera, piccolo paese in provincia di Caltanissetta, l’associazione “I girasoli”, nell’ambito della rete Sprar, ospita 5 nuclei. Una presa in carico completa, resa possibile dalla solidarietà degli abitanti
Redattore sociale, 21-05-14
PALERMO – Cinque famiglie di migranti per un totale di 15 persone sono accolte, ognuna in un appartamento autonomo, e sono sostenute anche dalla gente del paese attraverso il rapporto del “buon vicinato”. Avviene a Sutera, piccolo paese in provincia di Caltanissetta, dove l’associazione “I girasoli” gestisce l’accoglienza nell’ambito della rete Sprar. La scelta dell’associazione è stata quella di non avere una sola grande struttura dove ospitare le famiglie ma di distribuirle in cinque diverse unità abitative, ognuna con la sua autonomia.
Ad essere ospitate sono tre coppie nigeriane di cui una con un bambino appena nato e un'altra con un bambino in arrivo. Si tratta di famiglie arrivate la scorsa estate a Lampedusa prima dell’operazione Mare nostrum. Poi c’è anche una famiglia nepalese che è arrivata dalla Francia. Infine una famiglia eritrea composta da mamma e 4 figli di età compresa tra i 5 e gli 11 anni che è arrivata l’estate scorsa a Sampieri durante uno sbarco drammatico in cui persero la vita 13 migranti. Quest’ultima famiglia vive anche con un’altra giovane amica eritrea che, avendo lasciato tre figli nel suo paese, spera presto con un ricongiungimento familiare di poterli riabbracciare.
Per le scelte fatte dall’associazione si può parlare di modello di accoglienza diffusa e solidale. Diffusa perché le famiglie sono state distribuite in case autonome e solidale perché la gente del paese, vicino alle abitazioni, sta rispondendo molto bene,  mettendosi a disposizione. Inoltre, secondo quanto riferisce l’associazione, anche l’amministrazione comunale e la scuola si sono attivate positivamente nei confronti delle famiglie.
“Per noi non si tratta solo di semplice accoglienza ma di presa in carico completa che accompagna e sostiene la famiglia in tutti i bisogni -– racconta Claudio Lombardo, coordinatore del progetto Sprar di Sutera ed ex presidente dell’Arci di Caltanissetta -. -. Al primo posto mettiamo la relazione umana oltre che professionale e formata dei nostri operatori. Ricordiamoci che non accogliamo dei numeri ma delle persone con dei vissuti sofferti che hanno bisogno di un sostegno e accompagnamento autentico. L’idea che portiamo avanti è quella che le famiglie accolte si sentano profondamente inserite nel nostro territorio sentendosi ‘cittadine’ della nostra realtà. Ogni nucleo familiare è seguito da un operatore con un lavoro di affiancamento molto capillare. Inoltre puntiamo anche a favorire  una sorta di “adozione sociale” della famiglia immigrata da parte di ogni vicino di casa del paese che si sta realizzando spontaneamente. Alcuni abitanti hanno messo per esempio un dispositivo wi-fi per permettere alla famiglia immigrata vicina di potere collegarsi via internet con il proprio paese d’origine”.
“E’ davvero molto bella la risposta soprattutto degli anziani del paese che, essendo stati a loro volta immigrati in Inghilterra, capiscono molto bene la situazione delle famiglie – aggiunge Claudio Lombardo – e si relazionano bene con loro”. “Negli anni nelle realtà che gestiamo abbiamo elargito ai migranti più di 100 borse lavoro, tirocini formativi per dare loro opportunità significative – continua -. Gli immigrati vanno accompagnati e seguiti passo dopo passo nel loro percorso di ricostruzione della loro vita. Possiamo senz’altro dire che anche in Sicilia è possibile portare avanti un tipo di accoglienza diversa che è ben altro dal modello dei grandi numeri di Mineo”.
Il prossimo 20 giugno per la giornata internazionale dei diritti dedicata ai migranti l’associazione I girasoli organizzerà, per alcuni giorni, nella piazza centrale del paese, uno spazio condiviso di degustazione delle pietanze tipiche di ogni paese di provenienza delle famiglie immigrate. Inoltre per gli abitanti di Sutera si attiverà un corso di cucina nepalese.
Inoltre, il piccolo paese nisseno che è anche molto conosciuto per il presepe vivente che allestisce a Natale,  non si esclude che quest’anno potrebbe avere un bambinello Gesù straniero.“Nella tradizione di questo paese il personaggio di Gesù viene fatto fare dall’ultimo nato del paese. Chissà se non sarà un bambino africano considerato che è prevista una nascita di un bimbo nigeriano ad agosto e in paese le nascite sono molto poche”. (set)



Intervista
Il razzismo di casa nostra
Corriere delle migrazione, 21-05-14
Marika Berizzi

Moni Ovadia è uno di quegli uomini di cultura e di spettacolo che non ha mai evitato di prendere posizione di fronte all’emergere di xenofobie  e  razzismi di ogni tipo. Lo si è visto negli anni contrastare le legislazioni vigenti e i risultati che hanno prodotto. Ha denunciato tanto un antisemitismo mai superato nel  pensiero comune quanto gli elementi  a dir poco critici che hanno visto come protagoniste le politiche israeliani contro i palestinesi, si è schierato dalla parte degli ultimi ovunque svolgendo un ruolo spesso abdicato dagli intellettuali più ascoltati. Un militante, insomma, che spesso si è messo al servizio di numerose  cause (anche candidato di bandiera alle elezioni europee), ma che ha provato soprattutto ad utilizzare l’arma della cultura come strumento  di cambiamento. Lo abbiamo raggiunto fra un comizio e l’altro e lo abbiamo intervistato.
Il razzismo in ogni paese ha storie e fenomenologie differenti. Che cosa caratterizza quello italiano?
«È un razzismo di natura molto becera, molto rozza, primitiva, e sostanzialmente basato sui soliti vaniloqui. In parte ha una matrice residuale di tipo fascista e nazifascista, si basa sul presupposto completamente idiota che ci siano razze, cosa che ormai è stata sconfessata da tutti gli studiosi della materia: il razzismo è privo di qualsiasi più remoto fondamento; l’essere umano è uno solo, ha una sola emanazione e tutti noi discendiamo dall’Homo Sapiens Sapiens Africanus (persino i cinesi, che pensavano di essere discendenti da un altro ceppo, da un Habilis diverso, dopo tante ricerche e miliardi spesi, non hanno potuto far altro che confermare la discendenza comune). Il razzismo è destituito di ogni fondamento, si nutre ancora del peggior morbo della storia dell’umanità, del più grande crimine di tutta la storia, che è il colonialismo. Un crimine che non si è arrestato, continua ancora adesso, per esempio in Africa con il land crabbing, il furto di terre (80 milioni di ettari) per fare biocarburante, sottraendole all’economia africana.
Il razzismo nostrano si nutre anche di dicerie quali «vengono a casa nostra e ci rubano il lavoro», «non sono come noi». Poi ci sono quei residui che appartengono ad una vulgata di basso livello, plebeo, che è quello del colore della pelle, che in realtà è solo una caratteristica accessoria dell’essere umano, come la forma degli occhi, il colore dei capelli, ecc… Il razzismo all’italiana è un po’ così, un po’ strapaesano, volgare e stupido, un po’ più pericoloso perché ha ancora dietro la memoria e la vocazione nazifascista, e quelli tendono a trasformare il razzismo in uno strumento di aggressione e di violenza.
Io credo che oggi, a livello planetario, il gesto di Dani Alves, quel calciatore che ha mangiato la banana che gli è stata tirata, ha dato il colpo di grazia a un certo razzismo. Uno sberleffo plenetario che ha distrutto culturalmente quel  pensiero in uno dei luoghi, lo stadio, in cui era divenuto dominante. E poi basta vedere chi è il presidente della più grande potenza del mondo, gli Usa. Se poi si considera che la Cina è la prima potenza economica, e l’India in campo tecnologico ed informatico si sta affermando come una nuova  potenza planetaria, noi cosa faremo? Interromperemo i rapporti culturali ed economici con l’India? Taglieremo fuori un mercato di 1.200.000 persone perché hanno il colore della pelle scura?
Saremo noi europei il secondo e terzo mondo se andiamo avanti così.
Tutti hanno onorato, forse il più grande politico del secondo dopoguerra, un uomo straordinario che ha istruito l’intero mondo sul cammino della non violenza, parlo di Nelson Mandela. Tutti i capi di stato del mondo sono andati (ad eccezione di quello israeliano), tutti hanno reso omaggio al grande Nelson Mandela, un africano che ha fatto scuola di etica politica e di umanità. E poi c’è stato Gandhi…
Ma il razzismo all’italiana è quello da chiacchiera da bar, e purtroppo un residuo che si è nutrito del razzismo violento, perché ha avuto come insegnante il nazifascismo, però fortunatamente è minoritario residuale, per lo meno per il momento».
Attualmente, che cos’è che fomenta questo razzismo e lo nutre?
«È la crisi economica. Da sempre le persone che non hanno una formazione culturale e livelli di conoscenza per avere un rapporto critico con il mondo, se aggrediti da una realtà negativa, reagiscono con pregiudizi: «È colpa dei negri, è colpa degli ebrei, è colpa degli zingari…» è comodo quando stai male dare colpa a qualcun altro, è molto confortante. Naturalmente, ci sono dei politici che ci sguazzano dentro, e va bene a tutti avere un capro espiatorio da offrire per non assumersi le proprie responsabilità; poi ovviamente ci sono anche tra i politici sensibilità diverse, ce ne sono di bravi e ce ne sono di meno bravi.
Prenda il caso dei rom: la forma più grave, più deprecabile, più vile, più squallida di razzismo. I rom sono indifesi, non hanno una nazione che parla per loro. Il rom è sporco, brutto, ladro, ruba i bambini, tutte queste cose… ma quando c’è la partita di calcio, tutti si alzano in piedi ad applaudire Ibrahimovi?, e viene definito dai nostri telegiornali “lo svedese”; che cos’ha di svedese? Il passaporto! Ibrahimovi? è un rom serbo.
Se non sei una persona che ha nutrito il proprio spirito di quella concezione universale, integra dell’uomo, di quell’umanesimo laico, civile, o anche cristiano, ebraico… che cosa fai? Vuoi avere un capro espiatorio per sfogare le tua umiliazione, la tua frustrazione. Perché sono poveri; se venissero dei magnati africani a portare dei soldi in Italia gli stenderebbero il tappeto rosso. Basta vedere come fanno con gli sceicchi arabi: con i marocchini sono razzisti, con gli sceicchi no!»
Come lo si combatte?
«Soprattutto con l’informazione, con l’istruzione, con il confronto. Lo si combatte educando, a partire dai bambini più piccoli, che non hanno pregiudizi razzisti; se li hanno è perché li hanno imparati a casa dagli adulti. E poi, per quelli che non sono educabili, per lo meno pro tempore, la punizione deve essere durissima, una pena senza condizionale. Il razzismo dovrebbe essere un’aggravante che triplica la pena. Però questo come estrema ratio, solo dopo aver lanciato vaste campagne di educazione ed informazione».
L’arte e la cultura possono più della politica per combattere tutto questo?
«Decisamente. L’arte e la cultura, abbinati all’istruzione, alla formazione e all’informazione, assolutamente sì. Un ruolo importante potrebbero svolgerlo le televisioni; per esempio, negli Stati Uniti sono convinto che molto abbiano fatto le fiction. Se in una fiction un personaggio positivo, allegro, è africano, asiatico, marocchino, o come nella serie ER il medico che ti salva la vita è ebreo o di colore, affascinate e colto, piano piano la gente si abitua a vederli in quest’ottica. Negli Stati Uniti, che sono un paese multietnico, un melting pot, è normale che in molti film, fiction, il medico sia ebreo o il commissario eroico di colore; il colore della pelle è irrilevante, ma quello che conta è l’animus e la cultura, e le azioni che uno compie. Un uomo colto difficilmente sarà razzista, è un uomo che coltiva la sensibilità per le arti. Soprattutto, le arti possono intervenire in questo campo, come in ogni ambito del sapere umano, per trasfigurare, toccare le emozioni e far provare. È il vantaggio dell’arte rispetto all’informazione più classica o a un saggio scritto per denunciare il razzismo. L’arte non tocca solo la mente, ma anche il cuore, i sentimenti, le emozioni. Quindi se pian piano ti aiuta a costruire le tue emozioni in modo antirazzista, tu rifiuterai il razzismo. Se da bambino hai visto delle favole, dei bei film in cui l’arte mostra la stupidità del razzismo, sarai formato in quel modo non solo attraverso la mente, ma anche le emozioni, la sensibilità estetica, ecc…»
Un’ultima domanda: quali sono i punti deboli dell’antirazzismo italiano?
«Il principale punto debole, per me, è l’eccessiva morbidezza delle argomentazioni. Nei confronti del razzismo bisogna assumere gravità, severità molto forte. Non bisogna essere indulgenti con il razzismo, mai. Bisogna intervenire subito. Ad esempio, le nostre istituzioni lasciano sfilare i naziskin. Questi non sono un pensiero ed una cultura neutra, propagandano la supremazia dell’uomo bianco. Quindi per loro dovrebbe sì essere garantito, come negli Stati Uniti secondo il primo emendamento per cui “a nessuno può essere impedito di parlare prima che lo faccia”, ma alle prime parole di odio razziale, dovrebbero essere fermati e severamente puniti con ammonimento. È un po’ come la corruzione: perché ce n’è tanta in Italia? Perché è conveniente; se non fosse conveniente, ce ne sarebbe molto meno.
Da noi si chiacchiera a Porta a Porta; invece di prendere provvedimenti, si va a parlare in un talk show. C’è troppa indulgenza. Bisogna interdire certi gesti, con dure pene. Poi bisognerebbe dare delle opportunità a queste persone, garantire un percorso di rieducazione per essere reinseriti in modo corretto».

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