Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Tutte le vittime della fortezza Europa

Valentina Brinis

Duemilacentocinquantuno (2151) è il numero delle persone che nel corso dei primi nove mesi del 2011 sono morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per raggiungere le coste dell’Italia e della Spagna. Morte oppure disperse.

Dal momento che l’entità di un fenomeno è determinata da molti fattori e in primo luogo dalle cifre che lo descrivono, in questo caso, anche se si tratta di numeri approssimati per difetto, il quadro che emerge fa rabbrividire. La fonte è quella delle brevi notizie battute dalle agenzie di stampa italiane e straniere e il rapporto Onu sulla condizione dei migranti e dei richiedenti asilo provenienti dal Nord Africa (settembre 2011). Informazioni non esaustive? Probabilmente sì, ma quel che è certo è che la precisione in questo caso è impossibile poiché la cornice in cui si manifesta il dato (ripeto: 2151 tra morti e dispersi) è quello della completa irregolarità (causa principale dei naufragi). Si tratta dell’irregolarità delle imbarcazioni, del numero di passeggeri, di chi li trasporta in Italia, delle condizioni di navigazione e, non meno problematica, l’irregolarità delle persone a bordo. Aspetto quest’ultimo che, al momento dell’approdo, preoccupa a tal punto da immaginare – e attuare – l’immediato rimpatrio. Non solo, anche per chi sul territorio italiano riesce a rimanere è complicato far valere il motivo della fuga come ragione fondante della richiesta di protezione internazionale. A questi superstiti, poi, spetta il compito, come dire in qualità di esseri umani, di raccontare la tragedia dei compagni di viaggio che non ce l’hanno fatta. Tocca a loro dare un volto, associare una biografia e a volte offrire un fiore, a chi a quella fuga non è sopravvissuto. Tocca a loro connotare di umanità quel numero: 2151. Una cifra che più viene pronunciata e più rischia di essere svalutata e banalizzata, fino a perdersi negli altri numeri tristi dell’emigrazione. Una cifra che invece andrebbe considerata come la punta di un iceberg di cui pochi vogliono capire ed esaminare la dimensione e le caratteristiche. Si tratterebbe infatti di un’analisi delle responsabilità perché quei morti e quei dispersi sono il primo effetto delle politiche di chiusura che hanno reso impermeabile il concetto di Fortezza Europa. Tra le altre il potenziamento dell’agenzia Frontex, organo la cui principale attività è quella del pattugliamento delle “frontiere esterne” dei paesi dell’Unione Europea. Seppure non fosse una relazione immediata di causa-effetto non è indubbio che sistemi intransigenti di controllo vengano aggirati da strategie, ovviamente illegali, che producono più facilmente vittime. 2151 in nove mesi.  
15 ottobre 2011

 

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