Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

20 dicembre 2010

"Mai la moschea. Vietiamo la lista islamica"
Giannino della Frattina
il Giornale 20 dicembre 2010
L’eurodeputato Magdi Cristiano Allam presenta oggi uomini e programma: "Spiego al sindaco i miei valori, poi vedrò se appoggiarla"
"Io amo Milano sarà una lista islamicamente scorretta. Del tutto islamicamente scorretta". Astenersi buonisti, laicisti e relativisti. Oggi a Milano la presentazione del movimento griffato Magdi Cristiano Allam.
Onorevole Allam, vuol fare il sindaco di Milano?
"A un anno dalla fondazione del movimento Io amo l’Italia, decliniamo sul territorio il nostro programma".
C’era proprio bisogno di un altro partito?
"C’era bisogno di qualcosa di diverso dalla realtà politica di questi giorni. Un movimento con forti riferimenti valoriali e identitari".
Eravamo rimasti al suo flirt con l’Udc.
"L’Udc oggi sta un po’ a destra e un po’ a sinistra. Casini fa dell’opportunismo politico la sua ragione d’essere".
E voi dove starete? Destra o sinistra?
"Cominciamo dai valori".
Cominciamo.
"Primo è il riconoscimento di una verità storica, le radici giudaico-cristiane della civiltà laica e liberale d’Europa".
Poi?
"La fede nei valori non negoziabili come la sacralità della vita, la dignità della persona e la libertà di scelta".
E perché siete islamicamente scorretti?
"Perché chiediamo certezza delle regole. Con diritti e doveri che garantiscano tutti, ma anche li vincolino al rispetto del prossimo. E dunque l’amore per l’Italia".
Le daranno del razzista.
"Siamo contro ogni discriminazione, ma non vogliamo nemmeno che l’Europa si autodiscrimini".
Cosa significa?
"Che italiani ed europei devono essere padroni in casa propria".
Chi glielo impedisce?
"Tutti quelli che ostacolano un modello di società basata sulla promozione di una cultura della vita che sostenga la famiglia naturale e incentivi la maternità. Mettendo fine al suicidio demografico in atto oggi in Italia".
E cosa c’entra l’Islam?
"L’Islam come religione è incompatibile con i diritti fondamentali. E soprattutto della donna che considera peccaminosa solo per il fatto di avere un corpo. E la imbacucca in una gabbia di stoffa".
Ma il Cristianesimo non predica amore per l’altro?
"I musulmani sono fratelli ed è giusto che usufruiscano del diritto di essere in Italia per migliorare le loro condizioni di vita".
Immagino che ci sarà un "ma".
"Ma questo deve essere vincolato al loro dovere di integrarsi".
Cos’è l’integrazione?
"Conoscenza della lingua e della cultura italiana, il rispetto delle leggi e dei costumi. Devono impegnarsi ad andare a scuola, a lavorare, a partecipare all’associazionismo".
A Milano per l’integrazione servirà una moschea.
"Siamo assolutamente contrari a nuove moschee2.
Un atteggiamento integralista.
"Integralisti sono i 2mila che hanno occupato piazza Duomo guidati dall’imam di viale Jenner. E la magistratura non ha detto nulla".
Forse non c’era reato.
"Il reato c’era, ma l’Italia ormai è terra di nessuno. Non tollereremo più un simile silenzio delle istituzioni".
Avranno pur diritto di avere una guida religiosa.
"Ma non di uno che è stato condannato per partecipazione al terrorismo islamico internazionale".
Sicuro di quello che dice?
"Nella sentenza si legge del lavaggio del cervello fatto ai terroristi suicidi che sono andati a farsi esplodere in Iraq".
A Milano l’imam Shaari presenterà una lista islamica.
"Ci opporremo alla sua presentazione".
Non è democratico.
"Anche Hitler andò al potere vincendo le elezioni".
E quindi?
"Un conto è il rispetto formale, ma dalle elezioni va escluso chi nega le basi valoriali della democrazia".
Qui deve spiegare.
"L’Islam nega sacralità della vita, dignità della persona, parità tra uomo e donna, libertà religiosa. E giudica degno di morte l’islamico che si converta al Cristianesimo".
Rimane la domanda sulla vostra collocazione.
"È chiaro che i nostri valori consentono un dialogo con il centrodestra: Pdl e Lega, non certo con la sinistra. Né con Idv, finiani o Udc".
Avrete un candidato o appoggerete la Moratti?
"La incontriamo e poi decideremo".



La Nuttata dell'ex ambasciata di Somalia a Roma
Shukri Said
migrare.eu 19 dicembre 2010
E’ molto tardi quando esco dal mio bagno di travertino beige circondata dai profumi della toletta serale, dal dentifricio agli oli più pregiati per lo strucco e l’idratazione, indossando, non due gocce di Chanel numero cinque come Marylin Monroe, bensì un pesante pigiama di pile che spero mi restituisca una parte del calore che ho perso negli ultimi due giorni, da quando con Raffaella Cosentino, collaboratrice di Repubblica, ci siamo recate per un servizio sui rifugiati somali nell’ex Ambasciata di Somalia in Via dei Villini 9 a Roma scoprendo l’orrore di condizioni di vita disumane a un passo da Porta Pia. Da allora sono sconvolta e affranta. Vivo con una nuvola sul capo per il senso di impotenza di fronte a 150 ragazzi abbandonati nel gelo di questa metà dicembre mentre l’Europa paga all’Italia fondi per loro che non si sa dove vanno a finire.
Guardo verso il letto alla cui base un led ambrato mi dice che lo Scaldasonno è acceso e il risvolto delle coltri mi mostra il lenzuolo di sotto ben teso che promette di avvolgermi finalmente in un invitante calore. L’abat-jour sul comodino dalla mia parte mi aspetta accesa mentre è già spenta quella dalla parte di Maurizio che continuerà a leggere con la lucina che spunta dal bordo superiore delle pagine finché il libro gli cadrà sulla faccia perché le fatiche del mondo giudiziario che frequenta ogni giorno avranno finalmente il sopravvento per qualche ora sulle sue inesauribili energie.
Ma questa volta la prospettiva di dormire tra le mie comodità non mi seduce. Mi atterrisce l’idea che quel tepore mi riposi troppo presto così da risvegliarmi in piena notte assalita dai ricordi di quello che ho visto in Via dei Villini. Ho passato la mattina tra le bancarelle del mercatino attorno al Policlinico Umberto I alla ricerca di calze pesanti da portare a quei ragazzi. Perfino i curiosi venditori ambulanti del Bangladesh, quando gli ho detto a cosa mi servivano tutte quelle calze, mi hanno fatto un grande sconto. Ma è impossibile da soli comprare calze per 150 disperati. E il resto, poi? A ora di pranzo ho chiamato Giuseppe Giulietti, Jean-Leonard Touadì, Rita Bernardini, Rainews24, Andrea Billau di RadioRadicale e dopo due ore erano tutti, di persona o col cuore, a Via dei Villini per accertare e documentare. Aprire un dialogo tra il Palazzo e l’Inferno.
A destra non ho chiamato. Loro già sapevano e non hanno fatto niente. Tanto per cambiare.
Poco più di un mese fa la Questura ha fatto irruzione nell’ex Ambasciata di Somalia, ha strapazzato i suoi occupanti rompendo qualche dente e ha caricato tutti sui pullman per schedarli. C’è stato movimento sulla stampa per l’invasione territoriale, ma poi l’Amministrazione degli Interni li ha rilasciati tutti perché in possesso dei documenti da rifugiati e li ha fatti rientrare a Via dei Villini abbandonandoli un’altra volta al loro degrado e alla loro disperazione.
Grandi Giulietti, Touadì, Bernardini, che pure, bloccata in Commissione, è stata vicina per telefono costantemente. In questi giorni di parlamentari all’asta, loro sono stati veramente Onorevoli. Hanno abbandonato tutti i loro impegni e si sono precipitati per vedere con i loro occhi e sentire in diretta quanto avevo visto e udito con Raffaella. Già soltanto per loro questo Parlamento meriterebbe di essere conservato come i Giusti del salvataggio di Sodoma e Gomorra.
Grande Corradino Mineo e i suoi di Rainews24, con Giorgio Santelli primo fra tutti. Grande RadioRadicale con RadioMigrante. Grande Raffaella Cosentino col suo pezzo toccante su Repubblica.it/Mondo solidale.
Abbandono l’idea di stendermi sul letto. Prendo il tappetino della ginnastica e lo sdraio sul pavimento davanti al comodino. Allungo la mano e spengo la mia abat-jour. Che si riaccende poco dopo e Maurizio si affaccia su di me dal bordo del letto. Lo conosco tanto bene che già mi sembra di sentire il suo “Ma che fai?” tanto che già comincia col “Ma…”. Poi la sua faccia scompare e sento un tramestio di lenzuola. Ora è in ginocchio vicino a me. Mi solleva la testa e l’appoggia sul cuscino che nella mia angoscia avevo dimenticato di prendere. Mi si sdraia vicino. Poveretto. Lui non ha nemmeno il tappetino della ginnastica. Rispegne l’abat-jour e mi prende la mano. Vuole condividere con me l’espiazione del nostro benessere di fronte alla mostruosità delle condizioni di vita dell’ex Ambasciata di Somalia che è venuto a constatare anche lui come Presidente dell’Associazione Migrare.
Lo amo per questo. So che mi sarà vicino fino alla soluzione positiva con le sue pacate e implacabili strategie nello scuotere le Autorità, nell’increspare lo stagno che ha permesso che tra le Ferrovie dello Stato e il Ministero dei Lavori Pubblici crescesse una degradazione senza appello. Questa mattina, appena superato il grande cancello nero dell’Ambasciata, ho incrociato un topo di trenta centimetri. Era molto elegante nel suo mantello grigio chiaro e con la lunga coda rosa. Alcuni suoi parenti si trovano spiaccicati dalle auto lungo il marciapiedi all’esterno. Ci siamo guardati come due che fanno a gara a chi deve passare per primo: “Prego si accomodi”. “No, passi prima lei”. Gli ho ceduto volentieri il passo e lui ha attraversato rapidamente il vialetto di distacco dal limitrofo elegantissimo villino giallo e bianco per guadagnare il muro perimetrale dell’Ambasciata, percorrerlo senza fretta e sparire dietro l’angolo.
Stiamo sdraiati al buio Maurizio ed io sul pavimento affianco al lettone, eppure siamo lontanissimi dalle condizioni di Via dei Villini dove la temperatura è ormai scesa parecchio al di sotto dello zero. Manca pure lo squittio dei topi che arrotano i denti sull’enorme immondizia che lorda ogni angolo dell’Ambasciata. “Perché non cominciate a dare una pulita?” ho chiesto ai miei fratelli somali. “La disperazione senza prospettive ammazza la speranza” mi hanno risposto a testa bassa.
Da dove si comincia? Maurizio, aiutami tu. Giuseppe, Jean-Leonard, Rita, Corradino, mondo civile, aiutatemi voi. Quanto sarà lunga la nuttata dell’ex Ambasciata di Somalia? AIUTO!!!



«Mio cugino ostaggio tra gli eritrei
Vi racconto il ricatto»

Paolo Lambruschi
18 dicembre 2010 Avvenire
Il testimone da quasi un mese non riesce più a dormire per la disperazione. Nella lingua con la quale comunichiamo, un misto di i­taliano e inglese, mi parla di « big, big problem »,un problema grandissimo, trovare in fretta i soldi per liberare il cugino, uno dei 250 eritrei « jailed in Sinai», prigionieri nel Sinai. Uno dei 250 ostaggi dei quali, secondo il go­verno del Cairo, non c’è traccia. L’accordo per poter effettuare la con­versazione è non rivelare il vero no­me del testimone, un rifugiato eri­treo in possesso di regolare permes­so di asilo che vive e lavora da anni a Genova. Non vuo­le infatti far correre rischi ai parenti nel­la sua terra, giù nel Corno d’Africa. Lo chiameremo E­zechiele.
Circa quat­tro settimane fa ha ricevuto una telefo­nata dal cugino R., 25 anni, che era scappato attraverso il Sahara in Libia nel 2009. Da lì progetta­va di raggiungere l’I­talia e chiedere asi­lo. Ma dopo giugno non è stato più possibile raggiungere le coste della Penisola via mare, anche chi avreb­be diritto a venire accolto come ri­fugiato viene respinto verso Tripoli, il cui governo non distingue tra irre­golari e migranti in fuga dall’op­pressione politica. Questo ha cam­biato piani e rotte di molti dispera­ti, i quali si sono orientati verso la frontiera del Sinai. «R. mi aveva comunicato – raccon­ta Ezechiele – a settembre che, con altri compagni di viaggio, circa una ottantina tra uomini e donne, pro­gettava di fuggire da Tripoli al Cairo e poi da lì raggiungere, attraverso il confine del Sinai, lo stato d’Israele. In Libia era inutile restare, rischia­vano di venire nuovamente incarce­rati, come a giugno».
Ma quel viaggio, come ci ha raccontato dal 24 no­vembre il sacerdote cattolico eritreo Mosè Zerai, è diventato una trappo­la infernale. «ll gruppo di R. – conferma Ezechie­le – è finito nelle mani di una banda di trafficanti. Quasi un mese fa mi ha chiamato dicendo che aveva pa­gato duemila dollari per il viaggio, ma nel deserto è stato abbandona­to e derubato di tutto dai banditi. Gli hanno lasciato solo il telefono. Poi mi ha passato uno dei rapitori, che mi ha chiesto un riscatto di ottomi­la dollari se volevo rivedere vivo mio cugino». Da allora le telefonate so­no diventate uno stillicidio quasi quotidiano. «Mi fanno uno squillo e devo ri­chiamare il numero sul display subito dopo. Risponde R., che mi dice di non potersi muovere perché è in catene e che viene torturato. Mi passa un carce­riere.
È un arabo, mi ripete che devo tro­vare il denaro e che il tempo sta scaden­do. Non so quanti siano i prigionieri. Secondo mio cugino, più di 200». Le modalità di pagamento sono pre­cise, i soldi andranno mandati via money transfer a una persona che verrà indicata dalla gang. «Ma io quei soldi non li ho proprio – conclude con voce rassegnata Eze­chiele – e non so come trovarli. So­no disperato. L’ho detto anche a R. e lui mi ha dato il numero di telefono di Mosè Zerai, il prete cattolico, di­cendomi che lui sta cercando di sal­vare gli ostaggi». Un’altra testimonianza che confer­ma la tragedia in corso in queste o­re nel Sinai, dove un racket interna­zionale di trafficanti di esseri uma­ni può rapire, torturare e violentare centinaia di persone indisturbato. Un’altra testimonianza che chiede una risposta al governo del Cairo. Un giovane eritreo prigioniero



Eritrei, ecco i primi spiragli
Quattro liberati. Ma è giallo

Paolo Lambruschi
Avvenire 19 dicembre 2010
Potrebbe aprirsi uno spiraglio per i 250 eritrei prigionieri di u­na banda di predoni nel Sinai del Nord da quasi quattro settimane. E intanto comincia a disvelarsi la complessa rete che sta dietro al traf­fico di esseri umani nell’area. Ieri si è appreso dalla consueta te­lefonata con il sacerdote Mosè Zerai che quattro ostaggi sono stati rila­sciati tre giorni fa, dopo il pagamen­to di un riscatto. Si attendono però i loro riscontri sulla liberazione. Do­vevano dare infatti ai compagni di prigionia un segnale dell’arrivo ol­tre confine, in Israele. Conferma che avrebbe dato garanzie ai parenti, i quali stanno effettuando collette per reperire gli ottomila dollari richiesti.
L’ufficio egiziano dell’Alto commis­sariato delle Nazioni unite per i rifu­giati sta effettuando in queste ore ri­cerche nei centri di detenzione per verificare se i quattro siano tra i 15 immigrati illegali etiopi ed eritrei ar­restati l’altro ieri dalle forze di sicu­rezza del Cairo mentre cercavano di passare il confine. Sta intanto prendendo corpo la rete internazionale di trafficanti che da oltre un anno rapisce e tiene prigio­nieri in condizioni brutali e disuma­ne i profughi. In un ampio dossier il gruppo Everyone riba­disce sul proprio sito che i profughi sono in­catenati mani e piedi, all’interno di alcuni container in un frutte­to alla periferia di Ra­fah, città divisa in due sulla frontiera del Si­nai, da anni sede di commerci anche di ar­mi ed esseri umani. Citando inchieste sui rapimenti nel Sinai di quotidiani britannici quali il «Daily Tele­graph » e l’autorevole testata israe­liana «Haaretz», il dossier riferisce che il capo dei predoni sarebbe un beduino di etnia Rashaida, Abu Kha­led. Avrebbe un aiutante etiope – ma potrebbe anche essere eritreo – la cui vera identità è stata indicata dagli stessi profughi: Fatawi Mahari. Nel settembre 2009 l’uomo è stato inda­gato dagli 007 israeliani con l’accu­sa di aver preso il denaro in Egitto dai famigliari di alcuni africani rapi­ti dai beduini nel Sinai del nord per poi versarlo ai trafficanti e consenti­re il passaggio degli ostaggi attraver­so i tunnel che collegano l’Egitto al­la Striscia di Gaza. Mahari, fermato dalla polizia a Gerusalemme, è sta­to rilasciato. Oggi potrebbe essersi spostato a Rafah anche grazie ai col­legamenti con Hamas.
Sempre «Haaretz» riferisce dell’arresto a Ge­rusalemme di un eritreo, Nagasi Ha­bati e di un suo complice, Moham- mad Ibrahim, che aveva in casa 50 mila dollari. Entrambi denunciati da un etiope al quale avrebbero chiesto un riscatto per un ostaggio. Resta una domanda chiave: come possono le carovane di disperati di­rette in Israele sia dall’Eritrea che dal­la Libia finire nelle mani della stessa banda di beduini? Oltre alla presen­za di componenti tigrini nella ban­da, la risposta è la ramificazione de­gli stessi Rashaida, nomadi presen­ti, oltre che nel Sinai, in Libia, in Eri­trea e in Sudan, proprio vicino a Kas­sala dove si concentrano i profughi che fuggono dal Corno d’Africa. Al­cune tribù sono presenti anche in A­rabia Saudita. Hanno sempre prati­cato la tratta degli schiavi, alcuni clan si sarebbero riciclati nel lucroso traf­fico di persone grazie alla rete etnica sovra­nazionale che consen­te di presidiare antiche rotte desertiche, di nuovo battute da quando il Mediterra­neo è chiuso dai re­spingimenti in Libia.
Un reportage ospitato sul sito eritreo Awa­te.com porta nuove tessere al mosaico cri­minale in cui sembra inserirsi la vicenda. In Eritrea i Rashaida so­no i passatori cui tutti si rivolgono per lasciare il paese. La loro presen­za su tutti i confini del Nord Africa a­vrebbe agevolato i passaggi clande­stini e consolidato una vera e pro­pria connection beduina che giun­ge fino a Israele e all’Arabia. Diffici­le on ipotizzare che non sia protetta da esponenti corrotti di governi e for­ze dell’ordine. In Arabia, nella città­oasi di Hail, finirebbero invece a fa­re le schiave le donne rapite cui nes­suno paga il riscatto, vendute per duemila dollari Il sospetto più forte è che ci sia un patto tra i Rashaida del Sinai le for­ze di sicurezza egiziane, che per te­nerli lontani dal nevralgico confine chiuderebbero un occhio sull’im­mondo traffico. I silenzi del governo del Cairo e le recenti, strane uccisio­ni di alcuni eritrei disarmati com­piuti dalle guardie di confine nel Si­nai non dissipano le ombre.



Clandestinità, la Consulta frena
"Non è reato restare per povertà"

Vladimiro Polchi
la Repubblica 17 dicembre 2010
Non è punibile lo straniero che in "estremo stato di indigenza" non ottempera all'ordine di allontanamento. Cade un altro pezzo della politica del governo sull'immigrazione, dopo la bocciatura dell'aggravante per clandestinità di VLADIMIRO POLCHI
Clandestinità, la Consulta frena "Non è reato restare per povertà"
ROMA - Il reato di clandestinità perde un altro pezzo. Non è infatti punibile l'immigrato irregolare che in "estremo stato di indigenza", o comunque per "giustificato motivo", non ottempera all'ordine di allontanamento del questore e continua a rimanere illegalmente in Italia. E' quanto stabilisce la Corte Costituzionale, che boccia parzialmente una delle norme del pacchetto sicurezza 2009.
Nel giugno scorso la Consulta aveva già decretato l'illegittimità dell'aggravante di clandestinità (pene aumentate di un terzo se a compiere un reato è un irregolare), prevista dal primo pacchetto sicurezza del luglio 2008. Ora è un altro pezzo della politica migratoria del governo a cadere: quel reato di clandestinità previsto dalla legge, ma di fatto inapplicato nei tribunali.
A sollevare la questione dinanzi alla Consulta è stato il tribunale di Voghera, chiamato a giudicare sul caso di una donna irregolare più volte raggiunta da un decreto di espulsione ma che, per motivi di estrema indigenza, non ha potuto lasciare l'Italia con i propri mezzi. Il punto è che tale "giustificato motivo" (che rende impossibile l'allontanamento) non è stato previsto dall'articolo14, comma 5 quater, del testo unico sull'immigrazione, così come modificato dall'ultimo pacchetto sicurezza del governo Berlusconi (legge 94 del luglio 2009).
Da qui la decisione della Consulta: dopo aver rilevato che il pacchetto sicurezza ha aumentato nel massimo
(da quattro a cinque anni) le pene per lo straniero destinatario di un decreto di espulsione adottato dopo l'inottemperanza a un precedente ordine di allontanamento, la Corte Costituzionale censura proprio la mancata previsione di un "giustificato motivo". Si tratta infatti - scrivono i giudici costituzionali nella sentenza 359 depositata oggi in cancelleria - di una clausola che, come la Corte ha già rilevato, è tra quelle  "destinate in linea di massima a fungere da 'valvola di sicurezzà del meccanismo repressivo, evitando che la sanzione penale scatti allorché, anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione, l'osservanza del precetto appaia concretamente 'inesigibilè in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative al carattere soggettivo od oggettivo".
Nel caso, ad esempio, di "estrema indigenza, indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, difficoltà nell'ottenimento dei titoli di viaggio, etc", la clausola di "giustificato motivo" esclude - sottolinea la Corte - la "configurabilità del reato".


La Corte Costituzionale dichiara illegale un articolo del «pacchetto sicurezza»

Per la Consulta non è punibile l'immigrato indigente che non lascia l'Italia nonostante abbia ricevuto l'ordine
17 dicembre 2010 Corriere della sera
La Corte Costituzionale dichiara illegale un articolo del «pacchetto sicurezza»
Per la Consulta non è punibile l'immigrato indigente che non lascia l'Italia nonostante abbia ricevuto l'ordine
MILANO - La Corte Costituzionale scalfisce la legge che ha introdotto il «reato di clandestinità». Nel particolare, la Consulta ha sancito l'impunibilità dell'immigrato estremamente indigente che non ha lasciato l'Italia nonostante abbia ricevuto, anche più volte, l'ordine di allontanamento o di espulsione. In questo modo la Corte costituzionale dichiara illegittimo («nella parte in cui non dispone che l'inottemperanza all'ordine di allontanamento sia punita nel solo caso che abbia luogo senza giustificato motivo») un articolo contenuto nel cosiddetto «pacchetto sicurezza» entrato in vigore nel luglio 2009.
IL CASO - A sollevare la questione dinanzi alla Consulta è stato il Tribunale di Voghera, chiamato a giudicare sul caso di una donna clandestina più volte raggiunta da un decreto di espulsione ma che, per motivi di estrema indigenza, non aveva potuto lasciare l'Italia con i propri mezzi. La donna, che era già stata arrestata, era stata poi rintracciata nel sottoscala di uno stabile, dove abitava. Il luogo era abbandonato, privo di servizi e di riscaldamento, nonostante la temperatura fosse di molto inferiore allo zero. Secondo il tribunale, le condizioni di estrema indigenza della donna dovevano ritenersi «giustificato motivo» per impedirle di lasciare l'Italia con i propri mezzi. Si tratterebbe, dunque, di un «giustificato motivo» che però non era stato previsto dall'art.14, comma 5 quater del testo unico sull'immigrazione, così come modificato dall'ultimo «pacchetto sicurezza» del governo Berlusconi (legge 94 del luglio 2009).
VALVOLA DI SICUREZZA - Ebbene, dopo aver rilevato che il «pacchetto sicurezza» ha aumentato nel massimo (da quattro a cinque anni) le pene per lo straniero destinatario di un decreto di espulsione adottato dopo l'inottemperanza ad un precedente ordine di allontanamento, la Corte Costituzionale censura la mancata previsione di un «giustificato motivo». Si tratta infatti - scrivono i giudici costituzionali nella sentenza n.359 depositata il 17 dicembre in cancelleria - di una clausola che, come la Corte ha già rilevato, è tra quelle destinate in linea di massima a fungere da «valvola di sicurezza» del meccanismo repressivo. «È manifestamente irragionevole - si legge nella sentenza numero 359 - che una situazione ritenuta dalla legge idonea ad escludere la punibilità dell'omissione, in occasione del primo inadempimento, perda validità se permane nel tempo». Esiste infatti «un ragionevole bilanciamento - sottolinea la Consulta - tra l'interesse pubblico all'osservanza dei provvedimenti dell'autorità, in tema di controllo dell'immigrazione illegale, e l'insopprimibile tutela della persona umana».



TURCO (PD), SENTENZA CONSULTA VITTORIA PER DIGNITA' UMANA

(ASCA) - Roma, 17 dic - ''La decisione di oggi della Corte Costituzionale e' una vittoria per i diritti umani''. Lo dichiara Livia Turco, responsabile Politiche sociali e immigrazione del Pd dopo che la Consulta ha stabilito che non e' punibile lo straniero che in ''estremo stato di indigenza'' non ha reiteratamente ottemperato all'ordine di allontanamento.
''Per la seconda volta la Consulta boccia la politica di questo governo sull'immigrazione. La prima volta quando ha giudicato illegittima l'aggravante di clandestinita' e oggi riconoscendo non punibile l'immigrato irregolare che in ''estremo stato di indigenza'', o comunque per ''giustificato motivo'', continua a rimanere illegalmente in Italia. E' una sentenza - aggiunge la Turco - che mette al centro la dignita' umana, come e' scritto nella nostra Costituzione.
Una persona povera o inerme non puo' e non deve essere espulsa, se e' a rischio la sua incolumita'''.


La povertà non è reato

altrenotizie  20 Dicembre 2010
Rosa Ana De Santis
La Consulta ha affossato un pezzo importante del pacchetto sicurezza del governo. Per i giudici della Corte Costituzionale, l’immigrato che non dovesse ottemperare all’ordine di allontanamento per condizioni d’indigenza, non potrà essere perseguito. S’incrina così l’architettura del reato di clandestinità, diventato dogma preliminare e fondante di un’autentica persecuzione per gli stranieri presenti sul territorio nazionale.
A rivolgersi alla Suprema Corte era stato il Tribunale di Voghera, che chiedeva una corretta interpretazione sul caso di una donna impossibilitata per estrema indigenza a lasciare l’Italia. Se l’osservanza al precetto - dichiarano ora i giudici della Corte - è “inesigibile” per impedimenti soggettivi e oggettivi, non possono scattare gli inasprimenti repressivi che il governo Berlusconi ha proposto.
La sentenza è importante e, azzerando l’aggravante della clandestinità, è destinata a sollevare un ripensamento profondo e sistematico del pacchetto sicurezza e della modalità con cui il governo ha approcciato la questione degli immigrati e della loro regolarizzazione. Un modo “miope” - come l’Europa ci ha rimproverato in più occasioni - oltre che ingiusto rispetto al contributo importante che il lavoro degli stranieri ha portato nelle tasche dell’ economia italiana.
Ci ha pensato il presidente della Repubblica a ricordarlo nella Giornata Nazionale dei Migranti, ribadendo il valore imprescindibile dell’integrazione e la necessità di attrezzarsi a sostenerla e a gestirla. Non ad evitarla come certa politica xenofoba, avallata dall’esecutivo, ha provato a fare in tutti i modi.
L’Italia è già, nei fatti, paese d’immigrati. Lo è nei fatti, ma non sulla carta delle legge o sui tavoli istituzionali. Lavoratori, ragazzi e bambini nelle scuole, imprenditori, acquirenti di case e gestori di esercizi commerciali, sono immigrati. La rimozione culturale con cui gli italiani rispondono è un segnale preoccupante che ci tiene lontani dai traguardi importanti di paesi come la Gran Bretagna (ad esempio) dove gli stranieri hanno pagato un 37% di tasse in più rispetto ai servizi pubblici di cui hanno beneficiato. In uno scenario di paesi industrializzati la cui popolazione cresce poco, quasi zero come in Italia, rifiutare l’apertura all’immigrazione equivale ad un suicidio economico, oltre che culturale.
Ma il nostro è il paese in cui una scuola come la Pisacane di Roma, la più multietnica della Capitale perché 8 bambini su dieci sono figli di stranieri, diventa un caso mediatico e viene evitata dalle famiglie italiane alla stregua di un ghetto, mentre da un’altra parte la scuola di Adro sostituisce il tricolore con i simboli presi a prestito dal Carroccio. Difficile vedere in queste reazioni segnali di evoluzione o di apertura. Ma anche questa volta i giudici saranno “comunisti incalliti”, la loro sentenza una “mossa politica” e gli italiani la stessa “brava gente” di sempre.
La sensazione è che ora l’attenzione e l’energia del Cavaliere e del suo cda di governo siano spostate altrove. Lontano dalla popolazione, a maggior ragione da quella straniera. L’Italia è intrappolata nel walzer dei corteggiamenti e nel salto della quaglia degli onorevoli indecisi. La politica è ripiegata su se stessa, tutto il Paese lo è.
Gli stranieri rimangano sulle gru o nei cantieri. Del resto nulla si fa, da molto tempo, tantomeno con la finta meritocrazia della Gelmini, per impedire che i cervelli italiani vadano a fare scoperte scientifiche altrove, che lascino i nostri laboratori vuoti, le nostre aule deserte.
Un paese che chiude le porte all’immigrazione e che non ferma l’emorragia della propria emigrazione è un paese che vuole morire. E questo, purtroppo, non è ancora un reato, ma un meritato epilogo per aver scelto gli uomini e le donne della “libertà”.



Non punibile l'immigrato indigente che non rispetta più volte l'ordine di espulsione

Patrizia Maciocchi
ilSole24Ore   17 dicembre 2010
Non è punibile l'immigrato indigente che non rispetta, per più di una volta, l'ordine di espulsione. La Consulta, con la sentenza n. 359, fa cadere un altro tassello del "pacchetto sicurezza", dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'articolo 14 comma 5-quater, per la parte in cui non prevede il «giustificato motivo» per chi non rispetta più volte l'ordine di allontanamento.
Questione sollevata dal tribunale di Voghera
La questione era stata sollevata dal tribunale di Voghera che si era trovato a giudicare il caso di un'immigrata clandestina destinataria di quattro provvedimenti di espulsione. La donna, che era stata condannata tre volte e la quarta arrestata, viveva nel sottoscala di uno stabile abbandonato in condizioni di estrema povertà. Il posto dove risiedeva era privo di ogni servizio essenziale e senza riscaldamento tanto che, nel momento in cui era stata rintracciata, la temperatura era inferiore allo zero. Una situazione tale - secondo il tribunale - da costituire il «giustificato motivo» che le impediva di lasciare l'Italia con i propri mezzi.
Assurdo che una norma perda validità se la situazione permane nel tempo
La Consulta avalla la linea dei giudici di Voghera, sostenendo che «è manifestamente irragionevole che una situazione ritenuta dalla legge idonea a escludere la punibilità dell'omissione, in occasione del primo inadempimento, perda validità se permane nel tempo, senza responsabilità del soggetto destinatario dell'ordine di allontanamento». L'articolo 14, comma 5-ter, del "pacchetto sicurezza" prevede, infatti, la non punibilità nel caso di una sola «disobbedienza».
La clausola contrasta con il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione
La Consulta - dopo aver evidenziato che il pacchetto sicurezza ha già aumentato da quattro a cinque anni la pena a carico dello straniero che non rispetti un precedente provvedimento di allontanamento - dichiara il contrasto della clausola esaminata con il principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 primo comma della Costituzione. La Corte di legittimità ricorda che il rimedio ordinario per la presenza illegale nel territorio dello Stato di un immigrato è quello dell'esecuzione coattiva dell'atto. «In assenza di tale misura amministrativa - scrive il relatore Gaetano Silvestri - l'affidamento dell'esecuzione allo stesso soggetto destinatario del provvedimento incontra i limiti e le difficoltà dovuti alle possibilità pratiche dei singoli soggetti». Difficoltà - fa notare la Corte - che lo stesso pacchetto sicurezza con il comma 5-ter, dello stesso articolo 14, prende in considerazione, in un ragionevole bilanciamento tra l'interesse pubblico all'osservanza dei provvedimenti dell'autorità, in tema di controllo dell'immigrazione illegale e l'insopprimibile tutela della persona umana.



Niente espulsione per i «poveri» clandestini

Patricia Tagliaferri
il Giornale 18 dicembre 2010
La Corte Costituzionale allarga ancora le maglie del pacchetto sicurezza varato dal governo nel luglio del 2009. L’ultima sentenza in materia, la numero 359 depositata ieri in cancelleria, offre agli immigrati destinatari di un decreto di espulsione la possibilità di non essere puniti se non lasciano l’Italia nei tempi dovuti. Ecco l’appiglio: basterà dimostrare di essere poveri, talmente poveri da non poter partire con mezzi propri. Per la Consulta, infatti, non sono perseguibili gli extracomunitari che in «estremo stato di indigenza» o comunque per «giustificato motivo» non hanno reiteratamente ottemperato all’ordine di allontanamento del questore. Anche se questo vuol dire consentire loro di rimanere illegalmente nel nostro paese. Clandestini a tutti gli effetti, dunque, ma con il placet dei giudici.
La questione è stata portata all’attenzione della Corte Costituzionale dal Tribunale di Voghera. Il caso è quello di una donna straniera sorpresa ancora nel nostro Paese dopo essere stata raggiunta per ben tre volte da un decreto di espulsione. Viveva nel sottoscala di uno stabile fatiscente privo di servizi e senza riscaldamento. Arrestata e portata davanti ai giudici, l’immigrata ha spiegato che non aveva i soldi per comprare un biglietto di viaggio. «Un giustificato motivo», dunque, non previsto però dall’articolo 14 comma 5 quater del testo unico sull’immigrazione, anche se secondo la Corte si tratta di una clausola tra quelle «destinate in linea di massima a fungere da “valvola di sicurezza” del meccanismo repressivo».
Nel caso in questione, per esempio, di «estrema indigenza, indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, difficoltà nell’ottenimento dei titoli di viaggio», la clausola di «giustificato motivo» esclude la configurabilità del reato. Per i giudici «è manifestatamente irragionevole che una situazione ritenuta dalla legge idonea ad escludere la punibilità dell’omissione, in occasione del primo inadempimento, perda validità se permane nel tempo». «Un estremo stato di indigenza, che abbia di fatto impedito l’osservanza dell’ordine del questore nello stretto termine di cinque giorni - scrive il giudice Gaetano Silvestri - non diventa superabile o irrilevante perché permanente nel tempo o perché insorto o riconosciuto in un’occasione successiva». Per cui, o si procede coattivamente all’espulsione degli extracomunitari, oppure, nel caso in cui si affidi ai clandestini stessi l’esecuzione del provvedimento, è necessario tenere conto delle difficoltà pratiche dei singoli soggetti. «Per la Consulta, infatti, esiste «un ragionevole bilanciamento tra l’interesse pubblico all’osservanza dei provvedimenti dell’autorità, in tema di controllo dell’immigrazione illegale, e l’isopprimibile tutela della persona umana».
È questa, insomma, l’ennesima spallata dei giudici alla legge sull’immigrazione del governo Berlusconi dopo che lo scorso giugno, sempre la Consulta, aveva decretato l’illegittimità dell’aggravante di clandestinità prevista nel primo pacchetto sicurezza del luglio 2008 e dopo la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione sulla possibilità di evitare il rimpatrio dei clandestini con figli. Una sentenza che divide. Carolina Lussana, della Lega Nord, si chiede «quale clandestino ora verrà non dichiarato indigente?». «Per l’ennesima volta - commenta la vicepresidente dei deputati - il Parlamento approva leggi rigide per contrastare l’immigrazione clandestina e i giudici ne vanificano l’operato». Critico anche il vicesindaco di Milano: «A furia di cavilli, il mezzo milione di clandestini che gironzolano in Italia reiterando reati che destano allarme sociale ce li terremo tutti. A poco a poco i giudici stanno smontando il “pacchetto sicurezza”. Mi chiedo alla fine quali irregolari possano effettivamente essere espulsi». Il deputato di Fli Fabio Granata definisce invece la decisione della Consulta «una pagina di civiltà» e Livia Turco, responsabile Politiche sociali e immigrazione del Pd, «una vittoria per i diritti umani».
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