Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

11 marzo 2010

Cassazione: clandestini vanno espulsi anche se i figli minorenni vanno a scuola
Redazione online - Corriere.it
11 marzo 2010
MILANO - Marcia indietro della Cassazione in tema di immigrazione: i clandestini con figli minori che studiano in Italia non possono chiedere di restare nel nostro Paese sostenendo che la loro espulsione provocherebbe un trauma «sentimentale» e un calo nel rendimento scolastico dei figli. Secondo il nuovo orientamento della Suprema corte, che smentisce una recente sentenza, l'esigenza di garantire la tutela alla legalità delle frontiere prevale sulle esigenze di tutela del diritto allo studio dei minori.

LE MOTIVAZIONI - Con la sentenza n. 5856 la Cassazione ha respinto il ricorso di un immigrato albanese, con moglie in attesa della cittadinanza italiana e due figli minori residente a Busto Arsizio (Va): voleva l'autorizzazione a restare in Italia in nome del diritto del «sano sviluppo psicofisico» dei suoi bambini che sarebbe stato alterato dall'allontanamento del loro papà. I supremi giudici gli hanno risposto che è consentito ai clandestini la permanenza in Italia per un periodo di tempo determinato solo in nome di «gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore se determinati da una situazione d'emergenza». Queste situazioni d'emergenza, però, non sono quelle che hanno una «tendenziale stabilità» come la frequenza della scuola da parte dei minori e il normale processo educativo formativo che sono situazioni di «essenziale normalità». Se così non fosse, dice la Cassazione, le norme che consentano la permanenza per motivi d'emergenza anche a chi è clandestino finirebbero con il «legittimare l'inserimento di famiglie di stranieri strumentalizzando l'infanzia». Con questa pronuncia, inoltre, i supremi giudici superano la precedente decisione della stessa Cassazione che aveva dato il via libera alla permanenza di un papà clandestino, definendola come «riduttiva in quanto orientata alla sola salvaguardia delle esigenze del minore, omettendone l'inquadramento sistematico nel complessivo impianto normativo» della legge sull'immigrazione.

 

La visita dell'Alto Commissario Onu per i diritti umani

Liberazione, 11-03-2010

Laura Eduati

Navy Pillay, donna, sudafricana, ex presidente del tribunale penale internazionale sul Rwanda, oggi Alto Commissario per i diritti umani dell'Onu, è «preoccupata» per gli sgomberi incivili nei confronti dei rom e critica apertamente il pacchetto sicurezza introdotto dal governo italiano con tutto ciò che ne consegue: reato di clandestinità, condizioni di vita nei centri di identificazione ed espulsione dopo l'allungamento della detenzione a sei mesi, i militari in città, le ronde.

Alla Commissione per i diritti umani del Senato non ha usato giri di parole: «C'è il rischio di tenere la migrazione all'interno dei confini della sicurezza. Si tratta di un approccio riduttivo che alimenta sfiducia e paura».

Pillay bacchetta indirettamente anche le intemperanze verbali dei leghisti, che spesso sconfinano nel razzismo, e poi non dimentica i respingimenti in mare che a suo tempo l'Onu aveva già stigmatizzato: «I migranti non sono rifiuti tossici». Infine una stoccata a Berlusconi in persona: «Sono preoccupata per lo stato di diritto in Italia perchè ritengo che la magistratura in molti Paesi sia messa a repentaglio dall'Esecutivo».

Che dire. Una bella lavata di capo. Da mesi Nazioni Unite e altri organismi internazionali invitano l'Italia a modificare le politiche nei confronti dei migranti e dunque le critiche non arrivano inaspettate. Inaspettata davvero è l'allarme sugli attacchi ai magistrati, e per la prima volta dal dopo-guerra l'Italia riceve gli stessi rimbrotti dei Paesi poco democratici. Ora Pillay arriva a Roma per una visita di due giorni, che si concluderà oggi, e non è un caso che visiterà, questa mattina, i due campi nomadi di via Marchetti e via Candoni e poi il centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. La sua visita coincide con un momento particolare, sia per i nomadi che per i migranti rinchiusi nei centri. Se a Milano gli ultimi sgomberi hanno creato masse di persone costrette a rifugiarsi negli anfratti della città, interrompendo spesso il percorso scolastico dei bambini, a Roma procede a tappe forzate il Piano nomadi di Alemanno e del prefetto Pecoraro.

Proprio questa mattina Amnesty International, che già aveva lanciato un appello internazionale contro il Piano, presenterà le sue conclusioni sulle aperte discriminazioni e sulle violazioni dei diritti umani dei rom a causa dei continui sgomberi dei campi illegali senza una possibile alternativa  come successe nei mesi scorsi con la doppia cacciata dei rom dall'ex Casilino 700.

E da otto giorni continua lo sciopero della fame dei migranti rinchiusi nei Cie di Milano e Torino. A Ponte Galeria, dove sabato vi sarà un presidio degli attivisti, lo sciopero si è concluso, così come a Gradisca. Ibrahim, trent'anni, detenuto al Corelli da nove mesi, protagonista della ribellione dello scorso agosto e condannato per danneggiamenti, «l'unica nostra colpa è non possedere il permesso di soggiorno. Vogliono farci soffrire, ma devono decidere: o mi mandano in Marocco o mi rilasciano». Ibrahim faceva il falegname e l'elettricista, ha una fidanzata e dei parenti che lo aspettano, fuori delle sbarre. Dopo la rivolta fu condannato a sei mesi di carcere, ora l'hanno rispedito al Cie: «Non facciamo nulla tutto il giorno». Assiste, Ibrahim, a vicende paradossali. Come quella di un rumeno al quale il giudice non aveva convalidato la permanenza al Corellì, ma che all'uscita dalla struttura invece della libertà ha trovato una volante della Questura Gli attivisti del comitato antirazzista milanese, che portano al centro bibite energetiche e succhi di frutta per chi sta scioperando, denunciano: «Li narcotizzano per tenerli tranquilli».Fino a martedì erano sessanta le persone che si astenevano dal cibo nel centro di Milano. Le donne, soprattutto, dopo alcuni giorni hanno perso le forze e non potevano nemmeno alzarsi dal letto. E ieri mattina una ragazza che si sentiva male è stata rilasciata.  Ora gli scioperanti sono rimasti in diciotto, e minacciano di continuare anche fino alla morte. Come Nabli, rinchiuso nel centro di Torino, da cinque giorni senza riscaldamento nonostante  il freddo polare e la neve fuori: «Il medico mi chiede di mangiare

perché sono stato operato di ulcera, ma preferisco morire piuttosto che rimanere qui dentro». Navy Pillay, che nella prima giornata ha incontrato i ministri Maroni e Alfano, ricorda che il diritto internazionale impone la privazione della libertà come «l'ultima misura da applicare». I migranti, soprattutto, «devono essere informati dei loro diritti» e poter fare ricorso. Cosa che non sempre è garantita.

L'Alto commissario ha poi allargato il discorso alla lotta al terrorismo («combatterlo è sacrosanto ma senza discriminare le fedi religiose» con evidente riferimento all'islam e all'equazione musulmano uguale criminale).

 

L'Onu "bacchetta" l'Italia: «I migranti non sono rifiuti»

Il Messaggero, 11-03-2010

ROMA - Le sfumature, decisamente, non sono la specialità di Navathenem Pillay, detta Navi. L'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani ha iniziato ieri una visita di due giorni in Italia, e fin dalle prime ore ha detto chiaramente che la politica seguita in materia dal nostro Paese non la persuade affatto. Scenario, la Commissione  diritti  umani del Senato. «I migranti che arrivano  da voi via mare non   devono essere trattati come carichi di rifiuti tossici», ha scandito l'ex magistrato sudafricano. «So che le vostre navi hanno salvato molte vite, ma ricordo che il salvataggio in mare e un obbligo».

 

Era solo l'inizio. «Guardare all'immigrazione  come a un problema di sicurezza è un approccio riduttivo che alimenta sfiducia e paura. Militari in strada e ronde sono risposte molto visibili all'immigrazione, ma a soffrire e la tutela dei diritti. Proteggere i migranti da violenze e discriminazioni è responsabilità delle autorità pubbliche». No, dunque, alla detenzione degli immigrati in strutture para-carcerarie: «Secondo le leggi internazionali, la privazione della libertà deve essere sempre l'ultima misura da applicare. E in ogni caso deve avere una base giuridica, e chi ne è colpito deve essere informato dei suoi diritti, e poter ricorrere contro eventuali illegalità». Mentre i rapporti sui nostri Centri d'identificazione ed espulsione «riferiscono di condizioni di sovraffollamento e accesso inadeguato ai diritti di

 base». Per non parlare della «lacunosa tutela dei bambini nelle procedure di controllo alle frontiere».

Pillay ha criticato anche la politica italiana verso i rom: «II loro trattamento deve essere conforme agli standard internazionali. Sono perciò allarmata dalle notizie di sgomberi forzati e non tutelati». E, ciliegina sulla torta, si è detta «preoccupata per lo stato di diritto in

Italia, perché ritengo che la magistratura in molti Paesi sia messa a repentaglio dall'esecutivo. Scoraggerei dunque chi riveste funzioni pubbliche dall'esprimere disprezzo nei confronti della magistratura, perché in tal modo può trasmettere la sensazione che questa non sia indipendente».

I senatori della maggioranza devono essere rimasti a dir poco  scossi. Uno di loro, Salvo  Fleres del Pdl, hapensato bene d'inquadrare le affermazioni di Pillay nella «logica a orologeria utilizzata dalla sinistra». Augurandosi che il resto della visita dell'Alto commissario - fitto d'incontri istituzionali ma anche di visite a campi nomadi e Centri d'identificazione ed espulsione - «serva a sventare i tentativi di delegittimazione politica del governo, sottraendo l'esecutivo alla lobby giustizialista». Lo ha rimbeccato Gianclaudio Bressa, Pd: «Pillay ha invitato il governo italiano a riflettere sulle politiche dell'immigrazione. E sconcertante e offensivo che la maggioranza, anziché prenderne atto, tenti di arruolarla tra le file della sinistra». M.Con.

 

 

 

 

Per un pugno di voti Torino apre gli asili ai baby clandestini

Libero, 11-03-2010

 FABIO RUBINI

 ?? A poco meno di venti giorni dal voto per le Regionali, l'amministrazione comunale di Torino, guidata da Sergio Chiamparino del Pd, ha deciso che i figli degli immigrati clandestini potranno iscriversi regolarmente agli asili cittadini. La scelta, vale la pena di chiarire, è stata fatta applicando in maniera estensiva le regole sull'obbligo scolastico: se per le primarie, infatti, l'obbligo per i dirigenti scolastici è quello di accogliere tutti (clandestini compresi); per asili nido (bambini da 0 a 3 anni) e scuole materne (da 3 a 6) non vale. Cioè, l'obbligo d'iscrizione e di frequenza non esiste.

Ovvio quindi che la scelta dell'amministrazione piemontese rivesta una particolare chiave politica, che potrebbe anche influire nel testa a testa tra la governatrice uscente del centrosinistra Mercedes Bresso e il candìdato leghista (appoggiato anche dal PdL) Roberto Cota, e che subito ha fatto scattate roventi polemiche.

I primi a montare sulle barricate sono stati i leghisti, per bocca del capogruppo in consiglio comunale, Mario Carossa, che ha spiegato come quella presa dall'assessore Beppe Borgogno è «una decisione che ha dell'inverosimile e che vanifica il duro lavoro del ministro Maroni per il contrasto dell'immigrazione clandestina». Corossa ha poi ricordato come: «non è più tollerabile che siano sempre privilegiati gli altri. Prima di ogni altra cosa devono essere fatti gli interessi delle coppie torinesi e piemonte -si».

Il Comune di Torino ha fatto sapere che la descisione è stata presa, con tanto di lettere inviate ai rappresentanti del governo. L'assessore Borgogno si è difeso spiegando che «prendersela coni bambini piccoli non è certo un modo per combattere la clandestinità», opponendo il rifiuto al fatto che «per combattere la clandestinità sia necessario impedire ai bambini dai 3 ai 6 anni di andare a scuola. Nel decreto Maroni -sostiene ancora l'assessore - c'è una norma che consente ai figli di cittadini irregolari di essere iscritti alla scuola dell'obbligo. Noi ci siamo limitati a interpretare questa norma in modo estensivo, cioè a considerare scuola dell'obbligo anche la materna».

Secondo Borgogno, dunque, nella vicenda non c'è nulla di ideologico né di strumentale: «I diritti dei bambini - sottolinea l'assessore - vengono prima di tutto».

In barba al decreto Maroni e alle politiche del governo per combattere l'immigrazione clandestina.

 

 

 

 

 

 

Permesso di soggiorno in 20 giorni: progressi nel 2009, ma ancora lunga la strada per il rispetto della legge

Immigrazione Oggi,11 marzo 2010

Il Ministro dell’interno al question time alla Camera: lo scorso anno 242mila permessi rilasciati e 528mila rinnovati, entro giugno eliminato tutto l’arretrato.

L’obiettivo da raggiungere entro la fine della legislatura “è quello di ridurre i tempi” per la concessione dei permessi di soggiorno e di “arrivare al rispetto dei 20 giorni previsti dalla legge”. È quanto ha dichiarato il ministro dell’Interno Roberto Maroni rispondendo in aula alla Camera a una interrogazione di Delia Murer, deputata PD, sui ritardi nella concessione e nel rinnovo dei permessi di soggiorno per gli immigrati.

Maroni - dopo aver ricordato che sin dal suo insediamento ha affrontato il problema dei tempi, per “individuare le soluzioni più idonee” - sottolinea che nel 2009 c’è stato un aumento del numero dei permessi del 43% rispetto all’anno precedente, un incremento che sale a oltre il 50% per quanto riguarda i rinnovi (sempre nello stesso periodo). Il responsabile del Viminale poi afferma che “è stato eliminato tutto l’arretrato in 65 questure ed entro giugno sarà eliminato l’arretrato in tutte le 103 questure d’Italia”.

Elencando nel dettaglio i dati, il Ministro riferisce che nel 2008 sono stati rilasciati 169mila permessi di soggiorno, l’anno successivo 242mila (+43%). Per quanto riguarda i rinnovi, nel 2008 sono stati 386mila e nel 2009 sono saliti a 528mila, con un incremento di oltre il 50%. Inoltre i tempi medi assoluti di conclusione dei procedimenti si sono progressivamente ridotti, passando da 303 giorni del 2007, ai 271 del 2008, ai 101 giorni del 2009, con riduzione del 67% rispetto al 2007 e del 63% rispetto al 2008, quindi oltre 120 % in due anni.

Maroni ha poi rilevato che, nel corso del 2009, sono state potenziate le dotazioni strumentali degli Uffici Immigrazione delle questure con l’assegnazione di 300 nuove postazioni di lavoro per la procedura del permesso di soggiorno elettronico (anche al fine di consentire l’apertura di nuovi sportelli al pubblico con l’obiettivo di ridurre i tempi di consegna del permesso); sono state distribuite 70 nuove apparecchiature visa scan di ultima generazione per il più rapido rilevamento delle impronte digitali; sono stati assegnati agli uffici immigrazione 325 operatori con contratto a termine; per il personale già in servizio nei medesimi uffici è stata consentita l’effettuazione di lavoro straordinario.

 


Capo di Al Azhar Muore Tantawi, il Grande Imam contrario al burqa

Corriere della Sera, 11 marzo 2010

Non esiste una Chiesa nell’Islam, e paragonarlo a un Papa non è certo corretto. Nemmeno le sue fatwa, o responsi, avevano un valore legale. Ma è indubbio che Mohammad Sayed Tantawi è stato fino alla sua morte, ieri a Riad, la figura preminente per il miliardo è più di musulmani sunniti del mondo. Dal 1996 Grande Imam di Al Azhar, il centro studi e l’università più importante dell’Islam con sede al Cairo, sarà sepolto a Medina, vicino alla tomba del Profeta. Il malore che l’ha ucciso, dice il suo staff, è stata improvviso: nonostante gli 81 anni era ancora lucido e attivo. Dal carattere impulsivo (una volta tirò una scarpa a un giornalista che l’accusava di appoggiare Israele), spesso poco diplomatico (a una ragazzina strappò il velo integrale dicendole che non era abbastanza bella per doversi coprire). Accusato di posizioni poco liberali (approvò la censura di libri «anti-Islam» e la condanna del grande teologo riformista Abu Zeid) nonché di essere troppo in linea con il governo di Hosni Mubarak, che per altro lo nominò e ora deciderà chi dovrà succedergli.

Nato nel 1928 in Egitto, Tantawi fu rettore di università a Medina e Alessandria e dal 1986 Grande Mufti d’Egitto. Nel 1996 fu nominato da Mubarak Grande Imam di Al Azhar Moderato


Con una visione e un’influenza, però, complessivamente moderata. Soprattutto sul fronte delle donne. Sfidando gran parte del «clero», nel 2003 alla Conferenza del Cairo organizzata da Emma Bonino sulle mutilazioni genitali femminili proclamò che la pratica era contraria all’Islam. E i successi della campagna per abolirla in Egitto sono in gran parte dovuto a lui. L’anno scorso si schierò contro il niqab, il velo che copre il volto. Con quella frase poco felice e conseguente spaccatura tra religiosi e credenti. Stesse reazioni per le fatwa a favore del trapianto d’organi, dell’aborto in casi particolari come lo stupro, della maggior presenza delle donne nel governo. Fu accusato di «essere un crociato anti Islam» per aver raccomandato ai musulmani di Francia di osservarne le leggi, compresa quella sul velo, per aver stretto la mano a Shimon Peres e condannato i kamikaze. In compenso, in questi tempi di aspri rapporti tra fedi, aveva buoni rapporti con il mondo cristiano. «Perdiamo un amico, era uomo di dialogo e pace», ha dichiarato ieri a Roma i l cardinale Jean-Louis Tauran. E il papa copto Shenouda III lo ha qualificato «un uomo nobile». Gli succederà, probabilmente, Ali Jumaa, attuale Grande Mufti d’Egitto con posizioni molto simili a quelle di Tantawi.

 

 

 

 

 

Satira su Maometto. Un'americana accusata di voler assassinare l'autore

Vignettista svedese nel mirino di Jihad Jane

Il Sole,11-03-2010

Angela Manganaro

 Colleen Renee LaRose, bionda, occhi azzurri, un metro e mezzo per 45 chili, ha 46 anni, due divorzi alle spalle e non ha finito le superiori. Da giovane, è stata arrestata in Texas per aver guidato sotto effetto di stupefacenti e firmato assegni falsi. Ora vive in un sobborgo di Filadelfia, si è convertita all'Islam, ha messo il velo e si è appassionata a internet: sul web è diventata Jihad Jane (o Fatima LaRose) e su Youtube, si dice «disperata» perché vuole aiutare i musulmani soffrono.

Pare che anche lei, insospettabile che vive nella periferia americana, volesse uccidere Lars Vilks,il vignettista svedese nel mirino dei terroristi islamici perché tre anni fa ha disegnato Maometto con il corpo di un cane. La stampa americana precisava ieri: gli inquirenti non hanno confermato che Jihad Jane volesse uccidere il disegnatore su cui al-Qaeda ha messo una taglia di 100 mila dollari. Ma le accuse alla bionda Colleen, in prigione da ottobre, sono state formalizzate a poche ore dall'arresto in Irlanda di sette islamici (quattro uomini e tre donne) accusati dello stesso complotto contro Vilks. Coincidenze? Per ora la signora LaRose - che sembrava una svitata partorita dal web e ora, incastrata dalle mail, rischia l'ergastolo - è formalmente accusata da una corte federale di reclutare militanti per attacchi terroristici negli Stati Uniti, in Asia e in Europa (qui pare cercasse donne), fornire a jihadisti passaporti e identità false, essere pronta a uccidere un «cittadino svedese». Dall'altra parte, si sa invece che la polizia irlandese che ha arrestato il commando contro Vilks, è stata aiutata da Cia ed Fbi. Così mentre in Svezia tre giornali decidono di ripubblicare le vignette di Vilks per difendere la libertà di espressione e per solidarietà («Lars Vilks non è solo in questo conflitto. Una minaccia contro di lui è una minaccia contro tutti gli svedesi», scrive il Dagens Nyheter nell'editoriale), in America i media spiegano il significato dell'arresto di Jihad Jane. Scrive il Washington Post: «Con l'aspetto e il passaporto di cittadina americana che le permette di vivere in una società occidentale da insospettabile, LaRose rappresenta la peggiore paura degli analisti dell'Fbi che si occupano di terrorismo». Paura che però, forse, non è solo americana visto che sei giorni fa, due dei quattro condannati a dieci anni di carcere da un tribunale di Dusseldorf per aver complottato contro obiettivi statunitensi erano tedeschi convertiti all'Islam.

 

 



Per i musulmani un reparto Halal anche al supermarket

Da qualche settimana alcuni supermercati della catena Coop hanno inaugurato il “reparto halal”. Il termine Halal in arabo significa “lecito” e nel contesto alimentare si intende il cibo preparato secondo il metodo richiesto dalla Legge islamica. Si tratta di un sistema di macellazione in cui si sgozza l’animale causando la totale fuoriuscita di sangue. Ciò, senza dubbio, solleva importanti dilemmi di “etica animale” e, opportunamente la Coop sta affrontando la questione con la Lega Italiana Antivivisezione. Si precisa inoltre che questa modalità di macellazione e lavorazione della carne è “certificata conformemente alle procedure islamiche della società Ihsan srl e dalla Comunità dei musulmani della Toscana”. È un’iniziativa che permette ai consumatori musulmani di soddisfare le proprie esigenze in un supermercato italiano. Niente di troppo diverso da ciò che già avviene per persone di altre nazionalità, come i cinesi, i sudamericani, gli statunitensi, i giapponesi, gli indiani etc. Molte infatti sono le catene di supermercati che hanno “reparti etnici” e tra i clienti non ci sono solo stranieri alla ricerca dei loro prodotti tipici. La gastronomia infatti è una buona, e in alcuni casi gustosissima, modalità di approccio a nuove culture. Non si spiegherebbe altrimenti il successo dei numerosi ristoranti etnici presenti in Italia. La condivisione del cibo e altre forme di convivialità sono un’ottima occasione di relazione e di scambio. Il fatto che un’importante impresa come la Coop abbia deciso di ampliare quel reparto alimentare, favorendo la conoscenza di una gastronomia, quella araba in questo caso, non può che contribuire ad esorcizzare in qualche misura la paura dello straniero.

l’Unità del 11 marzo 2010

 

 

McDoner, un fast food a base di kebab
11.03.2010 Paese Sera
Valeria Di Corrado -
Roma - Sotto le forme arrotondate della "M" del fast food per eccellenza spuntano i minareti di una moschea. Si chiama McDoner e il richiamo alla catena americana è evidente. Solo che in questo piccolo locale di via Manzoni 93 il panino non viene farcito con il classico hamburger, bensì con il doner kebab: un rotolo gigante di carne che gira su uno spiedo verticale. E' questo il "piatto da asporto" più conosciuto della tradizione culinaria araba. Diffuso nei paesi che a suo tempo facevano parte dell'Impero Ottomano (come la Grecia, dove prende il nome di ghiros), oggi è conosciuto in tutto il mondo al pari della pizza. Secondo la tradizione la carne deve essere di agnello, ma Saif Zgaya, proprietario del negozio, ci ha spiegato che per venire incontro ai gusti degli italiani si utilizza soprattutto il vitello, il tacchino o il pollo. Tutto tranne il maiale, rigorosamente vietato dall'Islam.
L'ambizione di Saif e di sua moglie Mariem, in Italia dal 1986, è quella di creare una catena di negozi che, grazie a questo marchio, rendano più facile la globalizzazione del prodotto. La commistione tra piatti arabi e italiani è voluta, per combattere i pregiudizi che spesso si hanno verso i punti di ristorazione etnici. A rendere più tortuosa la strada di un immigrato che vuole aprire una propria attività contribuiscono i ritardi nel rinnovo del permesso di soggiorno, senza il quale le banche non possono finanziare il progetto.
 


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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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