Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

06 novembre 2012

Lampedusa, soccorsi migranti in mare salvati in 107 su un gommone in avaria
Guardia costiera e Marina militare sono intervenute in auto dell'imbarcazione alla deriva a 96 miglia a sud est di Lampedusa. Un altro natante con 77 persone a bordo recuperato dalle autorità maltesi
la Repubblica, 06-11-2012
Un gommone di migranti in difficoltà, con 107 persone a bordo, è stato soccorso nella notte a sud di Lampedusa da guardia costiera e Marina militare. In aiuto di un altro gommone con 77 persone a bordo sono intervenute le motovedette di Malta, su segnalazione della Capitaneria di Palermo. Lo rende noto la guardia costiera.
Nella serata di ieri, da un telefono satellitare, è giunta alla Guardia costiera di Palermo una richiesta di soccorso da un gommone di circa 11 metri, in difficoltà, con più di 100 persone a bordo. Il mezzo è poi stato localizzato a circa a 96 miglia a sud est di Lampedusa. Nelle operazioni di soccorso sono state interessate anche le autorità libiche e maltesi, visto che il gommone si trovava quasi al limite delle rispettive aree di ricerca e soccorso.
Contemporaneamente sono partite da Lampedusa due motovedette della Guardia Costiera, mentre una nave della Marina militare si dirigeva verso la zona. Inoltre dalla centrale operativa del Comando generale della Guardia costiera italiana sono state individuate due navi mercantili in transito nella zona. Le due imbarcazioni hanno raggiunto il gommone che era alla deriva intorno a mezzanotte e hanno assistito gli occupanti in attesa dei soccorsi che sono arrivati un paio di ore dopo.
Le due motovedette della Guardia costiera hanno, quindi, preso a bordo i migranti: in tutto 107, di cui 28 donne, 3 minori e 76 uomini. Le imbarcazioni si sono poi dirette verso Lampedusa, dove arriveranno in mattinata. Una nave della Marina militare
segue le operazioni, con unità medica a bordo, per eventuali necessità.
Alle 22 di ieri sera, intanto, è giunta un'altra richiesta di soccorso alla Guardia Costiera di Palermo, da un gommone con 77 persone a bordo, a 80 miglia a sud di Lampedusa. Interessate anche in questo caso le autorità maltesi che hanno inviato in zona un mercantile in transito e un pattugliatore militare.



I becchini del Mediterraneo
il manifesto, 06-11-2012
Anna Maria Rivera    
Certo, lo stile delle autorità italiane non è piú quello di chi incitava ad affondare i barconi dei migranti. E questa volta va dato atto alla Guardia costiera e alla Marina militare di aver compiuto il proprio dovere: ché questo è soccorrere un gommone di migranti alla deriva, come hanno fatto, riuscendo a salvarne settanta su un numero indefinite. Ma la tragedia dell'ecatombe mediterranea si perpetua giorno dopo giorno, incrementata dall'ottuso proibizionismo della fortezza europea, dagli accordi bilaterali sottoscritti con i nuovi regimi della riva Sud del Mediterraneo, dalla condizione disperata dei nostri ex colonizzati, somali ed eritrei, condannati a un esodo senza fine e senza speranza. Come testimonia il fatto che ben otto degli undid cadaveri recuperati finora siano di donne.
In Libia, come ha denunciato fra gli altri Amnesty International, quasi niente è mutato nel campo in cui si era illustrate il regime di Gheddafi, il più feroce fra i gendarmi delle frontiere europee. E questo anche grazie all'intervento militare della Nato, che ha violentato un processo appena in fieri e ne ha condizionato gli esiti perlopiù in senso negativo. Gli arresti arbitrari di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, il lavoro forzato e lo sfruttamento schiavile, le deportazioni, i taglieggiamenti, le torture, gli stupri sono pratiche tuttora correnti, la cui apoteosi è l'inferno della prigione di Kufra. L'unica differenza è che oggi sono le milizie annate a «dirigere» i centri di detenzione e a compiere queste nefandezze.    
Sebbene tutto questo sia ben noto, sebbene la Libia non abbia mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del '51 e non faccia distinzione tra richiedenti asilo e migranti, il 3 aprile scorso un nuovo accordo è stato sottoscritto dalla ministra Cancellieri col suo omologo Fawzi Al Taher Abdulali. Questi s'impegna, ovviamente, a impedire le partenze dei migranti, l'altra a fornire strumenti e addestramento per i controlli delle frontiere, chiudendo un occhio sulle gravissime violazioni dei diritti umani. E non solo: per Cancellieri il bagno penale di Kufra non è altro che un «centro di accoglienza» da dotare di «servizi sanitaii di primo soccorso».
Quanto alla Tunisia, anche se la Rivoluzione del 14 gennaio ha favorito un'effervescenza sociale e una presa di parola collettiva senza precedenti, ben pochi cambiamenti essa ha prodotto per ciò che riguarda sia le condizioni sociali delle classi subalterne, sia il diritto di emigrare e di essere protetti in quanto migranti o rifugiati. Basta dire che qui è ancora in corso una legge dei 2004 che prevede pene detentive fra i tre e i venti anni di prigione per chi sia implicato, direttamente o indirettamente, anche per mera solidarietà, in un fatto o in un tentativo di emmigrazione/immigrazione illegale. Il che, ben lungi dall'impedire gli arrivi e le partenze, li rende sempre piú rischiosi. Ormai non si contano più le vittime e i dispersi fra gli harraga tunisini partiti per le coste italiane dopo la fuga dei dittatore. Paradossale è che essi siano gli stessi giovani proletari, senza lavoro né reddito o in condizioni precarie, che con la loro sollevazione hanno reso possibile la caduta dei regime, pensando fra l'altro che la sua fine avrebbe segnato la fine dei proibizionismo.
L'abbiamo scritto mille volte, cosi chele nostre parole sono livide e consumate come i cadaveri che s'inabissano nel Mediterraneo: sul versante a Sud, non si può pretendere di rappresentare la rottura con i regimi dittatoriali senza spezzarne i cardini portanti, fra i quali gli accordi bilaterali; sul versante a Nord, non si può pretendere di rappresentare la rottura con il berlusconismo perpetuandone le abominevoli politiche proibizioniste.



Immigrati/ Sbarco nel Salento, rintracciate 58 persone
Affaritaliani, 06-11-2012
Cinquantotto migranti sono sbarcati la scorsa notte a Santa Maria di Leuca, nel Salento. Ai primi quarantasei stranieri rintracciati in un primo momento dalle forze di polizia se n'e' aggiunta un'altra dozzina. Tutti sono stati condotti nel centro di accoglienza "Don Tonino Bello" di Otranto. Gli immigrati, per la maggior parte, hanno dichiarato di essere afghani. Tra essi vi sono anche due bambini e una donna. Quattro sarebbero, invece, cittadini iraniani. Sul posto sono intervenuti i carabinieri e il personale della Croce Rossa. La Guardia costiera ha perlustrato il tratto di mare davanti alla costa di Leuca, senza individuare la barca che ha condotto i migranti fino al Salento. Continuano le ricerche nell'entroterra per rintracciare altri stranieri.



Emergenza Nordafrica - Permessi di soggiorno: il Governo decide di non decidere
Tre confuse circolari, nessuna decisione: il Ministero dell’Interno rende note le modalità operative per "definire le posizioni" di chi ha ricevuto il diniego
Melting Pot Europa, 06-11-2012
Decidere di non decidere, così si potrebbe sintetizzare il contenuto delle circolari con cui il Ministero dell’Interno ha sintetizzato le modalità operative per definire le posizioni dei richiedenti asilo destinatari di un diniego della domanda di protezione internazionale da parte della Commissione Territoriale.
Da ormai un anno in molti chiedevano certezze e dignità per i richiedenti asilo ospitati nell’ambito dell’emergenza Nordafrica, in particolare con la campagna #dirittodiscelta che ha raccolto migliaia di adesioni, ma più che ad una adeguata e puntuale risposta alle pressioni insistenti di associazioni, comitati ed operatori, le circolari sembrano assomigliare ad un documento di compromesso, una risposta che raccoglie solo in maniera approssimativa e posticcia le istanze proposte.
Secondo la comunicazione dello scorso 28 ottobre 2012 infatti "gli stranieri in accoglienza si devono recare presso la competente Questura (luogo di dimora attuale) e chiedere il riesame della propria posizione seguendo la procedura Vestanet C3 - Gestone Emergenza Nordafrica .
Si tratta di una procedura con cui lo straniero, quindi, chiede alla commissione competente di riesaminare la decisione presa in precedenza, attraverso il reinvio del modulo C3, con la possibilità di rinunciare però ad essere nuovamente ascoltati (la domanda in questo caso dovrebbe essere evasa in 20 giorni) e che dovrebbe portare ad un rilascio di un non meglio specificato permesso di soggiorno.
Come sembra ormai in uso da parte dell’attuale Governo, le modalità messe previste dovrebbero essere un espediente tecnico, per mettere in moto formalmente un percorso di rilascio di un titolo di soggiorno.
Ma come altrettanto spesso è accaduto, il Governo dei tecnici ancora una volta invece di fare chiarezza mette in campo provvedimenti fumosi ed indefiniti.
Sono due le principali questioni oscure di fondamentale importanza.
Il meccanismo previsto, secondo quanto disposto dalla circolare del 28 ottobre dovrebbe riguardare "gli stranieri che hanno ricevuto un diniego e che si trovano in accoglienza".
E’ bene ricordare che molti dei migranti destinatari di un provvedimento di rigetto hanno abbandonato i centri nel tentativo di cercare fortuna o protezione in altre situazioni. E’ ovviamente auspicabile che a tutti i richiedenti asilo destinatari di un diniego da parte della Commissione sia data la possibilità di presentare la domanda di riesame, sia nel caso in cui non sia stato presentato ricorso, sia nel caso non siano più ospitati in uno dei centri allestiti dalla Protezione civile.
Sono ancora un numero consistente inoltre i richiedenti asilo che, pur avendo già sostenuto l’audizione presso la commissione, devono ancora ricevere qualsiasi tipo di risposta per i quali si prospetta ancora un lungo periodo di attesa.
La circolare poi non menziona il fatto più importante, il vero senso del meccanismo messo in atto: perché fare una nuova richiesta? Quale sarà il risultato finale?
Insomma, il Governo sembra non volersi spingere nell’indicare quale tipo di soluzione sia stata prospettata. Si decide quindi di non decidere rimandando la decisione alla commissioni, a cui pure saranno date indicazioni, senza però fare chiarezza per quelle migliaia di operatori che dovranno materialmente spiegare ad altrettante migliaia di richiedenti asilo di doversi nuovamente recare in Questura per proporre una nuova domanda.
Con una seconda comunicazione, la n. 5426 del 30 ottobre 2012 indirizzata alle commissioni Territoriali, il Governo ha chiarito le modalità di recepimento delle indicazioni fornite con la precedente comunicazione chiarendo che l’eventuale attivazione della procedura non comporta la rinuncia al ricorso in sede giudiziale senza nulla aggiungere sulla situazione di quanti non siano più "ospitati" nei centri di accoglienza, come se questi dovessero essere esclusi dalla procedura.
La terza circolare, la n. 400 del 31 ottobre 2012 si limita invece a dare istruzioni operative per la gestione delle comunicazioni nei confronti della Commissione, da parte delle Questure.
L’intento sembra quello di riparare l’irreparabile danno prodotto dalla prossima incombente data del 31 dicembre.
Ma davvero non c’era altra soluzione?
Come sintetizzato anche da un recente documento dell’Asgi, quello della riapertura del procedimento amministrativo risulta essere un percorso che "rischia di protrarre nel tempo la definizione della condizione giuridica dei profughi, burocratizzando e non snellendo le procedure".
Non occorreva molta creatività per attivare gli strumenti già previsti dall’ordinamento per far fronte alla situazione.
Le Questure infatti, lo prevede all’art 5, comma 6, il Testo Unico Immigrazione, hanno la facoltà di rilasciare titoli di soggiorno umanitario quando "ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano"
Così come le Commissioni Territoriali chiamate ad esaminare le domande hanno la possibilità di dare indicazione alle stesse questure, sia per le domande ancora pendenti, che per quelle già evase ma non ancora notificate (agendo in autotutela) il rilascio dello stesso permesso umanitario.
Sembra insomma che ancora una coltre di fumo divida i richiedenti asilo fuggiti dal conflitto libico, dal riconoscimento del loro diritto di restare, e tutti noi dal veder realizzata la legittima aspirazione a vivere in un paese degno.
Intanto continua il conto alla rovescia verso la data del prossimo 31 dicembre, momento in cui i (limitati) percorsi di accoglienza predisposti con il Piano di Accoglienza andranno ad esaurirsi.
Su questo punto è bene dunque aprire una discussione a 360°.
Ciò che abbiamo visto in questo anno e mezzo, salvo in alcuni casi, è ben lontano da ciò che la direttiva europea e (aggiungiamo) la dignità umana, prevedono.
Per i richiedenti asilo fuggiti dalla guerra in Libia è venuto il momento di una accoglienza degna.



Io, immigrato, per l'Italia sono un invisibile
Troppo italiano in Albania e straniero in Italia, dopo 15 anni trascorsi qui. Basta giocare con i nostri destini, chi nasce in Italia è italiano!
Cado in piedi.it, 06-11-2012
Arber Agalliu
Quando sono giunto in Italia da bambino non conoscevo il significato della parola "immigrato" ma sapevo che ormai faceva parte del mio "Nome e Cognome".
Col passare degli anni, diventando poco più grande, affrontavo l'argomento e spiegavo ogni volta a tutti la mia storia e la storia della mia famiglia, forse per togliermi di dosso quella parola "dispregiativa".
Ormai vivo in Italia da quindici anni, parlo meglio la lingua italiana rispetto all'albanese, conosco meglio la storia italiana rispetto alla storia albanese, ho vissuto più tempo a Montevarchi che a Tirana e nonostante tutto vengo ancora etichettato come immigrato.
La cosa che mi sorprende di più è il fatto di essere cresciuto con i miei coetanei italiani ma a livello giuridico essere considerato straniero quanto mio padre o mia madre, lo Stato non riconosce il mio processo di integrazione che è completamente differente dal loro.
Addirittura per il Governo italiano non c'è nessuna differenza tra un ragazzino figlio di immigrati, nato in Italia e un suo coetaneo appena giunto in questo Paese, tutti e due vengono considerati come minori stranieri senza tenere conto dei due percorsi di vita e d'integrazione completamente diversi.
Quando mi iscrissi alle Scuole Superiori, parlavo perfettamente l'italiano, tanto che i professori decisero di affiancarmi ad una studentessa albanese per poterle dare una mano visto che quest'ultima era giunta in Italia da pochi mesi e non parlava l'italiano. I professori videro in me un mediatore linguistico-culturale ideale per poter comunicare con la nuova studentessa, ma per lo Stato io risultavo essere tale e quale a lei, nonostante il mio percorso d'integrazione fosse ormai finito mentre il suo era solamente alle prime fasi.
Eppure tutti questi anni vissuti in Italia mi hanno allontanato dalla cultura e dal paese dal quale provengo, mi sento e mi fanno notare di essere troppo italiano in Albania, ma contemporaneamente straniero in Italia, in poche parole mi sembra di essere una persona invisibile.
In vari paesi dell'Europa il percorso per la cittadinanza per i figli degli immigrati risulta essere molto più semplice. Ad esempio in Francia lo "ius soli", che in Italia sembra un miraggio, esiste dal 1515, mentre in Germania la cittadinanza viene concessa ai bambini nati sul suolo tedesco se almeno uno dei due genitori risiede legalmente in questo paese da almeno otto anni.
Un percorso ancora più semplificato è quello irlandese, dove un bambino può diventare cittadino semplicemente se uno dei genitori possiede un permesso di residenza permanente o dimostra di aver risieduto in Irlanda almeno tre anni prima alla nascita del bambino.
Invece in questo paese chiamato Italia, sembra che le cose non vadano mai avanti, ogni estate sentiamo parlare di emergenza immigrati nonostante l'immigrazione di massa esiste ormai dalla fine degli anni Ottanta, sentiamo parlare dei tanti immigrati che hanno invaso lo Stivale mentre in altri paesi europei le cifre riguardanti la presenza degli immigrati sono assai superiori, addirittura in alcuni casi raddoppiano, ad esempio in Germania, dove solamente la comunità turca conta circa 3 milioni di persone.
Da noi invece ci sono ragazzi di seconda generazione trentenni che vengono ancora chiamati immigrati, ci sono giovani che vengono trattati da delinquenti, costretti a rilasciare le loro impronte digitali per rinnovare i documenti fino al compimento del diciottesimo anno d'età, questi giovani non si rispecchiano nella figura del potenziale delinquente, tutto questo solo perchè i genitori sono immigrati, per di più questi bambini rischiano di diventare clandestini nell'unico paese che l'ha visti nascere e crescere e che ha dato loro una lingua comune a quella usata da tutti i loro coetanei.
Invito i cari politici a cambiare la legge n.91 del 1992 che si può definire obsoleta in materia d'immigrazione, basta giocare con i nostri destini, chi nasce in Italia è italiano!

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