Pizzo sulle rimesse degli immigrati tenuti a nero

 

Stefano Galieni 
Istituzionalizzare i caporali di Stato. È quanto si vorrebbe inserire nella manovra in discussione al senato grazie ad un emendamento partorito dalle menti “geniali” della Lega e che denota tanto volontà persecutoria quanto assoluta incoerenza legislativa.
 L’idea di base è quella di tassare le rimesse che i lavoratori immigrati inviano nei propri paesi, cosicché dopo il taglio alla cooperazione si diminuisce anche un gettito di per se colpito dalla crisi. Se infatti nel 2009 le rimesse ammontavano a 6,4 miliardi di euro, nell’anno successivo si è registrato un calo del 5,4%. In media si tratta di circa 1508 euro annui per ogni cittadino migrante, una cifra che sovente rappresenta la voce più importante del Pil dei paesi di provenienza. Ma i “brillanti padani” hanno dovuto fare i conti con il fatto che questa misura non poteva essere introdotta per i lavoratori in regola, la maggior parte, i cui salari sono già tassati all’origine. Sarà quindi escluso dal pagamento chi è titolare di partita iva, di matricola di iscrizione all’Inps e chi ha il codice fiscale. A dover pagare questa nuova tassa, che ammonta al 2% di ogni somma inviata, dovrebbero essere, nelle intenzioni del “legislatore”, i migranti irregolari, quelli che lavorano al nero in edilizia, in agricoltura, che si occupano di accudire anziani e bambini. Coloro che insomma, già sfruttati in maniera paraschiavista da caporali e intermediari illegali di manodopera, dovrebbero pagare una ulteriore percentuale allo stato per continuare ad essere schiavizzati. Un lavoratore in agricoltura del meridione, per fare un esempio, guadagna circa 600 euro al mese, di questi già una percentuale va al caporale, una in più andrebbe allo Stato che ne sancirebbe la condizione di manodopera inferiore. In un normale paese  di diritto le tasse si dovrebbero far pagare soltanto a coloro la cui presenza sul territorio è regolarmente sancita e l’imposta dovrebbe corrispondere ai servizi e alle garanzie offerte da un lavoro dichiarato. Quanto potrebbe portare alle casse dello Stato questo provvedimento? A conti fatti pochissimi milioni di euro. Di fatto coloro che hanno predisposto il succulento meccanismo hanno dimenticato un piccolo ma importante particolare. Dal 2009 per poter mandare i soldi a casa regolarmente, tramite uno dei 24 mila sportelli di money transfer, o banche ed uffici postali, bisogna esibire il permesso di soggiorno che quindi sancisce una posizione lavorativa certificata. Chi non ha il permesso ormai utilizza, per mandare i soldi a casa, o circuiti informali amicali o prestanome all’interno della comunità. Il testo se approvato, di questo squallido emendamento, genererà confusione e avrà come unico effetto  quello di scoraggiare lo spostamento di valuta nei circuiti regolari. Una manovra di risanamento avrebbe potuto insieme proporsi di regolarizzare a regime i circa 700 mila presenti e sfruttati. Ne avrebbero guadagnato le casse dell’Inps, ne avrebbe beneficiato la vita delle lavoratrici e dei lavoratori, si sarebbe ridotto il salario fra lavoratori migranti e autoctoni diminuendo la concorrenza al ribasso. Effetti positivi insomma, tranne quello di far diminuire un po’ di profitti illeciti e di combattere anche in questa maniera l’evasione.
Liberazione 6 settembre 2011
 
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