«Un mondo che migra». Un nuovo primo marzo

 

Osservatorio Italia-razzismo
Dal 2010, ogni primo marzo, si tiene una manifestazione nazionale per ricordare l’importanza della presenza straniera nel nostro Paese. Per indicare quella giornata si usa il termine “sciopero” perché, il primo marzo del 2010, le persone straniere che lavoravano in Italia organizzarono un’astensione collettiva dal lavoro.
 La proposta in qualche modo funzionò, ma solo per quella volta. Già dall’anno successivo, nella medesima giornata non ci furono raduni di piazza, ma la presenza straniera fu comunque celebrata e valorizzata con iniziative locali. La giornata del primo marzo è diventata così un momento per riflettere sull’importanza dell'apporto dato all’Italia dai lavoratori stranieri. Un contributo la cui mancanza peserebbe parecchio perché, come viene ben descritto dal Rapporto sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone-Moressa, il lavoro svolto dagli immigrati è complementare, e non concorrenziale, a quello degli italiani. 
 
Quest’anno, in occasione del Primo Marzo, a Roma, sarà presentato il libro “Ripartire. Storie di un mondo che migra”. Si tratta di un progetto di Frontiere News, un web magazine che racconta le sfide, le sconfitte e le vittorie dell’Italia interculturale del terzo millennio. Hanno contribuito alla stesura del testo diverse persone impegnate a vario titolo nel campo delle migrazioni, come Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, Enrico Fontana, direttore di Paese Sera, Joshua Evangelista direttore di Frontiere. Nel libro il fenomeno dell’immigrazione straniera in Italia viene raccontato in tutte le sue sfaccettature: gli sbarchi, la concessione e la negazione dello status di rifugiato, il dramma dell’accoglienza, i lavoratori e la negazione dei loro diritti, la frustrazione delle badanti, le seconde generazioni e la difficoltà della concessione del diritto di cittadinanza. Il punto centrale del libro è il termine Ripartire che, come viene spiegato dagli autori, “è da intendersi con una duplice accezione: come verbo dell’infinita migrazione, spesso conseguenza della costrizione, e come azione di chi ha deciso di non accettare la situazione imposta dalle circostanze”. E proprio su questa parola si svolgerà il dibattito-presentazione di domani  alle ore 19 in via Fortebraccio 1, a Roma, cui parteciperanno gli autori. E il verbo Ripartire, va detto, è proprio ben scelto, perché – in realtà – le accezioni possibili sono ancora di più. Nel linguaggio corrente, infatti, quel ripartire ha il senso forte di una capacità di ripresa, allude a un rialzare la testa e a un riprendere energia e movimento dopo una crisi o una sconfitta. Che è, poi, la condizione non certo infrequente di chi intraprende il difficile percorso dell’integrazione nel Paese di arrivo. Ma è anche, quel ripartire, un preciso tratto sociologico: una gran parte di coloro che abbandonano la propria terra fatica a trovare una destinazione stabile, incoraggiati o respinti via via dai mutamenti dei diversi mercati del lavoro e dalle oscillazioni delle normative in materia. In altre parole, è come se il ripartire fosse una condizione stessa del migrare. Insomma, non si parte una volta sola. 
28 febbraio 2013
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