Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

02 settembre 2011

Fermati nove scafisti extracomunitari per l'ultimo sbarco nel Ragusano

la Repubblica, 02-09-2011

Sono stati arrestati dalla squadra mobile, dalla guardia di finanza di Pozzallo e dai carabinieri di Modica. Sono accusati di aver trasbordato i 74 immigrati giunti ieri a Capo Scalambri. Il barcone, in avaria, era stato soccorso all'alba

Associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e tentata estorsione ai danni di tre passeggeri. Queste le accuse rivolte ai nove extracomunitari sospettati di essere gli scafisti dello sbarco di 74 immigrati, tra cui 12 minori. Gli egiziani sono stati fermati dalla squadra mobile in collaborazione con la guardia di finanza di Pozzallo e i carabinieri di Modica. 

Il barcone era arrivato ieri a Capo Scalambri, in provincia di Ragusa, ed era stato soccorso all'alba da un'unità navale della guardia di finanza perché in avaria. Ora, tutti gli extracomunitari, sono nelle carceri di Ragusa e Modica in attesa di essere sentiti dal sostituto procuratore di Modica, Alessia La Placa. 
 
 
 
Lampedusa, la prigione dei bambini
l'Espresso, 02-09-2011
Fabrizio Gatti
Hanno pochi anni, a volte perfino pochi mesi. Sono venuti dall'Africa sui barconi. Adesso sono rinchiusi a centinaia nel centro di detenzione dell'isola. Dove restano per settimane tra malattie, incidenti e un caldo infernale. L'inviato dell'Espresso è riuscito a entrare in questo carcere di cui nessuno vuole parlare(01 settembre 2011)Non dorme nessuno stanotte. Il mondo dei grandi è in rivolta. La stanza rimbomba sotto una grandinata di colpi. Omar comunque non sa cosa siano una rivolta e la grandine. E' un neonato, ha due mesi. Nemmeno suo fratello Hamza, 3 anni, e sua sorella Maha, 7, capiscono da dove arrivi questo rumore spaventoso. 
Infatti non grandina. Sull'isola di Lampedusa d'estate non succede mai. Sono i sassi che cadono contro le pareti e il tetto in lamiera. Lanciano pietre ovunque. 
Una notte ordinaria nel centro di detenzione per immigrati e rifugiati. Omar, Hamza e Maha sono piccoli carcerati. Da settimane non possono uscire dal recinto di filo spinato e lamiere arroventati dal sole. 
Sono sbarcati alle quattro e un quarto del mattino, sabato 6 agosto. A quell'ora Omar è apparso sul molo con i due fratellini. Lui era stretto nelle braccia del papà, scappato con la moglie dalla guerra. I genitori, emigrati dal Sudan in Libia anni fa per lavoro, li hanno protetti dagli spari, dalle bombe. E dalla fatica della traversata. E' sopravvissuto sano e forte, Omar. Uscirà invece di qui, quando uscirà, con una brutta ustione alla coscia destra. Una notte uno dei dipendenti assunti per l'emergenza, che la retorica si ostina a chiamare volontari, l'ha messo sotto l'acqua bollente. Voleva lavarlo. Si è sbagliato. 
Cose che succedono nella prigione dei bambini. Tutto è precario. Tutto è pericoloso. 
E' per questo che i bambini non andrebbero mai rinchiusi in un posto così. C'è anche la piccola Chideria. Nata in Libia il 6 maggio 2011, è l'unica sopravvissuta tra i bimbi del suo barcone approdato il 4 agosto. I piccoli compagni di viaggio sono morti uno dopo l'altro. 
Chideria l'hanno liberata con i genitori nigeriani soltanto dopo tre settimane. Così piccola si è fatta 20 giorni di reclusione. Si è anche ammalata. Un certificato sanitario di Medici senza frontiere che riscontrava sintomi persistenti di bronchite, pus dagli occhi e punture da insetto multiple è rimasto inascoltato fino a mercoledì 24 agosto. Sono stati necessari l'esposto di un avvocato, Alessandra Ballerini, legale dell'associazione Terre des hommes e l'intervento del Tribunale dei minori di Palermo.  
Altri due minorenni, 16 e 17 anni, sono stati feriti dalle pietre lanciate dalla sezione adulti durante la rivolta notturna di martedì scorso. E proprio in queste ore c'è preoccupazione per un caso sospetto di tubercolosi. Una donna tunisina, trasportata in elicottero a Palermo. Tossiva sangue. E' il secondo caso questa estate. 
A fine agosto sono 225 i bambini e gli adolescenti rinchiusi da settimane nelle due strutture di detenzione di Lampedusa: 111 nel "Centro di primo soccorso e accoglienza" di Contrada Imbriacola, 114 nella base in disuso dell'Aeronautica militare. A poche decine di metri dai radar di scoperta aerea e di difesa antimissile. E dai campi elettromagnetici. La maggior parte ha più di 13 anni ed è partita senza genitori. Omar, Hamza e Maha sono i più piccoli. 
Il racconto su Lampedusa deve cominciare da loro. Nell'autunno 2005 "l'Espresso" aveva denunciato le condizioni disumane nel centro di detenzione. Qualcosa di importante è migliorato. Adesso c'è maggiore trasparenza e minore isolamento: nonostante il divieto di ingresso ai giornalisti, le associazioni e l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati possono monitorare da vicino l'attività delle forze dell'ordine. 
Altro però è peggiorato. Per i bambini: nel 2005 i più piccoli venivano trasferiti in poche ore in strutture aperte. Per i migranti in cerca di lavoro: la crisi economica e la detenzione amministrativa prolungata fino a diciotto mesi stanno innescando una bomba sociale già esplosa con le rivolte nei Cie, i centri di espulsione. Per il rispetto della legalità: adulti, teenager e bambini vengono illegalmente reclusi a Lampedusa fino a due mesi senza nessuna convalida da parte di un giudice, come prevede la Costituzione. E per le casse dello Stato: dalle auto elettriche consegnate alla Guardia di finanza fino agli inutili quad per i pompieri. Mentre perfino albergatori e ristoratori sono sull'orlo della rivolta: la prefettura ha arretrati da marzo nei pagamenti di pasti e camere per le centinaia di poliziotti, carabinieri e finanzieri di rinforzo sull'isola. Nel frattempo la gestione è passata dalla Misericordia, un tempo di area Udc, alla società LampedusAccoglienza imparentata a sinistra con la Legacoop.
 
 
 
 
 
Dalla fata cinese al principe in provetta ecco le fiabe delle nuove famiglie
Boom di storie che raccontano come cambia la società. Un fenomeno che coinvolge piccole case editrici indipendenti che vendono online 
la Repubblica, 02-09-2011
MARIA NOVELLA DE LUCA
C'È LA FAVOLA della bambina adottata e quella del ragazzino con due mamme, c'è l'adolescente con la pelle nera e quello che ha la valigia sotto il letto, c'è la storia della piccola nata da un uovo congelato e la sua amica il cui papà si è fidanzato con un altro papà. C'è L. che non sente, M. che vede poco, F. che è il più intelligente di tutti ma non parla con nessuno: bambini normali, speciali, sani, disabili, protagonisti sempre di più di un nuovo genere letterario che sta rivoluzionando il mondo delle fiabe contemporanee. 
Favole sociali, intime, all'avanguardia. Perché ci vogliono orsi, fate, rane e girini, giraffe, maghi e anatroccoli intelligenti, o anche Cenerentole e Cappuccetti rossi riveduti e corretti, per raccontare ai "nuovi bambini", figli della provetta o delle separazioni, dell'adozione o anche dell'immigrazione, quanto sono diversi eppure uguali ai loro coetanei. Spiegare dove e come, quando e da chi sono stati concepiti, figli della pancia o del cuore, di un utero "prestato" o di un amore finito.
È un piccolo boom editoriale che viaggia in gran parte su Internet, i titoli sono decine, sfiora le grandi case editrici ma abbraccia soprattutto marchi indipendenti, "Lo stampatello", "Mamme on line", "Uovonero", coraggiosa impresa che produce libri per bambini con difficoltà di lettura, autismo, dislessia. 
Una nicchia all'interno del grande mercato dell'editoria infantile, ma che spezza un silenzio e copre un bisogno: oltre il 20 per cento dei libri pubblicati ogni anno in Italia è dedicato ai mini readers dai 3 ai 14 anni, mentre il 59% di tutti i lettori italiani ha tra gli 11 e i 17 anni. 
Arianna Papini, scrittrice e consulente di Fatatrac, storica casa editrice per l'infanzia, ai temi spinosi ha dedicato più di un testo: Ho due di tutto sui figli dell'affido condiviso, o Amiche d'ombra, storia vera dell'amicizia tra una bambina e la sua amica cieca. "Da tempo ci siamo accorti che le favole servono per colmare un disagio familiare verso argomenti che non si sa come affrontare. Per questo, ad esempio, è nato Nei panni di Zaff, che descrive quanto sia difficile la vita di un bambino che voglia vestirsi da femmina, ossia andare contro le convenzioni. E così è nato In famiglia di Sandro Natalini, dove attraverso gruppi di animali, conigli, orsi, canguri, elefanti si fa capire, con delicatezza e humour, che i tipi di famiglia sono più d'una, dal cavalluccio marino che fa i figli da solo alla coppia che litiga, a quella che adotta l'animale di un'altra specie". 
Famiglia e famiglie sì. Divorzi e adozione pure. Ma bisogna andare a cercare una microscopica e appena nata casa editrice per inoltrarsi in quelli che la società ritiene argomenti da evitare, ai limiti del tabù. Si chiama "Lo stampatello", l'hanno fondata pochi mesi fa Francesca Pardi e Maria Silvia Fiengo, mamme omosessuali di 4 bambini, e oggi in catalogo ci sono già 4 o 5 titoli, Piccola storia di una famiglia: perché hai due mamme?, o Piccolo uovo, illustrato da Altan con i disegni della Pimpa. 
"Il nostro primo libro è nato da un'esigenza personale, raccontare ai nostri figli come sono nati. In realtà avevamo già un contratto con una casa editrice famosa, ma a pochi mesi dalla pubblicazione ci hanno detto che l'argomento era troppo "forte". Così abbiamo deciso di fare da sole - dice Maria Silvia Fiengo - e l'interesse c'è, siamo presenti in diverse librerie in tutta Italia, abbiamo illustratori bravi, come Altan, o Desideria Guicciardini. La verità è che oggi le favole non rappresentano il mondo delle nuove famiglie, mentre i bambini, hanno bisogno di vedersi rappresentati in una storia, seppure fatta di pinguini, gatte, ippopotami". 
E titoli di rottura si trovano anche scorrendo il catalogo di "Mamme online", casa editrice nata dalla community dedicata all'infertilità. "Fin dagli anni della battaglia sulla legge 40 - ricorda Donatella Caione - abbiamo iniziato a pubblicare favole su bambini concepiti in modi diversi, fecondazione eterologa compresa, ma anche libri dedicati ai figli dell'affido congiunto, una nuova generazione che vive migrando tra la casa della mamma e quella del papà". 
E se Francesca Archinto di Babalibri ricorda Fior di Giuggiola, o Il principe tigre meravigliosi album illustrati dove si parla di adozione, da quasi due decenni Sinnos racconta con libri in doppia lingua i bimbi immigrati. "Siamo partiti quando gli stranieri nella scuola erano 25mila, adesso sono 700mila, e dall'immigrazione siamo passati all'intercultura - spiega orgogliosa Della Passarelli - perché oggi ci sono gli adolescenti cinesi che parlano romano e i bimbi africani con l'accento torinese. E tutti hanno bisogno di ritrovarsi in una favola".  
 
 
 
Il prete prega Allah dentro la chiesa? Tradisce la sua fede
il Giornale, 02-09-2011
Magdi Cristiano Allam
A Cantù (Como) un parroco ha distribuito salmi coranici ai fedeli per solidarietà con chi festeggiava la fine del digiuno. Ma chi legittima Maometto nega Gesù
Ormai in Italia si prega Allah in chiesa per iniziativa e volontà del sacerdote che dovrebbe aver votato la propria vita per testimoniare la verità unica ed esclusiva in Gesù Cristo. È successo a Cantù, in provincia di Como, martedì scorso 30 agosto, in occasione della Festa dell'Eid al-Fitr, seconda festa più importante della religione islamica che conclude il mese di digiuno del Ramadan. Nella Basilica di San Paolo il prevosto emerito di Cantù, don Lino Cerutti, ha fatto trovare su un tavolo all'inizio della navata centrale e ha fatto distribuire dei volantini contenenti preghiere islamiche per celebrare la fine del Ramadan scritte dal filosofo Sejjed Hossein Nasr, dal mistico Rabi'a e dal poeta Hafez, in cui si tessono le lodi di Allah e si esalta l'islam come la religione eccelsa.
È vero che nello stesso giorno il capo dello Stato Napolitano ha ritenuto di inviare gli auguri ai musulmani, arrivando a sostenere che il dialogo con l'islam sarebbe «indispensabile presupposto affinché la società italiana sappia interpretare le sfide del mondo contemporaneo e divenire sempre più libera, aperta e giusta». Che Il vice-sindaco di Milano Maria Grazia Guida si è recata a omaggiare gli islamici in preghiera con il velo in testa e che anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha visitato la Grande Moschea di Roma. 
Ma un conto è prostrarsi agli islamici in moschea, un altro conto è trasformare la chiesa in moschea. In linea di principio si è cristiani perché si crede nella verità di Gesù Cristo, del Dio che si è fatto uomo, nato, morto e risorto per redimere l'umanità, il suggello della profezia e il compimento della rivelazione.
Significa che se si crede in Gesù non si può in alcun modo credere né che Maometto è un profeta autentico né che l'islam è una religione veritiera. O si crede in Gesù o si crede in Maometto; o si è cristiani o si è musulmani. Ma non si può assolutamente sostenere di credere in Gesù e al tempo stesso legittimare Maometto come profeta; così come non ci si può professare cristiani e al tempo stesso legittimare l'islam come religione. Chi lo fa non è cristiano. Non si tratta di essere più o meno sincretisti. Semplicemente non si è più cristiani. E se a legittimare Maometto e l'islam è un sacerdote, ebbene commette un'eresia ed è passibile di apostasia.
Perché non si può relativizzare la verità storica e sacra di Gesù: o ci credi o non ci credi.
L'errore capitale in cui è incorso don Lino è di aver aderito all'ideologia del relativismo religioso che è la conseguenza della trasposizione acritica della dimensione delle persone con la dimensione della religione. L'immaginare cioè che per amare il prossimo, laddove l'amore per il prossimo è il fondamento della fede cristiana, il comandamento nuovo portatoci da Gesù, si debba sposare la religione del prossimo. Quindi per amare i musulmani come persone si debba legittimare l'islam come religione, a prescindere dai suoi contenuti, da ciò che è scritto nel Corano e da ciò che ha detto e fatto Maometto.
Tutto ciò avviene in un contesto dove il relativismo religioso, a partire dal Concilio Vaticano II, sta dilagando all'interno della Chiesa; mentre dall'altra parte, intendo dalla parte dei musulmani e dell'ortodossia islamica, non solo non hanno nulla a che fare con il relativismo ma, all'opposto, condannano noi ebrei e cristiani come eretici perché avremmo deviato dalla retta via, fortunatamente ritrovata con la rivelazione divina affidata a Maometto elevando così l'islam ad autentico suggello della profezia.
Siamo pertanto doppiamente ingenui e illusi: immaginiamo che relativizzando il cristianesimo per legittimare l'islam loro si renderanno più disponibili nei nostri confronti, mentre all'opposto finiamo per essere percepiti come una landa deserta che merita di essere occupata dai musulmani.
Come? Con la proliferazione delle moschee. E anche qui la nostra ingenuità e vocazione al suicidio ci porta a offrirgliene noi prima ancora che le chiedano loro. Noi vorremmo veder sorgere delle grandi moschee con cupola e minareto a Milano, Bologna, Firenze, Napoli e ovunque in Italia. Loro, più furbescamente, ci dicono che preferiscono delle piccole moschee diffuse sul territorio, per potersi spartire il bottino considerando che tra loro non vanno affatto d'accordo tranne che sull'obiettivo di islamizzare l'Italia, l'Europa e il mondo libero, democratico e civile. Ci siamo trasformati in islamici più degli islamici stessi prima ancora di essere costretti a convertirci all'islam. Che cosa possono volere di più gli islamici da noi italiani ingenui, stolti, ideologicamente collusi e votati al suicidio?
 
 
 
Torino - Rivolta degli immigrati nel Cie, la polizia spara lacrimogeni
Torino Oggi Notizie, 02-09-2011
Torino - Lancio di vettovaglie, bottiglie e altri oggetti all'indirizzo delle forze dell'ordine. Ieri sera, intorno alle 20, al Cie di corso Brunelleschi è andata in scena la protesta degli immigrati ospiti nell'area rossa del centro.
Il gruppo - circa una trentina, tutti tunisini - ha danneggiato la porta di un bagno e alcuni degli immigrati hanno tentato anche la fuga gettandosi contro il cancello dell'area.
La "rivolta" è stata sedata dall'intervento degli agenti che hanno lanciato alcuni lacrimogeni. La situazione è tornata presto alla normalità e nessuno è riuscito a fuggire.
Qualche disagio per gli abitanti delle case adiacenti che sono stati "investiti" dalla nube dei lacrimogeni e hanno chiamato i Vigili del fuoco. Nessuno dei residenti ha avuto bisogno di cure mediche.
 
 
 
PRIMO FIRMATARIO ANDREA SEGRE. CON LUI MASTANDREA, BATTISTON, GERMANO, PAOLINI, GIORDANA
«Il cinema con i migranti», appello dal Lido di registi e attori
Corriere della Sera, 01-09-2011
Alessandra Coppola
«Per una società meno soggetta a derive xenofobe e più preparata a comprendere i flussi di immigrazione»
VENEZIA – «Il cinema con i migranti». L’avevano anticipato titoli e trame diffuse alla vigilia, un appello appena firmato da attori, registi e produttori fissa definitivamente il tema dominante per gli italiani al Lido. «Vogliamo lanciare un messaggio all’opinione pubblica e alle istituzioni – scrivono – per contribuire con la nostra voce, oltre che con i nostri racconti, alla costruzione di una società meno soggetta a chiusure e derive xenofobe e più preparata a comprendere i flussi di immigrazione e a dialogare con i nuovi cittadini». Primo firmatario Andrea Segre, l’anno scorso in Mostra con un documentario su Rosarno, quest’anno alle Giornate degli Autori con la storia di una giovane cinese a Chioggia, Io sono Li.
I FIRMATARI - Molto attivo nella diffusione dell’appello e nella chiamata a raccolta dei colleghi Valerio Mastandrea, protagonista di Cose dell’altro mondo, in programma venerdì. Paladino convinto della campagna l’attore Giuseppe Battiston. «Credo in ciò che questo appello propone – spiega al Corriere – anche per egoismo: è importante che le poche persone che mi conoscono sappiano come la penso, voglio distinguermi da una situazione di menefreghismo generale». Con lui sono già una dozzina. Oltre ai già citati Segre e Mastandrea, firmano Elio Germano, Marco Paolini, Marco Tullio Giordana, Daniele Vicari, Daniele Gaglianone, Roberto Citran, Guido Lombardi, Luca Bigazzi, Gaetano Di Vaio, Francesco Bonsembiante.
IL TESTO DELL'APPELLO - Non c’è solo una vaga presa di posizione nell’appello. Il testo entra nei dettagli. Con un elenco di richieste: 1) si intensifichino gli sforzi a livello internazionale per ridurre l’eccidio intollerabile di profughi dalla Libia…; 2) sia concessa ai profughi protezione umanitaria; 3) non si replichi la politica dei respingimenti; 4) sia abolito il reato di clandestinità; 5) venga studiato un programma di diffusione culturale e sociale di pratiche di accoglienza e integrazione; 6) venga riconosciuta la piena cittadinanza alle seconde generazioni. Un documento più politico che cinematografico, per ammissione dello stesso Segre: «Sono questi punti che abbiamo elencato, queste scelte politiche a sedimentare in una società chiusa, di paura». Riflessione condivisa da molti colleghi. «Ci siamo guardati intorno – continua il regista – e ci siamo accorti che quest’anno in particolare quello dei migranti era uno dei temi di narrazione e di analisi più frequentato dal cinema». Telefonate, email, chiacchierate tra amici: è arrivato (da poche ore) questo testo con il primo blocco di firme, in attesa di ulteriori adesioni all’email Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. , per fare il punto poi in una conferenza stampa l’8 settembre.
 
 
 
La moglie è incinta, ma aspetta una femmina Marito indiano la picchia perché vuole un bimbo
il Giornale, 02-09-2011
Il marito, già padre di due bimbe, cercava un maschio a tutti i costi. Scoperto che la moglie aspettava un'altra femmina, l'ha picchiata selvaggiamente, cercando di farla abortire. Sta bene la bambina, mentre la madre, che ha riportato solo lesioni lievi, uscirà a breve dall'ospedale
Siena - La moglie è all'ottavo mese di gravidanza, ma è incinta di una bambina. Il marito indiano cerca ossessivamente un figlio maschio e la picchia brutalmente cercando di farla abortire.
L'episodio è accaduto nel senese, dove l'uomo, un indiano 38enne, è stato arrestato, con l'accusa di maltrattamenti nei confronti della famiglia, mentre la donna, di due anni più giovane, si trova in ospedale. L'aggressione è avvenuta sotto gli occhi spaventati delle altre figlie della coppia, che hanno avuto la presenza di spirito di chiamare il 118, subito intervenuto per fermare i maltrattamenti. Paura per l'incolumità della bambina, che però sta bene. La madre, che ha riportato solo alcune lesioni minori, uscirà a breve dall'ospedale.
 
 
 
Razzismo in spiaggia a Follonica
l'Unità, 01-09-2011
  Ieri su Carmilla Alberto Prunetti ha denunciato un atto vergognoso di razzismo e violenza, ignorato dalla maggior parte dei mezzi d’informazione, con un puntuale articolo di controinformazione dal titolo “Una cartolina razzista dalla spiaggia di Follonica”. La notizia è stata ripresa oggi dal quotidiano La Nazione nella sua edizione locale della provincia di Grosseto. Riporto un estratto dall’articolo originale di Prunetti, questi i fatti:
 “Un tipo, un italiano sui 35 anni, coi capelli corti, quasi rasati e un tatuaggio, ha gettato qualcosa in faccia alla signora nordafricana che vendeva qualche merce da un ombrellone a un altro. Sembra che il tipo fosse innervosito perché – sotto l’ombrellone con la moglie, piccola di statura, la bambina e due cani di taglia piccola – la figlia non riusciva a dormire. Il suo nervosismo è esploso contro il capro espiatorio che la società gli ha fornito: la venditrice ambulante straniera, che per caso è passata dal suo ombrellone.
 Non è chiara la dinamica: secondo i bagnanti che erano vicini, l’uomo ha rapidamente portato via dalla spiaggia la moglie, la bambina e i cani, poi è andato a prendere o uno spray antistupro, di quelli al peperoncino, o un qualche liquido irritante che poi, secondo un’altra ipotesi, ha mescolato con l’acqua di mare. Aveva con sé il liquido? Ormai gli italiani si portano lo spray antistupro per essere più sicuri sulla spiaggia?
Comunque l’uomo è tornato in spiaggia, ha raggiunto la signora ambulante a pochi metri di distanza e le ha spruzzato in faccia il liquido o lo spray. Una parte di questo liquido ha colpito su un occhio anche un’altra signora, a cui la venditrice stava proponendo la sua merce. Poi, mentre tutti si avvicinavano alla signora nordafricana in lacrime, è scappato”.
 L’episodio è chiaramente razzista e va denunciato. Secondo una testimone il vacanziere xenofobo avrebbe addirittura dato della “pezza di merda” alla donna aggredita. Le domande provocatorie di Alberto P. nell’articolo, quale che siano le risposte ipotizzabili, ci fanno riflettere sul livello sclerotico di paranoia che spesso riusciamo a raggiungere in Italia quando siamo martellati da emergenze e pacchetti sicurezza a raffica.
 Il Messico, dove vivo, soffre una situazione simile per certi versi con alcune zone del paese in preda alla violenza e quasi tutto il territorio in stato di allerta e militarizzazione per la cosiddetta “guerra ai narcotrafficanti” che sembra, invece, una guerra contro i nervi della popolazione esasperata dai risultati molto questionabili.
 Possiamo anche chiederci legittimamente cosa sarebbe successo se la vittima fosse stata italiana e l’aggressore straniero, anzi, ” e x t r a c o m u n i t a r i o” o addirittura “c l a n d e s t i n o”. Sarebbe scattata la caccia all’uomo? Probabilmente sì. Come riscoprire l’intercultura, la dignità migrante (parte fondamentale della Nostra cultura) e la tolleranza? Non a colpi di spray. Siccome al momento non sembrano esserci denunce dell’accaduto, neanche contro ignoti, denunciamo da qui e attendiamo sviluppi.
 
 
 
Somalia, l'odissea infinita dei profughi
Avvenire, 01-09-2011
Nello scavo
Amina è sfinita, arranca come una bestia agonizzante. Da lontano due operatori dell’Unicef le corrono incontro. Alla loro vista lei inaspettatamente accelera il passo sollevando la sabbia rossastra su cui dardeggia un sole spietato. Avvolto in un cencio c’è Osman, un mucchio di ossicini che non si muovono più. Il piccolo profugo ha sei mesi. Forse gli ultimi della sua vita.
A Dollow ogni mattina è così. I rifugiati arrivano a piedi dopo giorni di marcia, in fuga da villaggi senza un domani. Alcuni si fermano da questa parte del fiumiciattolo che segna il confine con l’Etiopia. Altri proseguono ancora per tre chilometri, entrando nei campi etiope di Dollo Ado.
Dollow era una roccaforte dei miliziani fondamentalisti, quasi 500 chilometri a ovest di Mogadiscio. Negli ultimi giorni, però, al-Shabaab ha lasciato in pace profughi e convogli umanitari. Tanto a torturarli ci pensano il deserto somalo e le sue sadiche insidie. Per la verità gli shabaab, o ciò che resta di alcune loro fazioni, si stanno riciclando. A Dollow fanno finta di non riconoscerli quando a bordo dei fuoristrada attraversano la via del mercato. Sanno tutti che quando una pista polverosa viene bloccata da un tronco d’albero, è perché gli shabaab, "i giovani", pretendono un "pedaggio".
Hamed Hassan ha 20 anni e nessuna speranza. «La Somalia non cambierà mai. I politici mentono, non c’è futuro». Per alcuni mesi era stato arruolato forzatamente in una milizia fondamentalista. «Non ho mai sparato – assicura – né ucciso nessuno. Loro mi ripetevano che la Somalia ci appartiene, e che il governo di Mogadiscio non conta nulla, perché a comandare sono gli infedeli, gli americani e i loro amici sauditi». Hamed, che l’inglese lo parla proprio perché un giorno vorrebbe vivere in America, non ha mai ceduto ai lavaggi del cervello. Fino a quando un giorno è riuscito a disertare. «Dal mio villaggio – racconta – siamo partiti in venti. Siamo arrivati in dodici. Alcuni vecchi sono morti di caldo e di sete». Una madre aveva quattro bambini piccoli, due gli si sono spenti tra le braccia. «Non abbiamo avuto tempo per seppellirli bene. Troppa la paura che gli shabaab potessero raggiungerci. Mentre ci allontanavamo abbiamo visto un branco di iene lanciarsi verso i corpicini».
Come molte altre, anche Amina era in compagnia di sole donne. A casa hanno lasciato i mariti e i figli adolescenti, impegnati a salvare il bestiame o arruolati in una qualche milizia. I signori della guerra sono l’unico ufficio di collocamento che a Mogadiscio non ha mai chiuso. Alcune fuggiasche hanno spiegato che il bestiame può salvare la famiglia. I ribelli filo-qaedisti impongono ai somali di contribuire in qualche modo alla causa antigovernativa. Regalare agli shabaab il bestiame può bastare a evitare l’arruolamento forzato.
Il numero dei rifugiati nei quattro campi di Dollo Ado ha ormai superato i 120 mila. Quasi 80 mila somali sono arrivati solo quest’anno, in gran parte tra giugno e luglio. Il nuovo esodo ha indotto l’Acnur e il governo etiopico ad aprire altri due insediamenti da ventimila posti. Eppure nell’ultima settimana vi è stato un significativo calo degli afflussi: dai 2 mila si è scesi ai circa 300 al giorno. E non è una buona notizia. Gli accessi alla regione sono presidiati dalla milizie fondamentaliste che stanno costringendo le colonne di fuggiaschi a ritornare nelle loro case, dove ad attenderli c’è la carestia e altre minacce dei militanti. Chiuse le vie di terra, non resta che tentare la traversata del golfo di Aden, verso le coste dello Yemen. I contrabbandieri hanno fiutato l’affare, così hanno messo in moto una flotta di barcacce: con il viaggio di andata scaricano carne umana, con quello di ritorno merce di contrabbando.
L’Etiopia ospita complessivamente oltre 260 mila rifugiati, di cui circa 180 mila somali, 50 mila eritrei e 26 mila sudanesi. Lo stato di salute di quanti arrivano a Dollow e Dollo Ado continua a essere precario. Una micidiale combinazione di denutrizione e morbillo sta falcidiando i bimbi dei campi. Adrian Edwards, portavoce dell’Acnur, spiega che il morbillo è il principale sospettato per la morte di 11 bambini. D’accordo con i genitori, tutti coloro che hanno meno di 15 anni di età vengono vaccinati per scongiurare una epidemia letale.
Non lontano da Dollow passano le piste che si dirigono verso l’estremo sud somalo. L’addio alla propria terra i profughi diretti in Kenia solitamente lo sospirano da Dobley, ultima cittadina somala prima del confine. Da qui Mogadiscio è un incubo, il Kenya un miraggio. Adnan Dassir Hassen è un po’ il sindaco e un po’ il capotribù. Amministra il remoto villaggio di case basse e scalcinate. Toccherebbe a lui smistare in qualche modo le dozzine di carovane stipate su camion, oppure in arrivo dopo giorni di marcia.
L’afflusso di esseri umani sopravvissuti alla fame e ai perigli dell’avventuroso tragitto per Hassan e la sua gente è però impossibile da governare. «Sono nostri connazionali, hanno bisogno di cibo e medicine, ma non ne abbiamo neanche per noi». Più che a riacquistare energie, raggiungere Dobley serve a ritrovare la speranza. Il villaggio, che gli shabaab hanno salutato quasi demolendolo a colpi di mortaio poco prima della tutt’altro che rassicurante "ritirata strategica", è perlustrato notte e giorno dai militari del governo transitorio. Quanto basta per potersi fermare almeno una notte senza temere la rincorsa di banditi, di predoni o di bande di miliziani allo sbando. Poi la colonna di assetati scenderà per almeno tre giorni nel girone infernale che solo ai più forti e ai più fortunati permetterà di vederlo davvero il confine keniota, le casacche azzurre dell’Onu e una scodella finalmente piena.
«Facciamo il possibile per dar loro qualcosa da mangiare e da bere – va ripetendo il sindaco Adnan Dassir Hassen. – Non mi piace vedere somali andar via così, proprio adesso che gli shabaab sono fuggiti. Ma restare vuol dire solo morire».
Anche dentro alle tende di Dadaab c’è chi è scappato non per fame, ma per non finire costretto a unirsi ad al-Shabaab, insieme a chi dalle colonne di fondamentalisti invece è riuscito a fuggire. Dadaab è da vent’anni la terra promessa dell’esodo somalo. Nei tre campi di Dagahaley, Hagadera e Ifo, si contano quasi mezzo milione di rifugiati. Entro la fine dell’anno potrebbero raddoppiare. La tendopoli si estende per un’area vasta quanto Milano. La vita non è facile e non c’è posto per tutti. Si calcola che oltre 50 mila persone vivano sparpagliate fuori dal perimetro. Esiliati due volte: cacciati dalla propria terra e fuoriusciti dalla giurisdizione delle agenzie Onu. Alla mercé di qualunque balordo. Quando varcano il confine, i profughi vengono accolti da operatori Onu o dai volontari delle Ong. Ricevono le prime cure, un paio di ciabatte, qualche indumento, un sorso d’acqua, biscotti energetici e un pasto caldo.
Ogni volta la stessa domanda: «Quando potremo tornare?». La risposta è sempre uguale, da vent’anni: «Insciallah», quando Dio vorrà.
 
 
 
“Razzismo al lavoro” il libro inchiesta di Marco Ferrero e Fabio Perocco.
Un volume per approfondire il “sistema” della discriminazione sul lavoro, la cornice giuridica e gli strumenti di tutela.
Immigrazione Oggi, 02-09-2011
In Italia l’ambito del lavoro costituisce al momento attuale l’unico parametro di legittimità del percorso di cittadinanza previsto per gli immigrati dalle politiche pubbliche. Tuttavia nell’ambito lavorativo le discriminazioni razziali sono così sistematiche, diffuse e acute che mettono a rischio questo stesso percorso di cittadinanza.
È questo il presupposto con cui Marco Ferrero e Fabio Perocco approfondiscono le situazioni di discriminazione e razzismo in ambito lavorativo nel volume Razzismo al lavoro (Franco Angeli, 2011, pp. 320, euro 29,50).
Poggiandosi su un’ampia documentazione e una lunga attività di ricerca di raggio internazionale, gli autori evidenziano come le discriminazioni razziali costituiscano un elemento centrale del mercato del lavoro contemporaneo e che siano allacciate ad un sistema di nessi che le connette con il razzismo istituzionale e con il complesso delle disuguaglianze sociali, con le nuove forme di organizzazione del lavoro e con l’economia sommersa, con le trasformazioni globali e con le politiche del lavoro.
Nell’indagare sia in termini sociologici che giuridici la portata istituzionale e sociale della dimensione lavorativa delle discriminazioni razziali, diversi contributi del volume sottopongono a verifica anche il grado di applicazione degli strumenti di tutela antidiscriminatoria presenti nella normativa nazionale e comunitaria, alla luce del quadro ordinamentale entro il quale il principio di uguaglianza trova il suo riconoscimento, offrendo agli operatori sociali e agli operatori del diritto utili piste di lavoro nella promozione dei diritti di cittadinanza.
I due autori sono esperti di diritto e sociologia delle migrazioni, entrambi docenti presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
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