Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

03 ottobre 2013

TERRA DI TRANSITO
DIRITTI NAUFRAGATI, PAVIA.
Anche Terra di Transito farà la sua parte per commemorare il grande naufragio di un anno fa al largo di Lampedusa.
Saremo all'Università di Pavia, il 4 ottobre alle16:30 per la Giornata della Memoria e dell'Accoglienza.
 
 
 
Migranti e rifugiati: 516 arrivi al giorno, 3mila morti in un anno. Unhcr all'Ue: "Fare di più"
Dodici mesi dopo la tragedia di Lampedusa, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite fornisce i numeri di un dramma in aumento costante: da inizio 2014 sono 165mila gli stranieri giunti via mare nel Mediterraneo. Nel 2013 erano stati 60mila. L'esodo dei siriani in fuga dall'orrore. L'allarme e l'esortazione all'Europa
la Repubblica, 03-10-14
ROMA - Naar e suo padre sono partiti da Alessandria d'Egitto su una piccola barca fatta di ferro. Il quarto giorno della traversata hanno finito il cibo. Per non morire di sete sono stati costretti a bere l'acqua usata per pulire il motore, filtrata attraverso i loro abiti. Più di 130 bambini erano intrappolati su quella barca, con le condizioni del mare che peggioravano di giorno in giorno. Il loro viaggio è durato quasi due settimane. Mahmoud, invece, è fuggito dalla Siria con le figlie, Rose e Jasmine, dopo aver perso la moglie in un bombardamento a Yarmouk. Storie drammatiche, di guerra e di orrori, come quella di Lete, che è scappata dall'Eritrea sognando l'Europa, e che dopo aver visto morire la sua migliore amica, è riuscita a sopravvivere al naufragio del 3 ottobre 2013 al largo della costa di Lampedusa. Oggi, un anno fa. Una strage.
Sono passati dodici mesi dalle terribili tragedie avvenute nel mare davanti alla Sicilia, quando due imbarcazioni si sono rovesciate causando la morte di centinaia tra rifugiati e migranti. Dodici mesi durante i quali il numero complessivo delle vittime ha sfondato quota 3mila. Ma ancora: dall'inizio del 2014 gli sbarchi si sono più che moltiplicati rispetto al 2013, arrivando a superare il tetto dei 165mila contro i 60mila dell'anno precedente. Le cifre sono quelle fornite dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che alla vigilia della ricorrenza - e a un mese ancora dall'annunciata entrata in vigore di Frontex Plus dopo il dibattito su Mare Nostrum - esorta l'Ue e gli Stati membri a rafforzare gli sforzi di salvataggio in mare.  
"Quanto avviene in Siria, Iraq, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan e altrove - dice l'Unhcr - ci ricorda che la necessità di garantire protezione internazionale ai rifugiati è più urgente che mai. Sono poche le possibilità per entrare in modo regolare in Europa, e così migliaia di persone minacciate da persecuzioni e gravi violazioni dei diritti umani nei loro paesi si trovano a intraprendere pericolose rotte marittime. Le tragedie avvenute nel mese di ottobre vicino a Lampedusa e il bilancio delle vittime nel Mar Mediterraneo, in costante crescita, sono un campanello d'allarme per un'azione europea congiunta, fondata sulla solidarietà, la condivisione degli oneri e la garanzia di protezione a quanti fuggono da persecuzioni e violenze".
I numeri. Dall'inizio del 2014 sono arrivati via mare nel Mediterraneo oltre 165.000 rifugiati e migranti, rispetto ai 60.000 arrivati nel 2013. Guardando solo all'Italia il numero di eritrei e siriani arrivati via mare dall'inizio dell'anno è aumentato di quasi il 400% e il 600%, rispetto allo stesso periodo del 2013. L'Italia ha ricevuto più di 140.000 arrivi nel 2014, al ritmo impressionante di 15.650 arrivi al mese o 516 arrivi al giorno. La maggior parte di essi sono stati soccorsi in mare dall'Italia nell'ambito dell'operazione navale Mare Nostrum. Tra questi, è in aumento il numero di donne, bambini e anziani che intraprendono la traversata, andando a incrementare la già elevata percentuale di persone vulnerabili a bordo di imbarcazioni non sicure. L'Unhcr stima che nel 2014 oltre 3.000 persone sono morte o sono ancora disperse in mare, tra cui più di 2.800 dall'inizio di giugno, rispetto ai poco più di 600 nel 2013. Dall'inizio del 2014, oltre 18.000 minori sono arrivati a Malta e in Italia via mare, di cui almeno 10.000 non accompagnati. Quasi la metà delle persone che sono arrivate nel 2014 provengono dalla Siria e dall'Eritrea.
Da dove vengono. Le persone che hanno attraversato il Mediterraneo nel 2014 provengono da più di 40 paesi e da tre diversi continenti. Negli ultimi due anni, quasi la metà delle persone arrivate nel Mediterraneo proveniva dalla Siria e dall'Eritrea. Oltre a loro, c'erano anche persone provenienti dalla Somalia e dall'Iraq in arrivo via mare in Italia in cerca di sicurezza. Da gennaio ad agosto 2014, più di 28.000 eritrei, tra cui quasi 3.000 minori non accompagnati, sono arrivati in Italia via mare, insieme ad altre 3.600 persone provenienti dalla Somalia. Nello stesso periodo sono arrivati in Italia circa 24.000 siriani. Le altre sono persone provenienti da paesi dell'Africa subsahariana; vi è anche un numero crescente di palestinesi in fuga dalla Siria e più recentemente dalla Striscia di Gaza.
L'esodo dei siriani. Alla fine del 2011, pochi mesi dopo l'esplosione della violenza in Siria, si stima che 320 siriani siano arrivati via mare in Italia. Anche se si tratta ancora di un numero relativamente basso, gli arrivi dei siriani ha raggiunto quota 580 alla fine del 2012. Alla fine del 2013, i siriani arrivati in Italia sono stati 11.307, la prima nazionalità tra gli arrivi, con un balzo dal 20° posto di soli due anni prima e un aumento di 1.800% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Questa tendenza è proseguita nel 2014, tanto è vero che alla fine di agosto erano già arrivati in Italia 23.945 siriani, con un incremento di quasi sette volte rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Molti siriani che arrivano via mare nel Mediterraneo viaggiano con l'intera famiglia, compresi i bambini piccoli, i genitori anziani e i nonni. I gruppi familiari rappresentano una parte significativa dei movimenti dei siriani verso l'Europa. Dall'inizio dell'anno sono arrivati 6.900 bambini siriani sulle coste italiane, rispetto ai 3.600 del 2013. I bambini, in particolare i più piccoli, sono più a rischio di morire in mare se la loro barca si rovescia, perché può accadere che non sappiano nuotare, e, se viaggiano da soli, potrebbe non esserci nessuno a prendersi cura di loro. Abbiamo visto innumerevoli bambini sbarcare dalle navi che li avevano tratti in salvo, alcuni tra le braccia dei genitori, molti che cercavano di nascondere i traumi patiti durante il viaggio, tutti loro con addosso un carico di paura e insicurezza eccessivo per la loro giovane età.
L'allarme e il ruolo dell'Ue. Ecco perché l'Unhcr oggi torna a lanciare l'allarme: "Da ottobre 2013 ad oggi, Mare Nostrum ha contribuito al salvataggio di oltre 140.000 persone, con una media di 2.900 persone soccorse ogni settimana. Ciononostante, nel 2014 oltre 3.000 persone sono morte o sono disperse in mare. I pochi superstiti del recente naufragio al largo delle coste di Malta, dove hanno perso la vita tra le 300 e le 500 persone, hanno trascorso giorni in acqua, assistendo impotenti alla morte dei membri della loro famiglia e degli amici. E' necessaria - è la sollecitazione - un'azione urgente e collettiva per salvare vite umane. Dopo un anno si deve fare di più". Tre le azioni caldeggiate, con un invito rivolto direttamente all'Europa e a tutti gli Stati membri dell'Ue. La prima: rafforzare il soccorso in mare. La seconda: incrementare le alternative legali alle pericolose traversate. La terza: garantire accesso alle procedure d'asilo e soluzioni durevoli alle persone in cerca di protezione.
 
 
 
Sulla rotta della vergogna, il naufragio di Lampedusa un anno dopo
Il documentario sui naufragi di migranti dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 in cui morirono 363 persone. Immagini, come quelle dell’hangar della morte, che appartengono alla memoria collettiva. Nonostante i numerosi salvataggi in mare realizzati grazie all’operazione Mare Nostrum, il numero dei morti nel Canale di Sicilia quest’anno è aumentato. Dal tre ottobre scorso a oggi risultano infatti oltre tremila migranti dispersi in mare. Qui sono ripercorsi gli ultimi e più significativi naufragi dopo quella tremenda strage. Con uno sguardo alle storie che, chi era presente in quei tragici eventi, non potrà mai dimenticare. Il diportista che ha salvato 47 vite, il falegname che realizza le croci con il legno dei barconi, il pianto delle donne eritree a Porto Empodocle, la colletta per una degna sepoltura nel paesino di San Biagio Platani, fino ai naufragi più recenti 
 
 
 
Di Europa  si muore 
il manifesto, 03-10-14
Annamaria Rivera 
Nell`imminenza dell`anniversario della  strage di Lampedusa del 3 ottobre  2013, sono molti gli organi d`informazione,  compreso il nostro giornale,  che si sono affrettati a ricordarla. Noi lo faremo  qui nel modo più sobrio possibile. Non  edulcoreremo l`ecatombe mediterranea soffermandoci  su Sabir, il pur importante Festival  in corso nell`isola fino al 5 ottobre, promosso dall`Arci, con il Comitato 3 ottobre e  il Comune di Lampedusa.Né cederemo alla  retorica del Mediterraneo quale luogo d`incontro fra popoli e culture: vuota e vana di  fronte alla carneficina che si perpetua e moltiplica  senza sosta. CONTINUA  PAGINA 6 
Già dopo il naufragio  del 3 ottobre -366 vittime  accertate, tutte  eritree, e una ventina di dispersi/e-  il "mai più", ipocrita  o sincero che fosse, si  svuotò di senso in appena  otto giorni: quando almeno  altre 268 persone, di nazionalità siriana, fra cui molti  bambini, morirono a sessanta  miglia a Sud di Lampedusa,  per il mancato soccorso  delle autorità italiane. Quella  somma di quasi 650 morti,  che ci parve mostruosa,  oggi non è che elemento  d`una tragica progressione geometrica, quantificabile  solo per largo difetto. Secondo  l `Oim (l`Organizzazione  internazionale per le migrazioni), nonostante Mare Nostrum,  nei primi otto mesi  di quest`anno sono morte  nel Mediterraneo almeno  3.072 persone, cioè il 75% di tutte le vittime di migrazioni  "clandestine" su scala  mondiale. Una meta maledetta,  l`Europa, se è vero  che in quattordici anni è costata  la vita a 22.400 migranti.  Di Europa si muore e sí  morirà sempre più se niente  interverrà a mutare la politica ottusa e crudele dell`Unione  europea; se perdureranno  conflitti, persecuzioni,  povertà; se non ci sarà  alcuna risalita dall`abisso  funesto in cui sono sprofondati  paesi come la Siria,  l`Iraq, la Libia, l`Eritrea. Proprio  mentre si pubblicava Fatal Journeys, il Rapporto  dell`Oim, è a una specie di  Maroni greco, l`ex ministro  della Difesa Dimitris Avramopoulos,  che l`UE si apprestava  ad affidare la delega  per Immigrazione e Affari  interni. Come ha denunciato  Barbara Spinelli, "già l`accostamento  di questi due  portafogli appare inquietante",  per non dire della biografia  politica di costui: egli  è stato, tra l`altro, fiero sostenitore  del muro di filo  spinato nella regione dell`Evros,  lungo la frontiera  con la Turchia. 
C`è da vergognarsi nel leggere  il Rapporto dell`Oim:  basta scorrere i grafici per  constatare che l`Europa è  largamente in testa alla classifica  delle aree migranticide,  per usare un neologismo  appena coniato. Non  solo per ovvie ragioni geografiche e per l`aumento vertiginoso  di migranti che cercano  di raggiungerla, ma soprattutto  perché le politiche  proibizioniste europee rendono  i viaggi sempre più pericolosi.  Se consideriamo la  scala nazionale, le cose non  vanno meglio. Ministrodell'interno è ancora l`Alfano  delle numerose, ciniche gaffe  in occasione della strage  del 3 ottobre. Affezionato alla Bossi-Fini, al reato di clandestinità  e altri i arnesi simili,  egli è anche un fanatico  di Frontex, tanto d`aver barattato Mare Nostrum con  un Frontex Plus. Ci sarebbe  da cedere allo scoramento.  Eppure insistiamo. Per fermare  questa guerra non dichiarata, non v`è altro se  non: l`affermazione d`un diritto  d`asilo senza confini;  percorsi garantiti e sicuri  che conducano in Europa le  persone rese vulnerabili da  conflitti e altre sciagure; l`effettiva  libertà di movimento  per chi chiede protezione in  Europa; un sistema d`accoglienza  rispettoso e sottratto  alla logica dell`emergenza.  E` ciò che rivendicano, pur con accenti diversi, sia  l`appello lanciato da Spinelli  e altre/i, sia quello, più recente,  promosso da Melting  Pot-Europa. 
 
 
 
Non è questo il momento di chiudere i cancelli ai rifugiati 
Lampedusa, un anno dopo: doveri e interessi dell'Europa
Avvenire, 03-10-14
Martin Schulz* 
Caro direttore,
un anno fa 366 persone, tra uomini, donne e bambini hanno perso la vita a soli 800 metri dalle coste di Lampedusa. Si erano diretti in Europa alla ricerca di protezione, ma hanno trovato soltanto morte. Negli ultimi anni il Mediterraneo, per millenni culla di civiltà, si è trasformato nell’epicentro di una silenziosa catastrofe umana. Dall’inizio di quest’anno sono annegate o risultate disperse almeno 3.000 persone, quasi quattro volte il numero relativo a tutto il 2013. È una responsabilità morale dell’Europa fermare quanto sta accadendo
Evitiamo di confondere dibattiti e contestazioni diverse: ci sono persone che intendono emigrare; ci sono persone che richiedono asilo perché vittime di persecuzioni politiche; ci sono rifugiati umanitari in fuga da povertà estrema, disastri naturali e malattie; rifugiati in fuga da guerre e disordini civili alla ricerca di protezione temporanea. Potremo affrontare seriamente il problema, solo se accantoniamo tante idee sbagliate.
Primo: l’Europa non è semplicemente uno spettatore inerme sulla sponda battuta dalle ondate del popolo dei barconi. La nostra incapacità di concordare politiche Ue coerenti in materia di immigrazione e asilo, nonché il nostro mancato impegno nella realizzazione di una politica euro-mediterranea a pieno titolo, offrono terreno fertile agli odiosi crimini perpetrati da trafficanti violenti e privi di scrupoli. Se ci fosse un’azione più decisa da parte nostra, in molti non sarebbero obbligati all’azzardo, questo è di fatto la traversata illegale del mare, ma avrebbero invece la possibilità, seppure non la garanzia, di risiedere legalmente, integrandosi e contribuendo all’economia. Un impegno maggiore da parte dell’Ue nel Mediterraneo contribuirebbe alla stabilità nella regione, e questa a sua volta renderebbe meno impellente la necessità di emigrare. È necessario un impegno a lungo termine nei luoghi di origine, attraverso per esempio, programmi di ricostruzione congiunti a livello europeo.
Secondo: l’Europa non è a posto con i propri doveri. Non abbiamo fatto tutta la nostra parte e non è questo il momento di chiudere i cancelli. Solo il 4% dei rifugiati siriani è stato accolto in Europa, a fronte di un milione di siriani ospitati in Libano, paese di 5 milioni di abitanti. La Turchia è in prima linea nella crisi dei rifugiati provenienti sia da Siria sia da Iraq. Luoghi come l’isola italiana dii Lampedusa o Malta sono allo stremo, ma la soluzione è che altri Paesi membri e l’Ue intera facciano di più, applicando i princìpi di equa distribuzione del carico e di solidarietà.
Terzo: si deve controbattere alle affermazioni di quanti sostengono che "lasciare entrare tutti" porterebbe alla risoluzione di tutti i conflitti nel mondo. Una corretta politica per i richiedenti asilo e i rifugiati implica l’esistenza di regole eque e chiare, con l’indicazione di alcune limitazioni e priorità, che consentano di garantire protezione a chi ne ha maggiormente bisogno.
L’insediamento della nuova Commissione è imminente e ciò deve portare nuovo slancio anche sul fronte delle emergenze umanitarie e della concessione di asilo, nonché alla definizione di una politica comune di immigrazione. L’operazione Triton, recentemente avviata, deve ricevere risorse finanziarie e operative significative per condurre efficacemente le attività di ricerca e salvataggio e non deve servire da mero complemento alla lodevole Mare Nostrum italiana.
Dobbiamo siglare al più presto accordi per la gestione delle migrazioni con le nazioni di origine e di transito per far sì che i trafficanti non godano della libertà che hanno al momento di agire indisturbati al largo di alcuni Paesi del Nordafrica. La risoluzione della crisi in Libia rappresenterà una componente chiave nell’ambito di questa strategia.
L’instabilità in tutti gli Stati a noi vicini ci fa capire che questo problema non è destinato a scomparire. La Ue ha recentemente intrapreso passi positivi sul fronte delle richieste di asilo, ma c’è ancora molto da fare.
Quanto alle migrazioni, il primo punto cruciale è la creazione di una politica Ue che non rappresenti una mera seconda fase della politica in materia di asilo. L’attuale mancanza di una politica di immigrazione comporta che, sebbene molti nostri Paesi siano un polo di attrazione costante per la forza lavoro di cui necessitano, quanti vi fanno ingresso irregolarmente sono costretti a rimanere nell’ombra, privi di una possibilità di integrazione. 
La Ue necessita di persone, le riceve per poi perderle. Se non fosse tragico, sarebbe assurdo. Dobbiamo risolvere questo problema, non solo per ragioni umanitarie, ma anche per affrontare la questione demografica della Ue e il tema della sostenibilità del nostro welfare. Innanzitutto, dobbiamo adoperarci per promuovere ulteriormente la mobilità circolare, migliorare il regime di riconoscimento delle qualifiche professionali e rafforzare il nostro impegno con le comunità della diaspora. Inoltre, tutti gli aspetti relativi all’immigrazione devono essere sempre più profondamente integrati nella nostra cooperazione allo sviluppo, in particolare con i Paesi di origine e di transito, dove l’assenza di diritti umani e la cattiva gestione governativa sono spesso all’origine dell’emigrazione. Infine, dobbiamo cominciare a impegnarci seriamente per realizzare una politica di immigrazione legale a pieno titolo. L’Europa è sempre stata e continuerà a essere un continente caratterizzato dall’immigrazione. È logico pertanto che abbia anch’essa un sistema che disciplini l’immigrazione legale, con criteri chiari ed equi, analogo a quelli vigenti in altri Paesi a forte immigrazione, come gli Stati Uniti e il Canada.
La situazione che abbiamo di fronte richiede soluzioni immediate. Soluzioni che proteggano coloro che sono in pericolo, che rispondano ai nostri bisogni economici e ai problemi demografici e che siano di sostegno ai Paesi in prima linea nell’accoglimento della maggioranza degli arrivi. Se veniamo meno alle aspettative, i cittadini andranno a chiedere una soluzione a forze politiche populiste, razziste e xenofobe. Non c’è bisogno di andare troppo indietro nella nostra storia per capire a quali disastri porterebbero queste soluzioni.
*Presidente del Parlamento Europeo
 
 
 
3 OTTOBRE • Avviate le procedure di identificazione delle salme con i familiari dei migranti deceduti 
Ritorno a Lampedusa per i sopravvissuti 
il manifesto, 03-10-14
Giuliana Sgrena 
I sopravvissuti alla strage del 3 ottobre  2013 si sono schermiti ma  non sono riusciti a evitare l`assalto  delle tv e dei fotografi che i attendevano  alla porta degli arrivi dell`aeroporto  di Lampedusa. Non sono  serviti a ripararli nemmeno l`arrivo inatteso, prima di loro, dei re edici  clown. E pensare che tornando a  Lampedusa difficilmente saranno  riusciti a evitare di rivivere l`incubo  dí un anno fa. Ma intorno a loro anche  molto affetto, di quei lampedusani  che allora li hanno salvati o «adottati». 
Onder e Costantino aspettano  Luam, una ragazza che torna dalla  Svezia, una di quelle che sono riusciti  a recuperare tra i cadaveri. «Erano le 7, eravamo usciti pet pescare,  quasi non ci accorgevamo di  quello che stava succedendo, finché  sotto i nostri occhi sono apparsi  cadaveri e gente che chiedeva aiuto.  Abbiamo tirato su una decina di  ragazzi coperti di gasolio, scivolavano  tra le nostre mani come saponette.  Poi tra i cadaveri una mano che  chiedeva aiuto, era quella della ragazza....» 
racconta Onder. Quando  Luam arriva Costantino se la porta  via di peso proteggendola, proprio  come quando l`aveva salvata. 
Anche Lillo aspetta un suo «figlio» dalla Svezia, voleva tenerlo in  affidamento ma la burocrazia glielo  ha impedito. Ora però ha ottenuto  in affidamento Sidun, un ragazzo diciassettenne  senegalese, mingherlino,  timido, porta la maglietta con il simbolo di Lampedusa, la tartaruga.  Lillo è l`unico, per ora, che ha ottenuto  l`affidamento, ma dice che  ce ne sarebbero tanti come lui pronti  ad aiutare questi ragazzi, a farli  studiare, ma la burocrazia... 
I lampedusani sono veramente  generosi, anche se ovviamente non  si può generalizzare, sarà perché  sanno cosa vuoi dire vivere in una  periferia, l`isola più a sud dell`Italia  e più a sud dell`Europa come ha detto  la sindaca Giusi Nicolini all`apertura del festival di Sabir, promosso  dal comune di Lampedusa, l`Arci e  il comitato 3 ottobre.  Lo spettacolo di apertura di Ascanio Celestini, che sta lavorando sull`isola  da giorni, ha coinvolto i :lampedusani  e i turisti che stanno godendosi  questo scorcio di estate. Il  teatro e il concerto di Fiorella Mannoia,  il 4 sera, sono i momenti in  cui il festival entrerà in contatto  con la gente dell`isola, che invece  sa poco o nulla dei convegni che si  svolgono nelle sale dell`aeroporto  affollate da centinaia di militanti  dei diritti umani, o impegnati sui temi della migrazione, di pacifisti provenienti  dal Mediterraneo e oltre. 
Oggi, 3 ottobre, sarà il giorno più  importante, quello dell`anniversario  della tragedia. Un anno fa il mare  ha inghiottito almeno 368 profughi,  in maggioranza eritrei, molti  dei quali non hanno ancora un nome.  E i parenti e i sopravvissuti (42 di loro) sono qui per identificarli. Un giorno della memoria - non ancora  riconosciuto ufficialmente come  richiesto dal Comitato 3 ottobre  nato proprio un anno fa - non per  mettere a tacere la coscienza ma  per interrogare le coscienze, soprattutto  di coloro che potrebbero, dovrebbero  fare di più per evitare queste  tragedie. È anche il giorno in cui  sull`isola sbarcheranno molti politici:  il presidente del parlamento europeo  Schultz, la presidente del parlamento  Laura Boldrini, che conosce  l`isola da quando era portavoce  dell`Unhcr, la signora Pesc Federica  Mogherini e altri ancora. Si era parlato  prima dell`arrivo del contestato  Alfanst ieri persino di Renzi, ma  nessuno dei due sarà sull`isola. 
Oggi Lampedusa sarà blindata  proprio per la presenza delle autorità.`Diverse  le manifestazioni previste:  una corona di fiori e una lapide  saranno deposte nel luogo del naufragio.  Una marcia la sera partirà  dal centro di Lampedusa, per arrivare alla porta della pace, il monumento  che ricorda i morti in mare.  Comunque «non vogliamo una passerella  dei politici», dicono gli organizzatori,  che dovrebbero metterli  di fronte alle loro responsabilità.  Speriamo. 
L`arrivo di personalità dal continente  è sempre l`occasione per  chiedere aiuti per chi vive in una situazione  di disagio, a Lampedusa  non esiste nemmeno un ospedale.  E così ci dice un precario:- «prima di  pensare agli altri dovrebbero pensare  a noi che paghiamo le tasse », ma  quando faccio notare che la sorte  che tocca ai migranti non è certo  delle migliori, a partire da quando  vengono chiusi nel centro di accoglienza  che forse riaprirà proprio in  questi giorni, ammette che questo  è vero e che occorre aiutare tutti. 
Comunque la politica di accoglienza  e delle iniziative culturali  della sindaca non sono condivise  dai lampedusani che avevano appoggiato  i suoi rivali nella competizione  elettorale e che hanno organizzato  una manifestazione contro  per il 4 mattina. Ma ieri pomeriggio  sono comparsi sui muri del centro  volantini a sostegno della sindaca  Giusi Nicolini. L`isola continua a essere divisa anche se speriamo rientri  almeno nelle carte geografiche  dell`Italia e dell`Europa che per ora  la escludono sia geograficamente  che politicamente. 
 
 
 
Lampedusa Il coraggio del ricordo 
la Repubblica, 02-10-14
CARLOTTA SAMI
Le ore di quel 3 di ottobre scorrevano lente, un inferno per chi si trovava a Lampedusa, una bolla di incredulità e indignazione per chi ascoltava le notizie.
Quel giorno ebbi notizia che sarebbe cominciato il mio impegno con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Oggi, un anno dopo, sono a Lampedusa con le persone che sono sopravvissute e i cari di chi non non ce l’ha fatta.
Sono insieme a chi salvava e a chi raccoglieva e sistemava i morti. Tutti eroi. Eroici anche oggi perchè per ricordare e rivivere drammi così devastanti ci vuole molto coraggio.
Costa ancora dolore ritrovare le parole, rimettere in fila i fotogrammi delle interminabili ore, degli sguardi, delle domande, delle risposte che non arrivavano.
In un anno, dopo le urla di sdegno levatesi al cielo da tutti i continenti siamo qui e sappiamo che le risposte sono ancora lontane.
Sappiamo che lo spettro dell’indifferenza aleggia e acquista sempre più forza senza che gli si levino contro voci e atti determinanti.
Ogni giorno abbiamo contato i vivi e i morti.
Abbiamo augurato una vita migliore con il cuore e gli abbracci alle migliaia di profughi che abbiamo accolto.
Non abbiamo saputo rispondere a così tante persone afflitte che ci chiedono notizia degli scomparsi.
Più di 3.000 persone morte, pochi i corpi giunti ad una sepoltura, tantissimi i dispersi nelle acque del mare.
Con dolore oggi qui vogliamo ricordare e rivivere ciò che accadde nell’Ottobre 2013 perchè crediamo sia una dimostrazione di rispetto verso questi esseri umani e perchè è un imperativo a cui nessuno può essere così vigliacco da sottrarsi.
Sosteniamo con forte motivazione il progetto di legge – promosso dal Comitato 3 Ottobre e sostenuto da numerosi parlamentari italiani – per dichiarare il 3 “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza”, per non dimenticare tutte le tragedie di migranti che si sono consumate nel nostro mare.
 
 
 
«Così abbiamo salvato 3.000 vite»
La web serie «La scelta di Catia» trasmessa da «Corriere.it» in onda anche sulla Rai. Il ministro Pinotti: «Il Mediterraneo è una frontiera. L’Italia evita che sia un cimitero»
Corriere della sera, 03-10-14
Paolo Conti
ROMA «Il Mediterraneo è la frontiera dell’Unione europea, non solo dell’Italia. Per questo motivo l’operazione Mare Nostrum deve essere sostenuta dalla Ue. È impensabile che l’Italia sia lasciata sola a gestire un simile problema. Ci sono resistenze ma credo che il punto di vista del nostro Paese sia ragionevole. Mare Nostrum è una operazione di cui l’Italia deve essere fiera perché fa sì che il Mediterraneo non sia un cimitero».
Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, lancia un chiaro messaggio all’Unione europea durante la presentazione romana de «La scelta di Catia», la web serie e docufiction che racconta in diretta gli ultimi sessanta giorni di lavoro di Catia Pellegrino, prima donna comandante della Marina Militare, sul pattugliatore «Libra» per Mare Nostrum. L’operazione è stata prodotta da H24 e Corriere della Sera per Rai Fiction , diretta da Tinni Andreatta, con la Marina Militare. La web serie da dieci puntate appare su Corriere.it , la docufiction da 100 minuti andrà in onda lunedì 6 ottobre in prima serata su Rai3 . L’operazione crossmediale è firmata dal regista Roberto Burchielli, l’idea è stata di Mauro Parissone. «Un modo significativo per celebrare l’anniversario del 3 ottobre, cioè la grande tragedia degli immigrati a Lampedusa. Non è solo una grande inchiesta giornalistica ma anche il modo di mostrare il miglior volto del nostro Paese, dando seguito anche all’invito di Papa Francesco», ha detto il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli presentando l’operazione ieri sera al Tempio di Adriano in piazza di Pietra, nel cuore di Roma. Il documentario giornalistico mostra la fatica dei nostri marinai, il dolore e la paura degli immigrati, la crudeltà degli scafisti: cioè la verità su Mare Nostrum, al di là della possibile retorica e delle polemiche.
In sala c’era anche la protagonista Catia Pellegrino che ha risposto così all’inevitabile domanda («Cosa prova ad essere la prima donna comandante della Marina?»): «Si prova orgoglio, un sentimento che non ha genere». L’orgoglio, lo ha ricordato spesso, di «aver salvato tremila vite umane, preoccupandosi delle loro condizioni di salute, cercando anche di individuare tra loro gli scafisti». Il comandante Pellegrino è perfettamente a suo agio davanti alle telecamere. Lo sottolinea nel suo intervento il direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi: «Complimenti, interpreta il ruolo della sua vita così come la proporremmo ai telespettatori in una fiction, una seconda carriera per lei è sempre pronta... Tornando a temi seri, in questo film emerge una bella Italia. È un modo per rispondere alle critiche su Mare Nostrum e, per la Rai , è un tentativo di sperimentare nuovi linguaggi, un po’ come abbiamo fatto con il film “Italy in a day” di Gabriele Salvatores». 
Per il ministro Pinotti si tratta di «un’operazione appassionante davvero come una fiction, un documento che ti prende e mostra ciò che è davvero Mare Nostrum. Non significa solo salvare vite in difficoltà, vuol dire affrontare momenti umanamente difficili. Per esempio convincere qualcuno a sciogliere l’abbraccio che lo lega ancora al proprio parente morto. Per merito di Mare Nostrum, il Mediterraneo non è un mare di morte. Dunque, grazie alla nostra Marina». 
 
 
 
UNA GUERRA IMPARI 
Nei porti dove sbarcano i migranti c`è chi deve distinguere  i disperati dai trafficanti di uomini. Un compito che toglie il sonno 
Il Foglio, 03-10-14
Cristina Giudici 
Il Mare monstrum degli scafisti è grande  come il Mediterraneo e ogni sbarco è differente.  Il sostituto commissario Carlo Parini,  che dirige il Gicic, il Gruppo interforze  di contrasto all`immigrazione clandestina  della procura di Siracusa, ha un`ossessione  investigativa che lo tormenta da anni.  Perché dei trafficanti in Libia e in Egitto  lui sa tutto: dove abitano, come si muovono,  dove vivono, come si spostano, come  agiscono, come pensano. E sa anche che  non può fare niente per fermarli, perché i  poliziotti egiziani non collaborano mentre  a Tripoli... be`, a Tripoli ora c`è la guerra,  il caos, ci sono i briganti, i miliziani jihadisti  che fanno paura a tutti. Certo, nel suo  canestro da giocatore di basket di porto,  qualche palla ce l`ha messa. Come quando,  qualche anno fa, è riuscito a mettere in collegamento  tre sbarchi avvenuti contemporaneamente  - in Sicilia, sul litorale romano  e a Grado - per fermare un`organizzazione  che si era affidata a un clan mafioso. O  quando, più recentemente, è riuscito a convincere  a parlare uno scafista, uno di quelli  con molti galloni guadagnati sul campo  di questa sporca guerra mai dichiarata. Per  ora è solo una promessa, ma il commissario  che conosce i tempi dell`attesa, lo spetta. 
Dopo che al suo terzo sbarco - Abil, così si  chiama lo scafista più alto in grado che abbia  mai intercettato - è uscito dal gruppo  dei profughi arrivati in Italia, lo ha cercato  e gli ha detto in italiano: "Capo, sono  qui". E sorridendo ha alzato le mani in segno  di resa. Davanti a una condanna di  quattro anni (la seconda) ha accettato di  collaborare, ma solo ora, dopo anni di inseguimenti,  intercettazioni, colloqui, scambi  obliqui. E anche un po` di empatia umana.  Ma questi sono eventi rari. Di solito gli scafisti  non rivelano nulla sulla propria organizzazione.  La caccia allo scafista, talvolta è come  un gioco dell`oca. Riporta sempre allo stesso  punto. E va modulata, a seconda delle situazioni.  Perché poi, se si scopre che uno di loro è stato addestrato in un solo giorno davanti  alle coste libiche, nulla conosce delle  leggi del mare perché viene da un villaggio  della Nigeria, ed è partito dalle coste libiche  senza una bussola, solo per poter  viaggiare gratis, ed è riuscito a portare in  salvo tutti i passeggeri su un gommone  sgonfio, può capitare che gli venga concesso  pure l`onore delle armi. Come è successo di nuovo nel porto di Augusta, al terzo  sbarco e a cui il Foglio ha assistito alla fine  di agosto. Un interprete, che ha interrogato  il presunto scafista per caso, ha deciso  di sua iniziativa di lasciarlo andare.  "L`ho fatto perché me lo hanno chiesto i  passeggeri, è stato coraggioso e li ha portati  in salvo, era stremato quanto loro. Se lo  meritava", racconta un egiziano, che aiuta  i poliziotti di questa mobile trincea d`acqua.  "Anche lui era a suo modo un eroe",  spiega al Foglio. 
Perché è facile dire "lottiamo contro gli  scafisti", ma la lotta contro il traffico è come  cercare di incastrare in un puzzle tutte  le tessere, sapendo che ne mancherà  Sempre qualcuna per comporre l`intera  cornice. Nell`Interforze di Siracusa c`è anche un marocchino, Aziz, ausiliario della  procura, che gestisce un popolare ristorante  di kebab nel centro storico di Ortigia. 
Braccio destro del commissario Panini, ancora  non ha dimenticato quella notte in  cui, anni prima di Mare nostrum, nel 2010, insieme al commissario è riuscito a salvare  dei bambini sequestrati e portati negli  scantinati di una vecchia tonnara, tenuti in  ostaggio e violentati per ottenere dalle famiglie  il resto del pagamento. O di quei  due pescatori egiziani che, rapito il proprietario  della barca, si sono diretti verso  la Sicilia. E dopo averlo lasciato legato e  disidratato, sono scappati. Scafisti improvvisati,  sono diventati assassini. Ora con Mare  nostrum questi eventi sono più rari, ma  si continua a morire davanti alle coste di  Tripoli, e la macchina voluta dal governo  italiano sembra su questo essere impotente.  "Il mio unico sogno è mettere le mani  addosso a un libico", esclama con veemenza  Aziz, "ma quei bastardi qui non arrivano  mai". E poi Aziz racconta ancora della  soddisfazione ottenuta quella volta in cui  lui e il commissario Panini, dopo aver tessuto  con pazienza una trama da film noir,  sono riusciti a mettere due organizzazioni  di trafficanti di uomini l`una contro l`altra,  concorrente, ed entrambe si sono annientate  a vicenda, grazie a un loro infiltrato. Poche  vittorie, però, contro tante, troppe,  sconfitte. Aziz è convinto - come tanti che  passano la vita nei porti a intercettare scafisti  - che questo traffico dovrebbe essere considerato una guerra e per stroncarlo ci  vorrebbe una forza militare o multinazionale  che distrugga le basi dei trafficanti. 
"Sono pericolosi come terroristi di là dal  mare", osserva, sapendo di interpretare  correttamente i pensieri di tutti (o quasi) i  componenti della squadra dell`Interforze  di Siracusa che poi assomigliano ai pensieri di tutti i poliziotti in trincea nei porti siciliani.  La convinzione diffusa è che bisognerebbe  abbattere i magazzini, i capannoni,  le proprietà terriere dove i profughi  vengono divisi per etnia e censo, tenuti prigionieri  per mesi per poter fare un viaggio  che adesso, grazie al soccorso degli italiani,  dura anche soltanto dodici ore. E questo,  come ormai notano in tanti, è un problema,  perché gli aspiranti profughi finiscono  per sentirsi invogliati dalla speranza  di essere raccattati subito dagli italiani,  salvati ancora al largo.  
I poliziotti che vivono nei porti dormono  poco e sono sempre reperibili. Spesso è già  notte, quando si ricomincia daccapo. Anche  nel porto di Pozzallo, in provincia di  Ragusa, si sale in continuazione sulle navi  che arrivano, a tutte le ore, e si intuisce già  alla prima occhiata chi staccare dal gruppo  e chi invece, se non è troppo stremato, è disposto  a testimoniare. Gli investigatori percepiscono  chi non ha sulla pelle l`odore di  mesi o di anni di fuga, chi non alita paura; chi dice di essere palestinese e non lo è,  chi ha mani callose per aver guidato, chi ha  l`aria di avere avuto la vita di altri esseri  umani nelle proprie mani, in mezzo alle onde  del mare. 
A Pozzallo, la squadra mobile di Ragusa,  diretta dal commissario Antonino Ciavola,  da mesi rende pubblico un bollettino  di guerra sugli scafisti. Con dettagli sulle  dinamiche delle traversate e le dichiarazioni  dei migranti che hanno collaborato  con la polizia perché tutti dovrebbero sapere  cosa accade quando gli eroi della Marina  militare rientrano nelle basi e nel limbo dei porti bisogna sorvegliare, punire,  premiare, vigilare su ogni piccolo dettaglio. E in una delle tante notti che si susseguono  quaggiù fra uno sbarco e un altro, mentre  giornalisti e volontari si fanno distrarre  da una nota di colore - un gatto bianco  sbarcato in una cesta con una donna siriana-palestinese  - un altro scafista è stato  preso e portato via. 
Il giorno dopo si ricomincia. Nessuno ha  dormito, ma si va avanti, le bombe umanitarie  continuano a scoppiare. E mprovvisamente al porto di Pozzallo si odono delle  grida, di solito dopo uno sbarco cala il silenzio,  ma oggi invece scoppia un piccolo tumulto. I profughi vogliono linciare un  trafficante di uomini che, durante i trasbordi  da una barca all`altra, lanciava i bambini  come pacchi postali, per fare in fretta:  tanto nel pacchetto della traversata i bambini  non hanno pagato il biglietto. Rischiava  di far annegare i neonati. E allora adesso  per quei disperati è arrivato il momento della vendetta. Grazie a questa ribellione  vengono arrestati sette scafisti, e uno di  quelli confessa, impassibile, pronunciando  la frase di rito: "Voglio collaborare, datemi  uno sconto di pena". A volte chi confessa  fornisce qualche dettaglio in più, non si  rende conto di essere parte di un ingranaggio  terrificante. Come ha fatto uno scafista  qualche settimana fa, ci hanno raccontato  al porto di Pozzallo, che sulla carretta poi  inabissatasi nel mare ha trasportato esseri  umani vivi insieme ai cadaveri. E nella  sua mezza verità, lo scafista, durante l`interrogatorio,  ha confessato di aver accettato  di guidare la barca solo per riuscire a  fuggire pure lui dalla Libia. Ha affermato  di essere palestinese, descrivendo la scena  di uomini armati, in divisa militare, che  sulle coste libiche hanno picchiato e bastonato  i fuggitivi e poi li hanno buttati su un  gommone. "Non so se dormivano, erano  tanti, tutti sdraiati, o se erano già morti, io  pensavo solo a guidare. C`era un altro ragazzo  della Guinea che doveva darmi il  cambio, ma poi si è sentito male e ho dovuto  tenere il comando da solo. Il viaggio è andato  male, il mare era mosso e siamo stati  in mare per molti giorni, non avevo una  bussola, non sapevo dov`ero, avevo solo un  satellitare per chiedere aiuto. Il tubolare  perdeva aria, qualcuno cadeva in mare e  non emergeva più. Ho svuotato taniche di  benzina da usare come salvagente e qualcuno  si è salvato...". Questo è quanto ha  confessato dopo essere sbarcato con i cadaveri,  insieme ai sopravvissuti. 
L`ultimo scafista arrestato a Pozzallo dalla  squadra mobile di Ragusa il 10 settembre  scorso è stato un tunisino. I soldi guadagnati  per aver portato i profughi in Italia  se li era cuciti nei pantaloni, per non  farseli sequestrare all`arrivo. Alì Brabra,  41 anni, ha portato in Italia 250 eritrei. E  deve essere stato facile riconoscerlo, visto  che era l`unico, fra gli sbarcati, ad avere la  carnagione più chiara. Unico maghrebino,  in mezzo a 159 uomini, 55 donne, e 12 minori.  Tutti africani, in maggioranza eritrei.  Ali Brabra era già stato in Italia, nel 1999,  sbarcato a Lampedusa. E dopo aver vissuto  di espedienti, furto e ricettazione, era  stato espulso. Ma Alì non si è scoraggiato.  In dieci anni, dal 2004 al 2014, ha tentato di  entrare in Italia sette volte, da ogni porto  siciliano. Ad Agrigento, poi a Lampedusa, a  Siracusa e perfino a Trapani. Espulso per sette volte, non si è rassegnato. E ci ha riprovato  nelle vesti di scafista. Con una retribuzione  alquanto modesta (700 dollari),  per un viaggio che ai trafficanti ha fruttato  400 mila dollari, grazie ai 1.650 dollari pagati  da ogni passeggero. Dopo 28 ore consecutive  di indagini, interrogatori, deposizioni  dei profughi che hanno accettato di testimoniare,  il nuovo viaggio di Alì per aggrapparsi  all`Europa si è concluso, per ora, in  un carcere italiano. 
Ed erano tunisini anche quelli arrestati  nel porto di Augusta il 2 settembre. Mabrouk  Shukri e Ben Ammar Tarik hanno  tentato di dichiararsi palestinesi; poi,  smentiti dai profughi, si sono chiusi nel loro  mutismo. Hanno poco più di 20 anni, ma  uno di loro è già al secondo viaggio. Viaggio  facile, questa volta, perché guidavano una  barca di pescatori a 135 miglia da Lampedusa. Intercettati dalla Marina militare,  con 290 persone a bordo, dopo aver chiesto  aiuto con un satellitare hanno atteso di essere condotti in porto. Arrestati grazie al  racconto di un palestinese - oramai sono  parecchi i palestinesi che scendono dalle navi - che in Libia è stato tenuto in un ricovero  per animali per 55 giorni. E durante  il viaggio è riuscito a dissetarsi grazie alle  bottiglie d`acqua lanciate sulla carretta  dall`elicottero di una petroliera, che li aveva  avvistati. 
Ci sono scafisti di ogni genere nel mercato  degli schiavi del Terzo millennio: giovani  che si fanno i selfie, come se fossero in una gita al mare, e i più anziani, impassibili  e indifferenti, con i denti d`oro comprati  con i soldi del traffico di esseri umani.  I tunisini, secondo poliziotti e carabinieri,  sono i peggiori. Reclutati dai libici,  sono cinici, spavaldi, più aggressivi. E  qualche volta persino armati. Oppure sono  egiziani, come quello arrestato dal commissario  Panini il 14 ettembre, che appena  è stato fermato, nel porto di Augusta,  con cinico candore gli ha detto: "Capo, io  ho finito la mia missione, ora posso tornare  a casa?". E poi ci sono quelli che vengono  dalla Turchia, coi velieri. Gli ultimi scafisti  appena rilasciati a Siracusa erano navigatori  esperti, ucraini. Militari diventati  scafisti che seguivano altre rotte, partendo  dal Mar Nero. Scarcerati, poche settimane  fa, erano sconcertati, perché in  Ucraina non ci volevano tornare a combattere  una guerra che non era la loro. E poi  ci sono quelli che addirittura fingono di essere  invalidi. Lesti a recitare il ruolo delle  vittime, sebbene siano carnefici, al momento  dello sbarco riescono a torcere il  corpo per fingere di essere paraplegici.  Anche se poi sono stati visti scappare, correndo,  una volta arrivati in ospedale. "Uno  l`ho seguito in ospedale, appena si è alzato  dalla carrozzella gli ho detto: bene ora  sei pronto per la galera", ricorda ancora il  commissario Panini nel suo ufficio sepolto  di carte nella procura di Siracusa, dove  nella sede dell`Interforze lavorano solo tre  persone. Tre persone contro centinaia di trafficanti e migliaia di profughi che premono  sulle coste. Sulle pareti del suo ufficio,  le fotografie delle navi, le date, i nomi  delle barche e dei diversi clan di trafficanti.  E le frecce scritte a mano con un pennarello  rosso per collegare i nomi delle  barche sequestrate, i diversi alias degli  scafisti, i luoghi, le date. E in un angolo,  dietro la scrivania, le buste con gli effetti  personali degli ultimi sommersi dalle acque.  "Non sente l`odore della morte?",  chiede il commissario Panini, "io ormai mi  ci sono abituato", e poi confida con aria fatalista,  e un tono amareggiato, di un somalo  intercettato alcuni anni fa, a Lampedusa,  di cui aveva intuito la pericolosità, che  si rivelò essere un temibile jihadista, ma  purtroppo la sua segnalazione finì sul tavolo  di qualche burocrate del Viminale, che  sottovalutò la sua informazione.  
Parini allarga le braccia, impotente, ma  non per questo rassegnato. Sa bene che  adesso alla bomba umanitaria si aggiunge  lo spettro de terroristi islamisti dell`Is.  "Arriveranno presto. Lo sappiamo. Ci stiamo  preparando", si era lasciato sfuggire un  collaboratore della procura di Siracusa in  un colloquio con il Foglio, all`inizio del nostro  viaggio nei porti siciliani. "Li stiamo  aspettando", ci hanno detto con convinzione.  E allora si capisce cosa accade quando  Mare nostrum diventa un buco nero, con  pochi uomini in trincea. Troppi profughi,  da accogliere, troppi cattivi da intercettare.  E con la paura del terrorismo, per ora un  sussurro sommesso, che rimane confinato  nelle riunioni in prefettura, nelle questure,  nelle procure siciliane. Anche se a Siracusa  è appena arrivata la notizia che sulle coste  libiche, a Zuwara, a dirigere il traffico  degli esseri umani ora ci sono anche i Fratelli  musulmani, che potrebbero favorire le  partenze degli islamisti. 
E così i pochi poliziotti e carabinieri disposti  sulla trincea mobile nei porti, ogni  sera pregano che non succeda niente di  davvero grave. Anche se tutti sono consapevoli  che è solo questione di tempo. Perché  accolti oltre 130 mila profughi, a quasi un  anno dall`inizio della missione di Mare nostrum,  il peggio, forse - e ci auguriamo che  così non sia - deve ancora venire. 
(secondo di due articoli) 
 
 
 
Storie e dolore nel giorno della memoria 
Avvenire, 03-10-14
Claudio Monici 
Non è facile parlare con lui, Teamè, né con gli altri. Perché le immagini del passato e del presente si fondono e, adesso che sono tornati sull’isola da sopravvissuti, con ancora più dura forza irrompono ricordi che scardinano la memoria. 
Sono attimi che fanno riemergere sofferenze, dolori, tortura e morte. Perché sono rari i momenti di gioia o di ristoro nella vita di chi sceglie di lasciare il proprio Paese in quel modo, con uno zainetto in spalle, dovendo misurarsi con insidie e pericoli, minacce e violenze, malattie e fame, come è accaduto al giovane Teamè, a Luam, a Fanus, a Rezeni e molti altri. Teamè ci ha provato «varie volte, prima di riuscire a farcela». Ma senza sapere quale era il vero conto da pagare.
Prima di vederlo realizzato, quel sogno, ha dovuto patire anche la prigionia nelle mani delle bande dei predoni che infestano il Sinai egiziano, per poi rischiare di morire annegato. 
Il deserto della Bibbia. Di quel Libro della Fede, la culla della preghiera, che Teamè, ora, con gli occhi rossi, dice di avere recitato in continuazione, «invocando Maria». Aveva solo questo Teamè, la preghiera da dedicare alla Madonna per cercare protezione. 
Sono gentili quando rispondono «adesso no, forse dopo». Spiegano di essere stanchi per il viaggio. In realtà è qualcosa d’altro che agita i corpi dei ragazzi eritrei tornati a Lampedusa. Il mostro è ancora li e li tiene prigionieri di un passato che non puo più tornare ma che resterà sempre presente, in ogni istante della loro vita. Perché non sarà mai possibile cancellare il ricordo di quella notte e non solo. Di quel 3 ottobre del 2013. 
Quell’alba che cominciava a formarsi nel contorno di una costa che lentamente si modellava all’orizzonte, dopo avere navigato per giorni su una carretta del mare che caracollava piena zeppa di vite contente di avercela quasi fatta. Liberi, finalmente. La salvezza a portata di mano. E poi, invece, la tragedia. Il fuoco che brucia, il naufragio con centinaia di morti annegati: 366. Amici, genitori, fratelli e sorelle. Piombati a fondo come sassi e poi ritrovati cadaveri in un hangar dell’aeroporto per il riconoscimento di rito. E adesso c’è anche quel ricordo che emerge in alcuni di loro. 
Quelle due donne ripescate morte, ognuna con un crocefisso stretto fra i denti. Sapevano che morivano e forse temevano di non essere ritrovate per una degna sepoltura. E, forse, per questo motivo avevano scelto di stringere le croci tra i denti. Per non morire sole.
Anche Fanus, 19 anni, è tornata, lei una delle sole sette donne sopravvissute al naufragio. Lei che ha avuto il coraggio di denunciare il somalo che aveva organizzato il viaggio e intascato i soldi e che si sarebbe anche macchiato di violenze inumane alle donne. 
E seppure, adesso, in questo momento che è anche un regalo che per questi ragazzi deve essere di gioia per il prossimo incontro che avranno con persone importanti che non sono solo «vecchi» amici conosciuti un anno fa, ma anche i loro stessi salvatori, ebbene, nonostante questo privilegio di «ospiti speciali» benvenuti, anzi, bentornati a Lampedusa, non è stato facile non solo strappare qualche parola del ricordo, ma anche scrutare nei loro occhi giovani imperlati di lacrime. Non si riesce a stare immuni alle loro storie senza provare un fitta al cuore e con i sentimenti propri che vibrano nervosi. 
Teamè é giovane, i muscoli robusti e 25 anni. È nel pieno della vita e ha un sorriso che gli è spontaneo quando abbraccia le persone. Ha il volto rotondo, incorniciato da una soffice barbetta nera. Gli occhi scuri quasi sembrano fiori che sbocciano sulla sua pelle rosso scuro, il colore del popolo dell’Eritrea. È uno dei sopravvissuti di quel terribile naufragio di un anno fa. È tornato sull’isola con altri sopravvisutti e parenti delle vittime per perpetrare la memoria di quanti hanno perso la vita mentre cercavano una nuova vita. E invece.
Vestito come un giovane d’oggi, con al collo il rosario donatogli da papa Francesco, che Teamè non si toglie più, ora vive in Norvegia, a Narwick, dove gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato politico. Sta imparando la lingua di quel Paese lontano e dagli inverni gelidi, e vuole diventare un bravo idraulico. Ma l’Italia, Lampedusa, sono nel suo cuore che batte: «Non posso dimenticare l’accoglienza che mi avete offerto», dice quasi sottovoce. Sapeva molto bene che il suo viaggio sarebbe stato molto difficile e sapeva anche delle insidie e dei ricatti. 
Ma non immaginava quando dolore doveva pagare, anche quello di vedere annegare il suo amico Jonas. Eppure, dice, rifarebbe tutto quello che ha passato, «per forza, pur di fuggire da quella dittatura». 
«Sono rinato due volte. In due occasioni la morte mi è venuta incontro. Ma ringrazio Dio per avermi protetto e aiutato – racconta –. Cosa mi manca di più? La mia terra, la mia famiglia, i miei amici, e anche le persone che ho conosciuto lungo la strada dell’esilio e della sofferenza. Ma so che se mi affido a Dio, sono sicuro che lui mi aiuterà a ritrovare tutte queste persone».
 
 
 
MEDITERRANEO Natante a picco a poche miglia dalle coste della Libia, un`ottantina i superstiti 
Barcone affonda, almeno 100 morti 
Il Gazzettino, 03-10-14
IL CAIRO - Altre decine di  vite, si teme oltre 100, sono  state spezzate dall`ennesimo  naufragio a poche miglia dalle  coste libiche. A bordo dell`imbarcazione,  hanno raccontato  un`ottantina di sopravvissuti,  erano in oltre 180, in gran  parte di origine africana. Il  battello è colato a picco di  fronte alla `spiaggia dell`orrore"  di Qarbouli, a est di Tripoli,  divenuta tragicamente celebre  lo scorso agosto quando decine  di cadaveri vennero recuperati  sul bagnasciuga. 
La Guardia costiera libica,  senza soldi e mezzi, è riuscita  oggi a salvare oltre 80 migranti:  i sopravvissuti erano stipati a decine, seduti a terra nel  porto della città, mentre i guardiacoste  fornivano assistenza  medica. Secondo i primi dati  non ufficiali, erano in 180-190  a bordo del gommone. Dieci i  cadaveri già recuperati in mare, almeno altre novanta persone risultano disperse. Probabilmente  i loro corpi verranno  recuperati nei prossimi giorni,  sulla spiaggia di Qarbouli o in altre zone trascinati dalla corrente. 
Il 2014 è l`anno nero per il  Mediterraneo, con un incremento  esponenziale dei morti e  dei migranti in fuga: da gennaio  in 165.000 hanno accettato di  sfidare la morte per fuggire da  guerre, povertà e carestie. Un  `record` secondo l`agenzia Onu  per i rifugiati (Unhcr) che in  tutto il 2013 ne aveva contati  60.000. E evidente che pesa la  recrudescenza dei conflitti in corso in Mali, in Nigeria o Sud  Sudan, ma anche quelli mediorientali,  dalla Siria alla Striscia  di Gaza. «La Libia deve fare la  sua parte per assicurare il  rispetto dei diritti umani», ha  incalzato l`Alto commissario  Antonio Guterres. Ma il suo appello è destinato a rimanere  inascoltato in un Paese flagellato  dalla guerra civile, senza un  governo centrale, nel quale la violazione dei diritti umani fa  parte oramai della tragica routine  quotidiana. Un concetto  ripreso ieri dal ministro degli esteri Federica. «Senza un governo  stabile e un interlocutore  razionale in Libia - ha detto  la Mogherini all`assemblea parlamentare  della Nato in corso a  Catania - sarà come tentare di  svuotare il mare con un cucchiaino». 
 
 
 
La gente contesta il sindaco  per la riapertura del centro:  così ripartirà l`invasione 
Il Messaggero, 03-10-14
ROMA Lasceranno passare giusto  il giorno delle celebrazioni,  i lampedusani, e poi scenderanno  in piazza, domani mattina,  per uno «sciopero generale» contro l`amministrazione  di Giusi Nicolini, il sindaco che  dell`accoglienza in questi anni  fatto una bandiera. 
IL DISAGIO DELL`ISOLA 
Un disagio, un`insofferenza covati  per tutta l`estate finiranno  così in un corteo per ora senza  sigle, guidato da albergatori, commercianti e forse anche  dai pescatori che con il sindaco  Nicolini, fin dall`inizio, sono  entrati in rotta di collisione. Il vero nervo scoperto è l`imminente riapertura del centro di  accoglienza di via Imbriacola,  chiuso un anno fa perché non garantiva più le condizioni di  decenza. Ebbene, in questi mesi  sono andati avanti i lavori di ristrutturazione,  la consegna è per il 4 novembre, ma una riapertura  simbolica potrebbe esserci  anche oggi . 
Il nervo è scoperto perché i lampedusani  temono che con la riapertura del centro l`isola torni a  essere invasa da migliaia di migranti,  e non più una tappa di  passaggio verso i centri d`accoglienza  italiani. L`appalto è del  Viminale, quasi 4 milioni di euro,  e il Comune c`entra poco o  niente, ma gli organizzatori della  protesta mettono tutto insieme: «L`idea del sindaco è del governo  è quella di militarizzare  Lampedusa». 
CONTRO I NUOVI RADAR 
E c`è dell`altro, ci sono «i nuovi  impianti radar che mettono in  serio pericolo la nostra vita e  quella dei figli», ci sono un paio  di convenzioni tra il Comune e  società del magnate Soros «meglio  noto come guerrafondaio», c`è perfino il festival Sabir per ricordare  la strage, un «festival  dell`ipocrisia». 
Questioni serie e diatribe dí paese  si mescolano. E gli animi non  si placano neanche davanti al  sole di questi primi di ottobre,  davanti ai turusti che ancora affollano  le spiagge, i bar,i negozi. 
L.F. 
 
 
 
“Schediamo gli hotel con immigrati”. In Romagna choc su Forza Nuova
“Stop al business senza scrupoli”. Caritas e albergatori: “Siamo indignati”
La Stampa, 03-10-14
FRANCO GIUBILEI
RIMINI
Forza Nuova è pronta a svergognare pubblicamente gli albergatori che ospiteranno nelle loro strutture gli immigrati smistati dalla prefettura. E’ questo il senso della dichiarazione bellicosa diffusa ieri dalla segretaria regionale emiliano romagnola dell’organizzazione di estrema destra, in risposta all’iniziativa di coinvolgere gli hotel della riviera nell’accoglienza dei disperati in cerca di rifugio: «Saranno resi pubblici i nomi e i cognomi dei direttori degli hotel e delle strutture che metteranno a repentaglio la sicurezza della nostra gente», si legge in un comunicato. «L’uso che questi albergatori senza scrupoli fanno dell’immigrazione per loro vero e proprio business è deplorevole e avvilente – spiegano quelli di Forza Nuova -. A fronte di queste scelte gli albergatori di tutta la Romagna riceveranno 30 euro per ogni immigrato ospitato, fondi versati dai contribuenti. Per un numero modesto di 30 immigrati ospiti, gli hotel riceveranno 27 mila euro mensili esentasse». 
Tutto questo, sempre secondo Fn, senza curarsi dei rischi cui «decisioni egoistiche ed autoreferenziali di albergatori e prefettura» espongono la popolazione: «Si diffondono ormai a macchia d’olio i casi di scabbia e malaria fra gli immigrati, mentre è proprio di questi giorni la notizia che vede l’Italia in cima ai paesi obiettivi di attacchi terroristici». 
Don Renzo Gradara, direttore della Caritas di Rimini, impegnata in prima linea nell’accoglienza dei rifugiati, commenta: «Ci sono degli arrivi, e non sono pochi, che devono essere sistemati. E’ stato fatto un bando e tutti possono dare la loro disponibilità: non riesco proprio a vedere dove stia il peccato mortale. Qui in Romagna non siamo forse famosi per l’accoglienza? Forse allora lo siamo solo per quelli che hanno il portafogli pieno». Sul piano etico poi, don Gradara osserva che «di fronte alla situazione mondiale che conosciamo, c’è un problema di dignità delle persone che va affrontato. E poi non vedo dove sia il problema della sicurezza: molte di queste persone, una volta arrivare in Italia, non vedono l’ora di ripartire per ricongiungersi con altri gruppi in altre nazioni europee». 
Alle riflessioni pacate del direttore della Caritas fa eco l’indignazione della presidente di Assoalbergatori Rimini, Patrizia Rinaldis: «A me certi argomenti fanno venire la pelle d’oca: sono allibita e li trovo avvilenti. Il problema poi non sono gli albergatori che si sono resi disponibili, e che ringrazio. La prefettura, nel momento in cui riceve gli immigrati, li deve sistemare e chiede collaborazione agli operatori e alle loro associazioni. Mi spaventa molto di più il movimento di clandestini e venditori abusivi nel periodo estivo, perché è una fetta di illegalità che ci sfugge, qui invece è un fenomeno governato dallo Stato e dai suoi apparati periferici». 
 
 
 
Moschee a Milano. Conto alla rovescia per il bando del Comune
Il 10 ottobre la delibera sulle nuove aree di culto. Verranno assegnate due aree e un edificio da riqualificare. Per l'Expo verrà creato “uno spazio interreligioso"
stranieriinitalia.it, 02-10-14
Milano  - 2 ottobre 2014 - Bisognerà aspettare il 10 ottobre per avere le idee più chiare su dove Milano vuole far pregare i suoi musulmani. Quel giorno verrà infatti presentata in giunta la delibera con il bando per la costruzione di nuovi luoghi di culto.
Il Comune assegnerà due aree e un un edificio, quindi tre e non quattro spazi come si era ipotizzato nei mesi scorsi.  Dal momento che, per garantire il pluralismo, non potranno essere assegnati tutti alla stessa confessione religiosa, sarà quindi possibile costruire al massimo due moschee.
“Procediamo verso l’assegnazione degli spazi per la realizzazione di nuovi luoghi di culto seguendo il metodo della trasparenza. Non appena avremo terminato l’istruttoria per l’individuazione degli spazi tra quelli da riqualificare, che saranno recuperati e restituiti alla città, ne daremo adeguata comunicazione” hanno spiegato martedì in commissione urbanistica  il Vicesindaco Ada Lucia De Cesaris e l’assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino.
Nel frattempo, hanno condiviso i punti che saranno alla base del bando. “Ad esempio i tre spazi non potranno essere assegnati ad una sola confessione religiosa e da parte del Comune non vi sarà alcuna dispendio di risorse. La realizzazione sarà completamente a carico delle confessioni religiosi”.
Potranno partecipare al bando solo le realtà iscritte all'albo della associazioni e organizzazioni religiose istituito dal Comune. Sono una sessantina, tra cristiani evangelici, ortodossi, pentecostali, buddisti, testimoni di Geova e, appunto,  musulmani.
In consiglio comunale, crescono però le proteste dell' opposizione, che preme per sapere quali sono le aree prescelte. Riccardo De Corato di Fratelli d’Italia annuncia battaglia in aula e  “un referendum consultivo” tra i milanesi,  Alessandro Morelli  della Lega Nord dive che prima di concedere le aree bisognerebbe “approfondito il tema terrorismo”.
Intanto, è sfumata l'ipotesi della creazione di una moschea temporanea per l'Expo. O, meglio, ci sarà un luogo di preghiera aperto ai musulmani che arrivano a Milano per l'evento, ma, spiegano dalla giunta comunale,  sarà “uno spazio interreligioso dove potranno pregare i fedeli di ogni religione”.
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