Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 novembre 2013

Immigrati, un egoismo razionale
La Stampa, 25-11-2013
GIOVANNA ZINCONE

"Molti degli italiani che guardano all'mmigrazione con ostilità sono mossi da sentimenti egoistici, dal timore di essere
privati di qualcosa. Si tratta tuttavia di un egoismo incapace di valutare razionalmente cosa giovi ai propri interessi, al benessere del sistema economico italiano. Cito tre dati elementari, riportati nel Dossier Statistico Immigrazione 2013 a cura dell'Unar (Uffício Nazionale contro le Discriminazioni Razziali): gli immigrati rappresentano il 7,4% dei residenti in Italia, il 10% degli occupati, il 7,8% delle imprese.
Significano quindi consumi, realtà produttive, servizi, in particolare servizi alle famiglie. Va ricordato però a tutti noi che gli immigrati non sono un fattore qualunque, sono persone. Possono evolvere, stare meglio, far stare meglio il paese in cui tutti viviamo. O, al contrario, possono precipitare in gravi difficoltà, non aiutarci a contrastare il declino, costituire anzi un problema in più
Se adottiamo un'attitudine egoistica nei confronti della immigrazione, facciamo almeno in modo che si tratti di un egoismo razionale. Ci occuperemo cosi con discernimento del futuro italiano in genere. Faccio qualche esempio. Siamo un popolo di vecchi e gli immigrati stanno dando una mano a ringiovanire la nostra popolazione: i figli di stranieri rappresentano nel 2012 quasi il 15% dei nuovi nati. Tuttavia, l'esperienza dei paesi di antica immigrazione insegna che le famiglie di origine immigrata, con il tempo, si assimilano a quelle autoctone. E fare figli in Italia non conviene. Nel nostro Paese, infatti, sono proprio le famiglie numerose che corrono maggiori rischi di povertà, e tra gli immigrati le famiglie povere sono più del doppio di quelle italiane. Sono quindi scarse le speranze che gli immigrati ci aiutino in futuro a essere meno senili, se non cambiamo rotta. L'Italia usa solo 11,1% della proprio bilancio per le famiglie e i minori: in Europa solo Grecia e Lettonia fanno peggio. Parlamento e Governo si sono impegnati a fare di più, vedremo.
Un altro aspetto sul quale l'immigrazione può incidere in positivo o in negativo a seconda delle politiche adottate è il capitale umano, le competenze di cui l'Italia può disporre. Non basta che ci siano più bambini, occorre che siano meglio istruiti che proseguano negli studi, acquisendo da adulti gli strumenti necessari a interagire con le complessità dei presente e del prossimo futuro. Secondo l' ultima classifica dell'Ocse (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), gli studenti del nostro Paese non ottengono buoni risultati neppure nella scuola primaria, in un punteggio che va da 0 a 500 raggiungiamo 235 punti nelle competenze linguistiche (11 in meno della media dei paesi avanzati) e 229 in quelle numeriche (8 in meno). Sülle capacita reali è un disastro: siamo Ultimi per comprensione dei testi, penultimi sia in matematica, sia per capacità di cavarsela con le nuove tecnologie. Non solo non impariamo abbastanza, ma restiamo pure indietro per livelli di istruzione raggiunti. Nel 2011 lltalia si colloca all'ultima posizione nella graduatoria dell'Unione Europea, per numero di giovani tra i 30 e i 34 anni che hanno una laurea o un titolo equivalente. Il nostro 20,1% è un valore inferiore di oltre 14 punti rispetto alla media Ue a 27 e ben lontano dall'obiettivo del 40% indicate da «Europa 2020». La Spagna, ad esempio, l'ha già raggiunto. Come se non bastasse esportiamo capitale umano: tra coloro che hanno lasciato l'Italia nel 2011, il 22% ha una laurea, il 24% è iscritto all'università.
Può aiutarci l'immigrazione a fare meglio? Per ora no. Nel 2011 tra i residenti di età compresa tra i 15 i 64 anni i laureati sono il 9% degli immigrati e il 13% degli italiani. Per i paesi da cui provengono quei laureati rappresentano una risorsa preziosa, che da noi però va sprecata. Il 61% dei lavoratori stranieri svolge un lavoro inferiore alla sua qualifica, La scarsa capacità di attrarre immigrati molto istruiti, la sotto utilizzazione dei qualificati si deve al fatto che il nostro sistema economico è a sua volta arretrato, prevede cioè una notevole quantità di mansioni per le quali non chiediamo alti livelli di istruzione: pensiamo all'esercito delle badanti e delle colf straniere. Attrarre immigrati molto qualificati in Italia quindi è difficile. Se vogliamo che arrivi un maggior numero di bravi, serve un sistema economico più ambizioso. Ma il circolo virtuoso si può avviare anche all'incontrario: quelle stesse desiderabili produzioni sofisticate che attraggono i bravi lavoratori sono a loro volta attratte da bacini dove si concentra forza lavoro molto qualificata. Quindi produire bravi lavoratori in Italia può aiutare a spezzare il cerchio. Già oggi alcune Università e politecnici italiani producono e attraggono ottimi studenti. Bisogna agire in modo che il fenomeno si espanda e si consolidi. Bisogna fare si che quegli studenti stranieri si fermino. E stato utile aver semplificato i rinnovi dei permessi di soggiorno per motivi di studio, aver prolungato di un anno il permesso per trovare lavoro a studi conclusi, è bene incoraggiare le Università a togliere il requisito della cittadinanza per le borse di studio, è bene aver semplificato la procedure di riconoscimento dei titoli di studio ottenuti all'estero. Ma è tutto il nostro sistema di istruzione che ha bisogno di profonde riforme, ce lo hanno ricordato in tempi recenti i Ministri Giovannini e Carrozza, il Governatore Visco. La strada da seguire è nota: cominciare ai insegnare ai molto piccoli, quando si costruiscono le basi logiche e linguistiche, investire sulla qualità degli insegnanti. La ricetta va adottata a maggior ragione per gli studenti di origine immigrata.
Quelli nati in Italia se la cavano più o meno come gli italiani, lo scarto è piccolo. Questo non significa che su di loro, come su tutti i piccoli studenti in difficoltà a causa del contesto, non si debba intervenire tempestivamente. Una strategia intelligente è quella già adottata: investire nei nidi e nelle materne dove sia il disagio economico, sia gli insuccessi e gli abbandoni scolastici sono più frequenti, utilizzando allo scopo anche i fondi europei disponibili. Se vogliamo contrastare lo svantaggio culturale, non basta includere però le quattro regioni meridionali incluse nell'obiettivo convergenza dell'Unione Europea, non dobbiamo dimenticare le zone degradate di tante città del Nord, dove risiedono pure famiglie immigrate. Non dobbiamo trascurare questo aspetto cruciale nella ricostruzione della massacrata Sardegna, che soffre da tempo di un svantaggio educativo.
Per gli studenti di famiglie immigrate lo svantaggio rispetto ai nazionali aumenta se non sono nati in Italia: crescono i ritardi e gli abbandoni scolastici, peggiorano i voti. Volendo affrontare questo problema ci si scontra però con un'altra categoria di persone: gli altruisti irrazionali. Lo abbiamo visto anche di recente quando in una scuola media di Bologna si è riproposta la soluzione di una classe riservata a studenti stranieri che non conoscono ancora abbastanza l'italiano. Le classi di inserimento ci sono in tutta Europa e nessuno si lamenta. Anzi, se vogliamo aiutare i ragazzi a integrarci, possiamo cominciare a farlo nei paesi di origine, con quelli in attesa di ricongiungimento familiare. Dovremmo investire nell'insegnamento a distanza, con strumenti telematici. Questo abbasserebbe i costi e consentirebbe di utilizzare su bacini di utenti più ampi insegnanti specializzati per varie fasce di età nell' italiano come seconda lingua. Un po' più di altruísmo razionale, meno ideologico gioverebbe in generale al nostro Paese.



Settemila minori stranieri arrivati in Italia da soli. Come Amir
Corriere.it, 25-11-2013
Paolo Riva
La settimana scorsa Amir è tornato alla Casa della carità perché aveva una buona notizia da dare ad amici ed educatori. Non sapeva che la fondazione che per diversi mesi aveva ospitato lui, quella sera avrebbe ospitato invece la presentazione di un libro che lo riguardava molto da vicino. “Cercare un futuro lontano da casa”  è un volume che raccoglie dieci storie di minori stranieri non accompagnati. Amir, che è arrivato in Italia quasi due anni fa e ha compiuto diciott’anni da pochi mesi, è stato uno di loro.
    “Abbiamo scritto questo libro – spiegano lo psichiatra Giancarlo Rigon e il religioso dehoniano Giovanni Mengoli – perché, da un lato, volevamo raccontare l’umanità ferita di questi ragazzi e, dall’altro, perché quello dei Msna (minori stranieri non accompagnati) è ancora un fenomeno sommerso”.
 Save the Children stima, per difetto, che siano più di 7mila i minori provenienti da paesi non europei che hanno raggiunto l’Italia da soli, senza un adulto di riferimento che sia per loro legalmente responsabile.
    “Sulla loro accoglienza credo che si veda una delle contraddizioni più forti tra i valori in cui crediamo e la loro messa in pratica” ha detto Gad Lerner aprendo la serata cui hanno partecipato, insieme agli autori, anche l’onorevole Sandra Zampa e il presidente della Casa della carità don Virginio Colmegna.
In effetti, per avere un’idea del trattamento che l’Italia riserva a molti di questi giovani, basta pensare ai minori sbarcati a Lampedusa che fino a pochi giorni fa dormivano all’aperto, anche con la pioggia.
    Oppure alla storia di Amir che, a sedici anni, dopo essere partito dall’Egitto e aver attraversato il Mediterraneo, è approdato a Milano e ha trascorso diversi giorni vivendo per strada prima di trovare posto, grazie al Comune di Milano, alla Casa della carità.
In via Brambilla, all’interno di un progetto sperimentale con una ventina di altri giovani, è stato seguito nel delicato passaggio verso la maggiore età e accompagnato verso l’autonomia.
    “La mia vita è qui”
dice Amir anticipando le tappe di un futuro su cui non ha dubbi: avere un’occupazione stabile, risparmiare, trovare casa, sposarsi e fare due figli. E alla Casa della carità, ora che abita in un appartamento di seconda accoglienza, era tornato proprio per annunciare di aver fatto un nuovo passo.
     “Ho un lavoro” ha spiegato raggiante e orgoglioso. “E l’ho trovato da solo, tutto da solo. Col contratto: sei mesi, per cominciare. Faccio il meccanico”.
Sandra Zampa conferma. “Questi ragazzi – spiega la vice presidente della Commissione bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza  che sul fenomeno ha condotto un’indagine – sono combattivi. Hanno dei progetti di vita ben chiari e li vogliono realizzare: vogliono lavorare, mantenersi e sostenere le famiglie nel Paese d’origine. E’ un dato strutturale, ma continuiamo a considerarlo un’emergenza”. E come tale viene finanziata.
    “I costi dell’accoglienza di questi minori – aggiunge Mengoli – sono oggi a carico dei comuni perché non esiste un fondo nazionale. Eppure non stiamo parlando di grandi numeri, ma di alcune migliaia di giovani”.
Che, in assenza di un piano complessivo, rischiano di venir poco considerati da enti locali con sempre meno risorse.
Per cercare di migliorare la situazione, Save the children, lo scorso luglio, ha portato in Parlamento una proposta di Disegno di Legge organico per la Protezione e la Tutela dei Minori Stranieri non Accompagnati in Italia. Sandra Zampa è stata una dei primi firmatari, insieme a un gruppo eterogeneo di deputati che va dal PDL al M5S, escludendo la sola Lega. Nonostante l’interesse bipartisan, però, l’iter per arrivare all’approvazione è ancora lungo.
    E don Virginio Colmegna ha poca pazienza. “Ho fretta perché penso che, come Paese, siamo in ritardo” spiega. “Questi giovani, negli anni a venire, saranno a tutti gli effetti una parte della nostra cittadinanza. Accoglierli nel modo giusto significa investire nel nostro futuro, non solo nel loro”.


 

Bangla tour, un coro di condanne Il sindaco: "Basta odio razzista"
L'allarme per i pestaggi ai bengalesi. Il Pd: inedita forma di bullismo. Forza Nuova: "Le accuse al nostro movimento sono assolutamente false e inventate"
la Repubblica.it, 25-11-2013
FEDERICA ANGELI e GIUSEPPE SCARPA
Il Bangla Tour, il pestaggio di ragazzi del Bangladesh da parte di minorenni vicini alla destra romana, diventa un caso politico. Dopo la pubblicazione dell'inchiesta di Repubblica sul fenomeno dei raid contro i "bengalini" fatti da adolescenti, la presa di distanza nei confronti di questa violenza gratuita un po' per noia e tanto per un credo politico che combatte l'immigrazione clandestina  è unanime. Primo tra tutti il sindaco Ignazio Marino: "Roma non sarà mai la Capitale della discriminazione e dell'odio. Per questo motivo è compito di tutti noi impegnarci affinché la cultura dell'accoglienza diventi un valore predominante della nostra società. Quel che addolora di più è sapere che a compiere queste aggressioni sono dei ragazzi, in alcuni casi neanche maggiorenni". "Roma nel 2013 non può tollerare tutto questo - ha dichiarato Sveva Belviso, capogruppo di Nuovo Centro Destra - il razzismo è una cosa ignobile e i raid contro i cittadini bengalesi rappresentano la spia di un problema più vasto di intolleranza. Le forze democratiche, tutte senza distinzione di colore politico, non debbono lasciare spazio a tutto questo che va condannato con fermezza".
"Questa forma di bullismo politico violento e inedito - rincara la dose il consigliere comunale Pd Athos De Luca - è preoccupante. E avendo una valenza politica ci dovrebbe essere qualcuno di quell'area che prende le distanze". E infatti Forza Nuova, chiamata in causa da uno dei minorenni arrestato al termine di un Bangla Tour che frequentava appunto la sede dell'Appio da cui partiva la caccia ai bengalesi, si allinea alla condanna. Prima con un comunicato della segreteria di Roberto Fiore, leader di Forza Nuova: "Le accuse mosse nei confronti del nostro movimento sono assolutamente false, inventate e senza alcun fondamento. In un momento di evidente espansione del Movimento si ricorre alla calunnia ledendo i nostri fondamentali diritti civili, e tentando di fomentare un clima di odio verso Forza Nuova ed i suoi militanti, costruendo tensioni sociali in modo artificiale ed irresponsabile".
E ancora, ieri, dall'ufficio stampa del movimento: "Forza Nuova non ha legami con i Bangla Tour. Non abbiamo mai predicato la violenza e il nostro movimento politico
non la giustifica. Non siamo coinvolti in questi raid di violenza contro immigrati, al contrario nella nostra sede dell'Appio, che è un caffè letterario senza bandiere naziste appese, spesso i nostri dibattiti sono mirati a interventi nei confronti di stranieri bisognosi. Dispiace che Forza Nuova sia stata associata a queste "crociate anti immigrazione" quando ci impegnamo, soprattutto i giovani, in iniziative costruttive e non basate sul disprezzo del prossimo".



Una vita di frontiera - A Lampedusa dopo più di un mese dal naufragio del 3 ottobre
La vita sospesa degli abitanti, l’attesa dei migranti. Un’isola trasformata in caserma
Melting Pot Europa, 22-11-2013
Nicola Grigion
Ad un mese e mezzo dalla drammatica notte del 3 ottobre scorso siamo tornati a Lampedusa per raccontare la realtà dell’ultimo lembo di terra a Sud dell’Europa proprio quando sull’isola si sono spenti i riflettori dei media e la vita torna ad essere quella di sempre, alle prese con doppi turni nelle scuole, senza un ospedale dove poter partorire, con la benzina più cara d’Europa, sospesa nell’incertezza di chi vive una vita il cui destino è deciso altrove.
Sull’aereo che parte da Palermo c’è con noi Giusi Nicolini, il Sindaco che ha portato la voce degli isolani fino Bruxelless. Gli altri passeggeri sono in gran parte volontari che una volta usciti dall’aeroporto andranno a gonfiare le fila di grandi e piccole associazioni che hanno costruito progetti sull’isola.
Noi alloggiamo davanti ad un’immensa struttura blu che si trova all’interno dello scalo aereo: è l’hangar in cui per molti, troppi giorni, sono state custodite le bare delle vittime del naufragio. Da lì iniziamo a muoverci verso il porto. Quando si apre di fronte a noi il vento inizia a soffiare forte. Il mare è molto mosso e rende impossibile imbarcarsi, così, per il momento, gli arrivi si sono diradati facendo calare il sipario sullo spettacolo del confine. L’impressione però è che questa sia solo una tregua concessa all’isola, in attesa che riprenda lo scontro tra le spinte di chi fugge dalla miserie e la potente macchina che vorrebbe ingabbiarle: un copione divenuto ormai la quotidianità di Lampedusa.
Ci avviciniamo al molo dove erano allineati i corpi restituiti dal mare lo scorso 3 ottobre. Ora è vuoto. Le onde sono altissime e lo sovrastano. Quando si ritirano, dopo essersi infrante sul cemento della banchina, sembrano volersi portare via i segni della tragica notte in cui hanno inghiottito tutte quelle vite umane. Anche la politica, come il mare, è capace di cancellare in un istante le tracce delle sue brutalità, ma non fa altrettanto l’isola. A fatica ricomincia la routine quotidiana. Le attività commerciali vanno via via chiudendo, l’estate è lontana ed il vento di tramontana anticipa l’inverno. Il ricordo di quei tragici giorni non è però sbiadito. Piuttosto Lampedusa sembra aver ammortizzato il colpo come solo chi ne ha incassati tanti nella sua storia riesce a fare. Uno dopo l’altro, almeno tanti quante sono le carrette accatastate al cimitero delle barche che ormai non riesce più a contenerle.
Gli abitanti popolano le strade per qualche ora al giorno. La presenza più massiccia è invece quella militare. Ad ogni angolo ci sono mezzi della Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, uomini dell’Aeronautica, della Marina, dell’Esercito e della Croce Rossa. Non manca nessuno. L’occupazione di Lampedusa non è però ostentata. Sembra piuttosto di vivere all’interno di un’enorme caserma. Un grande carrozzone che ruota intorno al presidio del confine e che a queste latitudini non fa più clamore. Una normalità che non riesce però a far vivere una vita più tranquilla agli abitanti.
Domenica notte al porto sono approdate circa sessanta persone, quasi tutte di nazionalità nigeriana. Intanto la flotta di Mare Nostrum, l’operazione messa in campo dal governo in risposta alla tragedia del 3 ottobre, pattuglia il Canale di Sicilia. Ma nonostante gli arrivi dei migranti si siano diradati, l’ultimo natante soccorso, così come quelli che hanno eluso i controlli della Marina nelle scorse settimane, testimonia l’assoluta impotenza dei pattugliamenti di fronte all’infernale circuito dei viaggi della speranza a cui è costretto chi fugge dalla guerra per la mancanza di alternative di ingresso regolare e sicuro. E’ la stessa Giusi Nicolini a sottolineare la fragilità della risposta targata Mare Nostrum. L’abbiamo incontrata in Municipio dove una lunga fila di lampedusani la attendeva. Lei riceve tutti. Il giorno prima, a S.Giovanni Michele Boscagli, ritirava un premio che potrebbe tradursi in un nuovo ecografo per le donne dell’isola, oggi invece discute l’itinerario del pullman che porta al poliambulatorio, di una iniziativa per incentivare la raccolta differenziata, di delibere ed atti degli anni precedenti da annullare. Il filo diretto con Roma e Bruxelless non si interrompe ma al tempo stesso gli isolani la reclamano per risolvere tutti quei piccoli grandi problemi ereditati dalle amministrazioni passate. Le misure di compensazione promesse del Governo non risolveranno tutti i problemi ma sono una boccata d’ossigeno per chi deve fare i conti con anni di gestioni clientelari e scelte scellerate. “Gli sbarchi si sono temporaneamente diradati – ci dice - ma è evidente che il problema sta a monte e va ricercato nelle politiche europee e nel modo in cui l’Europa intende gestire le sue frontiere”. E poi c’é il centro di accoglienza, con la polemica sulle condizioni in cui vengono accolti i richiedenti asilo. “E’ incredibile che un pezzo di territorio sia sottratto alla giurisdizione del Sindaco e dei cittadini. Ora il CPSA è stato quasi totalmente svuotato e questo è un un ottimo risultato, ma se non ci si attrezza per gestire questa questione di chi fugge dalle guerre in maniera diversa, il problema si ripresenterà allo stesso modo una volta che gli sbarchi riprenderanno.
Proprio il CPSA è stato al centro di un’accesa polemica nei giorni successivi al 3 ottobre, quando le persone confinate al suo interno erano centinaia. Dormivano in sistemazioni di fortuna all’aperto, in molti senza letto, i servizi igienici erano in condizioni deplorevoli. Tra loro c’erano molti minori. Poco dopo il nostro arrivo abbiamo incontrato alcuni operatori di un’organizzazione internazionale presente sull’isola che ci hanno descritto il quadro della situazione. Nel centro ora di minori non ce ne sono più. Sono stati tutti trasferiti dopo la denuncia di Save The Children. In molti hanno già fatto perdere le loro tracce. “Durante quest’ultimo mese – dicono gli operatori – abbiamo lavorato in una condizione veramente caotica”. Entrare ed uscire dalla struttura è un’operazione complessa, che richiede molto tempo per la consegna delle liste, ottenere le autorizzazioni e superare la trafila dei controlli. A questo va aggiunta l’incertezza che ha regnato in questo periodo sull’isola.
La composizione delle persone arrivate in queste settimane li ha colpiti particolarmente. “C’erano molte famiglie siriane con figli altamente scolarizzati, persone distinte che in Siria occupavano posizioni di rilievo. Sono in fuga dalla guerra ma si sono portati dietro tutta la loro dignità. Erano addirittura disposti a pagarsi un albergo per alloggiare in un luogo degno, invece sono stati costretti a vivere in quelle condizioni a Contrada Imbriacola”. Nello stesso periodo sono arrivati moltissimi rifugiati dal Corno d’Africa, come gli eritrei sopravvissuti al naufragio. Tra i più giovani le strategie per superare il trauma vissuto sono le più disparate. “Scherzano tra loro ricordando quei momenti – ci racconta un operatore – anche questo è un modo per elaborare l’esperienza. Prendono in giro chi si è salvato solo grazie all’aiuto di un adulto, oppure chi è arrivato sul molo senza pantaloni perché in acqua, qualcuno, poco più sotto di lui, glieli ha strappati nel tentativo di non affogare”.
Il centro cerca di celare queste storie. Ora le presenze lì dentro sono decisamente calate e non non vanno oltre le centocinquanta persone. Alcuni saranno trasferiti a breve. La tensione intanto è stata scaricata sulla Sicilia, dove vengono allestiti continuamente nuovi centri informali che riscrivono la cartografia del confinamento. A Contrada Imbriacola non sono però cambiate le condizioni della struttura. Ai cancelli un presidio dell’Aviazione e dell’Esercito ha l’ordine di gestire gli ingressi e le uscite, mentre Polizia e Carabinieri controllano l’interno. A rendere più semplice il loro lavoro ci pensa però il varco, ormai pluriennale, ricavato nella rete che si trova sul retro, da cui i migranti entrano ed escono senza distrarre dai loro tablet i militari ai cancelli. Una vera e propria valvola di decompressione. Così i ragazzi eritrei passeggiano a drappelli per le vie del paese in attesa del tanto sperato trasferimento sulla terra ferma. Li abbiamo incontrati davanti alla sede dell’Archivio Storico di Lampedusa, un’associazione culturale che ha ricostruito la memoria dell’isola attraverso un decennale lavoro di recupero di immagini e materiali. Sullo schermo posizionato in vetrina va in onda un film in lingua eritrea scaricato appositamente per loro. La panchina davanti alla sede è diventata il salotto dove trascorrono qualche ora fuori dalle mura del centro di accoglienza. Nino Taranto, fondatore dell’associazione, ci spiega che, dopo aver visto i migranti fermarsi spesso davanti alla tv, incuriositi dai documentari messi in onda, ha deciso di offrirgli qualche ora di distrazione. “La cultura è un mare che unisce”, ci tiene a sottolineare.
Parliamo con i ragazzi. Non sono minori ma basta guardarli in faccia per capire che in pochi superano i vent’anni. Alcuni sono qui da poco, altri dall’inizio di novembre, in sedici invece vivono a Contrada Imbriacola dal 4 ottobre scorso. Sono i sopravvissuti del naufragio di cui ha parlato tutto il mondo. Anzi, di più, sono i testimoni chiave dell’inchiesta aperta sui fatti di quella notte dalla Procura di Agrigento. Tra loro c’è anche il ragazzo che ha riconosciuto gli scafisti, il somalo ed il palestinese che insieme ai militari libici si sono resi protagonisti degli stupri alle donne e delle violenze contro di loro. Non hanno molta voglia di parlare, ma quando capiscono perché siamo sull’isola rompono gli indugi. Yoseph (nome di fantasia) ci racconta il suo percorso verso l’Europa. Partito nel 2009 dall’Eritrea, ha vissuto e lavorato due anni in Etiopia dove ha raccolto il denaro per proseguire il suo viaggio. In seguito si è trasferito nel Sud del Sudan dove ha trovato un impiego per un altro paio d’anni. Poi è venuto il momento di ripartire. La sua storia segue il copione delle tante altre che abbiamo sentito ripetutamente in questi anni. Quella delle violenze e delle brutalità subite nel circuito della compravendita di esseri umani che ancora caratterizza la Libia, nonostante la caduta di Gheddafi. Varcato il confine, i trafficanti a cui aveva pagato la bellezza di quattromila dollari, lo hanno venduto ai militari. Imprigionato nelle carceri libiche ha pagato ancora per essere rilasciato e consegnato ad un’altra organizzazione dedita alla tratta, che gli ha permesso di raggiungere Bengasi. Poi si è imbarcato. Ora, dopo aver lasciato molti amici sul fondo del mare ed essersi separato dagli altri ottantanove compagni di viaggio trasferiti a Roma, di cui si sono già perse le tracce, spera solo di lasciare Lampedusa. La sua nuova prigione. Ha testimoniato contro gli scafisti e si ritrova rinchiuso in condizioni disumane nel CPSA. Vuole lasciare l’isola ma le autorità hanno paura che varchi il confine Italiano per raggiungere altre mete, rendendo vana l’inchiesta. Ma non c’è davvero un altro modo per assicurarsi la sua testimonianza?
A rendere probabile la sua fuga non è un’irragionevole attrazione per gli stati del Nord Europa, ma sono le condizioni indegne del sistema di accoglienza a cui l’Italia costringe i rifugiati. Per questo in molti sono disposti a pagare e rischiare ancora – dice - anche una volta calcato il suolo italiano, per rimettersi in viaggio.
Prima di prendere l’aereo che ci riporterà indietro ritroviamo Giacomo Sferlazzo con cui abbiamo condiviso le nostre giornate. E’ il punto di riferimento di Askavusa, l’Associazione culturale che in questi anni non ha mai smesso di urlare al mondo intero la sofferenza di Lampedusa. Ci aveva chiesto di respirare l’aria che tira per le strade del centro, di entrare nei bar, di vivere la quotidianità di questo pezzo di terra più vicino all’Africa che all’Europa. Ci salutiamo dandoci appuntamento per gennaio quando da queste parti si ritroveranno i movimenti euromediterranei per scrivere “la carta di Lampedusa” e dar vita ad una campagna contro le attuali politiche sull’immigrazione.
Dopo averlo ascoltato a lungo ce ne andiamo con più certezze. In fondo rivendicare i diritti dei migranti che fuggono dalle persecuzioni non è cosa diversa da reclamare quelli degli abitanti di Lampedusa. Costretti a vivere da diverse angolazioni la precarietà della vita, ma accomunati da una sola grande necessità: cambiare la geometria dell’Europa, qualunque sia il colore della tua pelle.



Cittadinanza onoraria ai figli degli immigrati
L’iniziativa del sindaco di Cerrione: «Un gesto simbolico, ma un passo avanti verso l’integrazione»
La Stampa, 24-11-2013
valentina roberto
CERRIONE -L’integrazione passa da piccoli gesti simbolici e il Comune di Cerrione per venire incontro a molti dei suoi abitanti di origine straniera, ha deciso di concedere la cittadinanza onoraria ai figli di immigrati nati in Italia. Sono 30 ragazzi, di età compresa tra i 5 e i 25 anni, che domani potranno fare un passo in avanti sulla strada dell’integrazione.  
«Non c’è ancora una legge che dia la possibilità ai figli nati in Italia da immigrati di ottenere la cittadinanza - spiega il sindaco Anna Maria Zerbola - e noi con questo provvedimento simbolico vogliamo accenderei riflettori su questa tematica così attuale». In effetti solo qualche mese fa le cronache nazionali si erano occupate della questione se dare o meno la cittadinanza a chi è nato in Italia: a proporre una riflessione era stato il ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge, poi il dibattito si era arenato.  
Ora però a prendere l’iniziativa sono i sindaci di molte città italiane: Cerrione, in questo senso, ha aderito al progetto dell’Unicef «Io come tu, mai nemici per la pelle», iniziativa sostenuta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «La cittadinanza onoraria - aggiunge il sindaco Zerbola - non cambia lo status di questi ragazzi, ma è un segnale importante che un’istituzione deve dare. Non dimentichiamoci che sono ragazzi che condividono tutto il percorso scolastico con i loro coetanei italiani e dare loro la cittadinanza onoraria è un passo avanti dal punto di vista culturale. Aggiungo che l’iniziativa non ha alcun costo per il Comune».  
La proposta della giunta sarà discussa nel Consiglio comunale di lunedì sera e sicuramente non mancherà il confronto con i componenti della minoranza. 

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