Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 settembre 2013

Integrazione, ma davvero gli italiani sono razzisti?
Ci siamo disabituati da secoli all’integrazione tra diversi: forse la dovremmo reimparare
l'Unità, 09-09-2013
Giuliano Amato
In un articolo dedicato agli insulti scagliati contro la nostra ministra per l’integrazione, Cécile Kyenge, l’Economist ci svela che gli italiani contrari ad avere vicini di altre razze sono oltre l’11%, contro il 4,9% degli inglesi e il 6,9% degli spagnoli.
Ma come, noi ci siamo sempre considerati immuni dal razzismo. Ci sbagliavamo? Ha ragione chi dice che anni fa non c’erano manifestazioni di razzismo in Italia semplicemente perché eravamo noi ad emigrare e non gli altri a venire da noi?
Un fondamento di verità la nostra convinzione di non essere razzisti lo possiede senz’altro e riguarda il nostro passato non prossimo, ma remoto, quando l’Italia era terra di insediamento per popoli e tribù provenienti da altri Paesi e da altri continenti e quando la vita italiana era la vita delle sue repubbliche marinare, la classica vita dei porti di mare. Eravamo abituati a vivere fra diversi e ad integrarci fra diversi. Non a caso italiani sono divenuti nei secoli gli etruschi, i latini, i franchi, i normanni, gli arabi, i goti e gli ostrogoti. E a differenza che in altri Paesi, nessuno da noi si è mai lamentato perché il sangue della stirpe originaria è stato contaminato dai sopravvenuti.
Poi però sono subentrati dei fattori che hanno sedimentato una cultura, e quindi una percezione di noi stessi, più chiusa e più esclusiva. Il primo è stato indubbiamente il processo di unificazione nazionale, che ha fatto crescere l’identificazione dell’identità nazionale con quella di una stirpe, di una etnia italica. Non furono pochi i padri fondatori che espressamente la negarono e dettero della italianità una nozione storico-culturale e non etnica. Ma è innegabile che nella retorica risorgimentale l’unità di sangue, vera o presunta che fosse, è stata fatta giocare e ha piantato il suo seme, che nel ventesimo secolo, col fascismo, ha dato poi i suoi frutti più robusti e perversi. A quel punto inoltre, con l’avventura coloniale, con altre etnie abbiamo instaurato il pericoloso rapporto del padrone coi servi e questo, quando ce ne sono le premesse, è da solo un veicolo di razzismo.
C’è stata poi la solidificazione delle nazionalità separate che è insita nella formazione e nell’affiancamento degli Stati nazionali. Ciascuno Stato aveva la sua comunità nazionale, i suoi cittadini, diversi da quelli degli altri. Alberi diversi, ciascuno con i suoi rami. E chi arriva è altro rispetto a un precostituito «noi». Non sottovalutiamo, infine, l’effetto del welfare, che è per definizione nazionale, perché i cittadini di ciascuno Stato pagano il proprio. Capita allora che ci siano «contribuenti» scontenti quando il diverso che arriva viene reso partecipe di un sistema di tutele sociali e sanitarie , che non ha contribuito a pagare. Le Corti Costituzionali fanno fatica a far accettare che i diritti della persona sono eguali per tutti, e non solo per i cittadini. E non meno facile è far capire che gli stessi cittadini, da giovani, usufruiscono di servizi che ancora non hanno contribuito a pagare.
Su queste premesse e in questo contesto, l’accettazione dei diversi non viene necessariamente da sé. E tanto meno viene quando la prima reazione all’immigrazione è la paura, o perché si temono dei concorrenti per il lavoro, o semplicemente perché non si capiscono i nuovi arrivati, non se ne capiscono né la lingua né le abitudini.
All’integrazione fra diversi ci siamo disabituati da secoli e molti di noi, forse tutti noi, la dobbiamo reimparare. È questo il nostro problema e ha ragione Cécile Kyenge che la mette proprio in questi termini. È fondamentale la scuola, perché abitua i bambini a vedersi eguali al di là delle differenze di abbigliamento o di pelle ed è inoltre un formidabile polo di attrazione, e quindi di educazione, per i loro genitori. È fondamentale poi il luogo di lavoro, così come sono fondamentali i mezzi di comunicazione, ad una condizione, alla quale i bambini arrivano di istinto, mentre gli adulti imparano a praticarla e non mi pare che noi italiani lo abbiamo fatto abbastanza: quella di considerare il vivere insieme fra diversi una cosa normale e non il frutto della particolare bontà di qualcuno. Chi scrive fiction che pretendono di insegnare l’integrazione farebbe bene a tenerlo presente.
Lo può aiutare una storiella che circola fra quanti si occupano di queste cose. È quella di un bambino che ha, fra gli altri, un compagno di classe nero e che, all’inizio dell’anno scolastico, mostra al padre una foto di gruppo. Il padre punta il dito sulla foto e gli chiede: «Come si chiama quello?». E il figlio, a sua volta: «Chi, quello nero?». Qualche mese dopo mostra al padre una foto scattata nella ricreazione e il padre, puntando il dito sullo stesso bambino, chiede: «Ma gioca bene a pallone anche lui?». E il figlio: «Chi, quello col maglione rosso?»



Prostituzione, alcol, droga: dentro i centri di accoglienza di chi chiede asilo
I racconti dei migranti
Corriere della sera, 09-09-2013
Jacopo Storni
Dovrebbero essere luoghi di transizione dove i profughi da guerre e carestie vengono protetti e ospitati in attesa dell’asilo politico. Finiscono per diventare gironi danteschi dove la delinquenza è la quintessenza di chi attende all’infinito un permesso di soggiorno. Alcol, droga, prostituzione. Sono i centri di accoglienza per richiedenti asilo (i cosiddetti Cara), almeno a giudicare dalle testimonianze raccolte da alcuni degli ospiti delle strutture. I centri italiani attualmente operativi sono otto, quasi tutti al sud. Potrebbero ospitare complessivamente circa 4mila persone, ma dentro ce ne stanno molte di più. Il sovraffollamento è cronico, accentuato anche dai nuovi arrivi dall’Egitto e dalla Siria. L’attesa estenuante.
Il ministero dell’Interno, responsabile dei centri, dice che i profughi vengono ospitati «per un periodo variabile di 20 o 35 giorni». Ci restano più di un anno. E costano circa 5 milioni al mese. I migranti provengono soprattutto da Afghanistan, Pakistan, India, Iraq, Eritrea, Somalia, Nigeria. Hanno vitto e alloggio gratuito e percepiscono un piccolo supporto economico mensile. Possono uscire dai centri quando vogliono, ma spesso le strutture si trovano in aperta campagna, distanti anni luce da una grande città.
È il caso di Castelnuovo di Porto, dove il Cara si trova a 30 chilometri da Roma. Circa 400 gli ospiti (secondo la Prefettura di Roma). Quasi mille (secondo i migranti accolti). Trascorrono le giornate in balia della noia. Impossibile trovare un lavoro senza il permesso di soggiorno. Qualche settimana fila liscia, un paio di mesi si superano. Ma poi? Le giornate diventano sterili fotocopie, ingredienti amorfi di una vita senza orizzonti scritti. Disagio esistenziale che sconfina nella devianza. Capita che le camere si trasformino in ricettacoli di prostituzione, dove i rifugiati pagano le rifugiate per sfogare istinti repressi.
Tutto questo lo raccontano i richiedenti asilo, come Jean Daniel (nome di fantasia), proveniente dall’Africa subsahariana e ospite da quasi un anno al Cara di Roma: «Ho fatto sesso con le nigeriane che esercitano la prostituzione dentro il centro. Ci appartiamo nelle camere che per l’occasione vengono lasciate vuote. Una prestazione costa mediamente venti euro». Alcune donne, spiega sempre Jean Daniel, «vanno a prostituirsi nella periferia di Roma, lasciano il centro dopo cena e rientrano all’alba».
Un altro ospite di Castelnuovo di Porto ci parla dello spaccio di sostanze stupefacenti: «Girano spinelli, si fuma sotto gli occhi degli operatori che gestiscono il centro, nelle stanze, nei corridoi, dappertutto». E poi ci sono gli «ospiti abusivi», tutti quei migranti che non avrebbero diritto di accedere al Cara ma che, riuscendo ad eludere i controlli dei gestori, entrano clandestinamente nel centro: «Dormono nei materassi stesi a terra».
Tante le associazioni che denunciano situazioni esplosive dentro i Cara. Tra queste l’Arci (dove abbiamo incontrato alcuni dei migranti ospiti a Castelnuovo di Porto) secondo cui «in tutti i Cara d’Italia si esercita la prostituzione e in molti casi c’è anche lo spaccio di droga». Non solo: «Spesso in queste strutture sono presenti minori, quasi sempre non accompagnati» spiega Livia Cantore, responsabile asilo dell’associazione. E poi: «C’è una perenne situazione di degrado, sporcizia, sovraffollamento, mancanza di servizi igienici, persone abbandonate a loro stesse, servizi che dovrebbero essere offerti e invece mancano».
La società che gestisce il Cara di Roma, la francese Gepsa, non vuole commentare le testimonianze dei migranti e rimanda la palla alla Prefettura di Roma. Che dice: «Se i migranti sono testimoni di episodi di microcriminalità, potrebbero denunciarli». E si smarca dalle responsabilità di ciò che avviene all’interno della struttura perché «è un luogo di accoglienza» dove «gli ospiti sono persone libere».


 

Emergenza immigrazione: altri 178 arrivi, con 82 bimbi Grave una giovane a Genova
Un centinaio di immigrati sono riusciti a fuggire dal centro di Pozzallo e altri 39 immigrati sono approdati sulle coste del trapanese e sono riusciti a fuggire
Quotidiano.net, 09-09-2013
Roma, 9 settembre 2013 - Continua senza sosta l'arrivo dei disperati dalle zone di guerra alle coste italiane. Ieri è stata soccorsa una giovane immigrata che si era nascosta in un cassone di lamiera all'interno di una nave, mentre un centinaio di immigrati sono riusciti a fuggire dal centro di Pozzallo e altri 39 immigrati sono approdati sulle coste del trapanese e sono riusciti a fuggire. E stamattina è arrivato un altro carico di disperati, tra cui 82 bambini.
IL NUOVO SBARCO - Un altro barcone con a bordo 178 profughi siriani è stato soccorso al largo di Portopalo di Capo Passero (Siracusa).  Tra i passeggeri vi sono 41 donne e 82 bambini.
TRAVERSATA NEL CASSONE - E' grave la giovane clandestina  che ieri era stata trovata nascosta all’interno di un cassone di lamiera ricavato nel bagaglio di un furgone, al porto di Genova. Ha  un grave problema di disidratazione ed è stata ricoverata all’ospedale Galliera. La clandestina è stata scoperta durante l’operazioni di sbarco del traghetto 'Grandi Navi Veloci' proveniente da Tunisi. I due uomini che si trovavano sul furgone, due tunisini di circa 40 anni, sono stati arrestati da polizia di frontiera e guardia di finanza per favoreggiamento dell’ immigrazione clandestina.
LA FUGA DAL CENTRO - Sarebbero circa un centinaio gli immigrati che, dopo una sommossa, sono riusciti a fuggire dal Centro di prima accoglienza di Pozzallo (Ragusa). L’arrivo dei 208 migranti di ieri pomeriggio aveva reso la situazione al limite del sopportabile: a fronte di una capienza massima di 130 posti, il Centro ne ospitava quasi 500.
Così, prima piccole scaramucce fra uomini di religioni ed etnie diverse, poi vere e proprie risse avrebbero permesso a più di cento immigrati di darsi alla fuga e diventare a tutti gli effetti clandestini.
LO SBARCO  - Trentanove migranti, verosimilmente di nazionalità tunisina, sono stati soccorsi ieri sera a 5 miglia dalla costa di Mazara del Vallo (Trapani) da due motovedette della capitanerie di porto di Trapani e Mazara. Il barcone con cui hanno affrontato la traversata imbarcava acqua e rischiava di affondare.
A dare l’allarme è stato il fratello di uno degli immigrati, un tunisino che si trova già in Italia.
Gli stranieri, tutti uomini, maggiorenni e in buono stato di salute, sono stati condotti al centro temporaneo allestito in un padiglione del palazzetto dello sport di Mazara, dal quale però sono tutti fuggiti nel cuore della notte. Venti sono stati rintracciati dalle forze dell’ordine e condotti nel locale commissariato di polizia. Proseguono le ricerche degli altri diciannove.



Svezia: il Governo offre un permesso di residenza a tutti i rifugiati siriani.
A tutti i richiedenti asilo siriani giunti in Svezia sarà concessa la residenza permanente alla luce del peggioramento del conflitto in Siria.
Immigrazioneoggi, 09-09-2013
Con questo provvedimento, la Svezia è il primo Paese dell’Ue ad offrire la residenza permanente ai profughi siriani. La decisione riguarda tutti i richiedenti asilo provenienti dalla Siria che hanno ottenuto la residenza temporanea in Svezia per la protezione umanitaria. Essi riceveranno un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, ha annunciato l’Agenzia dell’immigrazione svedese. In precedenza, a circa la metà dei richiedenti asilo siriani era stata concessa la residenza permanente, mentre l'altra metà aveva ricevuto un permesso di soggiorno di tre anni. Dato che la situazione in Siria si sta inesorabilmente deteriorando senza alcuna soluzione in vista, l'Agenzia ha valutato che la mancanza di sicurezza in Siria è permanente.
La decisione implica che i circa 8.000 siriani che hanno la residenza temporanea in Svezia saranno ora in grado di rimanere nel Paese in modo permanente e potranno anche avere il diritto di portare le loro famiglie in Svezia. Nel 2012 e nel 2013 un totale di 14.700 richiedenti asilo siriani sono giunti in Svezia. Insieme alla Germania, la Svezia è il Paese dell'Ue che ha accolto il maggior numero di richiedenti asilo dal Paese devastato dalla guerra.
Malek Laesker, vice-presidente della Associazione culturale Araba Siriana, ha accolto favorevolmente la decisione, ma ha anche avvertito che potrebbe creare problemi: "Il fatto che la Svezia sia il primo Paese ad aprire le porte è sia positivo che negativo", ha dichiarato, spiegando che potrebbe essere un vantaggio per il mercato del traffico di esseri umani, che è in crescita. Malek Laesker ha anche espresso preoccupazione circa il fatto che il provvedimento rischia di aggiungere benzina al dibattito già infiammato sulle politiche dell'immigrazione della Svezia.
Nella sua dichiarazione, l’Agenzia dell’immigrazione svedese ha precisato che i richiedenti asilo trovati colpevoli di crimini di guerra o crimini contro l'umanità per le loro azioni in Siria perderanno il diritto di essere classificati come rifugiati o bisognosi di protezione.
(Samantha Falciatori)



Bambini lasciano la scuola
l'Unità, 08-09-2013
Leonardo Romanelli
Siamo in provincia di Bergamo , in una classe con pochi  bambini italiani, quasi tutti stranieri: i genitori li ritirano e li mandano a scuola in altri comuni. Sui giornali levata di scudi contro la mancata volontà di procedere all’integrazione, veleggia la parola “razzisti”, non si capisce il comportamento, lo si stigmatizza, Altra scena. Chianti Classico, Toscana, Firenze: famiglie di produttori di vino si organizzano per mandare i figli alle scuole medie fiorentine, in Chianti troppi figli di loro dipendenti, il livello di istruzione è scarso occorre cambiare. Mi piacerebbe vedere cosa fanno i figli di coloro che mettono all’indice tali comportamenti: scopro che spesso frequentano scuole private..In realtà, l’idea dell’integrazione deve partire dalla scuola, ma questa dovrebbe avere gli strumenti per sopperire alla mancanza di cultura,  di coloro che entrano come aventi diritto pur senza avere le basi culturali minime necessarie. La distanza fra teoria e pratica +è veramente alta, si pretende di far insegnare in italiano in classi dove a fatica gli alunni si comprendono fra di loro: carico di lavoro gettato sugli insegnanti, con dirigenti scolastici che spesso, fortunatamente non sempre, delegano senza trovare soluzioni chiare e durature. Il classico caso nel quale si getta la croce sulle spalle di chi non riesce a sostenerla da solo. E intanto perdiamo le occasioni per far crescere il nostro sistema educativo..credist ilsussidario.net



Vassallo: «Ma in Sicilia non c’è ancora una legge sull’immigrazione»
Avvenire, 07-09-2013
Nello Scavo
È la regione italiana con il più alto numero di sbarchi. «Ma la Sicilia è anche l’unica a non avere ancora una propria legge sull’immigrazione», lamenta Fulvio Vassallo, docente di Diritto d’asilo e statuto costituzionale dello straniero all’Università di Palermo.
A cosa servirebbe una norma regionale?
Lo scopo dovrebbe essere quello, fra l’altro, di promuovere interventi finalizzati alla piena uguaglianza ed integrazione degli immigrati nel territorio siciliano. Si sono spese molte parole, ma alla prova dei fatti non si è visto nulla di concreto, anzi un disinteressamento completo rispetto a questa materia. Occorre attivare effettivamente il tavolo di coordinamento regionale con i prefetti, le Questure, l’Anci regionale e con i Comuni nei quali trovano accoglienza i richiedenti asilo e i profughi. Bisogna monitorare a livello regionale la situazione esistente e individuare le modalità operative per garantire percorsi credibili di inserimento sociale di coloro che ottengono in Sicilia il riconoscimento di uno status di protezione.
Quali sono, dal punto di vista del giurista, le questioni più urgenti da affrontare?
Per esempio nei centri di prima accoglienza, aperti dalle Prefetture in convenzione con i più diversi enti privati, i minori non accompagnati rimangono molti giorni con gli adulti, quando non si giunge direttamente a chiamarli in causa come "scafisti". Minori che vengono privati della possibilità di difendersi e di capire persino cosa sta succedendo loro.
Il susseguirsi di sbarchi lungo coste che raramente in passato erano state interessate da questo fenomeno, che problemi sta provocando?
Data la situazione proliferano centri di prima accoglienza aperti dalle Prefetture in virtù dalla "Legge Puglia" del 1995 (varata per fronteggiare l’arrivo di migliaia di albanesi, ndr), luoghi dalle caratteristiche giuridiche affidate alla discrezionalità della polizia, talvolta veri e propri centri di detenzione informale.
Qual è l’impatto su migranti e popolazioni locali?
Per le persone coinvolte in questo meccanismo infernale la prospettiva di una lunga attesa in condizioni disumane di sovraffollamento, una totale carenza di informazioni e di assistenza legale, una grande difficoltà di accesso alla procedura di asilo e ad un vero sistema di accoglienza. Con ricadute, ovviamente, sui residenti. Basterebbe andare a verificare la situazione del Centro di Pozzallo (Ragusa) o di Porto Empedocle (Agrigento) o di Porto Palo (Siracusa), per verificare in quali condizioni materiali e giuridiche vengano "accolti" i migranti che giungono non tanto a seguito di sbarchi, quanto piuttosto dopo vere e proprie azioni di salvataggio in alto mare e che dunque avrebbero bisogno di strutture ricettive particolarmente efficienti, soprattutto nel caso di minori non accompagnati e donne, molte delle quali in avanzato stato di gravidanza.
Si fa abbastanza per contrastare i trafficanti?
I periodici arresti di qualche scafista non portano avanti di un millimetro una vera azione di contrasto che dovrebbe partire dall’apertura di canali legali di ingresso, da una pronta accoglienza e da una maggiore protezione delle vittime. Evitando soprattutto la fuga nella clandestinità, che oggi sembra dilagare, a tutto vantaggio delle organizzazioni criminali.

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