Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 ottobre 2012

Guerra d'indipendenza tra le scuole di periferia
I genitori: "Il Comune chiude quella civica per salvare via Paravia". Rivolta contro l’idea
di privilegiare il 'ghetto' a svantaggio di quella vicina. La Guida: “Le metteremo in rete”
la Repubblica, 09-10-2012
ZITA DAZZI
Sono convinti che il Comune voglia chiudere la primaria di via San Giusto per far confluire tutti gli iscritti sull’elementare multietnica di via Paravia, che ha una percentuale di bambini stranieri troppo alta. Ma i genitori del primo istituto, che si trova vicino a via Novara, sono pronti a salire sulle barricate per evitare che gli alunni vengano dirottati sulla scuola di San Siro. Hanno incontrato i dirigenti dell’assessorato all’Educazione, per il 17 è annunciato un secondo round di colloqui.
Ma questo non basta a rassicurare le famiglie di via San Giusto (240 iscritti di cui 17 stranieri), dove il Comune nel 2004, sotto il sindaco Albertini, creò una scuola elementare civica, a soli due chilometri dalla statale di via Paravia (100 iscritti di cui 85 stranieri e bacino d’utenza nelle 'malfamate' case popolari di piazzale Segesta). Una scuola così piena di figli di immigrati, che il provveditorato l’anno scorso non aveva nemmeno fatto partire la prima classe.
«Quest’anno la giunta Pisapia ha deciso di salvare Paravia. Ma per farlo ha intenzione di sacrificare noi - dice Rachele Macchi Cassia - Giovedì andremo a manifestare sotto Palazzo Marino per evitare di essere trasferiti alla gestione statale. Al vicesindaco Guida interessa solo il futuro della scuola statale di via Paravia, mentre via San Giusto è percepita come una minaccia. Finirà per chiuderla, smantellandola a partire dalla prima classe. Il progetto è chiaro: così il Comune risparmierà
risorse da destinare all’altra scuola».
L’ipotesi non viene confermata dagli uffici del vicesindaco. «Non c’è nessuna intenzione di chiudere via san Giusto, ma solo di farla lavorare in tandem con via Paravia, per contribuire al rilancio di quella che veniva etichettata come scuola ghetto». La consigliera provinciale (Pd) Diana De Marchi, grande sponsor del potenziamento di via Paravia, sottolinea: «Il tema del risparmio c’è, ma il Comune vuole mettere in rete le due esperienze, condividendo i progetti per potenziarli». Questo è quel che sperano le famiglie di via san Giusto, che però sono in allarme: «Il Comune non ci ha ancora comunicato la data dell’open day per presentare la scuola agli iscritti del 2013. Quindi non esiste alcuna garanzia che la scuola venga aperta il prossimo anno scolastico. I nostri solleciti cadono nel vuoto, e questo ci fa supporre che ci sia la volontà di sopprimere la scuola».



Solo 8.500 domande su 40mila un flop la sanatoria per stranieri
Criteri troppo restrittivi: "Una legge che premia i furbi". Solo venerdì, a una settimana
dal termine è arrivato l’elenco dei documenti per provare la presenza in Italia nel 2011
la Repubblica, 08-10-2012
ZITA DAZZI
Manca una settimana esatta alla chiusura, ma se non ci sarà una proroga, quella in corso, anche nella multietnica Lombardia, passerà alla storia come la sanatoria flop del 2012. Un fallimento clamoroso, con il timbro su un quarto delle domande di regolarizzazione previste e una marea di immigrati delusi per non essere riusciti a convincere il datore di lavoro ad assumerli. In città si stima che siano presenti 30mila clandestini, circa 50mila considerando anche l’hinterland. Prima dell’avvio della nuova sanatoria, si ipotizzava che dall’intera provincia milanese potessero confluire sul cervellone elettronico del ministero degli Interni circa 40mila pratiche per la concessione del permesso di soggiorno.
Più o meno quelle che arrivarono nel 2009, l’ultima sanatoria, che però, a differenza di questa, era riservata solo a colf e badanti. Proprio perché quest’anno il governo aveva deciso di prendere in considerazione tutto il lavoro subordinato, si prevedeva che le richieste sarebbero state persino superiori a quelle di tre anni fa. E invece, ad oggi, sono 8.560 le domande inviate in città, di cui soltanto 1.520 per lavoro subordinato.
Chi faceva quelle ipotesi, non aveva fatto i conti con l’incertezza che fino a qualche giorno fa regnava a proposito delle prove ammesse dal ministero per certificare la presenza in Italia dell’immigrato prima della fine del 2011. Solo venerdì scorso è stata emanata l’attesa circolare con la quale l’Avvocatura
generale dello Stato chiarisce quali siano gli organismi pubblici titolati a rilasciare una documentazione ritenuta valida come prova di presenza in Italia. Da Roma arriva la conferma che valgono le tessere dei mezzi pubblici, i certificati medici rilasciati da strutture pubbliche come i Pronto soccorso, i certificati di iscrizione scolastica dei figli, i verbali, le sanzioni e multe di ogni genere, ma anche le schede telefoniche di operatori italiani, o i documenti rilasciati da centri di accoglienza, anche religiosi, e i documenti rilasciati dalle rappresentanze diplomatiche o consolari in Italia.
I sindacati e i patronati ogni giorno accolgono centinaia di stranieri irregolari che chiedono lumi per compilare la pratica e per inoltrarla. «Ma riusciamo a farlo per uno su dieci - spiega Maurizio Bove, responsabile del dipartimento immigrazione della Cisl di Milano - Il problema principale è la richiesta che il datore di lavoro assuma l’immigrato a tempo pieno, cosa che esclude tutti i lavoratori impiegati a part time o con contratti di collaborazione, tipologie diffusissime in questi tempi di crisi». Per colf e badanti il minimo di ore richieste per ottenere il permesso di soggiorno è 20. Questa strettoia fa sì che ci siano centinaia di lavoratori subordinati che verranno assunti fittiziamente come 'collaboratori domestici', pur facendo tutt’altro.
Anche quest’anno infatti, in testa alla classifica delle nazionalità, fra i presunti 'badanti', svettano stranamente i cinesi e i cittadini di Pakistan e Bangladesh. «Come due anni fa, solo chi si farà furbo riuscirà ad avere i documenti - dice l’avvocato Alberto Guariso, dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione - e paradossalmente verranno premiati col permesso di soggiorno quelli che hanno avuto multe o problemi con la giustizia negli anni passati, perché avranno la prova di essere stati in Italia, piuttosto che quelli che sono rimasti silenziosamente nell’ombra a lavorare».



Gli "invisibili" senza casa non sono più solo immigrati
Tutti assieme potrebbero occupare uno spazio grande come Mantova: ne risultano, infatti 47.648 da una indagine condotta dall'Istat 1, dalla Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora 2, dalla Caritas 3 e dal ministero del Lavoro. Sono per lo più uomini (l'86,9%), più della metà vive al Nord e la ragione prevalente del vivere per strada è legata alla perdita del lavoro
la Repubblica.it, 09-10-2012
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - In Italia c'è una città grande come Mantova popolata solo da abitanti invisibili. Una città senza neppure una casa: è la città dei senzatetto, un esercito di 47.648 persone che sopravvive tra mense e strutture d'accoglienza. Finalmente un'indagine ne traccia l'identikit: sono uomini, giovani (meno di 45 anni), hanno la licenza media, in maggioranza sono stranieri (romeni o marocchini), vivono da soli, risiedono per lo più nel Nord-Ovest e si trovano "per strada" da almeno 2 anni e mezzo. Eccole le cosiddette "persone senza dimora", cioè i nuovi poveri: non solo immigrati e non solo disoccupati.
Il primo censimento degli homeless. L'indagine sulle persone senza dimora è frutto di una ricerca di Istat 4, Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora 5(fio. PSD), Caritas 6 e ministero del Lavoro. I risultati? Intanto i numeri: i senzatetto che tra novembre e dicembre 2011 hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna sono stati 47.648. Il che porta a stimare la popolazione complessiva senza dimora in una forchetta che varia tra 43.425 e 51.872 persone.
Molti gli italiani. Le persone senza dimora sono per lo più uomini (86,9%), hanno meno di 45 anni (57,9%), nei due terzi dei casi hanno al massimo la licenza media inferiore e il 72,9% dichiara di vivere da solo. Tanti gli italiani, anche se la maggioranza è costituita da stranieri (59,4%): le cittadinanze più diffuse sono la romena (l'11,5%), la marocchina (9,1%) e la tunisina (5,7%). In media, le persone senza dimora dichiarano di trovarsi in tale condizione da 2,5 anni; quasi i due terzi (il 63,9%), prima di diventare senza dimora, viveva nella propria casa, mentre gli altri si suddividono tra chi è passato per l'ospitalità di amici o parenti (15,8%) e chi ha vissuto in istituti, strutture di detenzione o case di cura (13,2%). Solo il 7,5% dichiara di non aver mai avuto una casa.
Dove vivono? Più della metà delle persone senza dimora (il 58,5%) vive nel Nord (il 38,8% nel Nord-ovest e il 19,7% nel Nord-est), poco più di un quinto (il 22,8%) al Centro e solo il 18,8% vive nel Mezzogiorno (8,7% nel Sud e 10,1% nelle isole). Milano e Roma accolgono ben il 71% dei senzatetto. Dopo Roma e Milano, tra i 12 comuni più grandi quello che accoglie più persone senza dimora è Palermo.
C'è anche chi lavora. Il 28,3% delle persone senza dimora dichiara di lavorare: si tratta in gran parte di lavoro a termine, poco sicuro o saltuario. I lavori sono a bassa qualifica nel settore dei servizi (l'8,6% lavora come facchino, trasportatore, addetto alla raccolta dei rifiuti, giardiniere, lavavetri, lavapiatti), nel settore dell'edilizia (il 4% lavora come manovale o muratore), nel settore produttivo (il 3,4% come bracciante, falegname, fabbro, fornaio) o nel settore delle pulizie (il 3,8%). In media, quelli che hanno un lavoro guadagnano 347 euro mensili. E ancora: tra le persone senza dimora, ben il 61,9% ha perso un lavoro stabile, a seguito di un licenziamento o chiusura dell'azienda.
Perché si finisce per strada? La perdita di un lavoro risulta tra gli eventi più rilevanti del percorso di emarginazione che conduce alla condizione di senza dimora, insieme alla separazione dal coniuge e alle cattive condizioni di salute. Ben il 61,9% dei senzatetto ha perso un lavoro stabile, il 59,5% si è separato dal coniuge e dai figli e il 16,2% dichiara di stare male.



Intifada francese. Boom di odio antisemita e paura nelle banlieue
Il foglio, 09-10-2012
Roma. Con una certa enfasi Richard Prasquier, presidente del Conseil Représentatif des Institutions Juives de France, ha dichiarato che in Francia ha preso piede un “islam di guerra”, una “ideologia mostruosa” che ha paragonato addirittura al nazismo. Altri commentatori hanno
messo in guardia dal rischio di una “Kristallnacht” francese, sulla falsariga dei pogrom tra il 9 e 10 novembre del 1938 nella Germania hitleriana. La paura domina nel paese che ospita le più grandi comunità islamiche ed ebraiche d’Europa. In grandi agglomerati come Sarcelles, Creteil, Sartrouville e Saint Denis, dove la sinagoga e la moschea si abbracciano, la tensione è altissima. L’ultima copertina del Nouvel Observateur è dedicata al boom antisemita. Vi si racconta del panico che regna nelle periferie, dove è sufficiente un copricapo religioso, ma anche un “certo taglio di capelli” o perfino un accento diverso, per diventare l’obiettivo di un’aggressione fisica a sfondo etnico. In un saggio sulla Middle East Quarterly, Nidra Poller, saggista e studiosa americana che da quarant’anni vive a Parigi, la chiama “Intifada francese”.
Nel fine settimana la retata contro quella che il ministro dell’Interno, Manuel Valls, ha definito “una cellula molto ben organizzata” di islamisti radicali, è finita con un morto fra i terroristi. A Sarcelles alcuni giorni fa alcuni membri di quella cellula avevano lanciato una granata yugoslava contro una drogheria ebraica. I jihadisti arrestati a Strasburgo si erano già rasati la barba, segno, secondo il
procuratore che guida l’inchiesta, che volevano “morire da martiri”. Nelle varie perquisizioni è stata trovata, oltre ai testamenti già firmati dei terroristi, una lista di associazioni israelitiche da colpire. Il presidente francese François Hollande ha rassicurato gli ebrei, aumentando le misure di sicurezza attorno ai loro centri e istituti. Non a caso il programma semi-ufficiale dell’Agenzia ebraica per incoraggiare i francesi all’emigrazione verso Israele è chiamato in codice “Sarcelles d’abord”, innanzitutto Sarcelles, un tempo nota come la “Gerusalemme francese”. Lo scorso giugno il deputato Jacques Myard è stato aggredito proprio a Sarcelles al grido di “questa è terra araba, voi sionisti dovete andarvene”.
La Francia si risveglia dunque con l’incubo di Tolosa, la città dove lo scorso 19 marzo quattro ebrei sono stati assassinati da un islamista, Mohammed Merah. Secondo dati del Service de Protection de la Communauté Juive – l’organismo che gestisce la sicurezza della comunità ebraica
– c’è stato un boom di attacchi antisemiti nel paese dopo la strage della scuola. Al 31 agosto si contavano già 386 attentati.
Jöel Mergui, presidente del concistoro ebraico, ha detto che “non passa settimana senza che ci siano attacchi antisemiti”. Non si contano più casi come quello di Lione, dove il rabbino capo Richard Wertenschlag ha ricevuto lettere minatorie. “D’ora in avanti puniremo un ebreo ogni
volta che va in televisione a lamentarsi”, recita una lettera che porta la firma del “Network dei Giusti”.
Alcuni giorni fa il governo israeliano ha diffuso i nuovi dati sull’immigrazione nello stato ebraico. 1.775 ebrei sono arrivati dalla Francia, che primeggia dopo Russia, Etiopia e Ucraina. La chiamano “Aliyah Tapis Rouge”, l’emigrazione sul tappeto rosso. L’Agenzia ebraica registra una crescita annua dalla Francia del dieci per cento. Una fuga che aumenta storicamente nei momenti di crisi. Come dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, quando in cinquemila lasciarono il paese. C’è una stima di trentamila pronti a partire secondo un sondaggio del Fondo sociale ebreo unificato. “L’aliyah è inevitabile”, dice Laurent Chimouni, che lasciò Parigi vent’anni fa e che oggi è tornato in Francia per sostenere l’emigrazione. “La nostra posizione qui non è buona come un tempo”.
wwww.ilfoglio.it/zakor



Mali, 400 mila persone allo sbando La tragedia di profughi e sfollati
Intersos 1 denuncia: gli sfollati interni e i profughi del Mali sono oltre 400.000. Nel campo di accoglienza della città mauritana di Mberra, sono arrivati in pochi mesi quasi 109.000 profughi dal nord del Mali. Un intervento militare delle Nazioni Unite è in fase di organizzazione. UNHCR 2 Intersos per le donne e i bambini nel campo di accoglienza di in Mauritania
la Repubblica.it, 08-10-2012
MARTA RIZZO
ROMA - Gli abitanti del Mali fuggono dal loro paese diviso in due dalla guerra. Soprattutto nella vicina Mauritania, dove la situazione è già emergenza, come denuncia la Ong Intersos 3. Solo nel campo rifugiati di Mberra in Mauritania, sovrinteso da UNHCR 4 con Intersos, sono arrivati tra gennaio a settembre quasi 109.000 rifugiati dal Mali (questo il numero di coloro che si sono ufficialmente registrati come "rifugiati", nel punto di frontiera e di accoglienza di Fassala). "Sono, per il 90%  di etnia Tuareg, quindi arabo berberi e del Songhai  -  dice al telefono, dal campo di Mberra, Federica Biondi capomissione di Intersos - Le donne sole e i bambini sono i più vulnerabili, i nostri operatori umanitari stanno dando supporto psicologico e sociale alle vittime di violenza sessuale e discriminazione. Abbiamo messo a punto un'allerta precoce per intervenire e sottrarre subito le vittime dalle situazioni di disagio".  
L'aiuto ai bambini abusati e traumatizzati. Sotto la coordinazione della UNHCR e, assieme all'Unicef 5, Intersos si occupa della condizione di madri, bambini, piccoli separati dalle famiglie, anziani e disabili rifugiati nel campo di Mberra. Il lavoro principale è quello della protezione dell'infanzia, che si concretizza nella creazione dei così detti "spazi amici dei bambini". Sono aree gioco in cui il personale cerca di dare supporto psico-sociale, assieme agli stessi rifugiati del campo. Il principale abuso sui bambini è la costrizione, soprattutto per le femmine, di sposarsi precocemente. Questa pratica, già intrinseca nella cultura locale, è aumentata in modo esponenziale dall'inizio della guerra, coinvolgendo soprattutto bambine di età media tra i 9 e 17 anni. L'unica  speranza è dare a questi minori soprattutto un'educazione. Per di più, Intersos si occupa di evitare il lavoro forzato dei bambini, di quelli disabili e dei "separati". Gli operatori umanitari sono riusciti a convincere le famiglie dei profughi a far frequentare la scuola ai loro figli, con un numero quasi paritario di studenti: 1733 maschi e 1599 femmine. "Il nostro compito più complesso è identificare i bambini e le donne a rischio di abusi, o già vittime - racconta Federica Biondi - Noi siamo qui per prevenire ulteriori violenze con la creazione di spazi sicuri".
Guerra e declino economico del Mali. Dal 17 gennaio 2012, il  Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad (MNLA, movimento nazionalista interno), ha portato a una violenta crisi nel Mali, acuendo  un'emergenza già in atto da tempo e spingendo la popolazione ad abbandonare le regioni settentrionali del Paese, poi precipitato nel caos a marzo, quando un colpo di stato militare ha fatto cadere il Presidente, democraticamente eletto, Amadou Toumani Touré, consentendo ai Tuareg di conquistare il nord del Paese e ai gruppi islamici, alcuni dei quali legati ad Al Qaeda, di imporre nelle stesse zone la Sharia, la legge islamica. Gli esperti economici avevano, prima che tutto ciò accadesse, apprezzato le misure di sviluppo in corso, affermando che il Mali era sulla buona strada verso una cauta crescita.
Svanito il sogno di una vita migliore. Nonostante sia uno dei paesi più poveri di mondo, il Mali ha vissuto un ammirevole sviluppo durante la presidenza di Amadou Toumani Touré. Ma gli oppositori politici lo accusavano di corruzione e inettitudine a risolvere soprattutto i problemi del nord del paese. Con la crisi economica mondiale, l'innalzamento del prodotto interno lordo ha visto un calo dal 5,8% nel 2010 al 2,7% nel 2011, secondo la Banca Mondiale. Con i tantissimi progetti in corso e con i finanziamenti e gli aiuti di alcune grandi istituzioni mondiali, la popolazione avrebbero potuto avere l'aspettativa di giorni migliori. Questo sogno di sviluppo e di pace si è volatilizzato a causa della guerra e la divisione in atto tra il nord e il sud.
Dove sono i profughi del Mali. La tragica situazione in atto, ha portato alla fuga dal nord del Mali circa 400.000 persone, che si sono spostate soprattutto in Mauritania (108.953 individui), ma anche in Burkina Faso (61.500 profughi circa), in Niger (35.000 persone) e nel Mali del sud (secondo fonte OCHA 6, questi ultimi sono 175.000), creando comunità esterne e interne. Gli sfollati interni, che dal nord del Mali si spostano verso il sud del paese,  sono quasi tutti originari di quelle zone, e tornano nelle aree così dette "sicure" . Al momento, sono concentrati in dipartimenti a Mopti, città e un comune urbano del sud.
Altri rifugiati in caso di nuovi interventi militari. Da inizio ottobre, un'equipe di Intersos è attiva in Mali, a Mopti,  per identificare il livello di rischio degli sfollati interni. Ma già tra i mesi di agosto e settembre UNHCR, le altre agenzie delle Nazioni Unite e le Ong internazionali (tra cui Intersos) sono pronte a ricevere un nuovo intenso afflusso di rifugiati in Mauritania in un eventuale nuovo campo ad Agor, a 40 km da Bassokounou. La località di Agor, non lontana da Mberra, è stata identificata dal governo mauritano in collaborazione con l'UNHCR.  Il governo della Mauritania garantisce, infatti formalmente e sostanzialmente la sicurezza, in primis dei rifugiati e quindi degli operatori umanitari.
L'incerto intervento militare dell'ONU. Un intervento militare sotto l'egida delle nazioni Unite per liberare il nord del Mali. Lo ha chiesto formalmente il primo ministro Diarra ai margini dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di New York (25 settembre 2012). Il 6 ottobre, il consiglio di sicurezza ONU ha approvato l'intervento della Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale 7 (ECOWAS). La tempistica non pare ancora ben delineata: alcuni analisti governativi parlano di qualche mese o addirittura di qualche settimana, mentre fonti delle Nazioni Unite dicono che un intervento sotto l'egida dell'Onu avrebbe luogo solo tra almeno 10-12 mesi.
Anche senza le Nazioni Unite. Nel frattempo, l'ECOWAS ha più volte espresso la propria volontà di aiutare il Mali, anche senza l'appoggio delle Nazioni Unite. Sarebbero pronti circa 3.300 uomini provenienti dalla Nigeria, Costa d'Avorio e Burkina Faso. La Francia si occuperebbe soltanto della formazione delle truppe e dell'appoggio aereo. Per assicurare assistenza alla popolazione, nel frattempo, Intersos e tutte le Ong internazionali impegnate nella zona, lavorano "saldamente al fianco delle agenzie delle Nazioni Unite e su loro mandato", come dichiara in ultimo Federica Biondi.




 

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