Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

18 giugno 2010

Dossier Cinque milioni di stranieri in Italia. L'indagine del Censis rivela che vivono in media da 7 anni nel nostro Paese. Il loro numero è aumentato negli ultimi 4 anni, ma resta scarsa la mobilità sociale
Immigrati crescono
Terra, 18-06-2010
Susan Dabbous
Non chiamateli minoranza, gli immigrati in Italia hanno raggiunto quota 5 milioni. Alla faccia della Lega e delle politiche xenofobe, gli stranieri somigliano sempre più agli italiani per livello d'istruzione e lavoro nero. Anche se faticano tanto e guadagnano poco: tre su dieci ricevono un salario inferiore agli 800 euro al mese. Eppure hanno titoli di studio para¬gonabili a quelli della popolazione italiana (il 40,6% è diplomato o laureato, rispetto al 44,9% degli italiani), nel 32% dei casi hanno sperimentato in passato forme di lavoro irregolare (dato che sale al 40% al Sud), e oggi il 29% fa l'operaio, il 21% è colf o badante, il 16% lavora in alberghi e ristoranti, con una retribuzione netta mensile che nel 31% dei casi non raggiunge gli 800 euro. È questo il ritratto che emerge dall'indagine svolta su un campione di circa 16 mila stranieri da Ismu, Censis e Iprs per il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Secondo il Censis, Centro studi investimenti sociali, la scarsa professionalizzazione degli immigrati è causata non dalla mancanza di specifiche competenze, ma dall'immobilismo sociale del nostro Paese. A dimostrarlo sono principalmente due fattori: l'informale "passaparola" come mezzo attraverso il quale trovare l'impiego e la difficoltà a cambiarlo una volta ottenuto. Uffici di collocamento, annunci su internet e giornali sono davvero poco efficaci: utili a meno del 3% degli immigrati. Inoltre, i fenomeni di dequalificazione professionale risaltano ancora di più se si considera che il 59,8% degli stranieri che lavorano in Italia aveva già una occupazione nel Paese di origine. Le carriere lavorative degli immigrati, quindi, sono piuttosto semplici, composte da una sola esperienza di lavoro (nel 33% dei casi) o al massimo due (40,4%). Questi dati, ovviamente, assumono un certo valore alla luce del fatto che gli stranieri che lavorano in Italia vivono nel Belpaese mediamente da 7 anni. Il tempo per migliorare, studiare e fare il salto di qualità non è mancato. Eppure i numeri delle figure qualificate restano irrisori: solo il 2,4% svolge professioni intellettuali, il 2,2% ricopre incarichi specializzati nelle catene di montaggio, mentre 11,7 è composto di medici e paramedici. Ma è sul fronte imprenditoriale che si tocca il minimo: i titolari di società sono lo 0,5%. E se il requisito fondamentale per raggiungere la piena integrazione degli stranieri è la conoscenza della nostra lingua, anche su questo fronte non manca certo la buona volontà: il 42,8% ne ha una conoscenza sufficiente, il 33,1% buona, l'8,9% ottima, mentre il livello di apprendimento è ancora insufficiente solo per una minoranza che supera di poco il 15%. L'Italia quindi «non è lAmerica» dice il Censis che nel rapporto sfata il mito della grande mobilità, anche se un dato positivo emerge: il 77% ha un lavoro regolare, il 50 con vcontratto a tempo inderminato. Anche se restano purtroppo molto alti i numeri del sommerso, considerato che gli immigrati senza regolare permesso di soggiorno sono più di mezzo milione,



Migranti, la crisi fa aumentare gli irregolari

E l'arcivescovo Romeo denuncia la partenza per il Nord di "una generazione di siciliana"
Avvenire, 18-06-2010
Paolo Lambruschi
La crisi fa ripartire "alla grande" l'emigrazione dalla Sicilia verso il nord del paese e fa aumentare la presenza di irregolari. Secondo la Caritas italiana gli irregolari in un anno sono aumentati di 126mila unità, nonostante i respingimenti, In tutto sono 544mila. In questo il Mediterraneo, mare di Dio e degli uomini e non delle potenze, è equo. Molti italiani e stranieri hanno perso il lavoro a causa della crisi e per gli immigrati sono venute a mancare le condizioni per il permesso di soggiorno che permetteva a loro e alle loro famiglie di risiedere in Italia. La seconda giornata del Forum Migramed, organizzato da Caritas italiana denuncia la partenza di una generazione di siciliani. Secondo l'arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, «si parla di 60mila persone partite per cercare lavoro. Soprattutto    giovani precari». Fra i nuovi migranti,  infermieri, medici, metalmeccanici. La Chiesa non deve trovarsi impreparata, Romeo ha parlato di una situazione molto grave nelle regioni meridionali. Una strada«da percorrere è l'integrazione dei migranti "cui noi proponiamo anche la nostra fede" e la concessione della cittadinanza ai minori perché per l'arcivescovo lo "ius solis", che conferisce la cittadinanza italiana a tutte le persone nate in territorio italiano, è «una tradizione della nostra cultura». Per il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, che ha parlato a titolo personale, tocca alla Chiesa «provocare la politica e il Governo» quando attuano politiche che si allontanano dal bene comune e non continuare nella «situazione neutrale di silenzio in cui si è rifugiata fino ad oggi di fronte alle scelte della politica in materia di immigrazione». Che, per Mogavero, è «fatto ineludibile. Finora hanno invece prevalso le ragioni di ordine pubblico rispetto al bene comune. Ora bisogna mettere al centro la persona, la Chiesa deve gridarlo forte. I respingimenti non sono una scelta di giustizia. Contro i deboli e gli indifesi è facile essere forti, conto i furbi è più difficile e in genere si soccombe». Quanto alla cittadinanza «è una questione di coerenza e reciprocità, per i nostri migranti abbiamo sempre chiesto pari opportunità, perché a parti invertite la pensiamo diversamente? «Occorre invece - ha concluso il vescovo -un progetto ecclesiale e pastorale originale, da parte della Chiesa italiana, per dare elementi di sfondo per l'agire delle singole Chiese locali, che altrimenti si organizzano ognuna per proprio conto».
A Valderice, al forum cui partecipano 12 paesi dell'area, è intanto emerso il quadro della sponda africana del Mediterraneo. La pressione sul Maghreb dall'Africa subsahariana è inarrestabile, un flusso di milioni di persone che comprende chi fugge dalla miseria e chi, come eritrei e somali, cerca lo status di rifugiato. Quanto alla Libia, il responsabile dell'Acnur, Paolo Artini ha ricordato la recente    «temporanea chiusura» voluta dal colonnello Gheddafi dell'ufficio di Tripoli dell'organizzazione delle Nazioni unite per rifugiati. «Con la misura dei respingimenti -ha denunciato Artini -c'è un rischio di violazione della Convenzione di Ginevra che protegge i diritti dei rifugiati da parte di Roma». Senza contare che fonti umanitarie rivelano che i respinti finiscono in un girone infernale, Vengono imprigionati e sottoposti a sevizie e violenze in carcere. Le donne vengono sistematicamente stuprate dai carcerieri e spesso costretta ad abortire. Artini sottolinea inoltre come molti indicatori segnalino che le persone respinte dall'Italia abbiano effettivamente diritto a una qualche misura di protezione in quanto rifugiati. «Con la politica dei respingimenti, nel 2009, il numero dei richiedenti asilo in Italia si è dimezzato. Inoltre tra i respinti, ci sono molti eritrei, sudanesi e somali che normalmente ricevono protezione quando ne fanno domanda». Le Caritas hanno ribadito il loro impegno a tutela dei cittadini migranti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tratta, anche in vista della Giornata mondiale del rifugiato che si celebra il 20 giugno.



No del Vaticano alla stretta sugli immigrati clandestini
«Gestire i flussi senza sfociare nella xenofobia» Allarme della Caritas: irregolari in aumento
il Sole, 18-06-2010
La Chiesa invoca una «gestione regolata dei flussi migratori», ma chiama, allo stesso tempo, i governi dei Paesi d'accoglienza «a prendersi le proprie responsabilità e a trovare soluzioni che non siano solo quelle di un inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e di una chiusura più ermetica delle frontiere». Un invito, quello espres-so dal presidente del Pontificio consiglio per i Migranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, che suona rivolto in particolare all'Italia, dove la Consulta ha bocciato la scorsa settimana l'introduzione dell'aggravante di clandestinità, confermando però che l'irregolarità è un reato. E non sono pochi, fa sapere quasi in contemporanea la Caritas da un convegno in Sicilia, gli immigrati regolari «scivolati» nella clandestinità a causa delle norme statali e della crisi economica, magari solo perché rimasti senza lavoro o costretti ad accettarne uno «in nero». A ciò si aggiunge, con l'estate, la ripresa dei respingimenti via mare, da sempre contestati dal Vaticano che, anche nei giorni scorsi, ha chiesto di ripristinare il diritto d'asilo e la riapertura dell'ufficio dell'Unhcr in Libia. L'occasione per riaccendere la battaglia della Chiesa, decisa a «sconfiggere la prepotenza di chi preferisce l'uso della forza» contro gli immigrati a «quello dell'amore e della solidarietà», (queste le parole pronunciate da monsignor Vegliò nell'omelia di una messa celebrata a Santa Maria in Trastevere, punto di riferimento della comunità di Sant'Egidio) è la Giornata mondiale dei rifugiati. Una ricorrenza che in questo momento - ha detto l'alto prelato - «assume un tono particolarmente grave».



Migranti, la crisi fa aumentare gli irregolari

E l'arcivescovo Romeo denuncia la partenza per il Nord di "una generazione di siciliana"
Avvenire, 18-06-2010
Paolo Lambruschi
La crisi fa ripartire "alla grande" l'emigrazione dalla Sicilia verso il nord del paese e fa aumentare la presenza di irregolari. Secondo la Caritas italiana gli irregolari in un anno sono aumentati di 126mila unità, nonostante i respingimenti, In tutto sono 544mila. In questo il Mediterraneo, mare di Dio e degli uomini e non delle potenze, è equo. Molti italiani e stranieri hanno perso il lavoro a causa della crisi e per gli immigrati sono venute a mancare le condizioni per il permesso di soggiorno che permetteva a loro e alle loro famiglie di risiedere in Italia. La seconda giornata del Forum Migramed, organizzato da Caritas italiana denuncia la partenza di una generazione di siciliani. Secondo l'arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, «si parla di 60mila persone partite per cercare lavoro. Soprattutto    giovani precari». Fra i nuovi migranti,  infermieri, medici, metalmeccanici. La Chiesa non deve trovarsi impreparata, Romeo ha parlato di una situazione molto grave nelle regioni meridionali. Una strada«da percorrere è l'integrazione dei migranti "cui noi proponiamo anche la nostra fede" e la concessione della cittadinanza ai minori perché per l'arcivescovo lo "ius solis", che conferisce la cittadinanza italiana a tutte le persone nate in territorio italiano, è «una tradizione della nostra cultura». Per il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, che ha parlato a titolo personale, tocca alla Chiesa «provocare la politica e il Governo» quando attuano politiche che si allontanano dal bene comune e non continuare nella «situazione neutrale di silenzio in cui si è rifugiata fino ad oggi di fronte alle scelte della politica in materia di immigrazione». Che, per Mogavero, è «fatto ineludibile. Finora hanno invece prevalso le ragioni di ordine pubblico rispetto al bene comune. Ora bisogna mettere al centro la persona, la Chiesa deve gridarlo forte. I respingimenti non sono una scelta di giustizia. Contro i deboli e gli indifesi è facile essere forti, conto i furbi è più difficile e in genere si soccombe». Quanto alla cittadinanza «è una questione di coerenza e reciprocità, per i nostri migranti abbiamo sempre chiesto pari opportunità, perché a parti invertite la pensiamo diversamente? «Occorre invece - ha concluso il vescovo -un progetto ecclesiale e pastorale originale, da parte della Chiesa italiana, per dare elementi di sfondo per l'agire delle singole Chiese locali, che altrimenti si organizzano ognuna per proprio conto».
A Valderice, al forum cui partecipano 12 paesi dell'area, è intanto emerso il quadro della sponda africana del Mediterraneo. La pressione sul Maghreb dall'Africa subsahariana è inarrestabile, un flusso di milioni di persone che comprende chi fugge dalla miseria e chi, come eritrei e somali, cerca lo status di rifugiato. Quanto alla Libia, il responsabile dell'Acnur, Paolo Artini ha ricordato la recente    «temporanea chiusura» voluta dal colonnello Gheddafi dell'ufficio di Tripoli dell'organizzazione delle Nazioni unite per rifugiati. «Con la misura dei respingimenti -ha denunciato Artini -c'è un rischio di violazione della Convenzione di Ginevra che protegge i diritti dei rifugiati da parte di Roma». Senza contare che fonti umanitarie rivelano che i respinti finiscono in un girone infernale, Vengono imprigionati e sottoposti a sevizie e violenze in carcere. Le donne vengono sistematicamente stuprate dai carcerieri e spesso costretta ad abortire. Artini sottolinea inoltre come molti indicatori segnalino che le persone respinte dall'Italia abbiano effettivamente diritto a una qualche misura di protezione in quanto rifugiati. «Con la politica dei respingimenti, nel 2009, il numero dei richiedenti asilo in Italia si è dimezzato. Inoltre tra i respinti, ci sono molti eritrei, sudanesi e somali che normalmente ricevono protezione quando ne fanno domanda». Le Caritas hanno ribadito il loro impegno a tutela dei cittadini migranti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tratta, anche in vista della Giornata mondiale del rifugiato che si celebra il 20 giugno.



Eurostat, nel 2009 concesso asilo a 78.800 richiedenti

Adnkronos, 18-06-2010
Bruxelles, - I  27 Paesi membri dell'Unione Europea hanno concesso asilo nel 2009 a 78.800 richiedenti, contro i 75.100 dell'anno precedente. La cifra e' stata fornita da Eurostat, l'ufficio statistico dell'Ue, precisando che fra i maggiori beneficiari della protezione accordata dai 27 ci sono i cittadini somali, in totale 13.400, pari al 17%. A guidare la classifica dei Paesi che hanno risposto positivamente alle richieste di asilo c'e' la Gran Bretagna, con 12.510 domande accolte, seguita da Germania (12.055), Francia (10.415), Svezia (9.085), Italia (8.550) e Olanda (8.120). Messi insieme, questi Stati hanno accolto oltre i tre quarti delle richieste di asilo arrivate nel complesso ai 27.



Il successo dei flussi Nessun razzismo se l'immigrato lavora

Commento
Nessun razzismo se lo straniero lavora
Libero, 18-06-2010
Gianluigi Paragone 
Le mille polemiche sul razzismo degli italiani fanno capolinea in una ricerca del Censis voluta dal ministero del Welfare, secondo la quale il lavoro è spesso il principale fattore di integrazione. Da qui la conferma che l'impianto della legge Bossi-Fini è valido proprio perché insiste (...)
(...) sulla stretta dipendenza tra permesso di soggiorno e lavoro. Ci torneremo. Cosa dice innanzitutto questa ricerca compiuta sui 5 milioni di stranieri in Italia? Primo, il 77 per cento degli immigrati maggiorenni ha un lavoro regolare. Secondo, prevale il tempo indeterminato sul tempo determinato. Terzo, pur con un titolo di studio importante lo straniero è poco "appetibile" sul mercato del lavoro intellettuale. Quarto, spesso l'ingresso nel mondo del lavoro arriva dopo un periodo di lavoro in nero. La morale? Beh, questi stranieri assomigliano proprio tanto agli... italiani. Se infatti sovrapponessimo questa ricerca con alcune analoghe sui lavoratori italiani, spesso troveremmo analogie. Come dire che le difficoltà non guardano in faccia a nessuno.
Vi sono tuttavia due note che vale la pena approfondire. La prima attiene la "qualità" della popolazione migratoria. Fintanto che vinceva il mancato controllo alle frontiere - da questo punto di vista va riconosciuto al governo e al ministro Maroni lo strepitoso risultato sul monitoraggio dei flussi migratori: i barconi dei trafficanti di esseri umani sono cessa -ti da un pezzo - arrivavano in Italia stranieri destinati alla sola manovalanza lavorativa, pertanto più suscettibili a contratti in nero, più ricattabili e soprattutto più esposti a essere bersaglio di un conflitto sociale tra ceti lavorativi bassi. Non per nulla infatti le periferie sono teatro di scontri o di intolleranza tra gruppi etnici e italiani: l'epilogo non può che essere questo quando sul mercato del lavoro si può contare su una "offerta fantasma" in spregio a qualsiasi regola. L'aver rafforzato i controlli alle frontiere e l'aver colpito il mercato di nuovi schiavi ha ridotto notevolmente questo bacino sommerso.
Lo scarso appeal che il mercato del lavoro italiano ha - faccio un esempio - per i laureati dei distretti informatici dell'India evidenzia parecchie anomalie, una per tutte quella di ritenere l'industria italiana del settore il nulla o poco più. Da qui la domanda strategica: è possibile dare una indicazione alla qualità del lavoro straniero in Italia? Io credo che non solo la risposta debba essere positiva nel senso sociale (non si possono avere soltanto alte percentuali di muratori, allevatori e operai); ma la risposta deve essere positiva per dare slancio allo sviluppo economico. In altre parole, non si può pensare al rapporto immigrati -occupazione esclusivamente nella prospettiva di necessità; sarebbe opportuno che lo straniero fosse una risorsa per sviluppare le imprese italiane verso il futuro.
Torno alla ricerca del Censis. La regolarità dei contratti è la strada principale verso la piena integrazione. Lavoro significa rispetto dei diritti, significa dignità, significa una busta paga. E vero lo stipendio è quello che è, ma l'inadeguatezza dei salari è una questione che coinvolge tutti gli attori del lavoro. Coinvolge il dipendente che si ritrova con buste più leggere dei colleghi europei. Ma coinvolge anche i datori di lavoro che su quello stipendio pagano in "altre voci" più dei colleghi europei. Quando finalmente il governo riuscirà a intervenire sull'equità fiscale delle retribuzioni, avremo tolto un bel tappo allo sviluppo occupazionale.
Quando prima con un pizzico di provocazione abbiamo "italianizzato "la presenza dei lavoratori stranieri nel senso che stranieri e nostri concittadini pari sono rispetto ai buchi neri del lavoro, lo facevamo 1) per evitare di bollare il nostro Paese come un Paese razzista; 2) perché la presenza dello straniero va a maggior ragione ancorata alla regolarità di un posto di lavoro. La filosofia del «tutti dentro poi ci si arrangia» è un pessimo approccio alla questione dei flussi migratori. In Italia i problemi già non mancano per i nostri concittadini, eviterei di abbassare il livello sfruttando la clandestinità degli stranieri. Il rigore delle politiche del centrodestra è una garanzia innanzitutto per gli immigrati. Dove c'è lavoro c'è integrazione; dove c'è clandestinità c'è sfruttamento.



L'ITALIA, LA LIBIA E IL TRATTATO DELLA VERGOGNA

I Disastrosi effetti dell'accordo
l'Unità, 18-06-2010
Valentina Brinis,  Ernesto Ruffini
Il 2 giugno la sede di Tripoli dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu è stata costretta a chiudere poiché, non aderendo la Libia alla Convenzione di Ginevra, le attività svolte dall’ufficio venivano considerate “illecite”. È una questione che riguarda, e molto, l’Italia. E, infatti, il “trattato di amicizia, partenariato e cooperazione” siglato con la Libia ha appena compiuto un anno. Una cooperazione nella «lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, all'immigrazione clandestina» attraverso «un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche». Così, dal 15 maggio 2009, viene attuata una politica di respingimento di quanti tentano di approdare irregolarmente sulle nostre coste. Gli effetti di questa politica sono drammatici. Per un verso si è registrata una riduzione delle richieste di asilo presentate agli organi italiani: dagli oltre 31mila del 2008 a poco più di 17mila nel 2009. Per altro verso gli sbarchi, che nel 2008 sono stati 36.900, si sono ridotti a 9.573 (ma quelli in Sicilia rappresentavano appena il 5% degli ingressi irregolari), con un calo notevole, del 90%, da maggio a dicembre. Ma la realtà che si cela dietro questi numeri rimanda mette sotto accusa la pratica dei respingimenti e più in generale l’inasprimento delle misure di contrasto all’immigrazione. Ne conseguono la rinuncia al viaggio da parte chi è a conoscenza delle  politiche migratorie italiane, il pesantissimo controllo libico sul territorio e sulle coste, l’intercettazione e il respingimento in mare di quanti riescono a imbarcarsi. Quei migranti respinti con ogni probabilità, avevano diritto di ottenere lo status di rifugiati, ma di loro non sapremo più nulla. Certo, avevamo solidi motivi per chiudere il contenzioso con la Libia per il nostro passato coloniale, ma, evidentemente, nemmeno un motivo qualunque per aiutare uomini e donne provenienti da paesi dove quel passato è stato ugualmente disastroso. Intanto il ministro Franco Frattini vanta il fatto di aver salvato tanti dalla morte in mare. È immorale il tentativo di presentare all’opinione pubblica una sola faccia del fenomeno migratorio: se i morti sono morti (e i 419 del 2009 a noi sembrano molti), qual è il destino dei salvati, dei “respinti”? L’alternativa possibile sarà tra la detenzione nei campi libici di cui sono stati ben documentati i livelli di civiltà giuridica, e il ritorno coatto alle situazioni di guerra, miseria, persecuzione dalle quali erano fuggiti. Ma, secondo l’articolo 16 del Trattato, le parti non dovrebbero adoperarsi «per la diffusione di una cultura ispirata ai principi della collaborazione tra i popoli»?



La consigliera islamica che spaventa il Trentino

Rovereto, in aula per la prima volta con il velo dopo aver sconfitto la Lega
La Stampa, 18-06-2010
Francesca Paci
Quindici giorni fa, quando è stata eletta tra le fila del Pd di Rovereto, Aicha Mesrar pensava a tutto fuorché a cosa avrebbe indossato ieri per la seduta inaugurale del consiglio. Sono passati vent'anni dal giorno in cui, appena maggiorenne, lasciò la natia Casablanca per studiare lingue all'università di Trento e, nonostante qualche sguardo sospettoso dopo gli attentati dell'll settembre 2001, nessuno le aveva mai chiesto ragione dell'hijab avvolto intorno al capo. E' probabile che se la settimana scorsa l'avversario leghista Willy Angeli non avesse levato l'indice puntatore, spostando l'attenzione dalla propria sconfitta alla di lei identità religiosa, pochi avrebbero notato la prima consigliera comunale accessoriata di velo. Ma l'abito fa sempre il monaco e adesso Aicha giura che, casomai le fosse chiesto di cambiarlo, rifiuterà a costo di dimettersi. «Dopo aver lavorato nove anni alla Provincia sono allo sportello immigrazione  della Questura e ho sempre portato il foulard senza problemi» racconta al telefono della casa in cui vive con il marito e i due figli di 11 e 14 anni. Poi è entrata nella squadra del neo sindaco Andrea Morandi e a Willy Angeli dev'essere sembrata una tale provocazione da minacciare di protestare contro «l'islamica a Palazzo Pretorio» rivolgendole la parola solo in dialetto. Lo stesso in cui si esprime Aicha: «La polemica è nata perché sono entrata in politica, finora questo pezzo di stoffa, che lascia riconoscibile il viso, era uno qualsiasi dei tanti indossati dalle donne musulmane di Rovereto». In discussione non c'è il burqa integrale, bandito dalla Francia al Belgio, ma la testa coperta alla Dalia Mogahed, consigliere per l'islam del presidente Obama.
«Personalmente sono allergica al velo ma bisognerebbe spiegare alla Lega che stavolta non si tratta di un'imposizione né d'un simbolo politico e, a fronte d'una libera scelta, conta la persona, una marocchina democratica diventata cittadina italiana nel 2008 e regolarmente eletta» osserva Souad Sbai, parlamentare di Forza Italia e direttrice dell'associazione Acmid Donna. La Sbai sa che su questo argomento la comunicazione è ardua: «Perfino nel mondo arabo, immigrato e non, c'è una profonda spaccatura tra quelle che portano l'hijab e le laiche, non si parlano neppure».
Il Trentino, abituato alla mediazione culturale, sta a guardare con minor diffidenza del vicino Veneto pungolato dal Carroccio. Le valli alpine che ospitano 46 mila stranieri, ì'8,8% della popolazione, hanno appena consegnato il municipio di Carzano a Cesare Castelpietra, primo sindaco nero del Belpaese nonostante il nome italicissimo come il calciatore Mario Balotelli. Lia Giovanazzi Beltrami, assessore alla solidarietà e alla convivenza della Provincia Autonoma di Trento considera la storia di Aicha il compimento di un processo: «Da due anni portiamo avanti il piano di coesione sociale insieme ad associazioni tipo la cooperativa Città futura di Aicha». Il risultato, ragiona Giovanna Zincóne, consulente del Capo dello Stato per la coesione sociale e autore del volume "Immigrazione : segnali d'integrazione» è «un piccolo segnale di riconoscimento, magari poco significativo ma simbolico dal punto di vista della rappresentanza». Tanto da strappare l'applauso del presidente dei Giovani Musulmani Omar Jibril: «Speriamo sia un inizio, abbiamo molte iscritte laureate e di talento scartate ai colloqui perché velate».
Willy Angeli incassa il colpo, ma non è convinto: «Non ce l'ho con la signora, alla cui vittoria mi tolgo tanto di cappello, ma con il principio, il Trentino non è pronto a una consigliera islamica. Al di là del fazzoletto può far paura quello che c'è sotto». Ieri sera a Palazzo Pretorio c'era Aicha Mesrar.



"Il volo" di Wim Wenders a sostegno dei rifugiati politici

La Stampa.it, 18-06-2010
TORINO -L’ultimo film di Wim Wenders Il volo in anteprima regionale a Torino per celebrare la “Giornata Mondiale del Rifugiato 2010” che ricorre annualmente il 20 giugno .
Il volo di Wim Wenders è il primo filmato italiano in 3D girato quasi interamente a Riace che ha come tema centrale le esperienze di accoglienza ed integrazione che alcuni paesi della locride stanno attuando con risultati molto positivi nei confronti di rifugiati e richiedenti asilo politico. Si tratta di un mediometraggio della durata di 32 minuti che non è attualmente distribuito nelle sale e viene solamente presentato in alcuni festival e situazioni particolari.
La Rete dei Comuni Solidali è tra i soggetti finanziatori del film. L’Unhcr, l’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha dato il suo patrocinio al film. Prima della proiezione brevi interventi di: Odilia Negro del coordinamento nazionale di Re.Co.Sol., che esporrà in breve gli ambiti di impegno della Rete dei Comuni Solidali ed il rapporto con il comune di Riace e quindi con il filmato di Wim Wenders.
Il Volo è un film-documentario realizzato con la tecnica 3D con Ben Gazzara, Salvatore Fiore, Giacomo Battaglia e con la partecipazione straordinaria di Luca Zingaretti la voce di Ben Gazzara è di Giancarlo Giannini.
Un bambino e il suo sindaco, in un paese della costa calabrese ormai spopolato, dove è difficile anche organizzare una partita di pallone perché non ci sono altri bambini. L’arrivo di un gruppo di immigrati, a bordo di un barcone, crea scompiglio nella piccola amministrazione locale e apre ovvie discussioni sull’accoglienza. Saranno proprio il bambino e il sindaco, interpretato da Ben Gazzara, a dare alla vicenda una svolta decisiva e positiva. Questa la trama iniziale del cortometraggio che Wim Wenders ha girato in alcuni dei luoghi più suggestivi della Calabria: Scilla, Badolato e Riace.
Trama iniziale che è stata modificata man mano che Wenders veniva a conoscenza delle reali storie di accoglienza verso rifugiati che hanno caratterizzato la storia recente di alcuni paesi della Calabria come Riace e Caulonia, nella locride. In particolare, è stato l’incontro tra Wenders e un piccolo rifugiato afgano a far cambiare le sorti all’intero film. In questi piccoli Comuni l’immigrazione da diversi anni è diventata una risorsa: i rifugiati, arrivati a più riprese a partire dalla fine degli anni Novanta, sono da tempo impegnati in attività artigianali e produzioni locali e stanno così contribuendo, in perfetta armonia con la popolazione locale, a rivitalizzare l’economia di borghi segnati da emigrazione di massa e altrimenti destinati a un futuro di decadenza e spopolamento.
Esperienze di speranza e solidarietà che hanno entusiasmato il regista tedesco, in un momento in cui è particolarmente difficile parlare di accoglienza e integrazione. Così Wenders ha trasformato il soggetto iniziale e, in un autentico “meta film”, ha dato spazio alla voce dei veri rifugiati: nella versione iniziale erano delle semplici comparse e recitavano se stessi nella scena dello sbarco, mentre nella versione finale sono diventati i veri protagonisti.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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