Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

27 luglio 2010

La legge Toscana semplice e lineare, ma che fatica affermarla
Italia-razzismo 27 luglio 2010 l'Unità
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 269/2010, ha dichiarato conforme al dettato costituzionale la legge della Regione Toscana 9 giugno 2009, n. 29, che il Governo aveva impugnato davanti alla Consulta.
E invece, secondo quest’ultima, «lo straniero è titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona» (sentenza n. 148/2008) e, con particolare riferimento al diritto all’assistenza sanitaria, esiste un nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto giuridicamente “come ambito inviolabile della dignità umana”: così da evitare “situazioni prive di tutela, che possano pregiudicare l’attuazione di quel diritto» . Un diritto, quindi, che deve essere riconosciuto «anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato» (sentenza n. 252/2001).
Del resto, ci rammentano i Giudici Costituzionali, è stato lo stesso legislatore statale, con il d.lgs. n. 286/1998, a statuire che «ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate … le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali…, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva».
In questo quadro, quindi, afferma la Corte nella recentissima sentenza, deve collocarsi anche la normativa toscana, che assicura «anche agli stranieri irregolari le fondamentali prestazioni sanitarie ed assistenziali atte a garantire il diritto all’assistenza sanitaria».
A leggerla di seguito, è una motivazione che appare splendidamente semplice e lineare. Ed è appunto così. ma che fatica per affermarlo.



Dalle Marche un altro no ai centri per immigrati

Liberazione 27 luglio 2010
Marcello Pesarini*
La Regione Marche è indisponibi-le a condividere con il Governo la scelta di realizzare un centro di identificazione per immigrati nel proprio territorio. Con queste pa-role il governatore Spacca ha riba-dito al ministro Maroni la posizio-ne maturata attraverso anni di mo-bilitazioni, prese di posizione del-le istituzioni e campagne di sensibilizzazione. Dalla prima mozione di Andrea Ricci (Rifondazione) e dalle proteste dei movimenti du¬rante il consiglio comunale di Corridonia nel 2003 si è arrivati, attra¬verso discussioni nelle istituzioni e crescenti mobilitazioni dei migran¬ti e della società, fino al diniego espresso nella legge sull'immigra¬zione n.13 nel 2009, poi impugna¬ta dal ministro Fitto per conflitto di competenze ma ribadita dall'ordine del giorno di Michele Alto-meni (Prc) il 24 novembre 2009. Il consiglio regionale dichiara così il trattenimento dei cittadini immi¬grati in attesa di identificazione al limite della legalità, lesivo dei dirit¬ti umani e contrario agli scopi che si dice di voler perseguire. Ma il ministro, quello che dichiara di avere respinto più immigrati (e il Pd marchigiano lo contesta sulla veridicità di questa conquista!?), insisterà sull'area individuata nei pressi di una ex caserma a Falcona¬ra Marittima (Ancona). Sembra che questa area, ancora stretta dal¬le raffinerie Api (che vorrebbe co¬struire anche due centrali turbo per la produzione di energia), l'aero¬porto ed alcuni insediamenti rom di vecchia data, debba esaltarsi per essere tra le zone di Italia in cui la vivibilità è più a rischio. Non è per altro il solo esempio di pervicacia nella ricerca del danno procurato da parte del governo. Quanto da anni, infatti, viene denunciato dal-le comunità resistenti e non solo -e cioè le centinaia di respingimen¬ti di richiedenti asilo effettuati dal¬la Polizia alla frontiera dell'Est, al Porto di Ancona - è in contrasto con le leggi umanitarie ma si tenta di giustificarlo con i trattati inter-nazionali sulla sicurezza dopo l'I 1 settembre 2001. Dopo anni di pro¬teste dei centri sociali e di tutti gli antirazzisti marchigiani, si sta co¬struendo anche nelle istituzioni la coscienza che sia necessario mette¬re gli operatori del Consiglio Italia¬no Rifugiati in condizione di co¬noscere ed analizzare le istanze di chi chiede asilo e rifugio, rendendo questa operazione visibile alla luce del sole attraverso l'intervento pubblico. L'opposizione ai Cie - sia per la paura del non conosciuto, che per l'assurdità di ciò che costituiscono - e la solidarietà e la comprensione delle ragioni del rifugiato sono molto più diffuse nelle popolazio¬ni marchigiane di quanto non dica l'informazione e nascono dalla co¬statazione delle terribili condizio¬ni in cui i cittadini stranieri si ritro¬vano, ad esempio, negli svincoli stradali, nelle città come Senigallia ed Arcevia (dove sono accolti più di 100 rifugiati, nei centri gestiti dalla Prefettura).
Non mancano per altro gli stru-menti amministrativi, come la leg-ge regionale del 2009 e la ripresa della discussione sulla cittadinanza e sul decentramento amministrati¬vo. Forse sarebbe bene che di de¬mocrazia e partecipazione si par¬lasse anche per gli altri italiani, i nativi.
*Rete Migranti "Diritti Ora"




Il diritto alla città dei ragazzi migranti

il Manifesto 27 luglio 2010
Giuseppe Caliceli
Lo scorso 16 Luglio è stato lanciato al Meeting Intemazionale Antirazzista, organizzato dall'Arci, una campagna per il diritto di cittadinanza delle persone di origine straniera in Italia. È un fronte composito e pronto ad allargarsi, quello che a Cecina ha dato il via alla campagna per la cittadinanza dei migranti, con un'at¬tenzione particolare ai bambini e alle bambine con genitori di origine straniera, e per il diritto di voto alle elezioni locali. Da Graziano Delrio, sindaco di Reggio, al presidente nazionale di Arci, Paolo Beni, al responsabile immigrazione della Caritas Italiana, Oliviero Forti, a Piero Soldini re¬sponsabile nazionale immigrazione della Cgil, a Livia Turco senatrice Pd e Pancho Pardi senatore Idv, da don Armando Zappolini vicepresidente Cnca, a Salvatore Allocca, assessore della Re¬gione Toscana, Sergio Staino, Per tutti i presenti la normativa vigente non è al passo coi tempi. La Commissione Affari Costituzionali della Camera sta valutando le diverse richieste di emendamento delle normative in atto. Ma forse oggi i tempi sono maturi perché ih Italia cambi la legge sul diritto di cittadinanza delle persone di origine stra¬niera, arrivate a quota 4 milioni 330 mila. Di que¬sti, più di un quinto sono bambini e ragazzi che solo al compimento della maggiore età si vedono riconosciuto il diritto a chiederne la cittadinanza: una assurdità. Se l'uguaglianza è vera¬mente valore fondante di ogni democrazia, e la decisione di persone di origine straniera di diven¬tare cittadini/e italiani/e è una scelta da valorizzare, riconoscere i diritti di ogni individuo, al di là del colore della sua pelle, è decisivo per il futu¬ro della nostra democrazia?
D sindaco Delrio ha raccolto l'appello per costituire un'alleanza: «Credo sia giusto provare a fare un'alleanza. Il tema della cittadinanza è impegnativo, anche per città allenate alla democra-zia e all'uguaglianza come la nostra, unica città italiana che fa parte della rete europea delle atta interculturali, ma può essere colto bene dal sen-so comune. Il diritto alla cittadinanza può essere tradotto come il diritto alla città». E continua: «I ragazzi hanno diritto di sentirsi parte delle no-stre città. Mentre invece, a 18 anni, dopo che hanno vissuto, anche con fatica, insieme a noi, parte per loro un iter insostenibile, che non li fa sentire a casa loro né nelle città in cui vivono, né nei paesi dei genitori a cui sono ormai estranei, e che fischia davvero di farli sentire stranieri, nemi¬ci. I sindaci possono dare un contributo impor¬tante nel fare capire anche ai loro cittadini più impauriti che se una persona riesce a guardare proprio alla sua città, quello è il tuo migliore alle¬ato». Delrio ha dato quindi formalmente la pro¬pria disponibilità a collaborare al progetto e a ospitare a Reggio Emilia il prossimo incontro del comitato promotore. Tutti i presenti, con sensibi¬lità diverse, hanno approvato l'orientamento della campagna, riconoscendone la necessità, co¬me ricordato da Iivia Turco: «Questa campagna è un'idea splendida. Ci sarà da fare un grande gioco di squadra. Abbiamo bisogno di guardare all'Europa, abbiamo bisogno delle buone pratiche e i sindaci possono darci sostegno in questo». Il presidente nazionale di Arci, Paolo Beni, ha concluso l'incontro affermando come «i diritti non possono essere un tema di nicchia, ma si debba fare ciascuno un passo indietro e aprire un processo al massimo inclusivo».
A Cecina era presente anche l'editore Carlo Feltrinelli, che ha già lanciato una propria cam-pagna di sensibilizzazione culturale sulla cittadi¬nanza dei bambini: «Sono italiano perché sì- Per il diritto alla cittadinanza di tutti i bambini». Ha
ricordato gli attuali ostacoli dei minori stranieri in Italia, ad esempio la difficoltà di viaggiare, poiché la titolarità di un permesso di soggiorno consente la libera circolazione di breve durata in area Schengen, ma resta scoperta la fase di ri¬lascio e rinnovo del permesso. Cosa succede se devono fare una gita scolastica? Altra difficoltà è la precarietà: il soggiorno del minore può esse¬re interrotto in qualunque momento, per perdi¬ta del lavoro dei genitori, diminuzione del red¬dito, o risoluzione di un contratto di affitto. In teoria vige l'inespellibilità del minore, ma il mi¬nore accompagnato da genitori «irregolari» non ha alcuna garanzia di poter continuare a soggiornare in Italia.
Altri ostacoli potrebbero riguardare anche la scuola: secondo una proposta del Ministro Gelmini, infatti, ogni classe non potrà superare una determinata percentuale di alunni stranieri; in questo modo i bambini di madrelingua italiana rischierebbero di non poter frequentare la scuola del loro quartiere perché considerati stranieri. L'auspicio è che i bambini nati in Italia siano considerati al più presto, e tutti, cittadini italiani.



L'immigrazione elemento di sviluppo del Paese

il Messaggero 27 luglio 2010
ANTONIO GOLINI
ELEMENTI significativamente di versi e positivi si registra¬no da qualche tempo riguardo alla immigrazione straniera in Italia. Compaiono fra l'altro nel rapporto sulla integrazione degli immigrati in Italia, presentato nei giorni scorsi al Cnel e com-mentato da studiosi e ammini-stratori, centrali e locali. Da que-sti ultimi sono emersi i maggiori elementi di novità e cioè parole e atteggiamenti positivi nei con-fronti della immigrazione stranie¬ra, quali finora avevano caratte¬rizzato solo gli interventi degli studiosi della materia o delle orga¬nizzazioni caritatevoli e sindaca¬li che nel nostro Paese si occupa¬no di immigrazione. Si comincia ad avvertire nella classe politica e nei cittadini un clima diverso, di più convinta accettazione degli immigrati e di una loro presa in carico, certo con tutti i problemi che essi portano e comportano, ma anche con tutti gli elementi di vitalità che essi hanno, a partire da quella demografica e a seguire con quella economica e sociale.
Quanto alla demografia, c'è da considerare che i 4,3 milioni di stranieri residenti hanno dato luogo nel 2009 a 94 mila nascite e a pochissime morti. La popolazio¬ne italiana nello stesso anno ha dato luogo a circa 476 mila nasci¬te e a 587 mila morti; se non fosse per il contributo degli stranieri, la nostra popolazione subirebbe un declino accentuato e un invec-chiamento ancora più intenso. E in prospettiva il contributo degli immigrati alla demografia italia-na sarà di certo più energico e positivo.
Abbiamo tutti netta la convin¬zione della importanza degli stranieri per il nostro mercato del lavoro, quello ufficiale e quello in nero. Per quello ufficiale il tasso di occupazione dei maschi stra¬nieri era dell'84 per cento contro il 70 degli italiani; si tratta di almeno 3 milioni di lavoratori immigrati senza i quali molti settori della economia e molte aree - specie in Lombardia. Toscana e Lazio, ma non solo - sarebbero in crisi profonda, così come sareb¬bero in crisi milioni di famiglie italiane, e al loro interno in parti¬colare le donne, senza il contribu¬to decisivo di colf e badanti, non di rado impiegate in nero. E poi, anche se ha rallentato nell'ultimo anno, non si arresta la vitalità della imprenditoria degli immi¬grati, sempre fiduciosi che fare impresa sia la carta giusta per integrarsi prima e meglio nella società italiana. Sono quasi 250 mila i piccoli imprenditori titola¬ri di aziende individuali che al 30 giugno 2009 risultavano iscritti ai registri delle Camere di com-mercio. pari al 7,3% di tutte le aziende di questo tipo (ma a Prato quasi 1 su 3 delle piccole imprese parla straniero),
A Roma, nei giorni scorsi si è laureata in Psicologia la prima studentessa cinese immigrata. Già nell'anno scolastico 2007-08 gli alunni con cittadinanza non italiana presenti nel sistema sco-lastico nazionale ascendevano a oltre 570 mila unità. Alla popolazione straniera residente va anche aggiunta quella irregolare, la cui componente in età scolare ha pieno diritto e dovere di partecipare al sistema scolastico italia¬no. Fra l'altro, per assicurare a tutti gli stranieri nati in Italia la frequenza della scuola dell'obbligo, il nostro Paese spende e spen¬derà molti miliardi di euro, e anche per ciò è incredibile che questi ragazzi restino stranieri almeno fino al 18° anno di età.
Gli stranieri risultano quindi largamente inseriti in tutti gli aspetti della vita italiana e pertanto non è pensabile che si possa fare a meno di essi, né è pensabile che si possa andare avanti senza una progressiva e piena integra¬zione almeno per quegli immigrati e per quelle famiglie che hanno deciso di rimanere a lungo o per sèmpre in Italia. Una integrazione necessaria per evitare che possano scoppiare vere e proprie bombe sociali ad orologeria, del-le quali abbiamo avuto vari segnali anche gravi, a partire da quello di Rosarno.
Tutte le criticità per gli immigrati sono criticità della nostra società e bisogna sviluppare la progettualità e attuare una piena e valida politica sociale non per gli immigrati ma con loro. In questa direzione si muove il patto per gli immigrati approvato recentemente in Consiglio dei ministri. Per la prima volta il Consiglio ha posto il problema della integrazione come elemento strutturale della immigrazione: un fatto tardivo, stranamente pas¬sato quasi sotto silenzio, ma davvero straordinario.
Insomma, messi sotto controllo, anche grazie alla forte crisi economica e occupazionale, gli interminabili sbarchi di clandestini e scoraggiate le partenze disperate e i trafficanti di manodopera, può cominciare più intensamente per il nostro Paese la fase di pacifica convivenza e di fruttuosa interazione fra noi e loro con forti vantaggi per entrambe le comunità, anche se certo i problemi richiederanno ancora una costante attenzione tanto a livello centrale, quanto a livello locale.
Per il nostro Paese stanco e spesso avvitato su se stesso, occorrono - come ha sottolineato Carlo Azeglio Ciampi su queste colonne — atti concreti positivi. Non di meno gli stranieri vanno considerati un elemento di vitalità assolutamente necessario. Si tratta di valorizzare a nostro e loro beneficio il contributo che essi danno, ma anche, assai positivamente, di stringere più proficui rapporti con i Paesi dai quali sono partili, con gran vantaggio per le relazioni economiche e diplomatiche del nostro Paese e quindi per la sua collocazione internazionale.
Partiamo da dati normativi inoppugnabili per essere certi di evitare l'accusa di piagnoni e pietisti.
L'art. 19, comma 2°, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea testualmente recita: “Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.”.
Questa Carta (2000/C - 364/01) proclamata solennemente a Nizza il 7 dicembre 2000, vincola irrevocabilmente lo Stato italiano, al pari degli altri Stati membri della Comunità, al suo rispetto, tanto più che la Costituzione, all'art. 2, impone alla Repubblica l'osservanza dei diritti inviolabili dell'uomo (tra cui quello alla vita) ed il successivo art. 10 impegna l'ordinamento a conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.



Appello per Faith Aiword

Shukri Said
migrare.eu 27luglio2010
In un colpo solo, nel caso di Faith Aiworo, l'Italia è riuscita a violare la sua Costituzione e una Carta europea.
Faith Aiworo è fuggita dalla Nigeria, a quanto si apprende dal suo avvocato Alessandro Vitale, dopo l'omicidio accidentale di colui che tentava di violentarla. Giunta irregolare in Italia, per due anni non ha trovato modo di ottenere un permesso di soggiorno, ma neppure è stata informata del diritto a conseguire l'asilo proprio perché, nel suo Paese, avrebbe rischiato la pena di morte. Finita nella Questura di Bologna a seguito di un altro tentativo di violenza, pur in pendenza della richiesta di asilo promossa dal suo difensore, è stata rapidamente espulsa e riaccompagnata in Nigeria dove è stata arrestata ed è in attesa della pena di morte per impiccagione.
Perché non hanno funzionato le regole fondamentali dello Stato italiano? E quante altre volte non funzionano?
Probabilmente vi è un deficit nella cultura giuridica di coloro che si occupano di immigrazione che fa ritenere l'orizzonte normativo limitato alla legge Bossi – Fini ed in particolare alle sue regole sull'espulsione. Si finisce, così, col trascurare la gerarchia delle fonti del diritto che pone la Costituzione al di sopra di tutte le altre leggi che, in tanto possono essere applicate, in quanto siano costituzionalmente orientate.
Se, dunque, l'ordinamento italiano deve conformarsi ai trattati internazionali e tra questi è previsto il divieto di espellere uno straniero verso un Paese in cui rischia la pena di morte, le regole sull'espulsione della legge Bossi – Fini non possono essere applicate. Tanto meno in pendenza di una richiesta di asilo ed almeno fino a quando il procedimento per ottenerlo si sia concluso.
Al medesimo risultato, in ogni caso, arriva la logica anche senza voler scomodare il diritto.
Tra l'espulsione verso un Paese in cui lo straniero rischia la pena di morte e l'attesa dell'esito del procedimento per la concessione dell'asilo, non può esservi libertà di scelta da parte del funzionario della Questura: l'espulsione ha, infatti, un carattere di definitività tale da vanificare il procedimento relativo all'asilo destinato, magari, a concludersi positivamente, laddove non è vero il contrario.
La sovversione razionale, prima ancora che in diritto, dei due procedimenti che si sono sovrapposti, ha condotto l'Italia al coinvolgimento nel tragico destino di Faith Aiworo, sopratutto qualora la sua esecuzione dovesse avvenire. E' questo è un risultato inaccettabile al quale le Autorità hanno il dovere di sottrarre la collettività italiana alla quale è già stato universalmente ascritto il merito di aver conseguito la moratoria della pena di morte nella celebre Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 18 dicembre 2007 tenutasi sotto la spinta impressa all’Italia dall'Associazione radicale Nessuno Tocchi Caino.



L'odissea degli eritrei deportati in Libia Abbandonati dopo il bluff della liberazione
l'Unità 27 luglio 2010
I riflettori si sono spenti sui di-sperati di Sebah. Ma la loro odissea è tutt'altro che conclusa. In questa drammatica vicenda, non c'è un lieto fine. Almeno fino a quando i 205 eri¬trei segregati per oltre 16 giorni nel lager di Brak, nel Sud della Libia, non avranno riconosciuto ciò di cui hanno diritto: lo status di rifugiati. Oltre un centinaio di loro sono stati respinti dall'Italia mentre cercavano di raggiungere Lampedusa. Respinti senza aver avuto la possibilità di far valere le loro ragioni. Le ragioni di chi è fuggito da un regime dispotico: quello di Asmara. Le denunce delle organizzazioni umanitarie e di (po-chi) organi d'informazione, tra i quali l'Unità, ha fatto sì che il governo libico decidesse per la «liberazione» dei 205. Liberi dal lager. Ma costretti a una vita da cani. Senza un soldo, ridotti alla fame, impossibilitati a rag¬giungere Tripoli, distante oltre 800 chilometri da Sebah. In mano han¬no solo un documento rilasciato lo¬ro dalle autorità libiche: un permes¬so di tre mesi, dopo di che dovran¬no presentare la documentazione necessaria per non essere arrestati di nuovo per immigrazione clande-stina. A rilasciare quei documenti è l'Ambasciata di Eritrea in Libia: ma farlo vorrebbe dire consegnarsi al regime da cui hanno cercato di fug-gire. Ma tre mesi sono una eternità per chi ogni giorno deve fare i conti con la sopravvivenza. Gli ultimi messaggi sono di qualche giorno fa. A raccoglierli, come sempre, è stato un prete coraggioso, un loro «fratello»: don Mussi e Zerai, sacer-dote eritreo, responsabile dell'ong Habesha, un'associazione che si occupa di accoglienza dei migranti africani in Italia, U.D.G.



Espulsione lampo per Faith L'avvocato contro la Questura
Andrea Bonzitutti
l'Unità 25 luglio 2010
Un rimpatrio-lampo, dopo una breve permanenza al Cie di Bologna. Una ragazza africana, ora detenuta a Lagos, che rischia la pena di morte. Ma che, denuncia il suo avvocato, non ha avuto dalla Questura né il tempo né gli strumenti per chiedere asilo politico. È la drammatica storia di Faith Ayworo, ragazza africana di 23 anni, processata in Nigeria per omicidio: anni fa un uomo aveva cercato di stuprarla, lei si era difesa uccidendolo.
Ma la violenza ha continuato a segnare la vita della ragazza, arrivata in Italia nel 2008, ora a Bologna. Una ventina di giorni fa, infatti, un altro nigeriano aveva tentato di forzarla a un rapporto nell’appartamento di lei. I vicini di casa hanno chiamato i carabinieri: gli agenti, dopo aver verificato che su Faith pendevano due decreti di espulsione non ottemperati, l’hanno portata alla struttura di via Mattei. E mercoledì, nonostante il tentativo del suo avvocato, Alessandro Vitale, di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di giustizia (avrebbe dovuto testimoniare per la recente aggressione) e di presentare richiesta di asilo politico (a cui avrebbe potuto avere diritto), è stata riportata dagli agenti a Lagos, nel Paese africano, dove è in attesa dell’impiccagione. Quello che stupisce e amareggia è la velocità con cui è stato eseguito il reimpatrio, avvenuto ancor prima della decisione da parte del giudice sulla sospensiva e senza che l’avvocato, avvisato all’ultimo del rischio che Faith stava correndo in Nigeria, potesse trasmettere le informazioni alla Questura. Inevitabile la polemica. La polizia sostiene che dalla banca dati Interpol non risultava nessun provvedimento di cattura nei confronti della ragazza e che quest’ultima, «serena e tranquilla» durante la permanenza al Cie non avrebbe «mai manifestato in alcun modo l’intenzione di chiedere la protezione internazionale», né avrebbe raccontato a nessuno la vicenda dell’uccisione avvenuta nel tentativo di stupro. Inoltre, sarebbero state ravvisate firme mancanti nella richiesta di asilo presentata in extremis dal legale.
Scuse «pretestuose», quelle di piazza IV novembre, «per dare una spiegazione a un comportamento non corretto», attacca l’avvocato Vitale. Che ricorda come «Faith non parli minimamente l’italiano, tanto che per l’udienza di convalida al Cie c’è stato bisogno dell’interprete», e dunque avrebbe fatto fatica a manifestare espressamente l’intenzione di rimanere nel nostro Paese. Contestata poi anche l’argomentazione secondo cui nella banca dati Interpol non risultasse nessun provvedimento di cattura: «Il punto - incalza Vitale - è che non spetta a loro questa valutazione, lo deve fare una commissione ad hoc». Intanto, la gara di solidarietà è partita. Il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) ha scritto all’ambasciatore italiano in Nigeria. Cgil, Cisl, Uil denunciano «una legge che non ha mai permesso a Faith di poter richiedere un regolare permesso di soggiorno» e chiedono alle istituzioni di attivarsi. In Nigeria nell’ultimo anno sono state giustiziate almeno 58 persone. Appelli accorati anche da parte del Prc e della Casa delle donne.

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