Cie, un libro svela l’inganno delle «gabbie per stranieri»

Osservatorio Italia-razzismo 6 settembre 2013
Negli ultimi due mesi si sono verificate rivolte all’interno di alcuni centri di identificazione ed espulsione (Cie) in Italia. In una delle più accese, quella di Gradisca d’Isonzo del 13 agosto, una persona trattenuta è caduta dal tetto sul quale era salita in segno di protesta, dovendo poi subire un serio intervento chirurgico. Le sue condizioni cliniche e fisiche rimangono, ancora oggi, gravi. A scatenare quella reazione era stata la risposta negativa alla richiesta, da parte degli “ospiti”, di poter avere un’ora d’aria in più per i festeggiamenti della fine del Ramadan.

Un rifiuto la cui motivazione, qualunque fosse, appare futile rispetto al dramma accaduto. E ciò che preoccupa è che l’incidente del Cie di Gradisca rischia di non essere un caso isolato. Sempre più spesso, infatti, quei luoghi rivelano la propria natura, ovvero quella di essere prigioni nelle quali gli effetti della privazione della libertà risultano insopportabili. Una “prigione per stranieri”, come efficacemente recita il titolo di un libro scritto da Caterina Mazza per le edizioni Ediesse, uscito proprio ieri in libreria. Qui, vengono messe bene in evidenza le caratteristiche proprie di questi tipi di centri, di come dovrebbero essere gestiti e di qual è il loro stato reale, oltre che la loro origine e la loro evoluzione. Si legge che i Cie sono stati realizzati per provvedere al trattenimento della persona migrante priva di documenti regolari per il soggiorno in Italia affinché la stessa venisse identificata ed espulsa, tanto che il periodo previsto per lo svolgimento di tale pratica era di trenta giorni, prorogabili al massimo di altri trenta. Un provvedimento del 2011 ha, però, prolungato questo tempo fino ad arrivare a 18 mesi. È in quel passaggio che si riassume la crudeltà del trattenimento, complicato dalla conduzione spesso precaria e non sufficientemente monitorata. I centri vengono presi in gestione tramite gare di appalto al ribasso vinte riducendo al minimo il costo pro-capite e pro-die: a Crotone, per esempio, esso ammontava a 21 euro. Cifre talvolta ridicole, che non rendono possibile un’organizzazione in grado di rispettare i diritti fondamentali della persona; e non consentono nemmeno di osservare le indicazioni previste dal capitolato del ministero dell’Interno, ovvero le linee guida predisposte per quelle strutture. Accade così che, qui, l’uno accanto all’altro, si trovi sia chi ha già svolto all’esterno percorsi di integrazione andati a buon fine, sia chi da poco arrivato in Italia, avrebbe bisogno di essere accolto in strutture capaci di fornirgli strumenti utili per orientarsi nella prima fase di permanenza. All’interno di questi centri quasi mai vengono organizzate attività utili alla persona trattenuta, con il risultato che il tempo passa e la frustrazione aumenta. Un tempo vuoto, da trascorrere all’interno di  vere e proprie gabbie, dove domina l’incertezza: perché sono qui, quanto rimarrò qui, dove andrò dopo?

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