Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Più parole che fatti: così il garantismo si è indebolito a sinistra

 

Luigi Manconi     Federica Resta 
 
Intervento nel corso del seminario “Sul Garantismo” organizzato dal Forum Giustizia del Partito democratico e tenutosi martedì 28 febbraio 2012. 
Il discorso sul garantismo ci pone immediatamente di fronte a un paradosso. Per illustrarlo nella maniera più nitida, è opportuno partire da una sorta di dichiarazione d’intenti, ovvero indicare in modo puntuale e, per così dire, scolastico e didascalico, i criteri fondanti una concezione garantista del sistema penale. 
Una sorta di ‘Bignami’ o, se preferite, un Manuale del perfetto garantista. Dunque: intendiamo per garantismo il rispetto – da parte del legislatore, della magistratura, dell’amministrazione – dei principi costituzionali fondativi del sistema penale. Ovvero quello del minimo sacrificio necessario della libertà personale, della presunzione di non colpevolezza, della offensività,  materialità,  tassatività delle fattispecie. E  il diritto di difesa, la struttura accusatoria del processo, il fine risocializzante della pena. Ciò comporta, in sintesi, il rifiuto di ogni forma di diritto penale (sostanziale, processuale, penitenziario) che sia ‘speciale’, derogatorio, cioè, dei principi generali e delle garanzie individuali, connotato da logiche di diritto d’autore o di colpa per la condotta di vita.  In breve: il diritto penale dev’essere la Magna Charta del reo.
Dov’è il paradosso cui accennavamo? Esso consiste nel fatto che tutti coloro che hanno come riferimento lo Stato di diritto dicono di riconoscersi pienamente nei principi garantisti appena elencati. Ma perché allora, nella pratica politica quotidiana, ci si discosta da essi con tanta frequenza e con altrettanta facilità o, addirittura nonchalance? 
Le ragioni sono tante e qui le elenchiamo solo per titoli. La persistenza della politica dell’emergenza, quale tratto distintivo dello stile nazionale di governo: da 40 anni il nostro Paese vive una sequenza incalzante e micidiale di stati di eccezione. Dal terrorismo nero a quello rosso, dal colera di Napoli all’Aids, dal terremoto in Irpinia a quello dell’Aquila, dal tifo organizzato agli sbarchi a Lampedusa. Ciascuna di queste emergenze, vissute come tali dalla gran parte della classe politica e del sistema mediatico, sembra pretendere normative speciali e quasi sempre le ottiene. 
Un’altra ragione del profondo divario tra principi affermati e pratica politica è quella che possiamo definire dello pseudo-Machiavelli: una lettura stracciona di quella concezione drammatica sottesa alla formula: il fine giustifica i mezzi. La sconfitta di Berlusconi, insomma, vale l’indifferenza verso alcune garanzie, anche se il rinunciarvi rischia di compromettere l’intero sistema; e anche se, soprattutto, in questo conflitto anomalo e diseguale è stata la destra a infliggere le lesioni più traumatiche all’ordinamento.
 La terza ragione è quella discendente dal mito della pubblica opinione: l’ideologia securitaria risulta così dominante nel senso comune della classe politica da indurci a ritenere, se non doveroso, certamente inevitabile assecondarla. Fino a correre il rischio di riconoscerci in essa. Le ansie collettive ci appaiono così connotate socialmente (riconducibili cioè agli strati più deboli), da indurre un partito che si vuole e deve essere popolare a subordinarsi a esse, rinunciando a razionalizzarle, mediarle, orientarle. Quelle stesse ansie, oltretutto, risultano così elettoralmente remunerative per i nostri avversari da spingerci a investire in esse per ricavarne una qualche quota parte sul piano dei consensi.
Tutto ciò ha un effetto profondo. In realtà, la nostra timidezza garantista non si deve, in primo luogo, a un calcolo o troppo meschino o troppo razionale, bensì a una crescente convinzione. A tal punto, tutti noi –proprio tutti noi- avvertiamo il fascino insidioso del ‘governo della paura’ da lasciarcene conquistare, almeno in qualche misura. Ecco un esempio particolarmente preoccupante. Se pensiamo che la politica migratoria debba essere prudente e timorosa fino all’avarizia e all’opportunismo conservatore, non è solo perché –e nemmeno principalmente perché-  temiamo che altrimenti non venga capita, ma perché, piuttosto, siamo profondamente convinti che la politica migratoria debba essere proprio così: prudente e timorosa e, di conseguenza, restrittiva e selettiva. Un altro esempio: non abbiamo condotto una battaglia intransigente sulle condizioni delle carceri e degli OPG non perché temevamo di perdere consensi  moderati, bensì perché siamo profondamente convinti che i diritti dei detenuti e degli internati, come già quelli dei migranti, non siano prioritari. O  peggio: siano secondari e politicamente e gerarchicamente  subordinati a quelli dei cittadini italiani onesti. Non stiamo dicendo che questa sia l’opinione condivisa. Ci limitiamo a segnalare che questa rischia di essere l’opinione condivisa. E’ esattamente questo il paradosso di cui dicevamo. Un omaggio ai principi che non si traduce in atti conseguenti e che ci porta non solo a gravi cedimenti politici ma anche a una certa fiacchezza morale.
E’ accaduto così che non siamo stati in grado di batterci come dovevamo contro la politica dei respingimenti, né di contrastare la tendenza verso uno Stato penale massimo e di denunciare la tragedia delle carceri, ma nemmeno siamo stati in grado -e non sembri estraneo a quanto finora detto- esigere il pieno rispetto delle garanzie processuali per Ottaviano Del Turco.
Alle cause prima dette ne va aggiunta una congiunturale che ha avuto probabilmente un peso preponderante nell’ultima fase: ovvero la politica penale del Governo Berlusconi.  A proposito di quest’ultima,ci limitiamo a citare  i titoli di alcune misure, soffermandoci su una sola. Ovvero l’estensione (operata dal dl 11/09) della custodia cautelare obbligatoria a una categoria di reati estremamente ampia e comprensiva finanche di reati monosoggettivi. Reati gravissimi, sia chiaro, ma certamente privi (almeno nella maggioranza dei casi) di quel collegamento con un’organizzazione criminale e di quella forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, che è la prima e principale ragione dell’obbligatorietà della custodia cautelare e in base alla quale, soltanto, sia la Consulta che la Corte europea dei diritti umani (sent. Pantano del 2003) hanno ammesso la legittimità di tale automatismo. E anche l’argomento a favore di quest’ultima previsione è discutibile. Non è in gioco infatti il rigore nel contrasto al crimine organizzato, ma il diritto dell’imputato – come tale presunto innocente – non pericoloso, a non subire limitazioni della propria libertà non necessarie rispetto alle esigenze cautelari.
 
E ora, solo per titoli: la custodia cautelare ‘speciale’ per i reati da stadio (dl.178/2010); l’esclusione dal gratuito patrocinio per i condannati per reati associativi (dl 92/08); aggravante e reato di clandestinità (dl 92/08 e l. 94/09), 4 bis (dl 11/09) e 41 bis (l. 94/09). 
Molte di queste norme sono state peraltro dichiarate incostituzionali, a dimostrazione di come il garantismo sia, oltre che un valore fondante, un principio cui il legislatore deve necessariamente attenersi: un dovere cogente, insomma, prima ancora che una scelta da rivendicare.
Certo, oltre alle norme citate, fanno parte della politica penale del Governo Berlusconi anche norme quali la legge ex-Cirielli, che ha reso possibile la prescrizione del reato di corruzione in atti giudiziari nel processo Mills. Ma la prescrizione per l’ex premier è solo una delle circa 500 che sono dichiarate ogni giorno. Quindi, o affrontiamo il problema di questa particolarissima “prescrizione silente” riconducendolo all’interno del tema della crisi della giustizia penale, oppure finiamo per restarne vittime. E in questa prospettiva, l’ipotesi dell’amnistia non appare affatto una scandalosa bizzarria, ma una serissima misura estrema, per una situazione altrettanto estrema.
Ora sembra manifestarsi, sia pure timidamente, quella che potrebbe risultare come una fase nuova. Ancora, in estrema sintesi, sono tre le ragioni per accreditarla. Prima ragione: un clima politico-istituzionale  meno febbricitante che consente di guardare al merito dei problemi, rinunciando una volta per tutte a quello che abbiamo chiamato lo “pseudo-Machiavelli”.
Secondo: la cultura giuridica dell’attuale governo e, in particolare, del Ministro della giustizia. 
Terzo: i provvedimenti approvati o che il Governo si è impegnato ad approvare. In particolare, vi è la concreta possibilità di ottenere ciò che da tempo si propone ma che non si è mai riusciti ad approvare. Ci riferiamo, in primo luogo,  a una politica che va nel senso della  decarcerizzazione, ovvero all’estensione dell’ambito di applicazione delle misure alternative alla detenzione (e in particolare la detenzione domiciliare), delle misure cautelari non carcerarie e all’introduzione nel codice della ‘reclusione domiciliare’,  quale sanzione principale da irrogarsi, dunque, dallo stesso giudice di cognizione. Inoltre, vi è la concreta possibilità di andare verso quanto da vent’anni tutte le Commissioni ministeriali per la riforma del codice penale  hanno proposto, ovvero la depenalizzazione dei reati minori. 
È una grande occasione e una positiva opportunità per il PD. Quelle politiche di decarcerizzazione e di depenalizzazione, possiamo subirle, possiamo accettarle con riluttanza per lealtà verso l’esecutivo oppure possiamo, finalmente, riconoscerle come proprie della nostra cultura di partito garantista,  e farcene, di conseguenza, i più convinti sostenitori. Ne guadagnerebbe la nostra politica e la nostra stessa identità.
 
Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links