Carceri piene e la chimera della pena alternativa

Italia-razzismo
Riguardo al tema del trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi di origine per espiare la condanna definitiva loro inflitta, le convenzioni in tal senso stipulate dal nostro Paese hanno dato sinora scarsi risultati per una serie di difficoltà anche procedurali». Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha risposto al problema del sovraffollamento, denunciato dal Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe).

Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri ha poi sostenuto che «le pene alternative sono una strada fondamentale da percorrere per risolvere il problema del sovraffollamento. A maggio dobbiamo poter dire all’Europa che abbiamo risolto in parte la questione».
Le carceri italiane ospitano, ad oggi, oltre 22mila persone straniere, molte delle quali non hanno l’accesso alle misure alternative alla detenzione perché prive di una residenza e senza riferimenti fuori dal carcere. Va detto che esistono alcune strutture in cui è possibile dimorare durante il periodo della detenzione alternativa, ma il loro numero è irrisorio.
Anche chi è trattenuto nei Cie (centri di identificazione ed espulsione) potrebbe accedere alle misure alternative una volta che l’identificazione è avvenuta. Possono farlo coloro che hanno un documento originale (passaporto) e che dimostrano l’assenza del pericolo di fuga. In questo senso il fatto di avere una famiglia in Italia potrebbe essere un disincentivo a fuggire. Non è così, però, per i Giudici di Pace addetti alle convalide del trattenimento all’interno dei Cie, che – nella maggior parte dei casi – non tengono conto di questo aspetto, confermando la reclusione a persone che potrebbero attendere l’espulsione fuori dai Cie e che, nel frattempo, avrebbero anche maggiori possibilità di sanare la propria posizione giuridica irregolare. Ma non solo. Quel periodo all’interno del Cie può incidere assai negativamente sulle relazioni familiari. «Fuori» ci sono compagne in stato di gravidanza desiderose – in molti casi – di diventare mogli; bambini costretti al distacco da un genitore; madri e padri che temono il ritorno al paese di origine di uno dei loro figli.
Si tratta dunque di un trattenimento considerato ingiusto da chi lo subisce e che, provocando malcontento e frustrazione, non fa che rendere più faticosi e contraddittori i percorsi d’integrazione.
l'Unità, 14-09-32013

Share/Save/Bookmark