Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 marzo 2014

Milano: oltre 6 milioni euro per accogliere richiedenti asilo
Deliberata dalla giunta comunale l'accettazione del finanziamento erogato dal ministero dell'Interno per le attività di integrazione dei cittadini stranieri che hanno richiesto una forma di protezione internazionale.
stranieriinitalia.it,10-03-2014
Milano, 10 marzo 2014 - Oltre 6,1 milioni di euro, nei prossimi tre anni, per i programmi di accoglienza dei richiedenti asilo.
La Giunta del Comune di Milano ha deliberato l'accettazione del finanziamento erogato dal ministero dell'Interno per le attività di integrazione dei cittadini stranieri che hanno richiesto una forma di protezione internazionale. Palazzo Marino ha ottenuto le risorse per effetto dell'adesione al bando del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), istituito dal ministero dell'Interno e, successivamente, coordinato dall'Anci in convenzione con gli Enti locali e diffuso su tutto il territorio nazionale.
"Anche per il triennio 2014-2016 - ha detto l'assessore alle Politiche sociali e Cultura della Salute Pierfrancesco Majorino - abbiamo presentato domanda di contributo al Fondo nazionale per le politiche e i servizi per l'asilo. I fondi arrivati saranno utilizzati per attuare, grazie alla collaborazione con il terzo settore, percorsi di autonomia attraverso servizi di ospitalità, tutela e integrazione. Milano si conferma città aperta, capace di accogliere in modo dignitoso e di dare una possibilità a chi è in fuga da Paesi in guerra o attraversati da gravi crisi umanitarie".
Il programma prevede la messa a disposizione di 150 posti letto presso strutture del terzo settore convenzionate con il Comune di Milano. Secondo quanto prevedono gli accordi di diritto internazionale recepiti dall'Unione europea e dal nostro Paese, ai cittadini accolti viene offerto un percorso di integrazione di sei mesi. In questo periodo il titolare dello status di richiedente asilo o di una forma di protezione umanitaria segue corsi di italiano, oltre che di orientamento, formazione e avviamento al lavoro, si legge nella nota del Comune.



Cie, la Commissione diritti umani approva risoluzione
CIRDI, 10-03-2014
“Attualmente degli 11 Cie esistenti, solo 5 sono in funzione e vi sono ristrette circa 460 persone a fronte di costi molto alti per il mantenimento delle strutture. In esse gli standard essenziali di tutela dei diritti fondamentali della persona sono costantemente violati”. Quello che da anni denunciano le associazioni e contro cui protestano i migranti, viene scritto ora dai membri della Commissione diritti umani del Senato, nella risoluzione approvata ieri, dove si specifica anche che “nel 2013, ]..] sul totale dei trattenuti, ne sono stati rimpatriati solo il 45,7 %. Questa percentuale rappresenta appena lo 0,9 % degli immigrati irregolari stimati nel nostro paese”.
Ad annunciare l’approvazione della risoluzione è il presidente della Commissione, il senatore Luigi Manconi: “La Commissione diritti umani del Senato, dopo aver visitato nei mesi scorsi i centri di Bari, Roma, Gradisca d’Isonzo, Trapani e Torino, esprime un giudizio estremamente severo” ha affermato Manconi, specificando che “sono emerse numerose carenze riguardo alle funzioni che essi dovrebbero svolgere, e ciò in ragione di rilevanti insufficienze strutturali, nonché di modalità di esecuzione del trattenimento gravemente al di sotto degli standard di tutela della dignità e dei diritti delle persone trattenute”.
Carenze che, come denunciato numerose volte, non riguardano solo le strutture citate dal senatore, bensì l’intero sistema dei Cie.
Nella risoluzione vengono proposte “alcune misure minime da adottare subito, a cominciare dalla riduzione drastica dei tempi di trattenimento, in vista del definitivo superamento dei Cie”, prosegue Manconi, che definisce i Cie “strutture inutili e afflittive che vanno superate”.
Le proposte avanzate, però, rischiano semplicemente di portare a una revisione di alcune caratteristiche: se da una parte la presa di posizione della Commissione rappresenta un passo importante, non possiamo non notare però il fatto che vengano fatte solo proposte di miglioramento, e non di chiusura. Una strategia che contrasta con quanto dichiarato dallo stesso Manconi a proposito dell’inutilità totale di queste strutture afflittive.
Fonte: Cronache di Ordinario Razzismo



Senato: al via esame testo su accoglienza stranieri vulnerabili
Obiettivo è quello di estendere a tutti gli immigrati che versano in situazioni di particolare vulnerabilità le modalita' di accoglienza gia' previste dai richiedenti asilo che si trovano in queste condizioni.
stranieriinitalia.it, 10-03-2014
Roma, 10 marzo 2014 - Estendere a tutti gli immigrati che versano in situazioni di particolare vulnerabilita' - come minori, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza - le modalita' di accoglienza gia' previste dai richiedenti asilo che si trovano in queste condizioni.
Questo l'obiettivo del ddl 1247 ''Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998 n.286, in materia di accoglienza di persone portatrici di esigenze particolari'' di cui la commissione Affari costituzionali del Senato ha avviato l'esame il 5 marzo.
Come gia' disposto per chi richiede asilo, ha spiegato il relatore Francesco Campanella (Misto), e' previsto che nei centri di identificazione e accoglienza siano presenti servizi speciali di accoglienza e cura in collaborazione con la Asl competente che garantiscano misure assistenziali particolari e un supporto psicologico.
 Il sottosegretario all'Interno Domenico Manzione nel dichiarare l'orientamento favorevole del governo ha osservato, pero', che la prestazione di servizi assistenziali da parte delle Asl potrebbe comportare oneri aggiuntivi. Il seguito dell'esame e' stato rinviato ed e' stato fissato al 13 marzo il termine per la presentazione degli emendamenti.



Spagna, 350 euro agli immigrati che tornano al loro paese
You-ng.it, 10-03-2014
Valentina Sanseverino
Lo chiamano “programma di ritorno volontario”. Dal 2005 ad oggi ha già coinvolto 4.269  persone, di cui 158 solo dall’inizio di quest anno. Dall’ottobre del 2013 ne è entrata a far parte anche la Spagna che, nella speranza di risolvere, almeno in parte, il massiccio esodo di cittadini marocchini verso le sponde della Penisola Iberica ha stanziato 400.000 euro in due anni per questo progetto e conta di portalo avanti con l’appoggio della Comunità europea. Ad oggi, però, solo Olanda, Svizzera e Belgio hanno dato l’ok al programma di ritorno che prevede un “compenso” di 500 dollari, pari a circa 360 euro, per qualsiasi immigrato che decida di fare ritorno al suo paese di origine.
“Una risposta umana alla gestione dell’immigrazione irregolare in Marocco – spiega l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) – Uno degli obiettivi principali di questo programma è aiutare i migranti marocchini che si trovano in una situazione di irregolarità, pericolo e vulnerabilità e che desiderano tornare nel loro paese […] a ricominciare d’accapo” con un piccolo contribuito economico. Un contributo che, benché esiguo, secondo Europa Press sarebbe un valido aiuto per cominciare “una nuova vita” in un paese, come l’Africa, in cui il reddito pro capite è ridotto al minimo. E che aiuterebbe la Spagna, da sempre porta privilegiata dell’immigrazione marocchina e africana in Europa, a regolarizzare la posizione di migliaia di cittadini stranieri che vivono sul suolo iberico in condizioni di estrema miseria, illegalità, malattia, stretti nella morsa delle mafie e senza altra via d’uscita che un ritorno ad un posto che, se pur poverissimo, possono chiamare casa.
Sono in tanti, tantissimi coloro che, malgrado tutto, non vogliono tornare. O non possono. Ma sono molti, quasi 5000, quelli che invece hanno scelto di incassare i 360 euro e fare fagotto.
Il governo marocchino ha già appoggiato l’iniziativa, che per ora trova sostegno economico esclusivamente attingendo alle casse dei singoli stati promotori ma che auspica a divenire un meccanismo comune dell’Unione Europea, risposta univoca e compatta del vecchio continente alle esigenze sempre più gravose imposte dalla massiccia immigrazione clandestina e dalla diffusa irregolarità in cui vivono i migranti in Europa. Dal canto suo la Spagna ha deciso di muoversi decisamente in questo senso: il dipartimento retto da Jorge Fernández Díaz, dall’ottobre scorso ha “rispedito” a casa già 247 persone e, facendo due conti, ha scoperto che il costo pro capite dell’iniziativa è nettamente inferiore a quello che, in media, il Ministero degli Interni Spagnolo spende per accogliere un immigrato, dargli assistenza di base, controllarne la situazione legale e poi rimpatriarlo.
Ma come funziona il “programma di ritorno volontario” al di fuori della Spagna? L’OIM, numeri alla mano, esprime soddisfazione: lo scorso anno 597 cittadini stranieri hanno fatto ritorno ai loro 16 diversi paesi di origine, tra cui Nigeria in primis, poi Camerun, Giunea, Congo, Senegal, Mali, Togo, Burkina Faso, Kenya, Gambia, Ciad, Sierra Leone, ma anche Filippine, Sri Lanka e Indonesia.; a 30 di loro il programma ha fornito anche assistenza medico- sanitaria prima del rientro; 61 di loro erano vittime di sfruttamento sessuale e lavorativo; il 58% erano uomini, anche se, come fa notare ancora l’OIM, “non bisogna sottovalutare che il numero di immigranti di sesso femminile aumenta vertiginosamente di mese in mese”; 11 erano minori non accompagnati.
Quello che ne è stato di loro, però, non appare in nessuna statistica.



Il fotoreporter nel campo profughi di Za'atari: "Tra noi e i rifugiati non c'è differenza"
Intervista a Giles Duley, fotografo che testimonia per Save The Children la vita nel campo nel deserto giordano, vicino ai confini siriani, dove ormai vivono 100mila persone e dove sono nati 700 bambini: "Qui ho visto solo persone normali, e positive. Non si lasciano andare: fanno progetti"
la Repubblica, 10-03-2014
ALESSANDRA BADUEL
"SONO PERSONE. Bambini, madri, padri, famiglie. Chiamarli 'rifugiati' è quasi una difesa, per noi, mette una distanza. Nelle mie foto ho cercato di abolirla: di mostrare la similitudine che c'è fra loro, costretti a vivere in un accampamento nel deserto, lontani da una casa dove c'è la guerra, e noi. Come ci sentiremmo, noi, al loro posto?". Giles Duley è stato nel campo profughi di Za'atari, nel deserto giordano vicino ai confini siriani, due settimane fa.
Sabato prossimo saranno tre anni dall'inizio delle dimostrazioni in Siria, presto contrastate con l'esercito e sfociate in guerra civile, ed è con le fotografie di Duley che Save The Children, operativa nel campo fin dalla sua nascita nel luglio del 2012 con aiuti umanitari e soprattutto educativi per bambini e ragazzi, ha voluto segnare la data: tre anni di guerra e, solo a Za'atari, 450 siriani in fuga che arrivano ogni giorno.
Navigazione per la galleria fotografica
Metà dei 100mila che vivono in camper e tende messi in fila in mezzo al nulla hanno meno di 18 anni - e ben 26mila non arrivano ad averne cinque. Almeno 700 sono nati lì, in quella che al momento è la quinta città giordana per numero di abitanti.
La sua impressione, vivendo con loro nel campo?
"Che si tratta di persone normali, appunto, che cercano il più possibile di fare la vita di tutti i giorni, parlando con i vicini del tempo, o dei ragazzi che sfuggono al controllo e vanno in giro con gli amici. Cose semplici, a dispetto del fatto che devono occuparsi di come procurarsi cibo migliore, o i soldi per il gas che purtroppo va pagato, o di stare attenti a non sprecare l'acqua delle taniche. Si tratta di organizzare l'intera famiglia e le sue esigenze in una piccola tenda, ma loro cercano sempre lo spazio per la normalità".
Nel suo lavoro lei ha visto parecchi altri campi profughi. C'è qualcosa che distingue Za'atari?
"Si tratta di persone di classe media, non di poveri. Sono gente che fino a ieri era abituata a una società avanzata, per esempio con una migliore assistenza sanitaria di quella che trovano in Giordania: molte madri si lamentano di questo. Molti sono avvocati, medici, professionisti. Di colpo si ritrovano in tenda, senza il gas per scaldarsi e con molta paura addosso. Certo sono anche gente forte, che non si scoraggia. Sperano nella pace e pensano a quando torneranno in Siria".
I bambini, come li ha trovati?
"Giocano, si divertono, vanno a scuola con entusiasmo, ma stanno attenti a tutto: sanno bene cosa succede, hanno perso amici e compagni di studi che non sanno se rivedranno. Certo al campo le scuole non sono ancora sufficienti per tutti, ma si fanno i turni. E quella credo sia la cosa più importante da garantire. Il rischio è che questa guerra produca un'intera generazione perduta. È stato già detto, ma vale la pena ripeterlo: va evitato a tutti i costi".
Lei ha perso le gambe e un braccio per colpa di un ordigno esploso sotto i suoi piedi, in Afghanistan, mentre faceva il suo lavoro. Ma ha deciso di continuare.
"La prima cosa che ho pensato, riprendendo conoscenza, è stata: "Ho la mano destra, ho gli occhi, posso farcela: resto un fotografo". Sono anni che ho scelto di fare il narratore delle persone, soprattutto degli esseri umani che vivono condizioni critiche, cercando i punti di contatto, le similitudini con noi che guardiamo. Adesso, le mie nuove condizioni fisiche mi permettono di avere una maggiore empatia con i miei soggetti. Io da ferito volevo la mia vita indietro, loro vogliono la stessa cosa".
La sua foto preferita, fra quelle scattate a Za'atari?
"Il padre che carezza la sua bambina. È universale, potrebbe essere ovunque".
Quel che l'ha più colpita, dei siriani che vivono lì?
"La forza d'animo. Sono persone positive, non si lasciano andare: fanno progetti".

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