Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

19 marzo 2012

Togliersi la vita dopo sei mesi trascorsi nel Cie
l'Unità, 17-03-2012
Questa è la storia di un egiziano recluso nel centro di Ponte Galeria, ma potrebbe essere, se non per il tragico epilogo, la storia di molti altri reclusi nei Cie di tutta Italia. Era uscito da poco dal Cie, quel cittadino egiziano, perché in quel luogo aveva già trascorso il massimo del tempo previsto: 180 giorni. È in questi lunghi giorni che le autorità italiane non sono riuscite a realizzare il processo di identificazione per poi procedere all’espulsione. Giorni che devono essere stati davvero interminabili per un giovane egiziano provato dallo stress da reclusione, al punto di dover assumere dosi massicce di  tranquillanti. Storie consuete in luoghi di reclusione ed esclusione da qualsiasi attività che alimentano di fatto (indipendentemente dalla professionalità e dalla sensibilità degli operatori o della questura di riferimento, come nel caso di quella di Roma) noia, disperazione, inedia.
Ed è probabilmente per questo che sono in molti a tentare la fuga, come ha fatto anche quell’egiziano. Tentativo non riuscito che ha fatto sì che l’ultimo periodo di permanenza a Ponte Galeria si sia rivelato il più duro. Una volta uscito non è andata meglio: dopo qualche giorno di tranquillità è ripiombato nella depressione. Il suo avvocato, Serena Lauri, non si è sorpreso di questa reazione perché, quel ragazzo da solo non sarebbe riuscito ad affrontare le difficoltà che comporta la condizione di  persona immigrata e irregolare: continue incomprensioni a causa di una lingua sconosciuta, problemi nella ricerca di un alloggio, di un lavoro e di un sostegno psicologico. Avrebbe avuto bisogno di un supporto. Forse, se non fosse stato così solo, non sarebbe arrivato a compiere il gesto estremo di togliersi la vita.




Immigrati. Il reddito medio è inferiore a 19mila euro
Quattro stranieri su dieci sotto la soglia di povertà
il sole, 19-03-2012  
Francesca Barbieri
Al di sotto della soglia di povertà in quattro casi su dieci e con un reddito da lavoro dipendente (84,3%) che in media non supera i 19mila euro. È l'identikit della famiglia straniera tracciato dalla Fondazione Leone Moressa rielaborando i dati della Banca d'Italia, da cui risulta anche che i risparmi di questo target sono ridotti al lumicino, con appena 636 euro sottratti alle spese annue, nell'84% dei casi depositati sul conto corrente, mentre le uscite per consumi sono di poco su- periori a 18mila euro e appena il 23,8% dei nuclei immigrati è proprietario di un'abitazione.
Il gap tra i redditi
Gli stranieri guadagnano il 45% in meno rispetto agli italiani con consumi inferiori del 30 per cento. «Questi dati - os- serva Laura Zanfrini dell'Università Cattolica e Fondazione Ismu - non fanno che avvalorare l'immagine di un'immigrazione "povera", che è andata a ingrossare i livelli più bassi della stratificazione sociale e che si appresta a diventare, specie nelle regioni del Nord Italia, dov'è in buona misura concentrata, una componente sempre più significativa della domanda di prestazioni di welfare».
Anche rispetto alla soglia di povertà - fissata a 8.241 euro - il gap è evidente: quasi 30 punti percentuali (42,2% gli stranieri, 12,6% gli italiani). «La disuguaglianza che colpisce gli immigrati - prosegue Zanfrini - non è che l'altra faccia della medaglia della scelta, poco lungimirante, di fare ampio ricorso al loro lavoro povero e sottopagato». Diversa è anche la distribuzione dei redditi: se per gli italiani il 10% delle famiglie più povere detiene il 2,2% della ricchezza, per quelle straniere si tratta del 7,5%; invece il 10% dei nuclei più ricchi percepisce il 27% del reddito totale, mentre quelle straniere sono appena il 4,3 per cento.
«Tra le famiglie italiane - commenta Valeria Benvenuti, ricercatrice dela Fondazione Moressa - il reddito viene distribuito meno equamente, mostrando dei livelli di disuguaglianza molto più evidenti rispetto a quanto si osserva tra quelle straniere, che hanno redditi mediamente bassi e concentrati tra i poveri».
Consumi polarizzati
Poche differenze sugli stili di consumo, destinati nella quasi totalità a beni non durevoli: 94,3% per le famiglie straniere contro il 93,5% per quelle italiane. Per i pagamenti gli stranieri utilizzano maggiormente i contanti rispetto agli italiani, anche se per importi più contenuti: infatti il 52,3% della spesa media per consumi dei primi è pagata cash, mentre per i secondi si tratta del 42,2 per cento. L'utilizzo di strumenti di pagamento alternativi al contante tra gli stranieri vede al primo posto il bancomat (nel 65,5% dei casi), seguito da carta di credito (11%) e prepagata (9,6%).
Gli immobili
Le famiglie straniere vivono nel 72,8% dei casi in affitto, rispetto al 17,8% degli italiani. «Si concentrano nelle aree periferiche delle città - aggiunge Benvenuti - e vivono in abitazioni più piccole, pari a 71 metri quadrati in media».
E se gli italiani spendono il 12,5% dei proprio reddito in affitto, gli immigrati destinano a questo capitolo di spesa oltre un quarto delle proprie disponibilità economiche (27,4%).
Appena il 13,8% delle famiglie straniere possiede  l'abitazione di residenza, mentre il rimanente 13,4% è in usufrutto o uso gratuito. E la rata del mutuo è più pesante per gli immigrati: il 19,2% del reddito complessivo per gli italiani e il 36,1% per gli stranieri.



Presto nuovi sbarchi Segnali inquietanti dal Nord Africa per possibili arrivi da Libia e Tunisia
Trasferiti a Porto Empedocle i migranti arrivati sabato. Il nodo del Centro di accoglienza chiuso
Lampedusa col fiato sospeso per il futuro. In arrivo un’ondata
Il giorno dopo i quasi 300 migranti sbarcati a Lampedusa istituzioni e associazioni preoccupate per le notizie che arrivano su una possibile ondata migratoria nelle prossime settimane verso la Sicilia.
l'Unità, 19-03-2012
Vincenzo Ricciarelli
Calma prima della tempesta. I 300 migranti arrivati a Lampedusa non sono il problema: perché le informazioni che diverse fonti in Italia e nei paesi africani sull’altra sponda del Mediterraneo hanno raccolto nelle settimane scorse, vanno tutte nella stessa direzione. Questo è solo l'inizio. Il timore, concreto, è dunque che possa arrivare una nuova ondata di sbarchi: probabilmente non come quella dell’anno scorso eccezionale anche a causa della guerra in Libia e però pur sempre consistente. La questione va quindi affrontata seriamente e in tempi rapidi, dicono organizzazioni umanitarie e istituzioni. Gli sbarchi dei migranti, in sè, non rappresentano una novità. Rispetto agli anni scorsi, però, quest’anno l'Italia ha un problema in più: Lampedusa è stata dichiarata con un’ordinanza «porto non sicuro». In teoria significa che nessuna imbarcazione può attraccare sull'isola. In pratica questo finora non è successo, ma nessuno può escludere che se l’ordinanza non sarà annullata ciò accada. Con tutte le conseguenze del caso: per raggiungere Porto Empedocle, l’approdo più vicino, ci vogliono almeno altre sette ore di navigazione da Lampedusa. Senza contare che costringendo i mezzi di soccorso a raggiungere la Sicilia, si sguarnisce il soccorso, rischiando così di non fare in tempo ad intervenire in caso di allarme.
L’altro problema, non di poco conto, riguarda il Centro dell'isola. Chiuso dopo l'incendio del settembre scorso che lo ha quasi interamente distrutto, non è mai stato ristrutturato. «È fondamentale che Lampedusa abbia di nuovo un centro di accoglienza e soccorso, che sia soltanto una struttura di transito» ripete da tempo Laura Boldrini, portavoce italiana dell'Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr) dell'Onu. Anche perchè, sottolinea, il precedente governo «ha forzato la mano, trasformando il centro di accoglienza in un centro di espulsione» e creando così le condizioni che hanno poi portato alla rivolta dei migranti. Stessa richiesta da parte del sindaco De Rubeis: «Ho chiesto al ministero dell’Interno di riaprire nelle prossime 24-48 ore il Centro di accoglienza e trasferire nel giro di un paio di giorni profughi che arrivano. Non possiamo assistere all’arrivo di altri profughi che vengono portati all’ area marina protetta, rischiamo di perdere anche questa stagione turistica». Vista la situazione, si capisce allora perché le autorità sono particolarmente preoccupate dalle notizie che arrivano dall' Africa. Sia in Tunisia sia in Libia, infatti, le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta di esseri umani stanno via via riprendendo il controllo dei porti da cui partono le carrette: da Sousse a Gabes fino a Zuwarah sono stati notati diversi movimenti e ammassamenti di migranti. Le informazioni dicono anche un'altra cosa: finora la quasi totalità di somali, eritrei, etiopi, nigeriani arrivati a Lampedusa, partivano dalla Libia. Ora questi migranti vengono segnalati anche nei porti della Tunisia, in attesa di partire assieme a quei tunisini che non credono nella primavera del loro paese. C'è poi un ultimo aspetto che questi primi sbarchi hanno messo in luce: i trafficanti hanno ripreso a far viaggiare i gommoni, se possibile meno sicuri delle carrette in legno, e in molti casi senza dotare i migranti di almeno un satellitare, per chiedere aiuto in caso di allarme.
I CINQUE MORTI DI SABATO
l giorno dopo la tragica traversata del Canale di Sicilia costata la vita a cinque dei 57 profughi che a bordo di una carretta del mare stavano cercando di raggiungere Lampedusa, la maggiore delle isole Pelagie vive quindi momenti di ansia temendo una nuova ondata migratoria dal nord Africa, come accaduto nell'estate del 2011. In poco più di 24 ore sull'isola sono sbarcati oltre 270 immigrati salvati dai mezzi della Guardia costiera, della Guardia di Finanza, e dal rimorchiatore «Asso 30», mentre navigavano su tre imbarcazioni che solo per buona sorte non sono colate a picco. Sulle barche c'erano donne, una delle quali incinta che è stata trasferita all' ospedale civico di Palermo insieme ad altri quattro profughi, e bambini. Come un copione già visto in passato, anche stavolta nonostante i salvataggi siano avvenuti ad oltre 60 miglia a sud di Lampedusa, le autorità maltesi, allertate da quelle italiane, non hanno risposto alla richiesta d'aiuto, negando la possibilità di ospitare i profughi salvati nelle acque di loro competenza. Mistero, poi, riguardo un terzo barcone segnalato nel canale di Sicilia, ma non individuato dal servizio di avvistamento della marina militare; ed un presunto «assalto» da parte di una settantina di migranti nei confronti di un peschereccio sequestrato in acque tunisine.
Nessun nuovo arrivo però è stato registrato nella notte. Secondo quanto riferisce la capitaneria di porto, non sarebbero stati avvistati neppure nuovi barconi. Sono però in corso le operazioni del rimorchiatore Asso 30, a bordo del quale si trovano 107 migranti, gli ultimi soccorsi l’altra sera. Questi ultimi sono stati raggiunti da due motovedette che li porteranno sul traghetto Palladio, il quale a sua vota avrà il compito di trasferirli a Porto Empedocle insieme ad altre 60 persone arrivate a Lampedusa e già identificate.



Nuova emergenza non-accoglienza e ceciutà politica
l'Unità, 19-03-2012
Flore Murard-Yovanovitch

Sono oltre 220 i profughi soccorsi sabato scorso dalle motovedette della Capitaneria di Porto e della Guardia di Finanza a sud di Lampedusa, sulla tradizionale rotta dalla Libia. E altre imbarcazioni sono già in vista. Di nuovo. Un “nuovo” che lo è solo per una cieca politica: non per Ong, Unhcr e addetti ai lavori, che da settembre scorso, quando Lampedusa è stata dichiarata “porto non sicuro”, chiedono al governo di prepararsi alla nuova primavera di migrazioni, strutturali dal nord Africa e contingenti per la nuova instabilità della Libia post-Gheddafi. Pochi migliaia di migranti rischiano di diventare “emergenza” per una politica dalla vista corta, che non ha imparato la lezione dell’anno scorso; e che, nei sei mesi dopo il rogo del centro di Contrada Imbriacola, diventato di trattenimento illegale, non ha preso alcuna misura per allestirne un altro, di vera accoglienza.
Ma per prepararsi, per avere una strategia, bisognerebbe saper guardare oltre il barcone, vedere le centinaia di potenziali richiedenti asilo che da Sudan, Eritrea, Etiopia fuggono guerre civili, arruolamento forzato o persecuzioni etniche e cercano in Europa una protezione, che spetta loro di diritto. Basterebbe studiare le cifre degli attuali profughi presenti oggi in Libia, in attesa di imbacarsi: i somali ormai senza Stato e altri migranti del Corno d’Africa, tutti vittime delle persecuzioni da parte delle milizie post-Gheddafi, perché sospetti di essere stati mercenari leali all’ex regime; o le migliaia di scampati alla mattanza siriana, anch’essi rifugiati in Libia.
Ma nessuno osserva l’altra sponda? Meglio chiudere gli occhi, lasciar morire i migranti di mare e di viaggio, ingrossare le drammatiche statistiche della Fortezza Europa che, dal 1994 ad oggi, nel solo Canale di Sicilia, ha già fatto almeno 6.166 vittime, tra morti e dispersi, delle quali 1.822 soltanto nel corso del 2011 (ma il dato reale potrebbe essere molto più alto).
Gli Stati europei avrebbero già dovuto e dovrebbero d’urgenza predisporre corridoi umanitari per garantire una sicura evacuazione ai profughi dalla Libia e concedere loro il permesso umanitario. Invece di continuare ipocritamente a lasciare il destino di centinaia di uomini, donne e bambini, in balìa di meteo avverso, barconi stipati e scafisti senza scrupoli. Peggio, di fare contro i migranti del Sud una vera e proprio guerra, violando il loro diritto a migrare e tutte le convenzioni internazionali, attraverso missioni Frontex, detenzioni e respingimenti, per i quali l’Italia è stata appena condannata dalla Corte europea di Strasburgo (le conseguenze, vite distrutte e sospese, si possono vedere nel documentario “Mare Chiuso” di Andrea Segre e Stefano Liberti). Mentre si è appena stilato, il 12 marzo scorso, un nuovo accordo con Tripoli, che mira a rafforzare le pattuglie congiunte alle frontiere per lottare contro l’immigrazione irregolare, c’è da chiedersi se il governo Monti voglia davvero operare una cesura dal sistema di controllo mortale e illegale alla Maroni; o se invece non si cerchi di proseguire lo stesso, ma sotto altro nome. Il controllo cieco e violento delle frontiere fa già le sue prime vittime: i cinque cadaveri del barcone dell’altro ieri. Riguarda, scava e interroga la nostra umanità. Ci domanda, con forza, se siamo ancora capaci di ribellarci a quest’indifferente “lasciare sparire” uomini e donne, alcune incinte, che ancora avviene a poche miglia marine da casa nostra.



Le colpe dei trafficanti e la miopia della Ue
Spezzare la catena di morte nel «mare di mezzo»
Avvenire, 18-03-2012
Paolo Lambruschi
Il drammatico ritorno dei barconi carichi di migranti e di morte nel Canale di Sicilia coincide con l’anniversario del primo attacco aereo autorizzato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu contro il regime del colonnello Gheddafi. Il rais, che usava i migranti come bombe umane contro l’Europa, venne ucciso a ottobre e con lui finirono guerra civile e sbarchi. Le oltre 300 persone – uomini, donne e bambini – intercettate e salvate dalla Guardia costiera negli ultimi tre giorni nel braccio di mare che l’anno scorso fu il cimitero di almeno 1.500 esseri umani, non sono una coincidenza né una sorpresa. Finora Europa e Italia si sono interessate alla “nuova Libia” anzitutto in funzione del petrolio.
In secondo piano, ma sempre guardando alle ricadute in materia energetica, tengono sotto stretta osservazione la nuova geografia politica che va delineandosi in vista delle elezioni del prossimo giugno, con la crescente tensione tra la Cirenaica, ricca di giacimenti di idrocarburi, che vuole maggiore autonomia e la Tripolitania, che vive dei proventi del petrolio. È stata colpevolmente trascurata, invece, la questione dei profughi e dei migranti che, a distanza di 12 mesi, con la nuova primavera, è sul punto di riesplodere sull’altra sponda del Mare nostrum, con drammatiche conseguenze in termini di vite umane.
Il quadro è allarmante. Alle migliaia di persone, soprattutto eritrei e darfurini, fuggite dalla guerra e tuttora bloccate nei campi profughi Onu sui confini con Egitto e Tunisia, vanno infatti aggiunti gli altri migranti subsahariani che dalla fine del conflitto hanno raggiunto la Libia o premono sulle frontiere meridionali nel Sahara. Le quali, confermano l’Alto commissariato Onu per i rifugiati e l’attento blog “Fortress Europe”, sono un colabrodo che i profughi somali e sudanesi attraversano con facilità. Senza contare che la lucrosa filiera della tratta – a lungo monopolizzata dagli ufficiali del vecchio regime e saltata lo scorso autunno – si sta ricostituendo in fretta saldandosi con le reti dei trafficanti del Sahara. Si sono insomma ricreate tutte le condizioni perché gli sbarchi e lo sporco “indotto” che movimentano riprendano.
Stavolta sono soprattutto i somali a voler tentare a ogni costo la traversata del Mediterraneo e l’approdo in Europa per chiedere protezione. Fuggono da guerre, persecuzioni e carestia, l’asilo nel Vecchio Continente difficilmente può venire loro negato. Non esitano neppure davanti ai rischi di una traversata in mare assiepati su natanti di fortuna. Così, se ai cinque morti di ieri aggiungiamo gli oltre 50 somali periti a gennaio in acque libiche per il naufragio di un barcone, la contabilità del primo trimestre 2012 nel Mediterraneo diventa già pesantissimo. E fonti di agenzie umanitarie parlano di centinaia di potenziali rifugiati somali in Libia pronti a replicare gli sbarchi del 2011 sulle nostre coste. Per contro, l’Italia, che nel 2011 si è dimostrata all’altezza della situazione nei salvataggi in mare, è invece in affanno sul versante dell’accoglienza dato che non ha ancora finito di affrontare la coda degli sbarchi della primavera araba.
A Lampedusa, definita porto non sicuro, non è stato riattivato il centro di accoglienza incendiato, quindi eventuali arrivi in massa potrebbero mettere l’isola in ginocchio. E i ritardi accumulati nel disbrigo delle pratiche dei richiedenti asilo stanno creando situazioni difficili nei centri sparsi sul territorio italiano. Ma soprattutto, un anno dopo la guerra, è l’Unione Europea a non aver assunto una politica migratoria comune, come dimostra l’atteggiamento dei maltesi, sempre pronti a scaricare gli oneri del soccorso sulla nostra Marina e sulle nostre coste.
I trafficanti di uomini hanno colpe chiare e gravissime, ma finché i 27 non troveranno un accordo su come affrontare la questione umanitaria sulle sponde libiche senza violare il diritto internazionale – come ha ricordato la recente condanna dell’Italia davanti alla Corte europea dei dirtti umani per i respingimenti dei migranti in mare nel 2009 – nelle acque del “mare di mezzo” non si fermerà la catena di morte.



Lampedusa polveriera
L'isola rivive l'incubo del 2011
Le salme dei cinque migranti deceduti in mare durante la notte arrivano al porto di Lampedusa
Il sindaco: qui il clima è già pesante, Monti intervenga subito
La Stampa, 18-03-2012
FEDERICO GEREMICCA
Alle cinque del pomeriggio sono tutti lì, sul molo, isolani e autorità, curiosi e militari, tragici protagonisti di un film purtroppo già visto e perfino rivisto. Le cinque bare con i corpi degli immigrati morti (tre giovani e due donne) sono poco lontano: ed è forse proprio la presenza di quei feretri a mitigare almeno un po’ la rabbia che monta. Ai primi sbarchi e ai primi morti, Lampedusa è già una polveriera. E ci sono molti motivi - alcuni buoni, altri cattivi - perché la situazione sia così.
Quelli ufficiali - e dunque, diciamo, quelli buoni - li urla nel cellulare il sindaco dell’isola, Dino De Rubeis, già in prima linea l’anno scorso, proprio di questi tempi, di fronte a ondate di sbarchi (50mila fu il totale degli arrivi nel 2011) che travolsero letteralmente Lampedusa. E’ furibondo: «La libera informazione va garantita, ma sono qui in mezzo a gruppi di fotografi che continuano a scattare centinaia di immagini delle bare, e a che diavolo serve - se non a danneggiarci - mandare in giro per il mondo foto di bare? Tutti i telegiornali hanno già cominciato a parlare di una nuova invasione dell’isola, e questo ci rovina perché produrrà altri danni al turismo e noi qui è di turismo che viviamo». Tira il fiato per un attimo, poi continua: «E’ inutile nascondersi dietro a un dito: qui il clima è già pesante e io chiedo ufficialmente a Monti di intervenire immediatamente: sono tecnici, non rischiano polemiche e strumentalizzazioni, quindi si diano da fare. E lo facciano in fretta».
Clima già pesante, dice il sindaco. Che non dice tutto, però: più di un ufficiale della Marina, infatti - oltre a qualche funzionario dello Stato - ieri si è sentito rispondere da diversi albergatori che non c’erano stanze per loro: hotel pieni o in ristrutturazione... La verità è che i lampedusani non vogliono che si rimetta in piedi quel «circo» (lo chiamano così) fatto di giornalisti, militari e volontari che l’anno scorso occupò di fatto l’intera isola da gennaio a giugno. Donato De Tommaso, instancabile comandante della stazione dei carabinieri di Lampedusa, non nega che ci sia tensione, ma chiarisce: «Intanto le stanze per gli operatori che devono venire qui, sono state trovate... Certo, c’è nervosismo: ma vedrete che i lampedusani si confermeranno popolo generoso».
E’ possibile che sia così. Ma almeno un paio di faccende inducono - invece a un certo pessimismo. La prima riguarda il Centro di accoglienza dell’isola che (proprio come l’anno scorso all’inizio della grande «invasione») è desolatamente chiuso, in attesa da mesi di esser sottoposto a collaudo dopo l’incendio che ne distrusse un’ala l’anno scorso. Dice De Rubeis, il sindaco: «Decidano cosa farne. Noi non vorremmo che riaprisse, ma questo è possibile solo se si riesce a bloccare il flusso di migranti all’origine: perché se invece li fanno arrivare fin qui, certo non possiamo ritrovarci come nel 2011 con migliaia di tunisini e libici liberi e in giro per le nostre strade». E’ un problema, certo: che rischia di esser ingigantito dalla seconda faccenda, potenzialmente ancor più esplosiva.
E’ presto detto: il 6 e il 7 maggio Lampedusa vota per rieleggere il suo sindaco, e considerato che l’anno scorso l’«invasione» degli immigrati costò all’isola un calo di oltre il 50 per cento delle presenze turistiche, la battaglia elettorale rischia di trasformarsi in una gara a chi è più duro verso i clandestini e a chi promette interventi e misure il più rigide possibile. Non lo dice così chiaramente, ma nemmeno lo nasconde, Angela Maravantano, senatrice leghista di Lampedusa (fu eletta candidandosi in Emilia...) che ancora non ha deciso se candidarsi a sindaco. «Noi siamo solidali con i clandestini: ma se vengono intercettati in acque internazionali, a 70 miglia dall’isola, qualcuno ci deve spiegare perché vengono portati sempre e tutti qui».
L’attacco della senatrice, naturalmente, è al governo Monti: «Qui non è il momento di proporre baratti del tipo voi accogliete gli immigrati e noi in cambio vi diamo questo o quello... Quest’isola vive di turismo, l’anno scorso la stagione è stata disastrosa, c’è gente che non ha guadagnato una lira e non accetteremo che anche quest’anno vada così. Chi ha il dovere di intervenire lo faccia, perché dopo che i Tg hanno dato la notizia dei cinque morti e dei nuovi sbarchi, sono arrivate le prime disdette di prenotazioni. Facciano in fretta, però, perché rischiamo la “sindrome maltese”, cioè il rifiuto degli immigrati; e perfino lo sciopero fiscale: non pagheremo più le tasse, perché non abbiamo nemmeno un ospedale e ci sentiamo lasciati in balìa delle ondate di clandestini».
Gli aerei della Guarda di Finanza e della Capitaneria di porto si alzano in volo a metà giornata e scorgono all’orizzonte nuove carrette del mare. Almeno 300 immigrati arriveranno sull’isola in meno di 24 ore: e potrebbero essere solo l’avvisaglia della nuova e temuta invasione. La gente bestemmia, le condizioni meteo non sono ideali per la traversata dalle coste libiche o tunisine, ma nemmeno così negative da impedirla. Si scruta l’orizzonte, dunque, e si spera nel cattivo tempo. Proprio come un anno fa. E proprio come se quanto accaduto non avesse insegnato niente...



La vera emergenza sono i nomadi
risponde Furio Colombo
il Fatto, 18-03-2012
Caro Furio Colombo, uno dei peggiori eventi del nuovo razzismo italiano è la cosiddetta “emergenza nomadi”. È una delle squallide leggi lasciate dal leghista Maroni per conto della Padania (che è più il nome di una malattia mentale che di una regione che non esiste). Ma il “pacchetto sicurezza” (ovvero persecuzione di Stato contro le minoranze) esiste ancora?
Davide
È LA STESSA domanda che il 7 marzo scorso la deputata radicale Rita Bernardini ha presentato alla Camera rivolgendosi al ministro dell'Interno Cancellieri. Ha detto la Bernardini: “Ci riferiamo, signor ministro, alle discriminazioni per legge, in nome dell'emergenza a cui sono state e sembrano tuttora sottoposte le minoranze rom e sinti. Una vera e propria schedatura di massa realizzata su base etnica. Una sentenza del Consiglio di Stato del novembre 2011 ha annullato lo stato di emergenza che può essere dichiarato solo in presenza di calamità o catastrofi”. Il ministro ha risposto come si risponde nel Paese civile che l'Italia è tornata a essere dopo Maroni: “Il governo ha approvato il piano di una strategia complessiva relativa a rom, sinti e camminanti volta a favorire politiche inclusive di integrazione con particolare rispetto ai diritti fondamentali della persona”. Non sembra vero per chi ricorda il ministro dell'Interno padano penetrato nella nemica Repubblica italiana proclamare come un vanto: “Saremo cattivi” tra gli applausi di tutta (tutta) la destra. Infatti la Bernardini ha potuto aggiungere, nella replica: “Mi chiedo che fine abbiano fatto le enormi quantità di schedature con impronte digitali, fotografie, foto di gruppo anche di bambini che ora giacciono negli archivi delle questure d'Italia”. E ha ricordato che c'è una proposta di legge per il riconoscimento delle minoranze rom e sinti, riconoscimento che ne cambierebbe lo status giuridico e avrebbe impedito l'arbitrio violento della Lega. Ma come non ricordare che, in questi stessi giorni, è appena stato pubblicato “Rom, genti libere, storia, arte e cultura di un popolo misconosciuto” (Dalai Editore). Ne è autore Santino Spinelli, noto musicista e compositore (con il nome d’arte “Alexian”) che insegna Storia e cultura rom all'Università di Chieti. Con 
questo libro la cultura rom entra nelle biblioteche universitarie. Sbugiarderà e svergognerà la Lega e i suoi leader. 



Nuovo muro in Europa  Lo costruisce Atene contro Turchia e migranti
La rotta di terra, attraverso la Grecia, sta incanalando parte del flusso delle migrazioni. Al confine turco già sei vittime dall’inizio dell’anno e 24 l’anno scorso. Il governo ellenico risparmia su tutto ma non sulla barriera
l'Unità, 19-03-2012
Alberto Tetta
Siamo entrati illegalmente in Grecia due mesi fa dopo aver passato il confine attraversando il fiume Evros – racconta in un caffé di Salonicco, Ferda, rifugiata politica turca – a Edirne l’intermediario che avevamo conosciuto a Istanbul ci ha consegnati a un altro trafficante, arrivati nei pressi del fiume ci hanno detto di non muoverci e stare in silenzio per non attirare l’attenzione della polizia turca che pattuglia il confine, poi su imbarcazioni di fortuna abbiamo attraversato l’Evros». Entrati in territorio greco Ferda e il suo compagno sono stati individuati dalle telecamere termiche posizionate lungo il confine. La polizia li ha arrestati e rinchiusi in un campo per migranti nei pressi di Soufli: «Ci hanno detto di non preoccuparci, che saremmo rimasti lì pochi giorni, sono passati più di due mesi prima che ci liberassero e iniziasse il procedimento per valutare la nostra domanda d’asilo politico».
«Noi siamo stati relativamente fortunati spiega Hakan, il compagno di Ferda ma nel campo abbiamo sentito storie terribili, molti migranti dopo aver raggiunto il lato greco del confine sono stati spinti di nuovo in acqua, un ragazzo palestinese di circa 30 anni a dicembre ha cercato di attraversare il fiume a nuoto, ma non ce l’ha fatta e hanno trovato il suo corpo congelato sulla riva».
Sono sei dall’inizio dell’anno e 24 nel 2011 i migranti che hanno perso la vita mentre cercavano di attraversare il confine turco-greco segnato dal fiume Evros che dal 2010 è punto d’ingresso privilegiato per i migranti senza documenti che tentano di raggiungere l’Europa. Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, stima che nel 2011 del numero migranti entrati in Europa passando dalla Grecia sia aumentato del 17 per cento. Mentre sono sempre meno gli stranieri che tentano la traversata via mare. Lo scorso anno il 90 per cento degli immigrati irregolari sono stati bloccati dagli agenti dall’agenzia europea proprio in Grecia.
Per contrastare questo crescente flusso di migranti, ora le autorità elleniche hanno deciso di costruire un muro. La barriera lunga 12,5 chilometri e alta tre metri sorgerà nella Tracia settentrionale tra le cittadine di Kastanies e Nea Vyssa lungo l’unico tratto di confine non segnato dal fiume Evros e quindi più facile da attraversare.
L’appalto per 3 milioni di euro è stato assegnato a una compagnia greca a febbraio. Anche se l’Unione europea ha annunciato che non finanzierà il progetto, secondo la Commissaria per gli affari interni Cecilia Malström, la costruzione del muro sarebbe un’iniziativa «inutile» e a breve termine, le autorità greche, tuttavia, sono determinate ad andare avanti da sole e il 5 febbraio il ministro degli interni Papoutsis, socialista e membro del Pasok, ha inaugurato un nuovo centro operativo della polizia di frontiera parte del progetto anti-immigranti: «Da un lato l’Europa rifiuta di rivedere il trattato Dublino II, secondo cui i richiedenti asilo devono tornare nel paese di prima entrata e fa pressione sulla Grecia per tenere sotto controllo le frontiere minacciando sanzioni e dall’altra quando prendiamo l’iniziativa se ne distanzia».
Gli abitanti di Nea Vyssa, tranquillo paesino di frontiera da cui passerà il muro, sono più infastiditi dalla forte militarizzazione del confine che dal passaggio continuo di stranieri. «Non sono un’esperta, un massiccio afflusso di migranti in Grecia potrebbe creare problemi certo, però non capisco che senso abbia con la crisi spendere milioni di euro per costruire 12 chilometri di muro su un confine lungo più di cento – si chiede Anastasia, la padrona di un piccolo caffé nel centro del paese. A Nea Vyssa passano stranieri ogni giorno, mai meno di 15, a volte anche più di 50, racconta, ma il periodo più critico è l’inverno, quando i migranti arrivano in paese assiderati e coperti di neve: «Uno degli episodi che mi è rimasto più impresso risale a qualche mese fa – racconta Anastasia – alla mia porta ha bussato una coppia con due figli piccoli, la donna era in cinta. Quando ho visto i due bambini che piangevano praticamente congelati neanche io sono riuscita a trattenere le lacrime. Li ho fatti entrare e gli ho dato delle coperte e del latte caldo».
A Orestiada, cittadina qualche chilometro a sud di Nea Vissa, è nato un comitato anti-muro che il cinque febbraio ha organizzato una manifestazione contro la visita del ministro Papoutsis. «Un anno fa quando si è cominciato a parlare della costruzione della barriera abbiamo promosso un’assemblea aperta a tutta la cittadinanza per discuterne, li abbiamo deciso di mobilitarci contro un progetto che secondo noi viola diritti umani fondamentali come quello di presentare domanda di asilo politico – racconta Kostantinos, tra i promotori della campagna Stop Evros Wall – ora stiamo cercando di fare uscire la mobilitazione dai confini greci e farci conoscere. Abbiamo lanciato anche una raccolta firme e con l’aiuto dei nostri avvocati presenteremo ricorso alla corte europea dei diritti dell’uomo».
Secondo Kostantinos la costruzione del muro, che terminerà a settembre, più che una risposta al problema immigrazione sarebbe un’iniziativa personale del ex-ministro degli interni Papoutsis che proprio la settimana scorsa si è dimesso per dedicarsi completamente alla campagna per le primarie per la leadership del Pasok.
Sul fronte interno greco i due maggiori partiti, Nuova democrazia e socialisti del Pasok sono a favore del progetto, contrari i comunisti del Kke e gli altri due partiti della sinistra riformista, secondo cui la costruzione del muro sarebbe «un atto inumano e futile». Entusiasti invece i nazionalisti del Laos, movimento populista di estrema destra dato in forte crescita negli ultimi mesi.
Dall’altro lato del confine Ankara si oppone con forza a un progetto che considera un ostacolo al processo di adesione all’Unione Europea. «C’è chi in Europa non perde l’occasione di promuovere iniziative contro la Turchia e ora vogliono costruire un nuovo muro come quello abbattuto a Berlino lungo il fiume Evros». Ha dichiarato il ministro per gli affari Europei Egemen Bagis.
Dalla collina sopra Nea Vyssa, Chronis guarda le due file di alberi che segnano il confine con la Turchia: «Il muro non fermerà l’arrivo degli stranieri, lo renderà solo più difficile – dice – ora arrivano persone, dopo la costruzione del muro vedremo solo cadaveri».



Immigrati, è in arrivo la Carta Blu per stranieri altamente qualificati
Lo scopo del "bollino blu" è quello di riconoscere alla migrazione legale un ruolo di rafforzamento dell'economia, incrementando la competitività delle imprese e la capacità di attrarre lavoratori stranieri di alto profilo formativo e professionale
la Repubblica, 17-03 2012
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - Si chiama Blue Card ed è un "acchiappacervelli": un permesso di soggiorno speciale per lavoratori altamente qualificati. L'Europa lo chiede dal 2009: un canale di accesso agevolato per i cervelli stranieri. E il Consiglio dei ministri, con uno schema di decreto legislativo, recepisce finalmente la direttiva Ue del 25 maggio 2009.
La direttiva europea. Il nuovo decreto legislativo regola "le condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi, che intendano svolgere in Italia lavori altamente qualificati (Blue Card)". L'approvazione dello schema di decreto recepisce una direttiva del Consiglio Europeo e contribuisce al conseguimento degli obiettivi di Lisbona, che prevedono appunto di "attirare e trattenere lavoratori altamente qualificati provenienti da Paesi extracomunitari"
La Carta Blu. Lo scopo del "bollino blu" è quello di riconoscere alla migrazione legale un ruolo di rafforzamento dell'economia, incrementando la competitività delle imprese e la capacità di attrarre lavoratori stranieri di alto profilo formativo e professionale. Lo schema di decreto integra il Testo Unico dell'immigrazione, facilita l'ingresso di questi cittadini nel territorio nazionale e prevede l'introduzione di una nuova tipologia di titolo di soggiorno, denominato Blue Card, valido fino a quattro anni e rinnovabile.



Immigrati, non più solo Islam Ecco la Conferenza delle religioni
il nuovo organismo consultivo del ministero per la Cooperazione e l'Integrazione. Archiviato il Comitato per l'islam italiano, il nuovo tavolo si aprirà a tutte le confessioni: musulmani, buddisti, valdesi, ortodossi, sikh. Il debutto è fissato per lunedì prossimo.
la Repubblica, 16-03-2012
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - L'integrazione delle comunità straniere in Italia passa anche attraverso i loro leader religiosi. Per questo nasce la Conferenza permanente delle religioni: il nuovo organismo consultivo del ministero per la Cooperazione e l'Integrazione. Archiviato il Comitato per l'islam italiano, il nuovo tavolo si aprirà a tutte le confessioni: musulmani, buddisti, valdesi, ortodossi, sikh. Il debutto è fissato per lunedì prossimo.  
Un passo indietro: la Consulta islamica. Ricapitolando, il 10 settembre 2005 Giuseppe Pisanu, l'allora ministro dell'Interno, aveva creato la Consulta islamica presso il Viminale. L'organismo, di 16 membri, aveva continuato a vivere e lavorare anche sotto il ministro dell'Interno, Giuliano Amato. Poi, con l'arrivo di Roberto Maroni al Viminale, era stato accantonato per oltre un anno e mezzo. Quindi, nel febbraio 2010, era improvvisamente rinato: nuovo nome (Comitato per l'islam italiano) e nuovi membri (19, per la metà italiani). Solo un paio i pareri prodotti: uno sull'apertura dei luoghi di culto e un altro sull'uso di niqab e burqa. Ora, archiviato anche il Comitato per l'islam, il nuovo esecutivo vara la Conferenza nazionale permanente "Religioni, cultura e integrazione" (non solo islam dunque) presso il ministero di Andrea Riccardi.
Arriva la Conferenza permanente. La nuova Conferenza delle religioni prenderà il via lunedì prossimo, presso la sede del ministro Riccardi: il nuovo organismo consultivo
è infatti una creatura del ministro della Cooperazione internazionale e dell'Integrazione. "Sono da tempo convinto - sostiene  Riccardi - dell'importanza del contributo che gli esponenti religiosi, molto influenti all'interno delle comunità presenti in Italia,  possono dare nel favorire il dialogo, la conoscenza reciproca, la convivenza  e l'integrazione". Non solo musulmani dunque siederanno al tavolo, ma anche ortodossi, valdesi, buddisti, indiani sikh.
Un focus sull'islam. Per i musulmani sono stati chiamati alla Conferenza i rappresentati dell'Ucoii 1 (Unione delle comunità islamiche) della Coreis ( 2comunità Religiosa Islamica) e della Grande moschea di Roma. Nelle intenzioni del ministro Riccardi, ci sarà per loro anche un tavolo separato per affrontare le questioni più urgenti dell'islam in Italia. E ancora: alla Conferenza permanente prenderanno parte non solo i rappresentanti religiosi delle comunità straniere presenti in Italia, ma anche studiosi, esponenti della società civile e delle istituzioni. Gli incontri si terranno ogni mese e mezzo.
 

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