Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 marzo 2011

Le storie di Lampedusa tra ottimismo e catastrofe
Il Riformista, 10-03-2011
DI DIEGO D'IPPOLITO
? Lampedusa. Anche oggi decide il mare. 11 tratto tra la Tunisia e Lampedusa è tornato ad essere poco navigabile, è come un sospiro di sollievo per l'isola che ogni giorno gioca una scommessa con le onde. Fino a ieri non c'erano barche in avvicinamento alla costa lampedusana, ne è giunta solamente una nella notte tra martedì e mercoledì. Una ritardataria rispetto alla flotta del fine settimana scorsa, era partita con le altre e si era persa. Fino a qui nulla di nuovo all'orizzonte, ma basta salire alcune centinaia di metri sulla collina dove sorge il Cspa.    
E qui che si gioca la partita più importante di questo flusso migratorio, che prosegue come a singhiozzi, tra annunci catastrofici ed infondato ottimismo.
Gente che va, gente che viene, i pullman entrano vuoti ed escono pieni in queste ultime ore a Lampedusa eppure non ne escono mai troppi per rassicurare gli animi dei lampedusani. Ieri sono partiti 257 migranti, 57 in nave verso Agrigento, quasi tutti erano minori. In cento sono partiti per Crotone e sono atterrati proprio davanti al Sant'Anna, il cpa che ormai da giorni è sempre colmo. Ironia della sorte: c'è chi spera che i tunisini si diano alla macchia e lascino qualche posto libero per i nuovi arrivi.
Come tutti i giorni a Crotone, qualcuno non torna a dormire, lascia un posto per chi da Lampedusa si appresta ad affrontare il secondo step di questo viaggio verso una nuova vita. Altri cento sono invece partiti per Brindisi e altre strutture più piccole sparse in tutta Italia.
Anche questa notte a Lampedusa dormiranno circa 1400 migranti. «Sono tanti - spiega Federico Miragliotta, giovane direttore del centro - ma possiamo ospitarne molti di più. Dobbiamo mantenere la calma - aggiunge -perché la situazione è sotto controllo». Il modello Lampedusa funziona alla perfezione e la società che lo gestisce è in grado di mettere a disposizione fino a 150 persone, tra operatori sanitari, addetti alle cucine e mediatori. Una vera e propria squadra che, reduce dalle avventure del 2008, si muove compatta e risponde in maniera tempestiva alle decisioni che giungono da Roma.
Cancelli chiusi, cancelli aperti, giornalisti dentro, giornalisti fuori, tutto quello che viene deciso per il centro viene accolto senza commentare, ma lo sanno bene che se i migranti fossero liberi di uscire dal perimetro in cui sono ospitati, la vita sarebbe più tranquilla per tutti, ci sarebbero meno tensioni e la condivisione degli spazi sarebbe meno problematica. Essere stipati in 1500 dentro un recinto provoca nervosismo, e se a questi umori si aggiunge l'insicurezza di quanto tempo rimarranno in un'isola che è Italia, ma in fondo è solo una stazione di scalo, i motivi di tensione si accumulano.
Un segnale è giunto proprio ieri, un giovane tunisino ha tentato il suicido. «Si è provocato delle lesioni - spiega Lorena, operatrice del centro - ad una prima visita di controllo è risultato essere un paziente con evidenti disturbi psichiatrici». Sembra di rivivere le sensazioni del 2008, quelle dei "mangia lamette", quando 15 migranti ingoiarono lamette per poter essere immediatamente trasferiti dal centro. Solo in seguito si scoprì che lamette non erano, ma semplicemente dei pezzi di ferro estratti dai condizionatori. Fu una catena di eventi di questo genere e la causa allora era una sola: la permanenza prolungata nel centro.
È uno spettro che oggi si ripresenta, perché se qualcosa non dovesse funzionare, se i ponti aerei non dovessero essere abbastanza per svuotare il Cspa, le permanenze saranno lunghissime. C'è solo da sperare nel mare che oggi sbatte violentemente sugli scogli, ma che a breve dovrebbe di nuovo tor-nare navigabile, svuotando le spiagge tunisine da chi è lì in attesa di andarsene.
I ragazzi ospiti del centro lo sanno ancor prima che partano quanti saranno ibarconi. Sono in continuo contatto telefonico, si mandano messaggi con gli amici e i parenti, si scambiano informazioni. Da questa fitta rete di comunicazione è nata anche una pagina Facebook per cercare dei ragazzi che a Lampedusa non sono ancora arrivati. Erano su un barcone che a metà febbraio è partito dalle coste tunisine e poi è stato intercettato dall'esercito tunisino e speronato. La barca è stata spezzata in due, disperdendo in mare circa 150 persone. Un'ottantina sono stati riportati sulle coste tunisine, tutti gli altri sono scomparsi, inghiottiti dal mare. Oggi, sono solamente cinque i corpi ritrovati.
Le famiglie hanno mobilitato i propri contatti in Italia e tra loro i genitori di Salah ancora sperano di poter ritrovare il figlio o a Lampedusa o chissà dove in Italia. Giuseppe, un ragazzo di Linosa, ogni volta che può viene a Lampedusa e mostra ai tunisini delle foto che ha ricevuto dai familiari di Salah. Purtroppo, ad oggi nessuno è in grado di aiutarlo.
Mentre nel Cspa si attendono disposizioni, da Roma, poco più in basso dal palazzo comunale, si riaccendono le polemiche. Erano già passati troppi giorni di silenzio. Ieri Antonio Pappalardo si è dimesso da assessore alla protezione civile con una lettera al sindaco, Bernardino De Rubeis, in cui spiega di non approvare le sue modalità di governo, tantomeno in quello che definisce «uno dei momenti di maggiore crisi della sua storia». Eppure fino a qualche giorno fa, i due erano grandi amici e programmavano richieste di ispezioni alla procura di Agrigento, quella che sta indagando De Rubeis per istigazione all'odio razziale. Presto arriverà l'esercito, molti si chiedono se ce ne fosse davvero bisogno.



«Troppi immigrati verso la Francia, ma è colpa dell’Ue»
il Giornale, 10-03-2011
Parigi La politica dell’Italia è lasciare andare i clandestini verso la Francia e la Germania, ma di questo Roma non può essere accusata: perchè l’Europa non fa nulla per aiutarla. Lo dice la presidente del Fronte Nazionale (Fn) d’estrema destra francese Marine Le Pen, intervistata a pochi giorni dalla sua missione di lunedì prossimo a Lampedusa, dove vuole vedere da vicino la situazione degli sbarchi illegali provenienti dal sud del Mediterraneo.
La Le Pen, che è succeduta al padre Jean-Marie nel congresso di Tours di gennaio, tiene anche a rassicurare le autorità italiane: «Vado a Lampedusa nelle mie vesti di responsabile di un grande movimento politico francese e di deputata europea - ha detto - Credo sia mio dovere farmi un’idea di ciò che sta accadendo». «Da parte mia - ha tagliato corto - non c’è nessun intento provocatorio, ma solo una visione molto responsabile di questo problema». Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, aveva auspicato martedì che l’esponente politica transalpina «non facesse danni» e non usasse «il territorio italiano per fare propaganda».
Ieri il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, commissario governativo per l’emergenza immigrati, ha parlato del rischio di un esodo biblico dicendosi però convinto che il sistema reggerà: «Sono convinto che, anche a fronte di altre migliaia di persone che dovessero arrivare, saremo in grado di affrontare la situazione. Poi, in base alla consistenza numerica, ci attrezzeremo». A Lampedusa, ha aggiunto Caruso, la situazione regge molto bene, indipendentemente dal numero. In questo momento i migranti sono circa 1.410. La capienza ottimale è di 850 unità, ma il centro regge lo stesso grazie anche alla tipologia degli ospiti: persone giovani, tra i 20 e i 35 anni, e in buona salute. Comunque, tutte le regioni dovranno contribuire ad affrontare l’emergenza immigrazione che non è solo un affare siciliano».



Il mare agitato rallenta gli sbarchi.
Ma non li ferma.
Il Tempo.it, 10-03-2011
La breve tregua causata dal maltempo è durata poco lungo il canale di Sicilia. L'altra notteè arrivato a Lampedusa un altro barcone con 55 persone a bordo, due delle quali sono state trasportate il elisoccorso a Palermo per un grave stato di ipotermia. Nel frattempo, rispetto a martedì le condizioni meteo-marine sono migliorate ed è probabile che gli sbarchi possano riprendere con maggiore intensità. Prima dei trasferimenti che nel corso della giornata hanno alleggerito il centro di accoglienza dlel'isola di circa 200 immigrati, le presenze nel Cspa (Centro di soccorso e di prima assistenza) toccavano quota 1438. Intanto il prefetto di Palermo e commissario governativo per l'emergenza immigrazione Giuseppe Caruso ha reso noto di aver «già firmato il provvedimento con il quale» ha assegnato «cento militari messi a disposizione dal ministero della Difesa a Lampedusa e cinquanta a Mineo, per i compiti legati all'emergenza immigrati». «Altri 50 militari - ha aggiunto - mi riservo di utilizzarli per altri servizi». Il commissario del Governo ha comunicato la disposizione ai prefetti di Agrigento e Catania, responsabili delle strutture dove opereranno i militari. Caruso ha aggiunto che i soldati, con compiti di ordine pubblico e di supporto alle forze dell'ordine «saranno operativi al più presto possibile, e comunque entro la settimana all'interno del Centro di accoglienza di Lampedusa e del Villaggio degli Aranci di Mineo». A tale proposito la Cgil nazionale e quella siciliana hanno chiesto un incontro con Caruso epr avere chiarimenti sull'utilizzazione dei militari: «Riteniamo - spiegano Antonio Riolo, della segreteria della Cgil Sicilia, e Pietro Milazzo, responsabile immigrazione del sindacato - che la situazione per quanto difficile non sia ancora di vera e propria emergenza, come lascia invece intendere il ministro Maroni». E l'Italia è tornata a offire alle forze dell'ordine di Tunisi mezzi per intensificare i controlli anti-immigrazione. «Siamo disponibili a fornire al governo tunisino e alla polizia anche i mezzi per aumentare i controlli», ha detto il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi, ieri in visita al campo di Choucha, al confine della Libia presso Ras Jadir. «Domani - ha aggiunto Craxi - avrò degli incontri istituzionali con i vertici politici della Tunisia, per affrontare insieme anche il problema degli sbarchi a Lampedusa, che è un'altra diversa emergenza. Stiamo provando a trovare delle linee comuni per bloccare il fenomeno. Il Paese - ha concluso - affronta una transizione, ed è in cerca di una nuova fase democratica. Peccato che i giovani tunisini, proprio nel momento in cui il Paese sta cambiando, continuino ad abbandonare le loro città».



I barconi a Lampedusa     
Non sono profughi libici ma clandestini
Libero, 10-03-2011
GIANANDREA GAIANI
Chissà se il ministro degli Interni, Roberto Maroni, se n'è accorto. L'esodo di africani in fuga dalla Libia, che a suo dire potrebbe avere proporzioni bibliche, non si è ancora visto e gli unici a scappare in Italia sono tunisini e altri africani, come i somali e gli etiopi, che con la guerra in Libia non hanno nulla a che fare. Un conto è il dovere di accogliere chi fugge da un conflitto per evitare morte e persecuzioni e un conto è l'immigraziome (..)
(...) clandestina di persone che spendono mille euro per venire in Italia in cerca di fortuna e assistenza a spese nostre.
A smentire ogni ipotesi di collegamento fra gli sbarchi a Lampedusa e il flusso di profughi che scappano dal-la Libia ha provveduto perfino l'Alto Commissario dell'agenzia dell'Orni per i rifugiati (Unhcr), Antonio Guterres, dal campo profughi tunisino di Choucha, allestito per ospitare i lavoratori e residenti stranieri in fuga dalla Libia. Ai cronisti che gli chiedevano se gli sbarchi a Lampedusa fossero conseguenza della guerra libica Guterres ha risposto: «Assolutamente no. Sono due cose diverse. Quello di Lampedusa è chiaramente un fenomeno di migrazione».
"Clandestina" pare il caso di aggiungere. Non si spiega allora perché invece di rimpatriare gli oltre 8 mila clandestini giunti a Lampedusa il governo li ospiti in Italia incoraggiando così l'afflusso di altre migliaia di perso-ne in cerca di condizioni di vita migliori ma non certo in fuga dalla guerra. Rimpatriarli immediatamente sarebbe la risposta migliore alle gangs tunisine che a Zarzis   e  Djerba  vogliono speculare sulla disponibilità italiana ad accogliere profughi veri.
Eventuali proteste europee potremmo sempre rimandarle al mittente considerato il supporto che Bruxelles ci ha sempre negato ogni volta che si manifestava un'emergenza immigrati sulle nostre coste.
In Tunisia inoltre non c'è la guerra, né carestie, né ci sono più persecuzioni degli oppositori politici terminate con la fine del regime di Ben Ali. Assicurare accoglienza e ospitalità a migliaia di immigrati clandestini non è certo quello che l'opinione pubblica si aspetta da un governo di centrodestra né tanto meno da un ministro leghista.
Ma Maroni è convinto che avremo a che fare con un numero di profughi stimato nei giorni scorsi tra 300 mila e un milione. Numeri poco credibili anche perché non ci sarebbero abbastanza barche in tutto il Mediterraneo per trasportare così tanta gente. Basti pensare che il 10 luglio 1943 le armate anglo-americane sbarcarono in Sicilia da due gigantesche flotte di navi (non di barconi) "solo" 160 mila soldati.
A tranquillizzare il ministro dovrebbero contribuire poi le dichiarazioni dell'Alto commissario Guterres: «Non credo proprio che la gente che abbiamo aiutato qui in Tunisia voglia andare in Europa. Tutti vogliono tornare a casa. Chi fugge da qui vuole tornare in patria e la comunità internazionale deve mettere in campo tutte le risorse per far si che ciò avvenga».
L'Italia ha offerto un importante contributo per rimpatriare dalla Tunisia cittadini egiziani e del Bangla Desh e ha promosso un'operazione navale congiunta Ue-Nato per il controllo delle acque libiche che avrà anche lo scopo di bloccare i trafficanti di essere umani. Resta comunque il fatto inconfutabile che dei
212 mila profughi fuggiti dalla Libia in Tunisia neppure uno è arrivato a Lampedusa anche se lo stesso Guterres afferma che «non si può prevedere cosa potrà
succedere». Teniamoci quindi pronti ad aiutare chi soffre e fugge dalla guerra ma perché non respingere chi approfitta delle sofferenze altrui per entrare abusivamente in Italia?



Violenze e razzismo, a Lampedusa è cambiato il "clima"
Il Messaggero, 10-03-2011
LAMPEDUSA - Dai ricordi di chi a Lampedusa ha vissuto tutte le stagioni dell'immigrazione  non era mai accaduto che un migrante usasse violenza contro un medico. È accaduto ieri al pronto soccorso dell'isola. dove una dottoressa è stata aggredita con un paio di forbici chirurgiche da un tunisino ricoverato ieri a causa di un tentativo di suicidio: ieri sera si era tagliato le vene dei polsi mentre si trovava nel centro d'accoglienza. Ma non era neanche mai accaduto che due operatori umanitari, dalla pelle scura, entrassero in un bar per chiedere un caffè e si sentissero rispondere che prima dovevano pagare. Fatto lo scontrino, agli avventori bianchi è stato servito il caffè nella tazzina, ai due extracomunitari in un bicchiere di plastica. Ieri è capitato anche questo.




NELL'AVAMPOSTO DELL'IMMIGRAZIONE DOVE (QUASI) NESSUNO PARLA L'ARABO
Corriere della Sera, 10-03-2011
Felice Cavallaro
Fra le pieghe del caso Lampedusa, con l'assalto degli immigrati che hanno trasformato questo scoglio del Mediterraneo nella «porta d'Europa», emerge un buco nero del sistema Italia. Perché, dopo tanti anni di forzata esperienza sul fronte dell'emigrazione, si scopre che in un avamposto a rischio come Lampedusa dove tutti temono che sui barconi della speranza si possano intrufolare malviventi e terroristi, i reparti schierati dalle forze di polizia, funzionari, ufficiali e militari chiamati a controllare questa massa di nordafricani, risultano privi della prima arma necessaria, la lingua.
Non a caso l'altro giorno, quando da un barcone è sbucata fuori una tedesca in fuga dal marito con la sua bimba, una insegnante di Dusseldorf) per interrogarla sono passate venti ore. E dire che in questo caso la gamma era vasta, parlando la mamma fluentemente anche francese e inglese, la piccola pure l'arabo. Ma dall'altra parte la polizia incaricata della verbalizzazione, fra uno sbarco e l'altro, doveva attendere che si liberasse una volontaria dell'Oim (l'organizzazione internazionale per le migrazioni) per la traduzione.
Un inciampo tutto sommato supera-bile in questo caso, trattandosi solo, a quanto pare, di una lite familiare. Cosa ben diversa se pensiamo al rischio terrorismo. Come forse ha fatto l'Arma dei carabinieri inviando nell'isola un giovane capitano, Federico Palmieri, l'unico in divisa che qui parla arabo. Ma solo perché lo studia privatamente. Cinque anni di vacanze e licenze tutte passate a studiare fra Egitto e Israele. Adesso è una risorsa. Ma lo Stato italia¬no avrebbe dovuto pensarci prima e al-levare almeno un po' di giovani volenterosi pronti ad assimilare la lingua degli stranieri che sbarcano. Sarebbe stata una scelta coerente con la preoccupazione che pure viene spesso manifestata dal mondo politico sull'«emergenza immigrazione". Non è stato così, ad eccezione, appunto, del capitano che risponde in arabo. Per merito proprio.



Consiglio supremo di difesa L'Italia rispetterà decisioni Nato e Onu
il Giornale, 10-03-2011
Polveriera Libia, se la Nato chiama l'Italia c'è. Il nostro Paese è pronto «a dare il suo attivo contributo alla migliore definizione ed alla conseguente attuazione delle decisioni attualmente all'esame delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e dell'Alleanza Atlantica», come garantisce il Consiglio supremo di Difesa, che si è riunito ieri al Quirinale sotto la presidenza del padrone di casa, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e la vice-presidenza del premier Silvio Berlusconi. Il vertice ha esaminato la situazione venutasi a creare nel Nord Africa e in Medio Oriente, e con particolare riferimento alla questione libica ha valutato «le misure adottate e quelle in approntamento per il soccorso dei profughi e la loro evacuazione». Certo è che sul Colle ieri soffiava un venticello di preoccupazione, che angustia in particolare Berlusconi, apparso più cauto del solito. A Napolitano e ai ministri riuniti al Quirinale il premier avrebbe più volte ribadito l'incertezza sull'esito del braccio di ferro tra Muammar Gheddafi e i suoi oppositori, l'ansia per le conseguenze che questo scontro potrebbe avere per l'Italia, certamente il Paese più esposto per collocazione geografica e interessi economici, e la necessità che qualsiasi mossa italiana debba inserirsi nella cornice internazionale costituita dalle grandi organizzazioni sovranazionali. Il presidente del consiglio ha annunciato che domani si presenterà al Consiglio europeo straordinario di Bruxelles, previsto per venerdì, con alcune richieste precise ai partner Ue: avviare un'operazione di pattugliamento congiunto per verificare il rispetto dell'embargo sulle armi e chiedere all'Ue un maggiore sostegno all'Italia nel fronteggiare la possibile invasione di immigrati. La prossima riunio¬ne del Consiglio supremo di difesa è stata fissata per il 6 luglio.



Gheddafi raduna immigrati da inviare in Italia e Spagna
L'allarme parte da uno dei principali siti dell'opposizione libica. Il Raìs starebbe spedendo i nordafricani a Naimah per spedirli in Europa e dimostrare che senza di lui l'immigrazione clandestina aumenterebbe. Intanto sono 1438 gli immigrati a Lampedusa. La situazione rischia di diventare critica. In arrivo centocinquanta militari e la Croce Rossa prepara un nuovo campo a Mineo per accogliere i richiedenti asilo
il Giornale, 09-03-2011  
Gheddafi starebbe radunando i lavoratori africani in Libia per mandarli in Europa. L'allarme è stato dato da uno dei principali siti dell'opposizione libica, secondo il quale i migranti si starebbero dirigendo sulla zona costiera di Naimah da dove poi partirebbero via mare per Spagna e Italia. In questo modo Gheddafi dimostrerebbe "che senza di lui l'immigrazione clandestina aumenterebbe", si legge sul sito. Le autorità maltesi ed europee stanno verificando la notizia, come riporta il quotidiano Times of Malta. Il giornale maltese ha anche contattato i responsabili del sito, da cui ha appreso che l’informazione è stata raccolta dai corrispondenti di al Jazeera presenti a Misurata, terza città libica. Alcune fonti citate dal sito riferiscono di aver visto due barconi a Naimah pronti a imbarcare immigrati.
Emergenza a Lampedusa Intanto rischia di diventare critica la situazione in Italia. Il centro di prima accoglienza per gli immigrati di Lampedusa è strapieno. Potrebbe ospitare solo ottocento persone, ma gli immigrati dal nordafrica sono ormai 1438. Non sembra ci siano nuovi barconi in arrivo dalla Tunisia e il servizio di trasferimento per portare via dall'isola gli immigrati prosegue, ma la struttura è ormai al collasso e non potrebbe reggere nuovi sbarchi.
In arrivo l'esercito Anche per contrastare questa situazione il prefetto di Palermo e commissario straordinario per l’emergenza immigrati, Giuseppe Caruso, ha confermato l’arrivo nei prossimi giorni di cento militari a Lampedusa e cinquanta a Mineo (Ct). "Sui tempi non possiamo ancora dir nulla, ha però sottolineato Caruso, perchè questi dipendono materialmente dalle procedure tecniche". Questo pomeriggio, inoltre, lasceranno l'isola con un volo di linea 100 nordafricani. Altri 57, prevalentemente donne e minori, sono stati imbarcati invece sulla motonave Palladio diretta a Porto Empedocle.
Si prepara un centro a Mineo Questa mattina, intanto, lo Stato Italiano ha ufficialmente preso possesso del "Residence degli Aranci" di Mineo, non più presidiato dalle forze dell’ordine americane. Al suo posto nascerà un Villaggio della solidarietà dove saranno ospitati 2 mila richiedenti asilo. Nella tarda mattinata ha varcato i cancelli la Croce rossa italiana chiamata a gestire il centro. Tir e mezzi dell’organizzazione hanno traportato cucine da campo e materiale sanitario. Poco prima cinque camion con venti container sono giunti dal deposito della Protezione civile, che ha sede alla zona industriale di Catania, con tende e materassi inviati dal Viminale. Nutrito adesso
è il presidio di carabinieri, polizia, Guardia di finanza e militari dell’Esercito dinanzi all’ingresso. Stamattina è stato il questore Domenico Pinzello ad effettuare un sopralluogo: "Non bisogna immaginare questa struttura come un bunker, ha detto
Pinzello, ma un centro di accoglienza dal quale gli ospiti potranno entare ed uscire secondo determinate regole".

 

A Lampedusa interviene l'Esercito si occuperà dell'ordine pubblico
Cento soldati arriveranno nei prossimi giorni. Cinquanta, invece, verranno destinati al Villaggio degli aranci di Mineo che ospiterà i richiedenti asilo. Sale la tensione sull'isola. Clandestino tenta il suicidio poi aggredisce una dottoressa
la Repubblica.it, 09-03-2011
Cento militari dell'Esercito verranno inviati nei prossimi giorni a Lampedusa per supportare le forze dell'ordine nei servizi di ordine pubblico. Altri cinquanta militari saranno invece destinati a Mineo (Catania), dove entro la settimana dovrebbero cominciare a giungere i richiedenti asilo nel Villaggio degli aranci. Lo ha confermato il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, commissario governativo per l'emergenza immigrazione. Secondo fonti militari di Lampedusa l'Esercito dovrebbe essere operativo sull'isola a partire dal 16 marzo. Questa data non è stata indicata da Caruso, il quale si è limitato a puntualizzare che le forze armate interverranno non appena si saranno organizzate.
A Lampedusa cresce la tensione per la gestione del soggiorno temporaneo dei clandestini. Un tunisino si è tagliato le vene, poi ha aggredito la dottoressa che cercava di soccorrerlo puntandole le forbici chirurgiche alla gola. L'uomo è stato bloccato e per lui è stato disposto un Tso, trattamento sanitario obbligatorio. La dottoressa sta bene e al pronto soccorso sono intervenuti i carabinieri.
I medici stanno cercando di capire se la reazione dell'immigrato sia un fatto contingente legato allo stress della traversata o se abbia precedenti psichiatrici. Era arrivato al pronto soccorso in stato di agitazione con una crisi di panico ed era stato ricoverato ieri. Diceva di accusare sintomi di soffocamento, che i medici ritengono conseguenza di un grave stato di ansia.
Le traversate del Canale di Sicilia, intanto, proseguono senza sosta. È giunto poco prima delle 3 di notte il barcone avvistato nel tardo pomeriggio di ieri, mentre era in avaria, a circa 55 miglia da Lampedusa. A bordo c'erano 55 tunisini, tre dei quali hanno avuto bisogno dell'assistenza medica per disidratazione e ipotermia. In due sono stati trasferiti all'ospedale Cervello di Palermo.
Sono 1.438 gli immigrati ospitati attualmente nel Centro di soccorso e prima accoglienza. In giornata sono previsti trasferimenti verso altre strutture del territorio nazionale. Intanto, rispetto a ieri le condizioni meteo-marine sono migliorate ed è probabile che gli sbarchi possano riprendere con maggiore intensità.



I ghetti dei Cie senza segreti
Europa., 10-03-2011
RITA BERNARDINI  SERGIO D'ELIA
Un recente provvedimento giudiziario potrebbe segnare una via per far rientrare nella legalità interna e nella norma internazionale i cosiddetti "centri di identificazione ed espulsione".
Luoghi che, a dispetto del nome rassicurante, sono a tutti gli effetti luoghi tristi di detenzione e, spesso, di odiosa repressione.
Il 2 marzo scorso, il presidente del tribunale civile di Bari, Vito Savino, ha accolto il ricorso per accertamento tecnico preventivo proposto dagli attori popolari Luigi Paccione e Alessio Carlucci e ha ordinato l'ingresso nel Cie di Bari di un perito al fine di verificare se «lo stato, la condizione, l'organizzazione del Centro di identificazione e di espulsione   di   Bari, puntualizzando se in base ai parametri propri della funzione a cui è adibito sia in grado di assicurare ai trattenuti necessaria assistenza e pieno rispetto della loro dignità; in caso di constatazione di negatività, evidenzi gli interventi necessari per eliminarle». Il testo integrale dell'ordinanza può essere letto sul sito www.classactionprocedimentale. it.
Questa iniziativa giudiziaria a tutela dei diritti inviolabili delle persone ristrette in un Cie è senza precedenti in Italia e, se ha avuto pieno successo contro la tenace opposizione della presidenza del consiglio dei ministri, è merito dell'associazione class action procedimentale e del genio tecnico del suo presidente, Luigi Paccione, che, forte della convinzione che la democrazia è innanzitutto procedura e rigoroso rispetto delle regole, già vanta nella sua vita professionale azioni popolari come quelle, sempre a Bari, sull'incendio del teatro Petruzzelli e contro il mostro urbanistico di Punta Perotti. Nel caso del Cie, Luigi Paccione e Alessio Caducei sono riusciti a coniugare, innovando, metodo e merito dell'iniziativa popolare.
Il metodo della loro azione è forse il dato più interessante perché indica una via che anche il singolo cittadino elettore può seguire, quando l'autorità pubblica si dimostri inerte o inadempiente rispetto a obblighi di controllo e tutela inerenti a persone, luoghi e fatti che ricadono sotto la sua giurisdizione. Dopo   numerose iniziative parlamentari, inchieste di organizzazioni umanitarie e notizie di stampa che descrivevano una situazione intollerabile riguardo alla stessa agibilità della struttura del Cie di Bari oltre che alle condizioni di vita degli immigrati residenti, l'associazione Class action procedimentale ha innanzitutto chiesto a comune e provincia di Bari di attivarsi per verificare lo stato e la condizione del centro e, a fronte della loro inerzia, ha deciso di sostituire gli enti territoriali avviando l'azione popolare, forte di una norma di legge poco nota e praticata, ma molto efficace, in ba¬se alla quale «ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune ed alla provincia» (articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 267/2000). Infatti, secondo l'ordinanza del giudice, la «legittimazione ad agire non è soltanto di coloro che ritengono di avere direttamente subito violazioni di diritti fondamentali, ma anche degli enti territoriali (comuni e province) che da un lato rappresentano le comunità nei cui ambiti si trovano centri e trattenuti, costituenti parti integranti delle stesse comunità, dall'altro sono portatori di valori specifici coincidenti con la tutela dei diritti di coloro che dimorano nei loro territori (commi 2 e 3 dell'articolo 3 del decreto legislativo 267/2000)».
Il ricorso di accertamento tecnico preventivo, proposto dagli avvocati Paccione e Caducei in quanto residenti l'uno a Bari e l'altro ad Acquaviva delle Fonti, è stato accolto dal presidente del tribunale civile che ha quindi ordinato di verificare se, nel Cie di Bari, le strutture, l'organizzazione e gestione della permanenza degli stranieri, l'indice di occupazione siano idonei ad assicurare a coloro che vi sono trattenuti necessaria assistenza e il pieno rispetto della loro dignità.
Questa verifica preliminare, che il giudice di Bari ha ritenuto tanto urgente quanto volta a modificare la condizione di vita nel Centro nonché a eliminare sollecitamente le violazioni di diritti eventualmente constatate, può portare poi, accertate le violazioni, al riconoscimento di responsabilità civili e, quindi, a richieste di risarcimento. È la via procedimentale alla class action, come emblematicamente indica il nome dell'associazione che l'ha proposta a Bari e, nel caso dei Cie, per la prima volta nel nostro paese, dove l'azione legale collettiva come prevista dalla legge del 2010 è solo una misera caricatura della più efficace e temibile class action di stampo anglosassone.



LA DECISIONE DI STRASBURGO
Ultima follia dell'Europarlamento «Ai rom casa e lavoro per legge»
Una risoluzione obbliga gli Stati membri a promuovere l'integrazione sociale, economica e culturale dei nomadi E per chi non si adegua previste sanzioni
il Giornale, 10-03-2011
Diana Alfieri
Roma Tiepida per quel che riguarda l'immigrazione dal Nord-Africa, l'Europa riscopre il dirigismo a doppia faccia sui rom. Perché con una mozione approvata ieri dall'Europarlamento a Strasburgo (e in attesa che commissione e Consiglio europeo la varino in concreto), da un lato si impegna a dare lavoro e case a quelli che fino a qualche decennio fa venivano chiamati «zingari», cercando di costringerli ad una autentica integrazione, ma dall'altro tralascia di tener con¬to dei «doveri» dell'etnia, rispetto ai tanti diritti che vengono concessi agli stessi rom con l'approvazione del documento.
Una norma a doppio taglio, come si vedrà, che comunque non ha impedito ad una stragrande maggioranza (576 voti a favore) divota¬re a favore del provvedimento con soli 32 voti contrari e 60 astensioni. Un diluvio di «sì» probabilmente da addebitare al faticoso compromesso individuato dai maggiori partiti presenti a Strasburgo: Ppe, Pse, liberali e verdi. Era da anni che si andava discutendo polemicamente (e spesso a fini politici interni) sulle sorti dei rom: l'ultima occasione l'aveva fornita lo scorso anno il premier francese Sarkozy che aveva previsto una rigida politica di espulsioni. Così, per risolvere la questione si è scelta la via di un documento pieno di buoni propo-siti, come la messa a disposizione di 17 miliardi di euro ai paesi che ne faranno richiesta, per dare lavoro e alloggi ai rom, favorirne l'accesso nella pubblica amministrazione, garantire ai bambini una scuola con insegnanti nella loro lingua e tutta una serie di ulteriori vantaggi e facilitazioni. Così facendo si è pensato che il nomadismo potrà esser battuto e l'integrazione raggiunta. Tant'è che la relatrice del provvedimento, l'ungherese dei Popolari europei Livia Jaroka, non ha nascosto ieri, prima del voto, come si fosse fatto «un grande passo» per eliminare «povertà ed esclusione sociale della più grande minoranza etnica del continente». Rammentando poi, come col varo del provvedimento, dovrebbero sparire «discutibili operazioni di rimpatrio» e «preoccupanti livelli di razzismo e discriminazione».
Solo che la relatrice non ha fatto cenno invece ai doveri che a questo punto dovrebbero esser chiesti ai rom in cambio dell'aiuto comunitario. Che accadrà se un gruppo di nomadi non vorrà il lavoro? Se dovessero ottenere delle abitazioni decenti e poi rivenderle per proseguire nei loro interminabili viaggi? E sei bimbi non volessero andare a scuola nonostante insegnanti di lingua madre? Qualcuno, come Raffaele Baldassarre (Pdl), il problema !'aveva posto, ma senza otte¬nere risposte. Altri, come gli euro-parlamentari leghisti sono andati invece oltre, decidendo per un deciso no al provvedimento. «Si è perso di vista il vero significato del principio della sussidiarietà - ha spiegato Oreste Rossi, parlamenta-re europeo del Carroccio - che attribuisce competenza nazionale ad alcuni temi, e si è completamente stravolta l'autonomia e la legittimità delle politiche nazionali su questo settore!».
Ma c'è di più. I leghisti contestano il divieto di citare «rom e gitani» nei comizi che è stato inserito nel documento approvato e trovano «inaccettabile - come hanno insistito Rossi e con lui Morganti e Scotta - tanto l'obbligo di assunzione dei rom nella pubblica amministrazione e in special modo il diritto alla casa». Morganti fa capire che è un assurdo che il parlamento europeo possa invitare i singoli stati a utilizzare tutte le risorse finanziarie per promuovere l'integrazione dei nomadi. E Scotta rincara notando che si prevedono «sanzioni assurde» per chi non tenga conto della direttiva. L'impressione, è che la polemica nata ieri in riva al Reno, sia appena all'avvio. E non solo in Italia.



Sanita': in Italia 5% dei donatori di sangue e' immigrato
il Tempo.it, 9-03-2011
Roma, 9 mar. (Adnkronos Salute) - In Italia circa il 5% dei donatori di sangue è un immigrato extracomunitario: soprattutto si tratta di africani. A scattare la fotografia sulle donazioni di sangue nel nostro Paese è Aldo Ozino Caligaris, presidente Fidas (Federazione italiana associazioni donatori di sangue), nel corso della presentazione a Roma della 'Settimana di donazione dei volontari in Servizio Civile', iniziativa in programma - per il terzo anno consecutivo - dal 14 al 20 marzo."In Italia, tra le persone che donano il proprio sangue - spiega Caligaris - il 75% è uomo e il 25% donna. I giovani (18-28 anni) sono invece circa il 17%. Mentre per quanto riguarda gli extracomunitari la percentuale è pari a circa il 5%. Si tratta soprattutto di persone che arrivano dall'Africa (Ghana, Senegal, Maghreb), ma anche asiatici dello Sri Lanka".



ITALIA - Depressione post-parto. Soprattutto immigrate
Aduc.it, 09-03-2011
Le donne immigrate sono piu' esposte alla depressione post parto rispetto alle italiane. A dirlo sono gli esperti, che domani si inconteranno all'Ospedale Niguarda di Milano per un convegno internazionale su questa patologia, che colpisce il 13 per cento delle neo mamme.
'In una societa' come la nostra, in cui negli ultimi venti anni la presenza di immigrati e' passata da 320mila persone a 4 milioni e 300mila - spiega Mariano Bassi, direttore della Struttura complessa di psichiatria del Niguarda e organizzatore del convegno - e il tasso di natalita' e' ormai sostenuto soprattutto dalle donne straniere, il tema degli aspetti transculturali non puo' non essere sentito, anche per quanto riguarda la depressione in gravidanza e nel periodo post partum'. Le donne immigrate, infatti, soprattutto quelle di recente immigrazione, 'sono piu' esposte alla depressione - aggiunge l'esperto - perche' presentano maggiori fattori di rischio. Tra questi, lo stress derivante dal processo di acculturazione, la mancanza di un supporto sociale, conseguenza sia delle difficolta' linguistiche e culturali per le quali non riescono ad accedere ai servizi sanitari e sociali per avere sostegno, sia dalla lontananza dalla famiglia d'origine'.
In particolare, 'nelle culture nord africana e sud americana la famiglia allargata, soprattutto nella sua componente femminile, rappresenta un punto di riferimento fondamentale, sia durante sia dopo il parto. Infine - conclude Bassi - a pesare e' anche la condizione di precarieta' economica e abitativa in cui si trovano a vivere queste famiglie di recente immigrazione'. A questi poi si aggiungono altri fattori di rischio, comuni anche alle donne italiane, legati ad esempio alle variazioni ormonali o alla nuova condizione di essere madri.

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