Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

18 ottobre 2013

Lampedusa, lunedì la cerimonia di Stato ma senza le bare
I morti sono già stati sepolti in varie località siciliane
La Stampa, 16-10-2013
Andrea Malaguti
Ieri ne hanno sepolti 385. Sono le vittime del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre. Senza un fiore. Senza una lapide. Senza una cerimonia come si deve. In attesa di un mezzo funerale di Stato, facile da promettere il primo giorno, quello dello sgomento, facilissimo da dimenticare - come hanno fatto Letta, Alfano, la Bonino - due settimane dopo.  
Senza più tv. Senza più un Barroso in passerella e nemmeno una Boldrini. In un buio gelido come quello del mare che li ha ingoiati - eritrei e siriani - per restituirli gonfi, a brandelli, senza identità. La fine perfetta di una non storia, fatta di non uomini, di non donne, soprattutto di non bambini. Numeri macinati a caso nello stomaco dell’universo. Scarti. Senza neanche la differenziata.  
Cinque di loro, i più fortunati, li hanno tumulati nel cimitero di Sambuca di Sicilia, dove il Comune ha messo a disposizione un pezzo del camposanto. È venuto il sindaco, Leo Ciaccio, e anche una ventina di profughi, la metà dei quali sopravissuti al disastro.  
Chi erano i cinque? E chi lo sa. Si sa solo bisognava metterli sotto terra in fretta. Prima che portassero malattie. Appestati. Sono stati i medici a spingere perché si accelerasse. C’è stata anche una cerimonia funebre vera, con tanto di sacerdote. Gli uomini e le donne, vestite a lutto, erano farfalle nere che andavano e venivano in piroette miopi, piangendo connazionali presunti. Qualcuno è anche svenuto, ascoltando la voce stridula di stormi di gabbiani evasi dalle nuvole. Ma almeno c’è stato un canto, un «Dio vi benedica».  
A Piano di Gatta, ancora Agrigento, dove le bare sotterrate erano 85, è andato tutto molto più veloce, come se le autorità di ogni ordine e grado avessero paura di venire inseguiti da defunti che non riescono più nemmeno a trovare i vicoli da cui sono venuti. Ma forse erano già fantasmi alla nascita.
Le casse le hanno infilate in cinque cappelle di cemento grezzo. Il guardiano del cimitero ha detto: «Non ne avevo mai viste tante insieme». Non c’erano targhette a distinguerle. Solo numeri. Con un pennarello li hanno segnati sul muro. Qui, a sinistra, ci sono il 6, il 23 e il 98. Chi non li volesse piangere può sempre giocarli al lotto.  
Enzo Billaci, che vive da sempre a Lampedusa e fa l’assessore alla pesca, chiede: «Ma che cos’è diventata l’Italia?». Un posto talmente opaco e micragnoso che neppure gli immigrati ci vogliono stare. Rifiutano i riconoscimenti. Sognano di scappare in Svezia. O in Inghilterra. Solo i morti sono costretti a subire. «Quando ho visto le braccia meccaniche della navi portare via a due a due le bare bianche dei bambini, mi si è crepato il cuore. Neanche i container del pesce si spostano così. Mi sono vergognato». Anche il suo sindaco, Giusi Nicolini, si è vergognata. «Non volevano fargli il funerale di Stato? Potevamo fargli almeno noi quello di Paese».  
In verità un saluto pubblico, senza bare, senza corpi, senza senso, ma con le bandiere tricolore - «alla presenza dei rappresentanti del Governo e delle istituzioni», recita un bislacco comunicato del Viminale - si farà lunedì 21. Ad Agrigento. Al molo turistico. A posteriori. Per fare finta di avere pietà. «Lampedusa ha rispetto di chi arriva. Vedendo le bare ho pensato a quelli che abbiamo salvato in vent’anni. Migliaia. Chissà se lo stesso rispetto ce l’ha il ministero dell’Interno», sussurra Giusi Nicolini. È stremata. E rimane sul molo con gli occhi bassi per cinque minuti che sembrano cinque ore.  
Un po’ di casse le hanno portate a Canicattì. Altre a Caltanissetta. Pochi ignoti fortunati sono finiti nelle tombe private delle famiglie Scolaro e Gelardi. Cittadini qualunque, che hanno pensato: se non lo fa lo Stato lo facciamo noi. Alcuni li hanno lasciati al cimitero di contrada Farello. A Gela. Ad attenderli c’era un prete. E persino un imam. Li hanno seppelliti verso la Mecca. Poco importa sapere se in mezzo ci fossero dei cristiani. «Queste persone sono venute dal mare con la speranza di vivere, ma scappando dalla guerra hanno incontrato la morte, per volontà di Dio e per colpa dell’uomo che ha chiuso le frontiere», ha detto Mufid Abu Taq. E una donna grassa, che respirava con la bocca, esalando un lamento lieve e continuo, all’improvviso si è messa a gridare. Ed è stato come se tutte le urla dei suoi precedenti sessant’anni di vita fossero state solo un allenamento per questa straziante sfuriata.  



L'ultimo viaggio
L'Espressso, 18-10-2013
Fabrizio Gatti

Solomon, due anni, abbracciato alla madre. E altri 385. Vite e sogni finiti davanti a Lampedusa
Il piccolo Solomon aveva due anni quando è arrivato in Sicilia. Finalmente al sicuro. Nessuno gli fará più del male adesso che è protetto dentro il suo minuscolo feretro bianco. Solomon quasi scompare in mezzo a quelle trecentottantasette bare. Sono cosi tante che possono occupare un intero campo di calcio. Cosî tante che hanno riempito due navi da guerra per portarle via. Trecentottantasette bare sono la conclusione del viaggio di 365 eritrei, sudanesi, etiopi, le loro mogli, le mamme e i 16 bambini annegati nel naufragio di giovedi 3 ottobre a poche centinaia di metri da Lampedusa. E sono anche la fine di 22 siriani, morti con altri 200 profughi di cui non si trovano più i corpi: padrí, madri e almeno 60 bimbi colati a picco con il barcone affondato venerdi 11 ottobre, 60 miglia a Sud dell'isola.
I numeri hanno il loro peso politico. E queste trecentottantasette bare sono la tragedia su cui il premier Enrico Letta e il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, stanno trasformando l'annuncio dei funerali di Stato in una commedia. Li hanno promessi, si, davanti ai sopravvissuti, quando hanno accompagnato a Lampedusa il presidente della Commissione europea, Manuel Barroso. Ma una cerimonia ufficiale avrebbe mostrato ai telegiornali la distesa di corpi.
Trecentottantasette bare sono più delle vittime del terremoto all'Aquila. Quasi 600 annegati in otto giorni, contando i piccoli siriani e i loro genitori dispersi in mare, sono molto più dei pompieri-eroi uccisi nell'attacco dell'11 settembre a New York. Cosi, sotto la scientifica direzione della prefettura di Agrigento, la città del ministro Alfano, hanno cominciato a seppellire i morti senza nemmeno avvertire i familiari venuti da tutta Europa a riconoscerli. Niente funerali, niente Stato. Niente imbarazzo.
L'ultima tappa in mare per le bare bianche di Solomon e degli altri bambini è sul ponte dei pattugliatori Cassiopea e Libra della Marina militare che negli ultimi giorni, con elicotteri e navi, ha anche salvato centinaia di profughi, intercettati su gommoni o vecchi barconi al largo tra l'Africa e l'Europa. Solomon la notte del primo ottobre è tra i più piccoli passeggeri in partenza sul Malac 1284 (l'Angelo 1284). Cosi si chiama il malandato peschereccio messo a disposizione dai trafficanti libici e affondato a Lampedusa. La scritta in arabo è ancora ben leggibile nelle im- magini dei sommozzatori a quasi 50 metri di profondità.
La storia di Solomon, come quella delle decine di bambini morti in queste ore, comincia già dal suo nome. Non è un nome vero. Tutti i dettagli della ? famiglia devono rimanere nascosti. Useremo nomi finti. Internet e la globalizza- zione sono un grande vantaggio per i dittatori come Isaias Afewerki, presidente dell'Eritrea e amico di tanti italiani che contano. Ogni volta che attraverso tv e giornali le ambasciate identificano un esule, in Eritrea gli agenti di Afewerki vanno ad arrestare il padre, la madre o uno zio. Li tengono in carcere mesi. Finché non pagano l'equivalente di 3 mila euro a testa, a volte 5 mila. C'è chi si indebita tutta la vita, chi vende la casa, chi non ha soldi e resta in cella. L'alternativa alla fuga all'estero è sottostare al regime e accettare piú di vent'anni di servizio di leva obbligatorio: la follia con cui Afewerki e il supporto militare ed economico offerto da vari paesi, tra cui l'ltalia, stanno massacrando un intero popolo.
Per questo, per un futuro diverso, la nascita di Solomon diventa una ragione in più che convince il suo papá a scap- pare. Temesgen, il padre, attraversa il Sudan, l'Egitto e nonostante le difficoltà arriva vivo in Israele. Non appena Solomon è abbastanza grande da affrontare il viaggio, cioè quando ha pochi mesi, parte anche lui stretto nel foulard colorato della mamma. Attraversano il deserto del Sudan sui fuoristrada dei contrabbandieri. Poi l'Egitto, fino al Sinai. Ma Freueini, la giovane madre, e il suo piccolo vengono sorpresi dalla polizia. Li arrestano e li rinchiudono in carcere. Sei mesi di prigione per immigrazione illegale, in una cella affollata di profughi. L'Europa in fondo ha chiesto all'Egitto, con cui l'Italia ha siglato accordi di rimpatrio, di reprimere il flusso di persone. E da quelle parti non stanno a guardare all'eta.
Scaduti i sei mesi, Solomon e la sua mamma vengono espulsi. Grazie al passaporto rilasciato dall'ambasciata di Addis Abeba per 400 dollari americani, finiscono in un campo profughi per eritrei a Mai Aini, in Etiopia. Un campo dove la vita non è facile, per un bimbo e una donna sola. Dopo due mesi Freueini riceve dal marito attraverso gli sportelli di money-transfer i soldi necessari e riparte. Ma davanti a Solomon non c'e nessuna via sicura per rivedere il papá in Israele. Tanto meno per arrivare in Europa.
L'Unione ha una posizione ambigua. Gli Stati membri offrono il diritto d'asilo agli eritrei ma, come accade per le altre nazionalità, i profughi devono prima passare attraverso i trafficanti del deserto e il mare. Se sopravvivono a questa selezione, possono sperare in un permesso. Non esistono alternative legali. Nemmeno quando, come la strage di Lampedusa ha dimostrato, ci sono in Europa parenti disposti a dare ospitalità. La maggioranza di noi, attraverso i nostri parlamenti, ha deciso cosi. L'ltalia tra l'altro è un paese amico del presidente Afewerki. Nel 2004, anno del massacro di decine di studenti in Eritrea, Gianfranco Fini e Carlo Giovanardi, ministri del governo Berlusconi, accompagnano sorridenti il dittatore al raduno degli alpini a Trieste.
Il Sinai nel frattempo è diventato troppo pericoloso. I beduini sequestrano i profughi. Li torturano e telefonano ai parenti in Europa o in Eritrea in modo che le grida li convincano a pagare il riscatto. Freueini pensa sia meglio raggiungere l'ltalia. Poi forse dall'Europa sara più facile rivedere Temesgen in Israele. Durante la traversata del deserto egiziano, però, il piccolo Solomon e la sua mamma vengono rapiti dai trafficanti. Li rinchiudono per 23 giorni in un recinto al sole, insieme con decine di ostaggi eritrei. Ed è li che ritrovano Tekle, 16 anni, lo zio di Solomon, il fratello del papá. Anche lui è stato rapito. Tekle è in viaggio da un anno. Racconta che gli hanno fatto attraversare la frontiera tra Sudan e Egitto a piedi. Undici giorni di cammino. Grazie ai parenti in Eritrea che si riempiono di debiti, la mamma e lo zio trovano i 6 mila dollari del riscatto: 3 mila a testa e uno sconto per Solomon.
Ripartono tutti e tre insieme. In Libia i passatori nascondono il bimbo, Freueini e Tekle in un capannone con altri 600 eritrei, a Agedabia, a Sud di Bengasi. Il mare Mediterraneo ormai è vicino. Ma per quattro settimane devono resistere alle condizioni spaventose di quella prigionia. E un centro di smistamento dei carichi umani. Nel capannone alcuni diaconi ortodossi fuggiti dall'Eritrea fanno giocare i bambini come fossero all'oratorio. Molti bambini. Una notte senza preavviso i trafficanti chiudono Solomon, la mamma, lo zio Tekle e tanti altri nel doppiofondo del rimorchio di un Tir. Arrivano a Tripoli dopo ore di viaggio. Da li Tekle telefona al fratello in Israele. Gli racconta che Freueini e il nipotino sono ancora con lui. «Te li affido»,g!i dice il fratello, «mi raccomando per Solomon ».
Un altro viaggio, sotto il telone di un camion. Un giorno e una notte, senza mai scendere. Ed ecco la spiaggia, il mare, il gommone che se ne va pieno di gente e torna vuoto. Malac 1284, il peschereccio che al largo attende di essere caricato, è una sagoma nel buio. Sale per prima Freueini. Tekle le passa Solomon e si arrampica a sua volta sulla fiancata. La mamma va ad accovacciarsi con le altre donne nella stiva. Solomon resta sul ponte in braccio allo zio per tutta la traversata. All'aperto si respira meglio. Là sotto entra acqua dallo scafo o dall'albero dell'elica. Sono tutti bagnati. Un gruppo di madri nel buio canta una nenia di ringraziamento alla Madonna per non averle abbandonate mai. Quando la notte del 3 ottobre le luci di Lampedusa sembrano vicine, lo zio capisce che ormai sono arrivati. Allora si fa largo in quella massa di corpi e scende nella stiva a restituire il piccolo Solomon alle braccia della mamma. Meglio che non si separino, nella confusione dello sbarco.
Tekle le dice che l'ltalia è proprio li davanti e torna su a vedere. Subito dopo il  tunisino al timone ordina ai passeggeri di buttare i telefonini in mare. E un po' dopo ancora, un grido sale dalla stiva. Una voce avverte che si è rotta la cinghia della pompa di sentina, l'unico rimedio contro le infiltrazioni d'acqua nello scafo che adesso si riempie velocemente.Tekle non riesce piu a muoversi dal ponte. È il caos a bordo. Quelle centinaia di occhi terrorizzati osservano un barchino e una barca piu grande fare due giri larghi intorno al peschereccio. Lo scafista accende la luce di posizione, i passeggeri chiedono aiuto. Ma quelli, secondo i sopravvissuti, se ne vanno. Quando il tunisino dà fuoco alla coperta, si scotta un braccio. La fiammata scatena il panico. Lo scafo sbanda a destra. Poi a sinistra. L'acqua supera abbondantemente il bordo. E il peschereccio affonda pesante come un bicchiere pieno.
Il Mediterraneo si prende Solomon, la sua mamma e il loro sogno di arrivare in Israele. Tekle si è salvato. Alla psicologa e agli assistenti delle associazioni "Save the children" e "Terre des homines", ha raccontato la storia del suo nipotino. E descritto quel senso di colpa che a 16 anni lo tormenta. Ha telefonato al fratello, ma non ha avuto il coraggio di rivelargli la verità.
Anche Ahmed, giovane papá siriano, si è salvato. Per modo di dire. Nel naufragio di venerdi 11 ottobre ha perso il figlio di un anno e mezzo, la moglie incinta, tre fratelli, le loro mogli, i bambini. Il campo di detenzione di Lampedusa è pieno di sopravvissuti. Ma sono sopravvissuti solo in apparenza. Dovrebbero trasformarlo in un centro di cura del dolore. Meno soldati e misure di sicurezza, più medici e psicologi.
L'ultima immagine del viaggio di Solomon, prima che fosse sigillato nella minuscola bara bianca, è come l'hanno vista i sommozzatori in fondo al mare. Quelle braccia della mamma che ancora lo stringono forte. La mano a proteggergli la bocca e il nasino perche non affoghi. E lei, Freueini, cosi giovane, con il crocefisso della catenina stretto tra le labbra. ?



Funerali di non è Stato
La Stampa, 18-10-2013
Massimo Gramellini
Come può prendersi cura dei vivi un Paese che non riesce a decidere nemmeno sui morti? La bara di Priebke gira l’Italia da una settimana, strattonata e presa a calci appena si affaccia per strada, senza trovare una buca dove andare a nascondersi. Intanto ci siamo dimenticati di fare i funerali alle vittime di Lampedusa. Proprio così: dimenticati. Ministri, primi ministri e affettate figure istituzionali hanno sfilato con sguardi dolenti sul molo e davanti alle salme della tragedia. C’è stato cordoglio, c’è stato sdegno, c’è stato lo sciame sismico di dichiarazioni scontate. Quel che non c’è stato, come sempre, è lo Stato. Qualcuno che, tra un cordoglio e uno sdegno, trovasse il tempo per allestire una cerimonia solenne di congedo per quei poveri cristi.
A chiunque di noi si rechi in visita a una camera ardente viene spontaneo chiedere il giorno e il luogo dei funerali. Invece a Lampedusa i nostri globetrotter della lacrima non si sono neppure domandati se fossero previsti, dei funerali. Colpisce la loro ostinazione nel rifiutarsi di sfogliare almeno le figure del manuale del buonsenso. Dopo avere riunito su una zattera centinaia di disgraziati, il destino li ha infine dispersi tra vari cimiteri siciliani, tumulati in silenzio dentro tombe anonime. Ma lo scrupolo di coscienza, che è il nome con cui dalle nostre parti si chiama la coda di paglia, ha suggerito allo Stato di correre ai ripari. Lunedì prossimo, a cadaveri ampiamente sepolti, si terrà una commemorazione ad Agrigento, città nota per avere dato i natali al filosofo Empedocle e poi, per compensare, ad Alfano.



Progetto “Bambini in alto mare”: 118 famiglie disposte ad accoglie minori stranieri non accompagnati.
Iniziativa promossa dall’associazione Ai.Bi., Amici dei Bambini.
Immigrazioneoggi, 18-10-2013
Al 7 ottobre 2013 sono 6.297 i minori arrivati sulle coste italiane a bordo delle cosiddette “carrette del mare”. Di questi 4.056 sono “Misna”, minori stranieri non accompagnati. A questo dato significativo, diffuso dal Dipartimento di pubblica sicurezza, se ne aggiunge un altro altrettanto importante, quello delle 118 famiglie che hanno aderito al progetto Bambini in alto mare, promosso dall’associazione Ai.Bi., Amici dei Bambini, dichiarandosi pronte ad ospitare un bambino straniero.
Ne dà notizia Marco Griffini, presidente dell’associazione, il quale si domanda come sia possibile che, a fronte di tante famiglie disponibili ad accogliere i minori, sia ancora così difficile sottrarli alla permanenza nei centri di accoglienza. “Non è certo la generosità della gente comune quella che manca, – spiega Griffino. – Perché allora non si riesce a togliere i minori immediatamente da strutture provvisorie, centri di prima accoglienza e comunità educative? Siamo di fronte a uno spreco di tempo e di risorse inaudito, sulla pelle dei bambini”.
“Il progetto Bambini in alto mare ha messo in luce la generosità e la pronta capacità di reazione alle emergenze di tanti italiani”, continua il presidente. Tra le regioni più generose spiccano la Lombardia (18,26%) e la Sicilia (16,52%), seguite da Lazio ed Emilia Romagna.



Immigrazione, bimbi chiusi in hotel prima di essere ‘traghettati’
I trafficanti di uomini vietavano ai piccoli profughi anche solo di affacciarsi alle finestre. I migranti pagavano fino a 10mila dollari l’intero viaggio
QN, 18-10-2013
lo.la.
Rimini, 18 ottobre 2013 - LA POLIZIA di frontiera di Rimini che ha seguito per settimane gli spostamenti dei due siriani e dei profughi che spedivano in Svezia e Norvegia, è certa di aver scoperto un traffico di uomini tanto che ha chiamato l’operazione ‘Scafisti di terra’. Ma gli arrestati, sette in tutto, giurano di aver agito solo per scopi umanitari e il giudice a Siena ieri li ha scarcerati confermando però che restano indagati.
Per venire dalla Siria attraverso l’Egitto e la Libia, dove si imbarcavano per approdare in Sicilia e poi essere portati in Danimarca e Svezia dove chiedere l’asilo politico, spendevano tutti i loro risparmi. Se non bastavano i soldi andavano bene anche anelli e catenine d’oro. I profughi pagavano pare fino a 10mila dollari l’intero viaggio. La polizia riminese ha sequestrato 22mila euro e 31mila dollari.
L’organizzazione scoperta che faceva capo ai sue siriani-italiani, prendeva dagli 800 ai 1300 euro per passare dall’Italia alla Scandinavia. E sembra che gli ultimi drammatici sbarchi a Lampedusa con centinaia di morti abbiano fatto lievitare notevolmente i costi. La polizia di frontiera, sotto la guida del pm Davide Ercolani, dopo le prove dei quattro viaggi partiti da Rimini in agosto, ha documentato l’arrivo a Chianciano, la scorsa settimana, di circa 120 profughi. Tra i quali 35 bambini e ragazzi. Nei sei hotel della località termale dove erano alloggiati e i cui titolari dovranno rispondere per non aver denunciato la loro presenza alla polizia, vivevano tappati nelle loro stanze. E se qualche bambino si affacciava, veniva subito ‘ritirato’. Il cibo lo portavano alcuni addetti che si rifornivano in un vicino supermercato. Dalla Sicilia dove sbarcavano (alcuni sono stati salvati dalla Guardia Costiera) arrivavano in treno fino a Roma e di lì a Chianciano, a volte con dei pulmini o ancora in treno. Anche tra questi ‘traghettatori’ potrebbero essere individuati altri indagati, forse una decina, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Da Chianciano erano partiti un paio di pullman. Uno è stato fermato a Ivrea martedì notte, prima che passasse la frontiera, un altro invece a Chianciano. Ora i profughi siriani, nessuno dei quali ha chiesto asilo politico in Italia, sono ripartiti tutti diretti al nord.
 L’unico degli arrestati che è agli arresti domiciliari a Roma (gli altri hanno solo obbligo di firma) è Omar Abou Zard quello che gli investigatori considerano il capo dell’organizzazione, un campione di body building notissimo. I profughi in fuga, che sarebbero tutti siro-palestinesi si rivolgevano a lui per chiedere aiuto nell’espatrio. Lo assicura il legale del siriano, Carlo Zauli, che difende anche l’altro siriano naturalizzato italiano, Samir Mohammed Chiekh Khaled, l’albergatore che vive a Rimini da circa una decina d’anni e che prima di gestire l’hotel Santanna di Bellariva aveva un’agenzia immobiliare. Appena arrivato in Italia ha lavorato all’ambasciata siriana a Roma. Anche lui giura che ha solo aiutato a rimediare dei giubbotti e offerto dei panini ai profughi.



Lampedusa, la bambina siriana sopravvissuta ma lontana dai genitori salvati a Malta
La storia della piccolasiriana, Maram di 18 mesi, salvata dalla Marina Militare italiana dopo il naufragio di un'imbarcazione proveniente dall'Egitto avvenuto l'11 ottobre sorso nel Canale di Sicilia, ma ancora separata dai genitori, anche loro tratti in salvo, ma che si trovano a Malta. Difficile il ricongiungimento
la Repubblica.it, 18-10-2013
Raffaella Cosentino
LAMPEDUSA - Ha 18 mesi, i riccioli scuri e un bracciale d'oro con una scritta in arabo, Maram, il suo nome. Portava al polso il numero 23, la piccola sopravvissuta al naufragio dello scorso 11 ottobre nel Canale di Sicilia, quando maltesi e italiani sono riusciti a salvare circa 200 persone, mentre almeno altre 50 sono annegate. Maram è stata presa a bordo dalle motovedette italiane e ora i suoi genitori, entrambi sopravvissuti e portati a Malta dai soccorritori maltesi, lanciano un appello per avere sue notizie e potersi ricongiungere.
Il papà è disperato. A raccontare questa storia e a diffondere l'appello da Facebook è stata Nawal Sofi, un'attivista italosiriana, che in Sicilia da mesi sta aiutando i profughi della guerra che arrivano sulle nostre coste. "Il papà si chiama Alaa ed è disperato perché vuole rivedere sua figlia ed ha con sé tutto quel che serve per dimostrare di essere il padre, dalle foto, ai documenti, così come il certificato di nascita, ma ancora non è stato possibile arrivare al momento dell'abbraccio", racconta Nawal.
Mancano informazioni. "So benissimo che la mia bambina sta bene e sarà trattata nei migliore dei modi, ma siamo sopravvissuti ad un naufragio ed io vorrei solo riabbracciare il mio angelo che adoro", ha detto Alaa a Nawal inviandole anche una sua foto con la bimba in braccio. Stando a quanto riferisce l'attivista italosiriana, che è in contatto con i genitori della bambina e con altri superstiti portati a Malta, da giorni viene detto alla famiglia che qualcuno si sta occupando del caso ma ancora non ci sono notizie. "Mancano le informazioni. Ricevo continue chiamate dalla Siria, in questo momento non si riescono a sapere né i nomi dei superstiti, né quelli dei morti nel naufragio" dice Nawal.
I momenti drammatici del salvataggio."Tra la gente che gridava, piangeva e affondava" ha raccontato Alaa a Nawal , il papà e la mamma della bambina si sono aiutati a vicenda ed hanno tenuto a galla la figlia, riuscendo a salire con difficoltà su uno dei gommoni lanciati dall'aereo maltese che ha visto affondare la barca, sorvolando la zona. "All'arrivo dei soccorritori italiani, la precedenza veniva data ai bambini - ha continuato Alaa - quello è stato l'ultimo abbraccio e la bimba è stata portata in Sicilia".
I rimpalli e i ritardi. I sopravvissuti siriani che sono ospitati dai maltesi, avrebbero anche raccontato di un ritardo nei soccorsi dovuto a un rimpallo di responsabilità tra l'Italia e Malta, per la posizione dell'imbarcazione rispetto alla competenza sull'area di soccorso. Ma la Guardia Costiera italiana smentisce questa versione, affermando di avere aiutato subito i maltesi perché l'area di competenza nei soccorsi era di Malta.
 


Migranti, niente corridoi umanitari. L’Ue guarda altrove
l'Unità, 18-10-2013
Paolo Soldini
Parole tante, fatti nessuno. La commozione per la tragedia di Lampedusa e l’orrore per le cifre dei morti tra i poveri cristi che fuggono dai paesi in guerra non smuovono le coscienze delle cancellerie europee. Il capo del governo italiano aveva chiesto che il vertice dei capi di stato e di governo che si terrà a Bruxelles la prossima settimana affrontasse l’emergenza e proponesse misure di assistenza e salvataggio dei profughi sul modello di quelle previste dall’operazione «Mare Nostrum» (almeno per come la intende lui, nonostante l’improvvido nome che le è stato dato). Anche la Commissione, e in particolare la commissaria Cecilia Malström, si era impegnata in questa direzione. Ebbene, da quanto è possibile leggere sulla bozza di conclusione del vertice – elaborata, com’è consuetudine, dagli sherpa su mandato dei rispettivi governi – il capitolo dell’immigrazione non prevede alcuna di quelle misure. Non c’è traccia neppure di una riforma dei criteri di accoglimento e di distribuzione dei profughi richiedenti asilo: un’altra richiesta del governo di Roma, che sollecita una modifica del regolamento «Dublino II» il quale, com’è noto, impone che le domande di asilo possano essere rivolte solo nei primi Paesi di ingresso dei rifugiati. La politica dell’Europa nei confronti dei profughi non è cambiata e non cambierà, almeno per volontà dei governi.
Infatti, nella bozza di conclusioni, dopo una scontata espressione di «profonda tristezza» per la morte di tante persone e uno scontatissimo buon proposito di «agire perché simili eventi non accadano più», si cita l’istituzione di una task force da insediare insieme con la Commissione «per identificare, in breve tempo, azioni concrete volte a migliorare l’impiego delle politiche e degli strumenti esistenti, in particolare riguardo alla collaborazione con i Paesi di origine e transito, alle attività di Frontex (l’agenzia di vigilanza sulle frontiere esterne) e alla lotta contro il traffico di esseri umani e il contrabbando».
Tutto qui. Il Consiglio europeo tornerà ad occuparsi di asilo e migrazioni per mettere in cantiere «ulteriori misure» nel giugno dell’anno prossimo. Cioè quando mancherà ogni possibilità di controllo da parte del Parlamento europeo, perché la vecchia assemblea sarà stata già sciolta e la nuova, che verrà eletta a maggio, non sarà ancora insediata. E molti si aspettano già una dura protesta del presidente del parlamento Martin Schulz. Ma intanto continua tutto come prima. Niente operazioni di soccorso in mare come si chiedeva nel protocollo presentato dalla commissaria Malström, bocciato per il veto di cinque paesi rivieraschi, tra cui, purtroppo, l’Italia. Nessun corridoio umanitario, nessun ufficio comunitario per decidere insieme la distribuzione dei rifugiati. Niente di niente. Lo stesso ministro Alfano, nella conferenza stampa di presentazione di «Mare Nostrum» ha dato conto di una nuova operazione di Frontex condotta con la prassi abituale: l’abbordaggio di una nave, l’arresto dell’equipaggio e «l’accompagnamento in sicurezza» dei migranti. Il ministro non ha precisato dove i migranti siano stati «accompagnati». Forse in Libia, dove vengono imprigionati e torturati? Sarebbe opportuno che qualcuno ce lo facesse sapere. Come sarebbe utile che le autorità italiane prendessero posizione su certi metodi utilizzati da unità che fanno capo a Frontex, come i respingimenti effettuati sequestrando cibo, acqua e carburante alle imbarcazioni intercettate.
L’orientamento del Consiglio europeo, se sarà quello indicato dalla bozza, sarà uno schiaffo al governo italiano. O forse, dovremmo dire meglio, al capo del governo italiano. A quanto risulta, anche da documenti scritti, l’atteggiamento dei funzionari italiani che hanno lavorato a definire la posizione ufficiale del nostro Paese dopo il consiglio dei ministri dell’Interno e della Giustizia che si è tenuto l’8 ottobre a Lussemburgo e al quale hanno partecipato i ministri Alfano e Cancellieri non è parso in alcun modo in linea con le affermazioni del presidente del Consiglio. È più che ragionevole il sospetto che le divergenze di opinioni esistenti all’interno del governo, pubbliche ed evidenti sulla legge Bossi-Fini e sul reato di clandestinità, abbiano un riflesso anche a Bruxelles.



Chaouki (Pd): "Governo faccia luce su violenze in centro Pozzallo"
"Arrivano notizie di violenze da quello che è stato definito il 'campo dei pestaggi'"
stranieriinitalia.it, 18-10-2013
Roma, 18 ottobre 2013 - "Ci giungono ancora notizie di violenze da quello che ormai la stampa definisce il 'campo dei pestaggi', il centro di prima accoglienza di Pozzallo in provincia di Ragusa, dal quale passano moltissimi dei profughi sbarcati a Lampedusa".
Lo ha affermato in una nota Khalid Chaouki, deputato e Responsabile nazionale Nuovi Italiani per il Pd.
 ''Le loro - continua Chaouki - sono storie di violenze e di sparizioni, che la stampa locale e nazionale ha riportato e continua a raccontare con dovizia di particolari, citando le dichiarazioni dei testimoni. Proprio oggi Il Fatto Quotidiano racconta la vicenda della dodicenne Yasmine 'ospite' del centro. Gia' la settimana scorsa - ha ricordato - ho presentato un'interrogazione parlamentare per far luce sull'assurda vicenda di Mahari Kidane, trentatreenne eritreo, scomparso il 26 settembre scorso a Pozzallo nel momento in cui il pullman, che lo avrebbe dovuto portare allo Sprar di Cosenza, stava per partire''.
 ''Purtroppo - ha concluso - non si tratta di un solo caso specifico, visto che le associazioni siciliane da tempo denunciano il crescente numero di casi di migranti picchiati, vessati o addirittura desaparecidos; questa vicenda emblematica del modello disumano di gestione securitaria dei fenomeni migratori, e chiediamo con forza al Governo di intervenire e fare luce sui fatti recenti''.



Milano, 200 profughi dalla Siria accampati in Stazione Centrale
Avvenire, 17-10-2013
Daniela Fassini
Sono sbarcati a Lampedusa una settimana fa, sono passati dal centro di identificazione di Catania, hanno rinunciato alla richiesta di veder riconosciuto lo status di rifugiati politici e, con autobus e in treno hanno raggiunto Milano. Da qui il sogno si chiama Svezia.
All’inizio erano in dieci, poi venti, ma il numero sta aumentando di ora in ora. Nel mezzanino della Stazione centrale a Milano, stamattina se ne contavano duecento. Sono i profughi siriani in cerca di futuro. Famiglie con bambini, molti neonati. Intanto il presente si chiama Milano, doveva essere una tappa intermedia per raggiungere il Nord Europa ma le frontiere di Austria e Svizzera li hanno bloccati.
Sono ritornati sui loro passi, nuovamente a Milano, nuovamente in Stazione centrale e ora sono lì in attesa di sapere come fare con il tam tam dei connazionali e le notizie che si rincorrono su internet. . Intanto il Comune ha lanciato l’allarme: è emergenza umanitaria. E stamattina l’amministrazione milanese ha istituito un’unità di crisi per affrontare la drammatica situazione.



Insulti alle vittime di Lampedusa Daspo per il giornalista sportivo
Baldassare, opinionista e memoria storica del Foggia, resterà lontano dagli stadi per 5 anni. Durante il minuto di silenzio per le oltre 300 vittime del mare, ha urlato dagli spalti: "Se fossero rimasti a casa sarebbero ancora vivi”
la Repubblica.it, 18-10-2013
PIERO RUSSO
Un giornalista foggiano non potrà avere accesso alle gare sportive per cinque anni. La questura di Foggia ha notificato infatti a Peppino Baldassarre, pubblicista opinionista sportivo e medico di medicina generale, il Daspo perché domenica 6 ottobre, mentre si giocava Foggia-Martina, durante il minuto di raccoglimento in memoria delle vittime di Lampedusa, aveva espresso a gran voce la sua opinione sulla tragedia e sui profughi morti: “Se fossero rimasti a casa sarebbero ancora vivi”.
Dalla tribuna stampa, le proteste per la frase di Baldassarre, noto come la ‘memoria storica del Foggia Calcio’ sono giunte all’ordine dei giornalisti che ha stigmatizzato l’accaduto e segnalato i fatti al Consiglio di disciplina territoriale. Baldassarre aveva risposto alle accuse: ‘Non sono razzista, la mia è una frase alla Catalano’, parafrasando il filosofo televisivo delle trasmissioni di Renzo Arbore, noto per i suoi aforismi densi di ovvietà. Adesso Peppino Baldassarre, che dagli anni ’60 non aveva mai perso una partita del Foggia Calcio, sarà obbligato a restare lontano dallo stadio Zaccheria e dai campi sportivi agonistici. Baldassarre, a cui il questore di Foggia ha fatto notificare il provvedimento, avreà l'obbligo di recarsi in questura per firmare all'inizio e alla fine di ogni manifestazione sportiva.
Il medico foggiano si era reso autore nel 2001 di un episodio simile. Suo bersaglio, in quell'occasione, era Giovanni Galli, ex portiere del Napoli e direttore sportivo del Foggia, portato al fallimento. Baldassarre in  una trasmissione televisiva aveva infatti affermato che la morte del figlio di Galli, il diciassettenne Niccolò (deceduto per un incidente), fosse una specie di compensazione divina della condotta del padre a Foggia. In quel caso le sue parole non ebbero conseguenze.



L’ultima espulsione
Valls spacca (ancora) i socialisti di Francia con le maniere forti contro i rom. Il dilemma di Hollande
Il Foglio, 18-10-2013
David Carretta
Bruxelles. E’ stata l’espulsione “di troppo” del compagno Manuel Valls, che mette la sinistra francese davanti alle sue contraddizioni su sicurezza, immigrazione e umanesimo. Il ministro dell’Interno di François Hollande è finito sotto il fuoco amico dei suoi colleghi socialisti, dopo il rimpatrio di Leonarda Dibrani, rom kosovara di 15 anni, che con la sua famiglia soggiornava illegalmente in Francia dal gennaio 2009. Il 9 ottobre, all’indomani del rimpatrio del padre e poco dopo aver fermato il resto della famiglia, Leonarda è stata intercettata dalla polizia di frontiera
su un autobus mentre era in gita scolastica.
Anziché sacrificare sull’altare del politicamente corretto e dell’emotività il prefetto di Doubs – Stéphane Fratacci, ex segretario generale all’Immigrazione di Nicolas Sarkozy – Valls ha difeso “una politica di fermezza in materia di gestione dei flussi migratori”. L’espulsione della famiglia Dibrani è legale: la loro richiesta di asilo era stata più volte respinta, così come il tentativo di regolarizzazione sulla base di una circolare che permette ai clandestini
di restare dopo tre anni di scolarizzazione dei figli e cinque anni di presenza in Francia. Ai Dibrani mancavano tre mesi.
Ieri i liceali hanno marciato verso il ministero dell’Interno al grido di “Valls fuori!”. Il ministro dell’Istruzione, Vincent Peillon, ha chiesto di “sacralizzare la scuola” perché “ci sono delle regole di diritto” ma anche “dei principi che sono quelli della Francia”. “Insopportabile”, “indegno”, “inaccettabile”, “spaventoso”, “scandaloso”:
gli aggettivi usati da ministri e parlamentari socialisti per qualificare l’espulsione di Leonarda e l’attitudine intransigente di Valls sono quelli che in passato venivano usati contro Nicolas Sarkozy.
Per il leader del Front de Gauche, il tribuno occorre “restituire Valls a Le Pen”. Chiuso nel suo tradizionale silenzio imbarazzato – come sulle nazionalizzazioni, le tasse o le riforme economiche – Hollande ha lasciato al suo primo ministro il compito di delineare una via di fuga procedurale.
Se si scoprirà che “c’è stato un errore, il decreto (di espulsione) sarà annullato e questa famiglia ritornerà”, ha spiegato Jean-Marc Ayrault, sottolineando che le regole per i rimpatri “non autorizzano che i bambini siano fermati in ambienti scolastici”.
Insomma, i Dibrani potrebbero tornare in Francia. Le conseguenze dell’effetto Marine Dopo la vittoria del Front national alle elezioni cantonali di Brignoles, e nel momento in cui la sua leader Marine Le Pen è in testa nelle proiezioni di voto per le europee, Hollande non può tagliare la testa al compagno Valls, come vorrebbero
molti socialisti. Con la sua politica del pugno di ferro su immigrazione e rom, Valls è il più popolare tra i ministri del governo: con il 56 per cento di opinioni positive, stacca di 17 punti il ministro “no global” Arnaud Montebourg. Amato a destra ancor più che a sinistra, il ministro dell’Interno rappresenta un’ancora di salvezza per un Hollande più impopolare che mai, ma anche una minaccia in vista delle presidenziali del 2017. Soprattutto, Valls ha
fatto ciò che Hollande non è stato in grado di fare: scegliere tra buoni sentimenti socialisti e applicazione della legge. Con lui, il numero di espulsioni è rimasto agli stessi livelli di Sarkozy. Nel primo semestre del 2013, più di 10 mila migranti rom “sono stati cacciati” da campi abusivi: “Un numero mai raggiunto” dal 2010, denuncia Amnesty International. “Sono di sinistra perché penso ci voglia anche una politica che rispetti la legge”, ha detto ieri Valls. “Tutti quelli che si precipitano a reagire (contro Valls) alimentano la polemica sulla sicurezza ed è molto
negativo per la sinistra”, ha spiegato Ségolène Royal, memore dello choc del 21 aprile 2002, quando Jean-Marie Le Pen superò l’ex premier socialista Lionel Jospin al primo turno delle presidenziali. L’episodio Leonarda – secondo Libération, voce della gauche benpensante – “testimonia le divergenze ideologiche che percorrono la sinistra”: Hollande, incapace di avere una linea chiara e ferma, “è il primo responsabile di questa confusione”.



La Francia si mobilita per la 15enne Leonarda espulsa in Kosovo con la famiglia.
Arrestata mentre era in gita scolastica, dopo cinque anni di studi in Francia.
Immigrazioneoggi, 18-10-2013
Continua a scuotere la Francia il caso della 15enne kosovara Leonarda Dibrani, arrestata durante una gita e espulsa nel suo Paese di origine insieme alla famiglia. 6.000 liceali ieri sono scesi in piazza nella capitale francese, secondo quanto riferito dal Fidl, il sindacato dei licei di Francia.
Decine di istituti in tutto il Paese sono stati teatro di manifestazioni e in alcuni casi di veri e propri picchetti che hanno impedito lo svolgimento delle lezioni. I liceali chiedono il rientro in Francia sia di Leonarda, espulsa il 9 ottobre dopo cinque anni di studi in Francia, sia dell’armeno Khatchik Kachatryan, un 19enne del liceo parigino Camille-Jenatzy, espulso sabato scorso dopo che aveva risieduto nel Paese dal 2011.
Il ministro dell’interno, il socialista Manuel Valls, è al centro delle polemiche per aver difeso le forze dell’ordine che hanno arrestato Leonarda davanti ai suoi compagni. Alcuni suoi colleghi di partito ne hanno chiesto le dimissioni.
Il presidente dell’Assemblea nazionale francese, Claude Bartolone, ha twittato: “C’è la legge, ma ci sono anche valori sui quali la sinistra non deve transigere o perderà la sua anima”. Leonarda e la sua famiglia erano entrati in Francia illegalmente il 26 gennaio 2009. Appena arrivati, avevano presentato una domanda di asilo che era stata respinta più volte nel corso degli anni. A marzo 2013 la situazione dei Dibrani è risultata non compatibile con i criteri della “circolare Valls” del novembre 2012 riguardo ai permessi di soggiorno ed era stata così ordinata la loro espulsione.



Troppi profughi Sofia costruisce muro anti-siriani
Lungo trenta chilometri al confine Bulgaria-Turchia
l'Unità, 18-10-2013
ROBERTO ARDUINI
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Sarà lungo 30 chilometri e alto tre metri il muro anti-migranti che la Bulgaria si appresta a costruire ai confini con la Turchia. Il progetto è già avviato: più che un muro di cemento, sarà una barriera di filo spinato sostenuta da una base fissa e da colonne in calcestruzzo. Il governo ha intenzione di erigerlo nei pressi di Elhovo, nel sudest del Paese, per frenare l'ondata di immigrati, soprattutto dalla Siria. Il viceministro dell'Interno, Vasil Marinov, ha escluso che il fil di ferro sarà attraversato da corrente elettrica, anche se ci saranno sensori in grado di segnalare tentativi di passaggio. Non è male per il confine terrestre più orientale dell'Unione europea.
Poco più a sud, il confine separa tre nazioni: Turchia, Bulgaria e Grecia. Il fiume Evros è l'ultimo ostacolo per tutti coloro che tentano di approdare in Europa. E in centinaia si tuffano nel tentativo di raggiungere la sponda bulgara. Ê la «porta orientale», citata anche dal ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, in audizione ieri al Senato: «La rotta che porta via terra in Bulgaria è il punto d'uscita dei grande flusso migratorio utilizzato dai siriani, fuoriusciti in Libano e Giordania».
MISURE D'EMERGENZA
«Il governo nel panico per i rifugiati», titolava ieri il quotidiano bulgaro Sega che spiegava nell'articolo che le autori- tà bulgare si preparano ad adottare «una serie di misure d'emergenza per la crisi dei rifugiati». Negli ultimi mesi ne sono arrivati nei Paese oltre seimila, il 90% dei quali siriani, mentre secondo le previsioni a breve ne potrebbero arrivare altri 20mila. Il ministero dell'interno riceverà perciò 13,5 milioni di euro supplementari, di cui 5 milioni dedicati alla costruzione dei muro lungo la frontiera con la Turchia. Sofia ha anche chiesto ad Ankara di rafforzare il controllo della frontiera comune, per ridurre l'afflusso di rifugiati. «La parte turca se impegnata a rafforzare le misure (di controllo) sulla frontiera - ha fatto sapere il ministro Tsvetlin Yovchev - noi abbiamo ottenuto il loro accordo per creare delle pattuglie comuni». La Bulgaria ha proposto ad Ankara e ad Atene di creare un centro comune di controllo della frontiera nella regione dei principale posto di passaggio, Kapitan-Andreevo, e lungo la frontiera con la Grecia. «Ma quasi l'85% degli immigrati illegali passano la frontiera turca attraverso Elhovo», ha specificato il viceministro, e proprio questa zona, ha aggiunto, è la più difficile da controllare lungo il confine di 259 chilometri con la Turchia.
 Obiettivo ufficiale della barriera, ha detto Marinov, non è fermare chi cerca rifugio e scappa dal conflitto siriano, ma aumentare il livello di sicurezza in questa parte della frontiera. Proposto già in passato, ufficialmente il progetto aveva addirittura solo lo scopo di fermare le invasioni di animali malati.
Dall'inizio della crisi siriana, la Bulgaria ha visto aumentare esponenzialmente l'arrivo di profughi e richiedenti asilo dal Paese mediorientale. Tutti arrivano dopo essere transitati in Turchia. Tutti o quasi, vedono nella Bulgaria solo una tappa di passaggio, nel tentativo di raggiungere i Paesi dell'Europa centrale e settentrionale. Molti hanno parenti e amici che li aspettano, ma non possono raggiungerli, almeno fino a che non saranno usciti dal limbo legale in cui sono bloccati. Negli ultimi mesi, secondo i dati ufficiali, il loro numero ha subito una brusca accelerazione. «Se nei mesi passati registravamo 400 arrivi al mese, ad agosto abbiamo toccato i 1500», ha spiegato Marinov. Ogni giorno la polizia di frontiera ferma decine di persone e secondo le autorità bulgare, le limitate strutture di accoglienza del Paese sono già esaurite. Nel caso di un'ulteriore escalation della guerra civile in Siria, però, il peggio potrebbe ancora arrivare. Tanto che il ministero della Difesa ha annunciato la decisione di mettere a di- sposizione 26 siti in disuso, che potrebbero fornire un tetto provvisorio ad almeno 10mila persone.
Sofia cosi accarezza l'idea di sigillare le proprie frontiere, ma il progetto appare difficilmente realizzabile. Non tanto perché in aperto contrasto con impegni internazionali (come la convenzione di Ginevra sui rifugiati) ma perché sarà difficile blindare tutta la frontiera.


 

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