Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

14 gennaio 2011

Tratta  Con l'operazione "Cestia" gli inquirenti hanno sgominato un'organizzazione che lucrava sulle rotte degli irregolari. Individuate 48 persone, 26 in manette, d'origine afgana e pachistana
Italia, porta d'Europa per il traffico di migranti
Terra, 14-01-2011
Dina Galano
Il nostro Paese si conferma essere il ponte per le rotte clandestine verso il nord Europa. Il pedaggio pagato dal flusso ingente di stranieri che tentano di arrivare nel Vecchio continente questa volta è stato davvero elevato,: 4.000 euro versati dalle famiglie nei Paesi d'origine per garantire il trasferimento e il mantenimento del proprio congiunto. A sgominare l'organizzazione che gestiva il traffico di esseri umani dal Medio Oriente è stata la task force composta dalle Squadre mobili di Roma e Bolzano insieme a Digos e Squadra mobile di Frosinone, tutti coordinati dal Servizio centrale operativo e dalla Direzione distrettuale antimafia. Le manette sono scattate per 26 dei 48 ricercati, tutti di origine afgana e pachistana, accusati principalmente di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Gestivano la tratta investendo sulla domanda inesauribile di disperati in fuga da povertà e conflitti al ritmo di 300/400 persone al mese; molti di loro (circa il 20 per cento) erano minori. Sbarcati nei porti dell'Adriatico, venivano nascosti in container o treni merci e portati a Roma. Il tragitto continuava puntando verso Nord, ma la Capitale restava il fulcro dell'attività illecita. Qui gli agenti hanno sequestrato sette internet point (un altro è stato individuato a Napoli) nella zona della Piramide Cestia, da cui deriva anche il nome dell'operazione di polizia, che si prestavano all'attività parallela di contraffazione di documenti validi per l'espatrio, di titoli di viaggio acquistati on line con carte di credito clonate da parte di terzi non identificati e illecite operazioni valutarie e di cambio, nazionali ed internazionali. I soldi inviati dalle famiglie dai Paesi d'origine, invece, venivano tradotti grazie al sistema "Hawala", che ostacolerebbe la tracciabilità nei trasferimenti di denaro. Dalla Questura spiegano che «si tratta di una modalità informale di scambio di valori, una sorta di sistema parallelo di pagamenti basato sulle prestazioni e sull'onore di una vasta rete di mediatori, localizzati prevalentemente in Medio Oriente, Nord Africa e Asia meridionale,, che permette ai soggetti coinvolti di mantenere l'anonimato».
Gli inquirenti hanno dato per certa la dimensione internazionale   dell'organizzazione,   che vantava numerose ramificazioni in diversi Stati tra cui l'Afghanistan, Pakistan, Iran, Grecia, Turchia, Francia, Svezia, Norvegia e Regno Unito. Impressiona la cifra delle quasi 5.000 persone l'anno che passavano per  i porti  italiani attraverso l'unica  organizzazione scoperta ieri. La sua capacità a delinquere,  inoltre, trova conferma nei timori della Procura che non ha escluso la matrice terroristica di una parte del gruppo. Alcuni avrebbero «partecipato ad attività di terrorismo internazionale», ma per il procuratore aggiunto di Roma Pietro Saviotti, intervenuto ieri in conferenza stampa, «si tratta di sospetti su cui stiamo effettuando controlli».



"Le nuove moschee? Decidano i cittadini"

Pronta la mozione del centrodestra per proporre un referendum
La Stampa, 14-01-2011
EMANUELA MINUCCI
«Un'altra moschea? Ennò mieri cari, qui finisce come avevo detto l'anno scorso, ne avremo una per quartiere: dobbiamo assolutamente fare qualcosa». Il capogruppo regionale del Carroccio Mario Carossa non nasconde la sua preoccupazione: quella «Dia» che qualcuno dei Lavori Pubblici gli ha segnalato (Carossa è geometra, ha molti amici nell'ambiente), ovvero la «dichiarazioni di inizio attività» consegnata qual¬che settimana fa alla divisione Urbanistica del Comune non lascia dubbi: in via Mottarone, a ridosso di corso Vercelli, estrema periferia di Barriera, nascerà una nuova moschea. Più grande di quella di via Urbino - per la quale il Comune ha concesso il 30 dicembre scorso un definitivo via libera ai lavori - una superficie di circa 600 metri quadri, con un grande spazio incontri riservato alla preghiera, ma anche questa priva di minareto. A chiedere al Comune di trasformare questo vecchio magazzino in un luogo di culto sarebbe l'associazione «Casa di famiglia» dell'imam Mohamed Bahreddine, che avrebbe idea di andare oltre il concetto di moschea «creando un vero e proprio centro culturale».
Nonostante l'assessore alle Politiche per l'Integrazione Ilda Curti non abbia ricevuto nessuna notizia in merito e ieri si sia limitata a commentare: «I musulmani esistono che piaccia o meno alla Lega e hanno diritto di pregare. Inutile nascondere la testa sotto la sabbia». Parole che alla Lega proprio non vanno giù, al punto che stanno preparando un referendum: «Un fatto inaccettabile - ribatte Carossa - io non credo all'Islam moderato e mai sarò d'accordo sulla costruzione delle moschee sul nostro territorio. Noi ci batteremo con tutte le nostre forze contro l'islamizzazione di Torino. E, insieme con il capogruppo della Lega Nord in Comune Mario Brescia e al consigliere del Carroccio Antonello Angeleri, dichiara: «Abbiamo pronta la mozione per proporre il referendum: vogliamo che il Comune blocchi queste realizzazioni fino a che i torinesi non si saranno espressi in merito».
Aggiunge il capogruppo del Pdl in Comune Daniele Cantore, insieme con Giampiero Leo consigliere regionale dello stesso schieramento: «Ben venga un referendum. I momenti di consultazione e coinvolgimento della cittadinanza rappresentano un importante parametro di cui la politica e le istituzioni devono tener conto, ma prima ancora va avviato un confronto tra Prefettura, enti locali, Diocesi ed esponenti della comunità musulmana per stilare insieme un codice per la vera integrazione che favorisca la convivenza».
E sempre al tema integrazio-ne - che pare proprio diventerà uno dei temi cardine della prossima campagna elettorale, ieri Agostino Ghiglia (An-Pdl) si é scagliato contro la campagna del Comune a favore di una società multietnica: «Se vogliamo far crescere dei "Nuovi Italiani" dobbiamo innanzitutto applicare la quota massima del 30% di bambini stranieri per ogni classe affinché nessuno rimanga indietro. E' indispensabile, inoltre, creare - come chiediamo da anni - una Commissione Comunale per l'integrazione, finalizzata a razionalizzare e coordinare spese ed iniziative; come sportello di ascolto e denuncia per le mille situazioni di un Garante per le donne e i minori stranieri».
GHIGLIA(PDL)
«Regaliamo a tutti gli stranieri il Tricolore e la Costituzione»
Il Tricolore e una copia della Costituzione in regalo a tutti gli stranieri: è la proposta che il Pdl fa al Comune. Osserva, il capogruppo Ghiglia: «Torino, quale prima capitale d'Italia, ha costruito la Nazione: per questo la nostra Città può essere un laboratorio di integrazione reale. E i 150 anni dell'Unità d'Italia devono rappresentare un forte momento di unione e identità nazionale». Aggiunge: «Quale simbolo dell'orgoglio italico il Tricolore insieme con la Costituzione, pilastro della nostra Storia, dovranno essere tra i protagonisti dei festeggiamenti del marzo prossimo, espressione della tradizione culturale italiana rinomata e imitata in tutto il mondo».    [E. MIN.]



CLANDESTINO SI PUÒ

L'espresso, 14-01-2011
CARLO FEDERICO GROSSO
La falsa identità giustificata dal dovere di informare. Che serve alla democrazia. L'importanza della sentenza con la quale Gatti è stato assolto per l'inchiesta sul Cpt di Lampedusa
Il giudice Katia La Barbera del Tribunale di Agrigento ha pronunciato, a dicembre, una sentenza molto importante per la libertà di stampa. I fatti dai quali è nato il caso giudi-ziario sono noti. Fabrizio Gatti, giornalista de "L'espresso", fingendosi immigrato, nel 2005 era riuscito a farsi rinchiudere nel Cpt di Lampedusa. Intendeva documentare con un'inchiesta ciò che accadeva nel Centro, in quanto correvano voci poco tranquillanti sul modo in cui venivano trattati gli immigrati. La cosa importante era riuscire a penetrare nel recinto dove essi erano trattenuti, poiché c'era, allora, totale divieto d'ingresso per gli estranei e gli stessi parlamentari avevano difficoltà a esercitare il loro diritto d'accesso.
Una volta condotto nel Centro, per non essere scoperto il giornalista fu costretto a fornire un'identità falsa. Di qui, inevitabile, l'imputazione e il processo: false generalità alla polizia. In questi casi c'era stata, fino ad ora, quasi sempre condanna. Tutt'al più la magistratura, per evitare d'infliggere la pena detentiva, aveva trovato qualche espediente: la prescrizione, l'incertezza della prova, la mancanza del dolo, la conversione in pena pecuniaria. Mai era stato affrontato il cuore del problema: stabilire se il giornalista, costretto a mentire sulla propria identità per potere svolgere il suo lavoro, potesse invocare a suo favore, come scriminante generale, il diritto/dovere d'informare su circostanze di pubblico interesse.
Nel caso di Lampedusa le condizioni per riconoscere l'esistenza di questo diritto c'erano tutte. L'unico modo per riuscire a far luce, con un'inchiesta giornalistica, su quanto accadeva all'interno del Centro era, infatti, fingersi clandestino, inventarsi un nome straniero, riuscire a permanere al suo interno per un tempo sufficientemente lungo. Dato il contesto del 2005, l'unico modo per riuscire a realizzare l'inchiesta, e denunciare pubblicamente le condizioni inumane nelle quali i reclusi erano costretti, era, ovviamente, commettete il reato di false generalità. Ci voleva coraggio,  Gatti lo ha avuto. Come risultato della sua esperienza, pubblicò un reportage che fece scalpore, ebbe eco addirittura nel Parlamento europeo, contribuì a migliorare le condizioni del Centro ed a cambiare la sua struttura. Fingendosi un altro, è stato tuttavia subito imputato. Il problema giuridico c'era: ha commesso davvero il reato contestato o, date le funzioni esercitate e lo sco¬
po perseguito, ha legittimamente esercitato un suo diritto?
Il  giudice di Agrigento nella sua decisione è stato esemplare. La motivazione con la quale ha assolto indica in modo perfetto i termini della questione e la strada corretta per risolverla: «Sebbene il reato contestato risulti pienamente configurato, il bene giuridico sotteso alla norma, la fede pubblica, cozza contro un altro bene tutelato costituzionalmente, che è il diritto di cronaca protetto dall'articolo 21 della Costituzione«; «di fronte a questi interessi giuridici contrapposti, il secondo deve comunque prevalere, poiché il diritto di cronaca si pone come principio cardine della democrazia». Il reato commesso dev'essere pertanto «scusato». In due frasi l'enunciazione di un principio generale di grandissima rilevanza giuridica e sociale.
È stato riconosciuto a livello giudiziario che il diritto/dovere del giornalista d'informare su ciò che accade nel Paese è principio fondamentale, sale della democrazia: destinato pertanto a prevalere, a certe condizioni, su tutti gli altri diritti che non possiedono lo stesso rango. Questo principio era stato, fino ad ora, riconosciuto con riferimento al solo delitto di diffamazione a mezzo stampa, nel senso che il giornalista ha diritto d'offendere quando pubblica una notizia vera, di pubblico interesse e la racconta con modali¬tà corrette. Oggi è stato riconosciuto come principio di carattere generale, destinato a coprire la commissione di reati anche più gravi. Per salvaguardare fino in fondo la libertà di stampa.
La sentenza, nella sua motivazione, si è ovviamente dilungata nel registrare le circostanze che giustificavano, in concreto, l'efficacia scusante dell'esercizio del diritto di cronaca (le voci sulle preoccupanti condizioni del Centro, l'impenetrabilità dello stesso, i contesti addomesticati in caso di visite ufficiali, la necessità di fingersi un clandestino per compiere l'inchiesta). E, come era naturale, ha dato ampio risalto alle dichiarazioni di chi, parlamentare, operatore sociale, giornalista, dirigente di associazione umanitaria, è sceso fino ad Agrigento per testimoniare nei dettagli le circostanze e i fatti che giustificavano, anche in termini di necessità, l'iniziativa del giornalista de "L'espresso". Il dato fondamentale rimane, ovviamente, l'enunciazione del principio giuridico: che costituisce diritto del giornalista informare il pubblico dei lettori, e che si tratta di un diritto irrinunciabile in uno Stato democratico, sicuramente in grado di giustificare l'eventuale commissione di reati strumentali al suo esercizio. Di questi tempi, assai grami per le prospettive della democrazia e della libertà di stampa, trovarlo scritto in una sentenza di assoluzione è di particolare conforto.
Professore di diritto penule all'Università di Torino ed ex vicepresidente del Csm



Prostituzione cinese In Italia le nuove schiave

Schiavitù  Vengono dalle Regioni più povere del lontano oriente. Si dividono tra clienti italiani e connazionali. Per i loro sfruttatori sono una miniera d'oro
Terra, 14-01-2011
Giorgio Mortola
Era uno dei night club più esclusivi e più sconosciuti di Roma. Si chiamava "Diamante" e della sua esistenza sapevano solo i cinesi. Visto da fuori, si mescolava perfettamente allo squallore degli altri capannoni industriali del quartiere Ca-silino. Ma dentro, tra tappezzerie di lusso, tovaglie di seta e luci soffuse, ai tavolini si sedevano uomini daffari e capimafia della comunità cinese. A loro disposizione avevano, oltre all'alcool e agli ultimi ritrovati in materia di droga, le più belle e giovani prostitute del Lontano Oriente disponibili a Roma. Quando la Squadra mobile fatto irruzione nel locale, ce n'erano quindici, tutte avevano con loro la chiave dell'albergo dove avrebbero portato i loro clienti. Prostitute destinate ai cinesi ricchi. Ma senza nessun privilegio in più rispetto alle loro connazionali che battono i marciapiedi o che vivono rinchiuse in orribili appartamenti di Piazza Vittorio.
Schiave. Anzi, merce, nient'altro che merce. Si vestono solo per lavorare. Per il resto del tempo, sono costrette a girare per casa in indumenti intimi: un deterrente contro la loro possibile fuga. Qualcuno le valuta e sceglie qual è il segmento di mercato più adatto. Come se fossero vestiti realizzati in un laboratorio clandestino o giocattoli contraffatti. Il modo in cui i cinesi gestiscono la prostituzione in Italia segue le ciniche regole del marketing puro. Prezzi bassi, cambio periodico dell' "offerta" e individuazione del target di cliente.
Il mercato è diviso rigorosamente in due settori: quello cinese, per il quale vengono riservate le donne migliori, e quello italiano. Segue poi la selezione dei clienti per censo: più sono ricchi, maggiore è il valore delle prostitute messe a disposizione. Nulla è lasciato al caso, l'organizzazione ha dinamiche assolutamente commerciali. A Roma, alcuni sfruttatori si erano dotati persino di un call center e avevano affittato nella capitale undici appartamenti, intestandoli a un nome fittizio, Guan Whenzu. Avevano travato anche uno slogan per il proprio business, che pubblicizzavano sulle riviste di annunci: «Fiume d'amore!». Al telefono rispondevano donne cinesi con una buona conoscenza dell'italiano, che fissavano l'appuntamento e sceglievano la prostituta in base a quanto intendesse spendere il cliente.
Tutto avviene in modo più discreto e diretto all'interno della comunità cinese. Lo scorso marzo è stata arrestata una "maitresse", che ogni giorno dalle parti di Piazza Vittorio si procurava clienti connazionali porta a porta: come accade anche per i nigeriani, è quasi sempre una donna a gestire direttamente le prostitute per conto dell'organizzazione. La madama lasciava bigliettini con la scritta «massaggi completi per uomini», oppure fermava la gente direttamente per strada. Nella casa che lei gestiva non erano ammessi né italiani, né stranieri di altra nazionalità. Le richieste dei cinesi sono infatti molto differenti. Soprattutto gli appartenenti alle classi agiate non sono interessati al semplice rapporto. L'incontro con una prostituta si prolunga per l'intera serata, durante la quale è molto frequente l'utilizzo di droghe. Anche gli stupefacenti sono di produzione cinese. Durante il blitz al club Diamante fu scoperta una nuova sostanza: la K-fen. È un droga sintetica, mai vista prima dalle autorità italiane, derivata dalla chetamina, si presenta in forma granulare e si può sniffare oppure sciogliere nella bevanda. Per un italiano un rapporto sessuale in appartamento o in un centro massaggio con una prostituta cinese costa tra i 30 e i 50 euro. Sul marciapiede i prezzi scendono sotto i 15 euro. Le donne di altre nazionalità che ricevono in casa costano molto di più: tra i 100 e i 200. Ma se sempre più italiani negli ultimi anni inseguono le proprie fantasie orientali, non è solo una questione di soldi. Le cinesi infatti non si ribellano a nessun tipo di richiesta. L'assoggettamento agli sfruttatori è tale che la volontà della donna si annulla completamente.
Nella maggior parte dei casi le ragazze vengono dal nord rurale della Cina, soprattutto dal Lia-oning. Quasi sempre hanno meno di ventanni. Hanno una famiglia povera, sono senza marito, ma con un figlio a carico. Sono così disperate che partono per l'Europa, pur sapendo bene a cosa vanno incontro. La porta di ingresso per l'Occidente è Parigi. Ci arrivano con visti turistici al seguito di grosse comitive di connazionali. Dopo qualche settimana il responsabile del gruppo denuncia l'allontanamento all'ambasciata e a quel punto se ne perdono le tracce. Il traffico di esseri umani è gestito dalla mafia cinese nazionale. Nel momento in cui arrivano in Italia, ad occuparsene sono bande criminali, ma non sempre organizzazioni di stampo mafioso. In Toscana, ad esempio, il business è in mano alle gang giovanili. Con i loro sfruttatori, le prostitute spesso non riescono nemmeno a comunicare. Gli uomini vengono infatti dallo Zejan, dove si parla un dialetto molto diverso da quello del Liaoning. I loro aguzzini arrivano a guadagnare oltre mille euro al giorno. Misera è la parte che rimane a loro: si aggira tra i 100 e i 150 euro. Sono ostaggi a tutti gli effetti. Prostituendosi pagano il proprio riscatto. Dal momento che sono completamente sfornite di mezzi economici, non possono infatti permettersi le spese di viaggio per raggiungere l'Europa. Per cui, sono costrette a contrarre con i loro sfruttatori un debito a tassi usurai. Si tratta di cifre che oscillano tra i 30 mila e i 40 mila euro. Soldi che si scontati con la privazione della propria libertà e, in defìnitiva, della propria vita. Dagli appartamenti in cui sono recluse, infatti, non escono in alcun caso. A Roma, secondo il sostituto commissario della Squadra Mobile di Roma, Mario Belfiori, ce sono tra 35 e 50 di queste case, che ospitano in media tre ragazze. Si tratta di prigioni minimaliste: abitazione misere, dotate di arredamento essenziale. Le donne vengono sballottate in continuazione da una città all'altra. In questo modo provano a ridurre al minimo il rischio di attirare l'attenzione soprattutto evitano la possibilità che il cliente italiano possa instaurare un rapporto confidenziale. ?



Profughi nel Sinai fra orrore e speranze

del Gruppo EveryOne
Tel Aviv, 13 gennaio 2011. E' ancora difficile la situazione per i migranti africani nel Sinai, ma vi sono sviluppi nelle attività diplomatiche delle delegazioni internazionali per salvarli. "In particolare, dietro richiesta del presidente dei Liberali e Democratici in Europa, Graham Watson, le delegazione dell'Unione europea al Cairo ha chiesto oggi al governo egiziano un intervento urgente," spiegano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti del Gruppo EveryOne. "Dopo che la nostra organizzazione - insieme al Gruppo Facebook 'Per la liberazione dei prigionieri nel Sinai', a Christian Solidarity Worldwide e all'Eritrean Research and Documentation Center - ha formalizzato presso la Procura generale del Cairo una denuncia contro i trafficanti, vi è maggiore attenzione da parte delle Istituzioni internazionali. Graham Watson si è impegnato a proseguire accanto a noi l'azione internazionale per liberare i profughi africani e sicuramente il suo peso politico e la sua fama decennale di uomo di diritti umani avranno un ruolo importante". Intanto si susseguono le notizie, a volte ufficiali, a volte ufficiose, relative alla liberazione dei profughi. "Nel frutteto di Rafah rimangono meno di 50 prigionieri," prosegue EveryOne, "fra cui sei donne, mentre dalle autorità egiziane e da quelle israeliane giungono notizie di contingenti di profughi liberati, tutti provenienti dal campo di detenzione di proprietà della famiglia Sawarqa, da tempo nota alle autorità per traffico di esseri umani, e gestito dal beduino palestinese Abu Khaled, anch'egli famigerato predone e trafficante di migranti e organi umani. E' ormai probabile che la maggior parte dei migranti si trovi nelle carceri militari egiziane, da dove saranno deportati nei paesi d'origine, salvo che l'Onu e l'Ue non intervengano con estrema urgenza, offrendo all'Egitto l'alternativa di un reinsediamento per quote nei paesi dell'Unione europea". Mentre prende il via una raccolta firme, che chiede alle Istituzioni internazionale di adoperarsi con ogni mezzo per liberare gli africani prigionieri, promossa dal sacerdote eritreo don Mussiè Zerai e già sottoscritta da parlamentari e operatori umanitari, i l'organizzazione israeliana PHR (Medici per i Diritti Umani) dà notizia di altri migranti africani liberati dai predoni ed entrati nello stato ebraico. "Un ragazzo eritreo di 19 anni," riferisce suor Aziza Kidane, una religiosa eritrea, "non è riuscito a procurarsi il denaro per il riscatto e i trafficanti l'hanno torturato con pezzi di vetro acuminati. Le sevizie sono terminate quando una donna ha accettato di prestargli il denaro mancante. A una ragazza di 22 anni i predoni hanno detto che se non avesse pagato, l'avrebbero portata in una clinica, dove le avrebbero espiantato un rene". Le testimonianze raccolte dai medici di Jaffa sono agghiaccianti e riguardano pestaggi, atti di sadismo, stupri. "I migranti africani sanno cosa rischiano nel Sinai, " continua suor Aziza, "ma non hanno altre possibilità, perché in patria subirebbero persecuzione religiosa, arresti e detenzioni arbitrarie. I giovani sarebbero inoltre costretti ad andare in guerra". Contro il progetto israeliano di costruire una barriera impenetrabile ai profughi lungo il confine con l'Egitto si oppone, accanto alla rete di Ong che si è schierata a tutela dei migranti del Sinai, l'organizzazione israeliana Global Crisis Solution Center. "Israele è uno stato fondato da migranti in fuga da una spietata persecuzione," afferma Morgan Thomas, presidente del Centro, "e tutti noi abbiamo il dovere di non dimenticarlo, di non chiudere le porte di fronte a chi soffre per motivi di religione, razza, cultura o a causa di crisi umanitarie. Accoglienza e integrazione devono ispirare le politiche sui rifugiati di qualsiasi paese che si definisca civile".



Il dirigente dell'Ufficio immigrazione, Maurizio Improta: «Bisogna evitare l'infiltrazione di organizzazioni criminali»
Permessi di soggiorno connection
L'allarmeNel 2010 la malavita ha incassato 64 milioni: 8 mila euro a pratica falsa
In un anno ha fruttato circa 64 milioni di euro il giro d'affari dei falsi documenti per avere il permesso di soggiorno
Il Tempo.it, 14-01-2011
Cifra da capogiro uscita dalla tasche degli immigrati che hanno pagato le organizzazioni a delinquere con la promessa di avere la carta dei sogni. «E ora, a febbraio, coi nuovi flussi migratori - avverte il dirigente dell'Ufficio immigrazione della Questura di Roma, Maurizio Improta - bisogna mantenere alta l'attenzione per impedire infiltrazioni di organizzazioni criminali. Questa estate è aumentata in modo esponenziale la domanda di regolarizzazione a causa di truffe e false richieste. Per questo ci sono stati dei ritardi». L'ammontare della truffa è una previsione. Nel 2010 le pratiche sospese per accertamenti penali sono state ottomila. Totale che va moltiplicato per gli ottomila euro che gli sfruttatori pretendono per produrre i certificati falsi che servono. Gli ingranaggi che spingono questa macchina illegale sono insospettabili: sedicenti avvocati, consulenti del lavoro, addetti dei Centri di assistenza fiscale (i Caf) e dei Patronati. «Con la Squadra mobile - spiega Improta - è stata costituita una task force ad hoc. E al momento gli indagati sotto inchiesta sono 2.500, tra italiani e stranieri. In alcuni casi quest'ultimi non conoscevano i finti datori di lavoro che avevano presentato domanda di regolarizzazione». La raccomandazione di Improta: «Gli immigrati non devono farsi ingannare da questi truffatori, perché si rendono complici di un reato e quindi creano un ostacolo alla loro regolarizzazione». L'Ufficio immigrazione, però, ha anche un'altra contabilità. Lo scorso anno sono stati rilasciati 120.125 permessi di soggiorno, il doppio del 2007 (64.115). In tutto sono stati trattati 320 mila utenti. E ancora. Emessi 5.526 ordini di espulsione, arrestati 1.220 stranieri, scortati dal Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria al loro paese 929 clandestini, allontanati dall'Italia 1.577 cittadini comunitari (in prevalenza romeni). L'attività dell'Ufficio immigrazione nell'ultimo anno ha riguardato anche la gestione dell'emergenza nomadi nella Capitale con l'identificazione di 2.500 rom in tutti i campi di Roma, con il rilascio del Documento di autorizzazione allo stazionamento temporaneo (con validità di quattro anni). Da segnalare inoltre il rilascio di 2.484 permessi di soggiorno per motivi umanitari, compresi i 102 immigrati (ivoriani, malesi e congolesi) di Rosarno, in Calabria, che lavoravano in nero nei campi agricoli, e che sono stati assistiti da organizzazioni di volontariato.



IMMIGRATI: MINORE NEL DOPPIOFONDO AUTO, ARRESTATO BULGARO A BARI

(AGI) - Bari, 14 gen. - Gli agenti della Polmare ed i militari della Guardia di Finanza hanno arrestato al Porto di Bari un cittadino bulgaro di 44 anni, con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina aggravato, nonche' in ottemperanza di un mandato di arresto europeo. Si tratta di Georgi Svetozarov, sbarcato da un traghetto proveinete dalla Grecia con un'auto con targhe tedesche. Nel corso dei controlli, e' stato scoperto sotto il sedile posteriore, un doppiofondo dove aveva viaggiato nascosto un 16enne afgano, in condizioni precarie, disumane e degradanti tali da metternee in pericolo l' incolumita'. Il minore e' stato soccorso e affidato ad struttura di accoglienza a disposizione del Tribunale per i minorenni di Bari. Il cittadino bulgaro e' risultato essere ricercato, perche' destinatario di un mandato di arresto europeo su richiesta dell' Autorita' Giudiziaria bulgara, dovendo espiare una condanna a 6 mesi di reclusione per violenza privata.(AGI)



Calabria: “Alfabetizzazione” e “Accesso all’alloggio” sono i due obiettivi dell’accordo di programma tra Regione e Ministero del lavoro.

Corsi di prima alfabetizzazione per minori e sostegni per gli affitti agli extracomunitari sono le misure previste.
Immigrazione Oggi, 14-01-2011
La Regione Calabria ha sottoscritto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali due accordi di programma relativi al finanziamento di azioni volte all’integrazione degli extracomunitari. Le azioni previste dall’Accordo, nel complesso, consistono – informa una nota dell’ufficio stampa della Regione – nella redazione di bandi regionali finalizzati ad “Alfabetizzazione” ed “Accesso all’alloggio”.
La prima azione è rivolta a fornire, attraverso percorsi di prima alfabetizzazione per ragazzi stranieri, l’insegnamento della lingua italiana e di educazione civica. Il secondo programma riguarda invece la fruizione di un sostegno per l’affitto di un’abitazione per gli extracomunitari residenti.
Le azioni contenute in questo Accordo di Programma verranno integrate a breve – informa sempre la nota – con un bando di prossima pubblicazione, relativo ai servizi di mediazione culturale.



Triboniano, due famiglie rom sono già entrate nelle case Aler

Due nuclei hanno già preso possesso delle abitazioni già assegnate dal Comune, che aveva fatto
poi dietrofront: il tribunale aveva intimato alla Moratti, a Maroni e al prefetto di mantenere l'impegno
la Repubblica, 13-01-2011
Alcune famiglie nomadi del grande campo milanese di via Triboniano sono già entrate negli alloggi di edilizia popolare dopo la decisione del tribunale civile di Milano, il 20 dicembre scorso, che aveva stabilito l'obbligo da parte del Comune di Milano di assegnare le case popolari ai rom, in adempimento di accordi già presi a cui era seguita poi una marcia indietro. In particolare, due delle dieci famiglie di rom che hanno avuto ragione nella causa civile in primo grado contro il sindaco Letizia Moratti, il ministro Roberto Maroni e il prefetto Gianvalerio Lombardi sono già entrate nelle case popolari, mentre altre due famiglie entreranno nel fine settimana e altre due ancora entro fine mese.
Intanto davanti al collegio (Miccichè, Bernardini, Dorigo) del tribunale civile di Milano si è celebrata l'udienza scaturita dal reclamo del Comune di Milano e dell'Avvocatura dello Stato contro la decisione del 20 dicembre scorso. I giudici si sono riservati di decidere: lo faranno nei prossimi giorni.
Il giudice Roberto Bichi, il 20 dicembre scorso, aveva riconosciuto il diritto alle dieci famiglie rom di entrare, entro il 12 gennaio, nelle case popolari sulla base di una convenzione del maggio scorso stipulata tra la prefettura, il Comune e alcune onlus, tra cui la Casa della Carità, con la quale era stato varato un piano di aiuto per l'inserimento abitativo dei rom. Tutto il progetto si era bloccato nel settembre scorso, però, anche a seguito di dichiarazioni politiche, tra cui quelle del ministro Maroni rilasciate in una conferenza stampa. Due famiglie sono già entrate nei giorni scorsi - hanno spiegato alcuni operatori della Casa della Carità - e altre quattro entreranno nei prossimi.
Ne restano fuori ancora quattro e poi resta aperta la questione di altri 15 alloggi previsti nel piano (le famiglie destinatarie però non hanno partecipato alla causa civile). Oggi gli avvocati del Comune hanno sostenuto che l'ordinanza del giudice civile è ineseguibile. Secondo loro non è l'amministrazione comunale che deve assegnare le case, che sono invece oggetto di contratti di locazione tra Aler (l'azienda che si occupa di edilizia popolare) e Casa della Carità.
Il giudice Bichi aveva però accertato anche il comportamento discriminatorio dell'amministrazione comunale e sulla base di questa decisione il procuratore aggiunto Armando Spataro ha aperto poi un fascicolo penale per valutare eventuali profili di discriminazione razziale. "E' assurdo che si parli di discriminazione - hanno spiegatogli avvocati Maria Rita Surano e Sabrina Maria Licciardo - visto che il Comune sta portando avanti progetti speciali proprio legati alle famiglie rom".
"Stiamo perdendo la pazienza sulla chiusura di Triboniano perché i rinvii cominciano a esser troppi", ha commentato l'eurodeputato leghista Matteo Salvini. "Vorremmo avere notizie dal Comune, e in particolare dall'assessore Moioli - ha spiegato Salvini - Sappiamo che al ministero dell'Interno si aspetta solo una richiesta di intervento da parte del Comune, che è il proprietario dell'area, e che non dà alcun cenno da alcuni mesi. Non siamo più disposti ad aspettare". L'esponente del Carroccio, che siede anche in consiglio comunale, non ha risparmiato una dose di fiele nemmeno ai giudici. "Come Lega - ha concluso Salvini - siamo molto arrabbiati e speriamo che il giudice, don Colmegna e i vari paladini della causa rom abbiano tempo per incontrare una a una le 18mila persone in lista d'attesa che sono state scavalcate dai nomadi".
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SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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