Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

23 settembre 2010

ROM E IMMIGRATI
Il razzismo viene dall'alto
il manifesto, 23-09-2010
Jacques Rancière
Vorrei proporre alcune riflessioni attorno alla nozione di "razzismo di Stato". Queste riflessioni si oppongono a un'interpretazione molto diffusa delle misure prese di recente dal governo francese, dalla legge sul velo fino all'espulsione dei rom. Questa interpretazione vi vede un'attitudine opportunista che mira a sfruttare i temi razzisti e xenofobi a fini elettorali. Questa supposta critica riprende il presupposto che fa del razzismo una passione popolare, che lo considera la reazione impaurita e irrazionale degli strati retrogradi della popolazione, incapaci di adattarsi al nuovo mondo, mobile e cosmopolita.   
Lo Stato è accusato di venir meno ai propri principi mostrandosi compiacente nei confronti di queste popolazioni. Ma al tempo stesso questa critica rafforza la posizione dello Stato in quanto rappresentante della razionalità di fronte all'irrazionalità popolare. Questa posizione, adottata dalla crìtica "di sinistra", è esattamente la stessa in nome della quale la destra da una ventina d'anni a questa parte ha adottato un certo numero di leggi e di decreti razzisti. Tutte queste misure sono state prese in nome di una stessa argomentazione: ci sono problemi di delinquenza e di degrado causati dagli immigrati e dai clandestini, che rischiano di scatenare il razzismo se l'ordine non viene ripristinato. Bisogna quindi sottoporre questi atti di delinquenza all'universalità della legge, per evitare che creino dei disordini razzisti.
È un gioco delle parti che è in atto, a sinistra come a destra, dalle leggi Pasqua-Méhaignerie del 1993. Consiste nell'opporre alle passioni popolari la logica universalista dello stato razionale, cioè di dare alle politiche razziste di Stato una patente d'antirazzismo. Sarebbe l'ora di rovesciare questa argomentazione e di sottolineare la solidarietà tra la "razionalità" statale all'origine di queste misure e questo avversario complice e comodo - la passione popolare - che essa sfrutta per meglio brillare. Nei fatti, non è il governo che agisce sotto la pressione del razzismo popolare e in reazione alle passioni cosiddette populiste dell'estrema destra. È la ragion di Stato stessa che alimenta il razzismo, a cui affida la gestione immaginaria della propria legislazione reale.
Una quindicina di anni fa avevo proposto il termine di razzismo freddo per designare questo processo. Il razzismo con cui abbiamo oggi a che fare è un razzismo freddo, una costruzione intellettuale. È, prima di tutto, una creazione dello Stato. La natura stessa dello Stato è di essere uno Stato di polizia, un'istituzione che stabilisce e controlla le identità, i luoghi e gli spostamenti, un'istituzione in lotta permanente contro tutto ciò che sfonda le identità da lui stabilite, anche quando questo sfondamento delle logiche identitarie è costituito dall'azione dei soggetti polìtici. Questo lavoro è reso più pressante dall'ordine economico mondiale. I nostri Stati sono sempre meno in grado di contrapporsi agli effetti distruttori della libera circolazione dei capitali sulle comunità di cui devono occuparsi. Ne sono incapaci, tanto più che non lo vogliono nemmeno. Ripiegano quindi su ciò che resta in loro potere, la circolazione delle persone. Prendono come oggetto specifico il controllo di quest'altra circolazione e presentano come obiettivo la sicurezza delle popolazioni nazionali minacciate dai migranti. Si tratta, in altri termini, più precisamente della produzione e gestione del sentimento di insicurezza. Questa attività diventa sempre più la ragion d'essere degli Stati e il mezzo della loro legittimazione.
Di qui un uso della legge che ottempera due funzioni essenziali: una funzione ideologica, che si configura nel dare costantemente corpo al soggetto che minaccia la sicurezza; e una funzione pratica, che porta a ridefinire costantemente la frontiera tra il dentro e il fuori, a creare costantemente delle identità fluttuanti, suscettibili di far cadere "fuori" quelli che finora erano "dentro". Legiferare sull'immigrazione ha voluto dire, in un primo tempo, creare una categoria di sub-francesi,   facendo   cadere nella categoria fluttuante degli immigrati persone che erano nate sul territorio francese da genitori nati francesi (i giovani francesi delle banlieues di seconda o terza generazione). Legiferare sull'immigrazione clandestina ha voluto dire far cadere nella categoria dei clandestini degli "immigrati" regolari, È sempre la stessa logica che ha portato all'uso recente della nozione di "francese di origine straniera". Ed è questa stessa logica che ha preso di mira oggi i rom, creando, contro il principio della libera circolazione nello spazio europeo, una categoria di europei che non sono veramente  europei,   allo   stesso modo in cui ci sono dei francesi che non sono veramente francesi. Per costituire queste identità in sospeso lo stato non si preoccupa di cadere in contraddizione, come si è visto con le misure relative agli "immigrati". Da un lato sono state varate delle leggi discrirninatorie e delle forme di stigmatizzazione fondate sull'idea dell'universalità civile e dell'eguaglianza di fronte alla legge. Sono quindi previste sanzioni e/o vengono stigmatizzati coloro le cui pratiche si oppongono all'eguaglianza e all'universalità civica. Ma, dall'altro lato, all'interno di questa cittadinanza simile per tutti sono state imposte   delle   discriminazioni,   come quella che distingue i francesi "di origine straniera". Dunque, da un lato tutti i francesi sono eguali e guai a coloro che non lo sono, e dall'altro tutti non sono eguali e guai a coloro che lo dimenticano)
Il razzismo attuale è quindi prima di tutto una logica statale e non una passione popolare. E questa logica statale è sostenuta in primo luogo non da non si sa bene quali gruppi sociali arretrati, ma da una buona parte dell'elite  intellettuale.  Le  ultime campagne  razziste non  sono per nulla il frutto dell'estrema destra  cosiddetta  "populista". Sono state condotte da un'intellighentia che si rivendica come tale e di sinistra, repubblicana e laica. La discriminazione non è più fondata sull'argomento delle razze superiori e inferiori. Ma si articola in nome della lotta contro il "comunitarismo", in nome dell'universalità della legge e dell'eguaglianza di tutti i cittadini nei confronti della legge e in nome dell'eguaglianza dei sessi. Anche in questo caso, non si fa troppo caso alle contraddizioni; questi argomenti sono avanzati da gente che, in altre occasioni, fa ben poco caso all'eguaglianza e al femminismo. Nei fatti, l'argomentazione ha soprattutto l'effetto di creare l'amalgama richiesto per identificare l'indesiderabile: l'amalgama tra migrante, immigrato, arretrato, islamista, machista e terrorista. Il ricorso all'universalità è nei fatti utilizzato a vantaggio del suo opposto: l'insediamento di un potere statale di decidere a discrezione chi appartiene e chi non appartiene alla classe di coloro che hanno il diritto di essere qui, il potere, in breve, di conferire e di annullare delle identità. Questo potere ha un correlato: il potere di obbligare gli individui ad essere identificabili ad ogni istante, a mantenersi in uno spazio di visibilità integrale nei confronti dello Stato.
Vale la pena, da questo punto di vista, di tornare sulla soluzione trovata dal governo francese al problema giuridico posto dalla proibizione del burqa. Era difficile fare una legge che fosse specifica per alcune centinaia di persone di una religione determinata. Il governo ha trovato la soluzione: una legge che impone la proibizione generale di coprirsi il volto nello spazio pubblico, una legge che riguarda al tempo stesso la dorma con il velo integrale e il manifestante con il volto dissimulato o coperto da un foulard. Il foulard diventa così l'emblema comune del musulmano arretrato e dell'agitatore terrorista. Questa soluzione - adottata, come parecchie altre misure sull'immigrazione, con l'astensione benevola della sinistra - fa riferimento al pensiero "repubblicano". Ricordiamoci delle furiose diatribe del novembre 2005 contro i giovani dal volto coperto e con il cappuccio che agivano di notte (in occasione della rivolta delle banlieues). Ricordiamoci del punto di partenza del caso Redeker, il professore di filosofia minacciato da una. fatwa islamista. Il punto di partenza della furiosa diatriba antimusulmana di Robert Redeker era stato... la proibizione dello strìnga Paris-Plage (l'iniziativa estiva del comune di Parigi, con la spiaggia lungo la Senna). In questa proibizione, decretata dal sindaco di Parigi, Redeker vi aveva visto un atto di compiacenza nei confronti dell'islamismo, una religione il cui potenziale di odio e di violenza si era già manifestato nella proibizione di essere nudi in pubblico. I bei discorsi sulla laicità e l'universalità repubblicana si riassumono in definitiva nel principio che si deve essere interamente visibili nello spazio pubblico, sia questo fatto di pavé oppure di spiaggia. Concludo: è stata spesa molta energia contro una certa forma di razzismo -quella incarnata dal Fronte nazionale - e contro una certa idea di razzismo come espressione dell' "uomo comune bianco", che rappresenta gli strati arretrati della società. Buona parte di questa energia è stata recuperata per costruire la legittimità di una nuova forma di razzismo: razzismo di Stato e razzismo intellettuale "di sinistra". Sarebbe forse tempo di riorientare il pensiero e la lotta contro una teoria e una pratica di stigmatizzazione, di precarizzazione e di esclusione che oggi costìtuiscono un razzismo che viene dall'alto: una logica di Stato e una passione dell'intellighentia.



Rimpatri dei rom: «Nel mirino della Ue altri 15-16 Paesi»

A fine mese la Commissione si esprime sulla Francia Cresce il  fronte filo-Sarkozy. Maroni: legge lacunosa
Avvenire, 23-09-2010
DANIELE ZAPPALA
Dopo la burrasca politica e sociale in Francia, seguita poi dalla diatriba scoppiata fra Parigi e Bruxelles, il nodo dei limiti all'accoglienza dei rom si allarga del tutto sulla scena europea. Ieri, la Commissione Ue ha chiarito che le controverse disposizioni francesi di rimpatrio rappresentano solo il caso più evidente di un problema che toccherebbe, a livelli diversi di serietà, ben 15 o forse 16 Stati membri. Il pieno rispetto della direttiva sulla libera circolazione, stando a queste cifre, potrebbe rappresentare l'eccezione. E il problema sarebbe pure giuridico, poiché i Paesi nel mirino paiono aver trasposto in modo incompleto o distorto la direttiva. A confermare da Strasburgo lo scenario è stata Viviane Reding, la vicepresidente lussemburghese della Commissione già da settimane prima linea. Ma all'affondo di Bruxelles, ha reagito in giornata una sorta di "fronte mediterraneo" solidale con la Francia. Per il ministro dell'Interno Roberto Maroni, che rispondeva ieri alla Camera nel quadro del Question time, «la normativa europea c'è, ma è lacunosa, dispone condizioni che consentono di risiedere stabilmente oltre i 90 giorni, ma non concede agli Stati membri alcuna sanzione per poter dare esecuzione alla violazione di questa disposizione comunitaria». L'Italia ribalta dunque in parte le accuse di Bruxelles, denunciando il carattere incompleto della direttiva. Si tratta di «una posizione condivisa e sostenuta dalla Francia», ha precisato Maroni, esprimendo la speranza che «l'unione possa fare la forza» alio scopo di indurre Bruxelles a «stabilire regole» sulle sanzioni. A favore della liceità d'interventi repressivi da parte degli Stati si è dichiarato poi anche il premier spagnolo José Luis Zapatero, esprimendo a sua volta sostegno verso Parigi: «I principi dell'integrazione devono funzionare, ma deve anche essere rispettato l'ordine pubblico nei campi che non hanno le condizioni sanitarie e di sicurezza necessarie». Per Madrid, i provvedimenti francesi «sono stati decisi nel quadro dello stato di diritto». Questi forti segnali di convergenza non potranno lasciare indifferente la Commissione, che dovrebbe affrontare di petto la questione il 30 settembre in una riunione collegiale. Le verifiche di Bruxelles riguardano anche il rispetto di un'altra direttiva: quella del 2000 sulle discriminazioni. Su questo fronte, una decina di Paesi hanno già ricevuto avvertimenti e in alcuni casi per provvedimenti collettivi verso le popolazioni itineranti. La Germania, in particolare, resta nel mirino per la decisione di espellere 13mila rifugiati del Kosovo, in maggioranza gitani. Ieri, in proposito, anche il Consiglio d'Europa ha chiesto un dietrofront di Berlino.
Sull'uguaglianza razziale, ad eccezione del Portogallo, gli altri 9 cartellini gialli sono stati spediti verso il Nord: Belgio, Olanda, Irlanda, Gran Bretagna, Germania, Polonia, Lettonia, Lituania, Svezia. Secondo diversi esperti, la Francia rischierebbe soprattutto una procedura d'infrazione per violazione della libera circolazione. Intanto, alza la voce pure la Romania. Il presidente Traian Basescu ha detto ieri di aver chiesto a Sarkozy una tregua nelle espulsioni, senza ricevere una risposta «chiara». Attraverso una dura risoluzione, poi, il Parlamento rumeno giudica la Francia «in flagrante contrasto con le direttive e i trattati Ue». Fra i critici verso Parigi, si è schierato ieri persino Jacques Barrot, e
sponente storico dei neogollisti francesi ed ex vicepresidente della Commissione Ue. Per lui, in Francia «si è andati al di là del dovuto» e «la Chiesa ha fatto bene a esprimere il suo avvertimento». Un riferimento, questo, anche all'ultima dichiarazione dei giorni scorsi da parte della Commissione episcopale francese per la missione universale della Chiesa.



Rom, Zapatero appoggia Sarkozy Espulsioni non su base etnica"

la Repubblica, 23-09-2010
MADRID — Le espulsioni in Francia di immigrati irregolari che hanno coinvolto rom rumeni e bulgari non sono state decise per «ragioni etniche». Lo ha detto il premier socialista spagnolo, José Luis Zapatero, in un'intervista al WallStreet Journal ripresa dalla stampa di Madrid. Il capo del governo spende una parola a favore del presidente Sarkozy. E sottolinea che i rom «non sono stati espulsi dalla Francia a causa della loro origine etnica. I provvedimenti—ha precisato—sono stati decisi nel quadro dello stato di diritto». Secondo Zapatero, «i principi dell'integrazione devono funzionare, ma deve anche essere rispettato l'ordine pubblico nei campi che non hanno le condizioni sanitarie e di sicurezza necessarie».



L'Europa meticcia non può rifiutare irom

la Repubblica, 23-09-2010
JACQUES LE GOFF
LA DIRETTIVA del governo francese riguardo alle espulsioni era concepita in modo inammissibile: mettendo l'accento sull'identità dei rom risultava un'operazione discriminatoria e, al limite, razzista. Certo, la vicepresidente della commissione europea Viviane Reding, comparando la misura ai provvedimenti tedeschi durante la seconda guerra mondiale, ha evidentemente esagerato.
Ora, al di là delle reciproche scuse, è chiaro che in Europa esiste un problema e una questione dei rom.
È mia convinzione che questo problema debba essere regolato attraverso una politica specifica concordata in sede europea. Occorre varare un regolamento al cui rispetto siano tenuti tutti i paesi dell'Unione, al di là del fatto che il numero dei rom sia diverso in ciascun paese e che i governi europei oggi siano divisi tra quelli che hanno un atteggiamento piuttosto accogliente e quelli invece (come l'italiano) che sembrano porsi in maniera tendenzialmente ostile.
Penso che la cosa più importante da fare oggi sia aprire un confronto tra i rappresentanti di tre diverse parti: le diverse comunità rom, i governi nazionali e l'Unione europea.
Un tavolo di dialogo dovrebbe individuare, prima di tutto, dei luoghi deputati all'insediamento delle diverse comunità rom. Luoghi che i governi devono far rispettare ma che devono rispettare anche le stesse comunità rom. , C'è comunque nella storia una tendenza dei rom a installarsi e rimanere in luoghi specifici.
Il problema è reso più acuto dal fatto che i paesi europei dove i rom sono più numerosi — in particolare la Romania — sono anche quelli in cui la disoccupazione è più alta. Per questo credo che nei colloqui si dovrebbe affrontare anche il tema dell'occupazione.
Oggi l'attrito tra rom e gruppi di cittadini europei nasce da diverse questioni ancora insolute: una di queste è la resistenza di alcuni rom a far frequentare le scuole pubbliche nazionali ai propri figli. Io sono favorevole alla maggiore integrazione possibile dei rom nelle culture dei diversi paesi in cui risiedono, ma credo anche che potremo lasciare loro il compito di organizzare essi stessi l'educazione dei loro figli, a condizione che funzionari pubblici di diversi paesi possano sovrintendere al rispetto di alcune regole fissate di comune accordo. Dunque lascerei ai rom libertà nella scelta dei docenti degli orari e dei metodi dell'insegnamento ma con l'impegno che questo stesso insegnamento sia oggetto di una verifica da parte degli stati nazionali. Anche nel settore della sanità e della salute occorre cercare un compromesso tra la libertà dei rom di dove e come farsi curare e la verifica che queste cure siano effettivamente svol¬te.
Come storico credo che una progressiva realizzazione di una sempre più forte unione europea sia la strada giusta per risolvere il problema. Per riprendere un espressione di Jacques Delors il nostro spazio politico ha scelto di costruirsi come «Europa delle nazioni». E i rom si possono considerare a tutti gli effetti una nazione. Ecco perché credo che almeno una parte importante delle regole che si applicano alle nazioni europee potrebbero essere applicate ai rom. Tenendo conto che l'Europa è un insieme di diversità, anche se con forti somiglianze tra diversi paesi che la compongono.
Insomma, mi pare che l'essenziale sia la voglia di pervenire ad un accordo che non può che essere un compromesso, frutto di un dialogo. Naturalmente c'è un problema linguistico: i rom parlano sia lingue specifiche siala lingua del paese in cui risiedono, dunque la loro nazione non si distìngue per un'unica lingua. Ma questo è un problema che esiste anche altrove in Europa e anch'esso può trovare una ragionevole soluzione.
Come storico credo che ciò che ha contraddistinto l'esperienza millenaria dell'Europa siano stati il meticciato, la mescolanza delle culture e la loro progressiva integrazione.
L'Europa è nata dalla fusione tra i popoli cosiddetti romani o gallo romani o ispano romani (cioè quelli che diedero luogo a una prima integrazione) e i cosiddetti «barbari», una parola oggi bandita dagli storici. Oggi fortunatamente non disprezziamo più chi non pratichi una cultura cosiddetta superiore: gli storici e tutti coloro che hanno influenza sulla società dovrebbero mostrare come la caratteristica tipica dell'Europa sia proprio la sua capacità di integrazione nel rispetto delle diversità: una strada difficile ma possibile. Certo, le difficoltà di accogliere gli stranieri che si manifestano oggi in Europa nascono anche dal fatto che negli ultimi anni il numero di immigrati è cresciuto. Ma non dovremmo dimenticarci che nel periodo dell'antichità tardiva o del Medioevo le cifre relative ai cosiddetti barbari, celti, germani o slavi che si spostarono sul territorio europeo erano assai più grandi. A quell'epoca l'integrazione più importante fu quella provocata dalla cristianizzazione. Oggi la religione di per sé non può essere lo strumento principale di integrazione. Serve un progetto culturale comune nello spazio europeo: un progetto scientifico ma anche educativo. E poi è necessario lavorare anche sul regime politico: la forza dell'Europa è anche quella di essere composta da stati che con tutti i loro limiti sono tutti democrazie. La sinistra in particolare deve saper rispondere con maggior forza alla destra su questo tema. Il suo limite oggi è che purtroppo non riesce a combinare la giusta ostilità alle cattive politiche di discriminazione con un'alternativa efficace, capace di offrire soluzioni di ricambio concrete percorribili. Forse la nozione più falsa e pericolosa veicolata dal nazismo è proprio quella della purezza etnica. C'è bisogno oggi di un grande progetto capace di rifarsi proprio all'originalità dell'esperienza storica europea, capace cioè di ritrovare l'ingrediente storico della sua forza: il suo multiculturalismo, la sua abitudine al meticciato. Il presidente della repubblica francese — per fare solo un esempio — dovrebbe ricordarsi di essere ungherese.
Intervento raccolto da Giuseppe Laterza e pubblicato su www. laterza. it, il sito web della casa editrice da oggi rinnovato nei contenuti.



Il Caso- Dopo lo sgombero affrettato di viale Mencacci (dove resta il degrado), sembrano altre le questioni scottanti
Sono i rom il vero problema di Anzio?
Cinquegiorni, 23-09-2010
Sicurezza stradale, Impatto della crisi economica, influsso delle cosche sul territorio: sono solo alcuni dei punti sui quali l'Amministrazione e forze dell'ordine dovrebbero farci sentire. Invece, al momento, privilegiano l'allontanamento di un numero ristretto di nomadi (chiassosi ma poco pericolosi) perché ritenuti responsabili di furti e atti di vandalismo
Ordinanza anti rom e poi? Ad Anzio circa due settimane fa le forze dell'ordine in collaborazione con la polizia municipale hanno provveduto a sgomberare l'area verde di viale Mencacci, che veniva puntualmente usata come dormitorio da un gruppo di rom Per difendere il decoro urbano ed evitare eventuali furti, gli agenti hanno fatto sgomberare le roulotte dove i rom vivevano in precarie condizioni igieniche. Le foto a fianco illustrano però anche un altro quadro poco idilliaco: l'area verde è rimasta in uno stato di totale incuria e alcune pericolose batterie di auto (dannose per l'ambiente) fanno "bella" mostra. Chi ha provveduto allo sgombero evidentemente non ha pensato di disfarsi di questo materiale, che andrebbe smaltito in appositi contenitori. Oltretutto le azioni dell'Amministrazione e in questo
caso delle forze dell'ordine continuano a ignorare i problemi più scottanti del nostro territorio. Quello dei rom è un falso problema, anche perché al di la di una presenza chiassosa ed invadente, negli ultimi tempi non sì sono registrati furti e atti simili nella zona della stazione ferroviaria amiate. Gli stessi  rom peraltro proprio in questi giorni camminano indisturbati nelle vie centrali di Nettuno, a pochi km di distanza dall'area di viale Mencacci. L'area in cui è stato effettuato lo sgombero rimane incustodita, e nessuno finora ha preso provvedimenti per sfruttarla in modo più concreto o per renderla più decorosa (ad esempio creando un parco). L'Amministrazione in compenso ha pensato bene a restringere pericolosamente la carreggiata di viale Mencacci con la creazione di parcheggi che hanno ridotto enormemente la visibilità per gli automobilisti. Una via percorsa spesso da automobili di grande cilindrata che sfrecciano a ritmi da Formula uno, provocando incidenti mortali. Spesso i guidatori di queste vetture risultano imbottiti di alcol e cocaina, così come le macchine di solito fanno parte di un target riservato solo a persone con redditi molto elevati. L'ultimo censimento effettuato ad Anzio ci indica che solo il 2% dei residenti neroniani appartiene alla fascia economica medio alta, per non parlare dell'influsso sempre più concreto esercitato dalle cosche mafiose in zona. Sono i rom il vero problema di Anzio?



Cisterna, i rom se ne vanno

Latinaoggi, 23-09-2010
Hanno lasciato l'area dell'ex Nalco martedì sera
L'ALLARME Rom sembra essere rientrato a Cisterna. Martedì mattina una piccola carovana di roulotte bianche si era accampata in uno dei parcheggi che si trovano nell'area ex Nalco. La preoccupazione delle autorità è subito scattata. Sono stati gli uomini del Comando della Polizia Locale ad andare a parlare con il gruppo per comunicare loro che l'area non era adatta a quel tipo di accoglienza. La zona tra l'altro, soprattutto il mercoledì mattina, è usata come parcheggio per tutti coloro che si recano al mercato settimanale. Dopo l'incontro con i vigili di Cisterna, i gruppo Rom composto prevalentemente da nuclei familiari
con i loro bambini a seguito, ha deciso quindi di togliere le tende e di andarsene dalla città. Da  rilevare comunque che   si   trattava   di   un gruppo di Rom di etnia serba, gruppo che  per tradizione  si   sposta  in continuazione,   sostando   solo  per brevi periodi   nei   luoghi  in cui approda. E' un momento difficile per i rom, il confronto politico è ai più alti livelli dopo la ben nota situazione della Francia. Inoltre, nonostante in alcuni città si tentino approcci legati all'integrazione, rimane alto l'allarme per i minori che viaggiano con le loro famiglie. Ancora una volta il problema più grande rimane la scolarizzazione dei più piccoli che è praticamente assente. Fino a qualche tempo fa, una sorta di opera di mediazione culturale era a cura della Sala operativa e sociale della Provincia e della Prefettura, oggi però questa realtà è scomparsa.



Neanche noi vogliamo morire con burqa e sharia

Europa, 23-09-2010
Cara Europa, l'ultima impresa delle non-politiche dell'immigrazione, praticate dai nostri dissennati paesi progressisti e spensierati, è l'ingresso dell'estrema destra (che per ironia lassù si chiama "partito democratico") nel parlamento della felice Svezia: felice stando alla descrizione che ne fa Maurizio Ferrera sul Corriere della sera, ma ora a rischio per il 6 per cento conquistato da un partito che potrebbe diventare "xenofobo" se i geniali socialdemocratici che hanno governato per settantanni, a cui va la gloria dello stato sociale, e i moderati liberali che lo governano attualmente, non sapranno trovare risposte all'immigrazione incontrollata, che rischia di far saltare i tre pilastri (istruzione, salute, pensioni) su cui si fonda la civiltà del welfare e forse dell'intero modo di vivere svedese. Che ne pensate?
Nicolino Pietravalle, Pescara
Federico Orlando risponde- Vuol dire cosa ne penso io? Ebbene, caro Pietravalle, penso quel che pensa lei, e che nel Pd, in cui mi trovo e per cui voto, nessuno dice ma molti sussurrano. Penso che l'immigrazione incontrollata sia stata un crimine a scoppio ritardato dei nostri governi, con due attenuanti: la spinta immigratoria e nostre necessità di sviluppo. Ora quella politica è alle corde e sollecita risposte che Ferrera invoca ma non indica, e che nemmeno io saprei indicare. Faccio il giornalista e racconto i fatti, non sono politico e non faccio leggi. E da giornalista le racconto che la Svezia era veramente il felice Regno di Svezia descritto dal Corriere: l'unico paese dove la classe operaia, in realtà tutto il popolo, partecipava alle sfilate del primo maggio con la bandiera rossa in una mano e quella azzurro chiaro del regno nell'altra. Ma non è questo che mi colpiva. Mi colpiva, sbarcando (ora si va col ponte) da Copenaghen a Malmo, di passare dal lago dei cigni, qual era il porto danese, all'Eden dell'innocenza, qual'era la dirimpettaia città svedese. Sbarcavo e mi trovavo in un grande giardino, dove le mamme portavano i bimbi nelle carrozzelle o a giocare: le mamme, sulle panchine spargevano mangimi e gli uccelli saltavano sulle loro vesti e beccavano senza timore. Poi guardavo i bambini giocare fra pietre runiche e lapidi, e mi accorgevo che lo splendido giardino era il cimitero, la comunione di vivi e morti, come da noi non sarebbe accaduto neanche prima degli editti napoleonici (in Svezia, ironia?, regna l'ultima dinastia di quelle diffuse da Napoleone per l'Europa). Poi, quando da Stoccolma ero stanco di vedere cose grandi, magari underground per il freddo e il buio, prendevo un aereo e me ne andavo fra la neve a Umea, Lapponia, la più settentrionale università della Svezia. È stata l'unica università che ho visto al mondo (di recente i giornali ne hanno parlato per un'importante scoperta biologica), dove le case dello studente erano (credo siano ancora) per singoli o per coppie, e, se dalla coppia ci scappava un figlio, stanzino anche per il bebé.
Mi fermo, era questo il mondo della socialdemocrazia liberale o del liberalismo sociale prima che arrivasse l'ondata immigratoria e soprattutto islamica, che oggi costituisce un terzo della popolazione svedese. Una percentuale insopportabile soprattutto per la pretesa di imporre a un paese libero, a gente che non conosce altri limiti se non la legge comune e la propria legge morale, i feroci costumi islamici, dall'omicidio del regista Van Gogh che ha snaturalizzato la democrazia olandese alle pietre ch'erano state preparate per lapidare Sakineh. Molti immigrati considerano i nostri paesi solo "spazio vitale" (avrebbe detto Mussolini) da rimodellare e trasformare secondo i costumi portati dai loro mondi (a cui nella libéralissima America gli italiani hanno dovuto rinunciare perfino a Little Italy per diventare moderni). Ecco, caro Pietravalle, perché in Europa crescono piccoli (per ora) partiti antimmigrazione, che i guardiani dell'ortodossia demonizzano come "xenofobi". Non so se lo siano già. Temo fortemente che lo diventeranno se agli immigrati non saranno posti limiti di numero e di comportamento e offerte prospettive di integrazione. Perfino l'America oggi è costretta a fare sentinella alla sua frontiera messicana. Inutile? Ma se non ci provano i governi, ci proveranno i popoli, e sarebbe molto distruttivo per tutti, nativi e immigrati.



Francia: vescovi contro governo Sarkozy su nuova legge immigrati

Citta' del Vaticano, 22 set. - (Adnkronos) - "La famiglia e' il nucleo fondamentale della societa'. Per gli immigrati svolge un ruolo essenziale nella loro integrazione. Bisogna opporsi a qualsiasi misura che contribuisca a indebolirla". Rispondono cosi' i sette vescovi francesi della Commissione episcopale per la missione della Chiesa universale (Cemu) al progetto di legge sull'immigrazione proposto dal ministro dell'Immigrazione, Eric Besson, che sara' discusso entro settembre dall'Assemblea nazionale.



Prato
La sfida dell'inclusione nella città-laboratorio

Avvenire, 23-09-2010
MILANO -Partire dai figli per arrivare ai genitori. È la soluzione individuata da Prato, città-laboratorio per antonomasia sulla frontiera dell'integrazione. La presenza di una forte comunità cinese, che ha cambiato completamente il volto     
della citta toscana dagli anni Novanta, si avverte anche sui banchi di scuola, dove le  percentuali di studenti stra-         
nieri (non solo cinesi) raggiungono in alcuni casi il 60-70% alle elementari e alle medie. «Con la scuola secondaria la presenza di ragazzi immigrati si stabilizza  -conferma l'assessore all'Istruzione Rita Pieri - mentre continua ad aumentare, com'è accaduto con la riapertura delle scuole, quella di bimbi stranieri dai 3 agli 11 anni». La sfida è quella dell'inclusione e si gioca a più livelli. Innanzitutto creando (laddove non esiste) o rafforzando il legame tra scuola e famiglia. «In molti casi i genitori sono ancora un ostacolo all'incontro - racconta Giorgio Siili, assessore all'Immigrazione -. Prendiamo il caso di bambini cinesi nati in Italia, rispediti in Cina dalle famiglie e successivamente ritornati nel nostro Paese. A 8-9 anni magari non sanno una parola di italiano. Il nostro compito è in questo caso quello di aiutarli nell'apprendimento, non solo in aula». A Prato, nei mesi di luglio e agosto, sono stati organizzati con questo scopo dei campus estivi cui hanno partecipato 400 bambini stranieri. Nelle scuole molto viene fatto dagli insegnanti, con il sostegno di mediatori linguistici e cultu¬rali. Poi ci sono i progetti ad hoc, dai nomi evocativi: "Mosaici", che mette in contatto studenti di scuole diverse nella sperimentazione di laboratori artistici, teatrali e musicali, oppure "Ensemble", che permette alle famiglie di ricevere, via mms sul cellulare, i video con i programmi su quanto viene fatto in classe dai figli. «E un modo per condividere il percorso dei figli - conclude Siili - e per gli insegnanti è uno strumento per conoscere e farsi conoscere dai genitori stranieri».



Una mappa per raccontare l'accoglienza possibile

Avvenire, 23-09-2010
MILANO - Un Contratto con la scuola in cui l'istituzione formativa garantisce di rispettare le diverse culture "senza discriminazione" e si impegna ad inserire gradualmente il giovane straniero, chiedendo in cambio alla famiglia immigrata puntualità e partecipazione alle riunioni di classe. È uno degli aspetti più innovativi contenuti nel questionario, rigorosamente anonimo, fatto compilare da nove scuole milanesi per fare il punto sui processi di integrazione nelle classi della metropoli lombarda. Il lavoro, a cura di Milena Santerini, si intitola "La qualità della scuola interculturale" (Erickson) e fornisce un'interessante chiave di lettura delle dinamiche in corso. A Milano, da sempre al centro dei percorsi migratori, siamo alla fase tre: al periodo di assimilazione, «con l'inserimento di culture minoritarie con scarsa attenzione alla cultura d'origine», è seguito quello del multiculturalismo, «con la scoperta del pluralismo culturale ma anche con i conseguenti rischi di relativismo culturale». Ora siamo all'interculturalità, che caratterizza da vicino le scuole dell'hinterland e quelle della periferia all'insegna il più possibile di processi di reciprocità. «Scuole come la Casa del Sole o la Battisti - spiega Santerini, che è docente di Pedagogia generale alla Cattolica di Milano - dicono che gli immigrati sono davvero una risorsa e che dobbiamo resistere alla tentazione di concentrarli in singoli istituti». Lo dimostrano le mostre organizzate sui diritti dei bambini, a partire da quello di una famiglia in grado di farsi carico del futuro dei più piccoli.



Immigrati a scuola, rallenta la grande corsa

Avvenire, 23-09-2010
Diego Motta
Non è più la rivoluzione "colorata" di qualche anno fa, con classi che cambiavano volto da un anno con l’altro grazie all’arrivo di bambini provenienti da mezzo mondo. Ora l’immigrazione arriva sui banchi di scuola a ritmi sempre più graduali, addirittura rallentati rispetto al recente passato, e richiede una politica non più dettata dalla logica dell’emergenza, ma da un piano di integrazione effettiva.
Secondo dati riservati del ministero dell’Istruzione, nel 2010 il numero complessivo degli studenti stranieri in Italia si è attestato a quota 675mila, circa 45mila unità in più rispetto a un anno prima. Nell’anno scolastico 2008-2009 l’incremento era stato di 55mila, comunque in calo rispetto ai +70mila registrati nel periodo 2007-2008.
La crescita dei giovani immigrati è dunque confermata, ma si assiste nello stesso tempo a una progressiva stabilizzazione del fenomeno. Un rallentamento è in atto, dunque, mentre non accenna a diminuire la presenza degli immigrati di seconda generazione, sempre più alta nelle scuole dell’infanzia e nella scuola primaria, dove il 70% degli stranieri frequentanti ormai è nato in Italia. In media, i ragazzi nati in Italia da coppie straniere che oggi popolano le nostre classi sono oltre il 40% del totale: oltre quota 270mila. Consolidato, invece, è il quadro delle nazionalità più presenti, relativo all’ultimo dato disponibile dell’anno 2008/2009: in testa, secondo i numeri dell’ultimo dossier Caritas, ci sono i ragazzi romeni (105mila) seguiti dagli albanesi (92mila) dai marocchini (83mila) e dai cinesi (30mila). «La spiegazione più immediata è legata agli effetti della crisi economica» spiega Vinicio Ongini, che da tempo studia il fenomeno e che sul tema dell’integrazione nelle scuole ha scritto per Vallardi editore "Una classe a colori".
«Ci sono molte famiglie straniere che, per far fronte alle difficoltà della recessione, hanno preferito tornare nei propri Paesi d’origine». Un fatto non prevedibile solo tre anni fa, quando non a caso l’incremento delle presenze straniere ha toccato l’apice. «È una forma di immigrazione di ritorno, tipica peraltro in alcune comunità come quella marocchina, dove è abitudine rimandare a casa il figlio in età scolare proprio per ragioni economiche» osserva Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli. «Poi c’è un problema di minor attrattività del nostro Paese, dovuto sempre alla difficile congiuntura economica». Trovare lavoro, da un lato, e ottenere poi il permesso al ricongiungimento familiare con moglie e figli, dall’altro, sono considerati ostacoli enormi da affrontare, tali da rendere poco appetibile l’ingresso in Italia.
Quanto alla quota del 30% fissata dal ministro Mariastella Gelmini, con una circolare che chiariva il livello massimo consentito di stranieri per classe, va detto che con l’inizio del nuovo anno scolastico si è assistito a un vero e proprio boom di deroghe. A Milano, ad esempio, su 130 istituti che andavano oltre questo limite, nessuno ha rispettato l’obiettivo e lo stesso discorso vale anche per molte altre zone d’Italia. Le interpretazioni, poi, sono state diverse: in certi casi si è ritenuto di fissare questa soglia tenendo conto degli alunni non italofoni, cioé di chi non sapeva la lingua. «Il panorama effettivamente non è molto cambiato – osserva Ongini – ma uno sforzo di riequilibrio c’è e si concretizza nel tentativo di uniformare verso l’obiettivo del 30% scuole che sin qui hanno avuto presenze di stranieri assai differenti».
La strada da compiere resta lunga anche sul versante dell’apprendimento della lingua italiana, il cosiddetto "L2". Dopo l’anno dei mille progetti in altrettante scuole italiane, ora tutto si è fermato, ufficialmente per mancanza di fondi. Ora si attende un progetto strutturale, in grado di responsabilizzare i dirigenti scolastici (i presidi) e di far nascere collaborazioni virtuose sul territorio con gli enti locali.



Vicenza
Funziona la "rete" con oratori ed enti locali

Avvenire, 23-09-2010
MILANO -Martedì in piazza a Roma per l'inaugurazione dell'anno scolastico, col presidente Napolitano, c'era anche la scuola superiore Ceccato di Montecchio Maggiore, un paese in provincia di Vicenza. Non era la prima volta, a conferma di una tradizione che vede l'istituto da sempre all'avanguardia nei percorsi di accoglienza e accompagnamento di allievi stranieri. A partire dalle buone pratiche nell'insegnamento della lingua italiana. A Montecchio
Maggiore sono gli stessi insegnanti a dare la disponibilità nei laboratori organizzati fuori dall'orario scolastico. E i risultati si vedono: agli esami di maturità della scorsa estate una ragazza marocchina, Mahia Abedin Rakhe, ha preso il massimo dei voti. Poi c'è dell'altro: scambi culturali con altre scuole, convegni sul tema dell'interculturalità, incontri in classe con testimoni diretti sulla cittadinanza e la Costituzione. «Dal punto di vista didattico le iniziative non mancano, il punto è far uscire dalla grotta carsica casi positivi come quelli di Montecchio» racconta Luciano Carpo, vicedirettore di Migrantes Vicenza, che ha pubblicato sul tema dell'integrazione un dossier intitolato "Prove di futuro", in cui si dà conto dell'attività portata avanti sul territorio vicentino da insegnanti, dirigenti scolastici, associazioni di italiani e stranieri, vicariati e parrocchie. In una terra che assomma stranieri di ben 70 nazionalità diverse, la maggior parte dei quali proviene da Serbia, Marocco e Albania, «il bisogno di integrazione è obbligato. Magari si predica male, ma per fortuna si razzola bene» aggiunge Carpo. Così le scuole celebrano la festa dell'interculturalità, organizzano sfilate di moda multietnica, propongono momenti formativi ai genitori. «Quando gli istituti scolastici non vengono isolati sul territorio, i risultati sono molto positivi - spiegano da Migrantes - perché si riesce a operare in sinergia con gli enti locali, gli oratori e i gruppi sportivi. E l'impegno silenzioso di molti volontari cattolici dà ancora i suoi frutti».



Immigrazione: sbarchi con off-shore, arrestati due maltesi

Accusati di gestire tratta clandestini tra Libia-Malta-Sicilia
(ANSA) - RAGUSA, 23 SET - Avrebbero fatto parte di una banda che con potenti motoscafi off-shore gestiva una tratta di clandestini tra la Libia, Malta e la Sicilia.
E' l'accusa contestata a due maltesi, Joseph Xerry, di 43 anni, e Kurt Buhagir, di 25, ai quali la squadra mobile e la guardia di finanza di Ragusa hanno notificato un provvedimento cautelare per associazione per delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina. I due indagati sono detenuti dal 18 ottobre del 2009, quando furono arrestati in flagranza di reato durante uno sbarco di immigrati nel Ragusano.



Falsi certificati per egiziani denunciate oltre 100 persone

la Repubblica, 23-09-2010
Le pratiche venivano manomesse per attestare vincoli di parentela inesistenti e ottenere così permessi di soggiorno per il ricongiungimento familiare. Coinvolti 88 extracomunitari con l'accusa di contraffazione e uso di documenti falsi. Undici già rimpatriati. Altri 30 cittadini italiani sono accusati di favoreggiamento all'immigrazione clandestina e falsità ideologica
Alteravano i simboli della scrittura araba sui certificati anagrafici, rilasciati dalle autorità egiziane, per attestare vincoli di parentela inesistenti e ottenere così permessi di soggiorno per il ricongiungimento familiare. Sono stati scoperti dalla polizia oltre 220 certificati anagrafici contraffatti o alterati. Denunciati 88 egiziani, con l'accusa di contraffazione e uso di documenti falsi, dei quali 11 già rimpatriati. Sono stati inoltre denunciati 30 cittadini italiani per favoreggiamento alla immigrazione clandestina di cittadini extracomunitari e falsità ideologica.
Le pratiche erano state tutte presentate - spiega in una nota la questura - sotto il vigore della vecchia normativa, che prevedeva il rilascio del permesso di soggiorno sulla base di una parentela entro il quarto grado con un cittadino italiano, che in genere era un egiziano sposato con altro italiano o che si trovava in Italia da oltre 10 anni.
Ad insospettire i poliziotti dell'Ufficio Immigrazione sono state alcune anomalie nella firma dei documenti. Gli atti provenienti dalle ambasciate, infatti, risultavano siglati da funzionari che invece risultavano essere in servizio in una sede diversa. Sono così scattate le indagini con con perizie sui timbri con il supporto della polizia Scientifica. I tecnici hanno accertato l'irregolarità proprio dei timbri, sui quali sono state riscontrate imperfezioni impercettibili ad occhio nudo e, in alcuni casi, la non corrispondenza tra quelli apposti e quelli in corso di legge.
Anche le autorità egiziane hanno contribuito alla ricostruzione dei vincoli di parentela e a smascherare quindi le false attestazioni. In genere ad essere alterati erano i cognomi materni. Nel corso delle indagini, che hanno richiesto anche accertamenti all'estero, gli agenti dell'Immigrazione hanno continuato ad istruire le pratiche per evitare che l'attività d'investigazione venisse allo scoperto, fino a quando sono state tirate le fila dell' operazione.



Roma: un seminario internazionale dell’Oim per l’integrazione degli immigrati marocchini.

ImmigrazioneOggi, 23-09-2010
“Strumenti per la Diaspora marocchina” il 24 settembre 2010 presso la sede del Cnel.
Si terrà domani a Roma il seminario internazionale organizzato dall’OIM - Organizzazione internazionale per le migrazioni, Strumenti per la Diaspora Marocchina – Iniziative per l'integrazione in Italia e Progetti per lo Sviluppo del Marocco (Sala Gialla del CNEL in via Davide Lubin, 2).
Il corridoio Marocco-Italia è stato oggetto di numerose attività di ricerca e sperimentazione sociale, sviluppate dall'OIM e finanziate dalla DGCS (Direzione generale della cooperazione e sviluppo) del Ministero degli esteri italiano e dall’Unione europea. Queste iniziative, che hanno coinvolto i flussi, le rimesse e i rapporti con la diaspora, hanno evidenziato l’importanza della dimensione “locale” della cooperazione. L’evento ha lo scopo di presentare la “Cartografia dei flussi migratori dei Marocchini in Italia”, prodotto nell'ambito del progetto Mig-Ressources, e la sezione dedicata al Marocco dell’Inventario delle Competenze e Pratiche Istituzionali, sviluppato nel quadro del progetto congiunto ICMPD-OIM “Coinvolgimento delle Comunità Migranti per lo Sviluppo”.
L’evento è aperto a un numero limitato di persone. Si prega di confermare la propria eventuale partecipazione all’Ufficio Stampa OIM: tel. 06 44 186 207 /224 - Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. .



Figlie del disagio: dagli Usa tornate con i rimpatri

Avvenire, 23-09-2010
Lucia Capuzzi
Le maras sono il prodotto di I due fattori convergenti. Da  una parte, la violenza e la guerra che hanno straziato il Centro America negli anni Ottanta. Dall'altra, la tradizione delle bande giovanili - non necessariamente criminali - della frontiera. Nate, cioè, in quell'universo culturale "meticcio" in bilico tra Nord e Sud del Continente». José Manuel Valenzuela, sociologo, antropologo e docente al Colegio de Mexico, è un profondo conoscitore del "fenomeno maras", a cui ha dedicato diversi decenni di studi e molti saggi. Tanti cercano di ricostruire proprio l'origine delle gang. «Se non si capisce che cosa spinga ragazzi di 15-20 anni a cercare la morte, a vivere con la muerte artera, cioè sempre in agguato, non si può nemmeno agire per aiutarli», afferma. Professor Valenzuela, le gang giovanili sono diffuse ovunque. Che cosa contraddistingue le maras? Lo sradicamento. Nacquero nei ghetti di Los Angeles, negli anni Ottanta. Qui erano cresciuti i figli dei salvadoreni fuggiti dalla guerra civile. Negli Stati Uniti, questi subirono un doppio rifiuto: da parte degli americani e anche degli altri giovani latinos. Soprattutto messicani. Fu l'esclusione a spingere i salvadoregni a u-nirsi, in funzione difensiva. Le maras diventarono il principale canale di socializzazione per i più reietti del quartiere. Dopo gli accordi di pace del 1992 - che misero fine alle guerre centroamericane -alcuni tornarono a casa. La maggior parte fu, poi, rimpatriata di forza dagli Usa. Così, questi si trovarono da un giorno all'altro in una patria di fatto straniera. Il nuovo sradicamento, unito alla povertà e alla disuguaglianza che lascia per strada due terzi dei giovani, rafforzò la compattezza delle gang. E l'idea di un'equivalenza tra identità salvadoregna e mara.
Da dove deriva tanta violenza? Dall'esclusione. Ma anche da una serie di modelli culturali con cui vengono a contatto negli Usa. Mi riferisco ai cholos e ai pachucos, le prime gang formate negli Stati Uniti dagli immigrati messicani emarginati. Le maras hanno molto in comune con entrambi. Per esempio, il rito di iniziazione, cioè i colpi che gli aspiranti devono affrontare per 13 o 18 secondi, lo hanno mutuato dai cholos. Mentre i tatuaggi o il codice di lealtà assoluta nei confronti della banda, deriva dai pachucos. Sempre da questi ultimi, anche se nelle maras è elevato al massimo grado, viene il culto della violenza. Non dimentichiamo che i primi mareros hanno vissuto le atrocità della guerra. Che cosa significa la parola mara? Significa "gente" o "gruppo" nel gergo del Salvador. C'è poi un'altra interpretazione, su cui non tutti concordano, secondo cui il termine deriverebbe da marabunda, un tipo particolare di formica guerriera.

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