Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

05 marzo 2015

L`allarme di Frontex: triplicati gli sbarchi in Europa
la Repubblica, 05-03-2015
VLADIMIRO POLCHI
ROMA. Un`onda ha sommerso la fortezza Europa nell`ultimo anno. Un flusso inarrestabile di immigrati e rifugiati ha abbattuto le frontiere del continente. Non solo sbarchi, ma anche ingressi via terra. Alla fine il bilancio è contenuto in poche righe scritte da Frontex: nel 2014 circa 278mila persone sono entrate in modo illegale nell`Ue, con un incremento del 155% rispetto al 2013. Di questi, 218mila sono arrivati attraversando il Mediterraneo.
I nuovi dati sono contenuti nelle 66 pagine dell`ultimo rapporto Frontex: l`agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne dell`Unione, con centro direzionale a Varsavia. Lo studio Q3 analizza il terzo trimestre 2014. Ebbene, tra luglio e settembre scorso, sono arrivati in Europa 110.581 uomini: quasi tre volte di più del peggior trimestre della primavera araba nel 2011, quando Nicolas Sarkozy chiuse provvisoriamente la frontiera francese con l`Italia. Ed è proprio il nostro Paese a restare ancora oggi la principale porta d'accesso al continente. Da luglio a settembre, infatti, su circa 100mila arrivi via mare «gli illegali passati dall`Italia hanno rappresentato i due terzi del totale, mentre il 27% di tutti i migranti censiti su questa frontiera erano siriani».
Non solo. Anche il conflitto in Ucraina ha cominciato a far sentire le sue conseguenze sui flussi migratori: «Gli ucraini continuano a essere la principale nazionalità respinta alle frontiere dell`Ue», scrive Frontex, che parla di 5.198 rifiuti in tre mesi, principalmente da Polonia, Ungheria Slovacchia e Romania. E ancora: il mercato dei documenti contraffatti resta tra i principali problemi dell`immigrazione irregolare.
Gli arrivi surclassano comunque i respingimenti. L`anno scorso, come scrive Le Figaro, gli Stati europei hanno rifiutato l`ingresso a 112.362 migranti (-13%) e hanno proceduto all`espulsione di altri 157.324 irregolari (-2%). Ma il numero totale di soggiornanti illegali sale e ha raggiunto quota 400mila in 12 mesi. Anche le domande d`asilo crescono: hanno superato le 470mila ( +38%), principalmente ripartite tra Germania e Svezia.
Frontex sottolinea poi l`aumento degli scafisti arrestati, passati in 12 mesi da 7.137 a 9.376 ( +31%). L`agenzia alle frontiere riporta però che «disponendo di poche imbarcazioni, i trafficanti recuperano spesso le barche delle traversate precedenti lasciate alla deriva, dopo il soccorso dei passeggeri, e le riportano in Libia per riutilizzarle». Altra denuncia: alcuni gruppi criminali arrivano a chiedere ai migranti che non possono permettersi di pagare la traversata (1.500 euro a testa) «se preferiscono essere utilizzati come mano d`opera o donatori d`organi» all`arrivo.
Non è tutto. A stupire sono anche le parole che il rapporto Frontex dedica a Mare nostrum. L`operazione di salvataggio in mare dei migranti da parte dei mezzi della Marina militare italiana e dell`Aeronautica è durata dall`ottobre 2013 al primo novembre 2014. Poi è stata sostituita dalla missione europea Triton, ben più limitata nel suo raggio di intervento: non oltre le 30 miglia nautiche dalla costa. I risultati? «Mare Nostrum ha salvato quasi 200mila persone, tra cui molte donne e bambini - spiega William Lacy Swing, direttore generale dell`Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) - Nonostante 3.279 migranti siano morti nel Mediterrano l`anno scorso, ciò che è stato realizzato con questa operazione è stato impressionante». Frontex però scrive anche che: «Le reti criminali hanno sfruttato la presenza dei vascelli italiani impiegati in prossimità delle coste libiche nel quadro dell`operazione Mare nostrum per rendere sicuro il loro traffico di esseri umani». Insomma, mettono in mare ogni genere di imbarcazione con la certezza di rapidi soccorsi. i militari italiani da soccorritori dei naufraghi a facilitatorì dei traffici dei mercanti di uomini.



Morti nel Mediterraneo: se a salvarli sono solo i privati
La missione filantropica di Regina e Christopher Catrambone. "Così abbiamo fondato l'organizzazione MOAS  -  Migrant Offshore Aid Station e, con il budget a nostra disposizione, abbiamo iniziato a cercare una nave adatta. Non siamo miliardari, abbiamo rinunciato a investire in altre imprese perché siamo convinti che aiutare gli altri è un modo per aiutare anche sé stessi e migliorare la società in cui si vive.
la Repubblica.it, 05-03-2015
ANDREA FAMA
OMA - Una giacca che galleggia a filo d'acqua a largo tra Lampedusa e Tunisi, ultima testimonianza alla deriva di un naufragio avvenuto chissà quando e chissà dove esattamente. È la vista di quella giacca la scintilla che nell'estate del 2013, prima ancora di Mare Nostrum, ha innescato la missione filantropica di Regina e Christopher Catrambone, lei calabrese e lui statunitense di origini calabresi, che si trovavano a bordo della loro barca in vacanza sul Mediterraneo; un mare per i più sinonimo di spensieratezza, i cui fondali però nascondono come un tetro segreto i cadaveri di migliaia di migranti che hanno provato ad attraversarlo per raggiungere le porte d'Europa. È così che la vita dei coniugi Catrambone è cambiata, e con essa anche quella dei circa 3mila migranti, principalmente siriani e palestinesi, che hanno tratto in salvo tra agosto e ottobre 2014 a bordo della Phoenix, la nave che hanno acquistato ed equipaggiato per operazioni di ricerca e soccorso.
Moas: i privati che salvano i migranti
La nascita di MOAS. "Non potevamo restare indifferenti di fronte all'immane bisogno di fermare questa moria in mare", ci dice Regina, intervistata in esclusiva da Repubblica. "Così abbiamo fondato l'organizzazione MOAS  -  Migrant Offshore Aid Station e, con il budget a nostra disposizione, abbiamo iniziato a cercare una nave adatta. Non siamo miliardari, abbiamo rinunciato a investire in altre imprese perché siamo convinti che aiutare gli altri è un modo per aiutare anche sé stessi e migliorare la società in cui si vive. D'altronde anche noi siamo migranti, sebbene molto più fortunati: mio marito ha lasciato New Orleans a seguito delle devastazioni dell'uragano Katrina; ci siamo conosciuti in Calabria, dove entrambi siamo originari, e insieme ci siamo trasferiti a Malta". MOAS, con sede a Malta, è una missione filantropica senza precedenti: è la prima volta, infatti, che dei privati provvedono in modo strutturale ad operazioni di soccorso in mare dei migranti. Un altro aspetto caratterizzante della iniziativa riguarda l'uso della tecnologia, e in particolare dei droni, a scopi socio-umanitari.
"Abbiamo anche due droni". "Abbiamo contattato esperti di diritto marittimo che ci hanno permesso di arrivare dove siamo arrivati: dietro di noi ci sono tante persone che rendono possibili le attività di MOAS. La fase preparatoria della missione è partita nell'estate 2013, prima di Mare Nostrum, annunciato e avviato a ottobre; noi a quel tempo eravamo già alla ricerca della nave. Finalmente nel gennaio 2014 abbiamo trovato la Phoenix, una nave statunitense di 40 metri adatta come stazza e stabilità per essere adibita anche all'atterraggio e decollo dei droni - ne abbiamo due, di ultima generazione, gli stessi usati dalle navi della Marina Militare italiana.  Sono più veloci dei mezzi via mare e assicurano una maggiore visibilità, disponendo di due telecamere, tra cui una termica che permette di captare immediatamente le immagini a filo d'acqua; sono come calamite di immagini. Oltre ai droni, la Phoenix è equipaggiata anche con due gommoni a scafo rigido per approcciare i natanti in difficoltà e un personale di circa 20 unità tra medici e soccorritori".
Il raccordo con le autorità. Naturalmente, perché ciò sia possibile è necessario un raccordo con le autorità competenti. Esiste un centro di coordinamento internazionale che stabilisce quale imbarcazione debba recarsi dove, oltre alla costante collaborazione con le autorità maltesi, specie per l'uso dei droni Camcopter S-100, affittati direttamente dalla casa produttrice austriaca Schiebel. Ed è la Austrian Airspace ad aver individuato, insieme a Malta, un quadrante di azione dove far operare i droni, dispiegati anche in acque internazionali. MOAS è tenuta ad avvisare quando si alzano in volo, a che altezza, nonché il percorso che compiono, il cosiddetto in and out.  
Da noi il primo screening sanitario. "MOAS è una stazione di aiuto in mare, quindi le persone soccorse dovrebbero restare con noi il meno possibile  -  sebbene alcune volte siamo stati chiamati a effettuare trasbordi direttamente a Porto Empedocle o Pozzallo, e in quei casi i migranti sono rimasti con noi per 36 ore. Operiamo come un'ambulanza per il soccorso immediato. Una volta intervenuti, individuiamo prima i casi più delicati - i bambini, le persone disidratate o con febbre - e facciamo un primo screening sanitario. Poi nutriamo tutti, gli diamo vestiti asciutti e puliti. La priorità è comunque salvarli: dargli un giubbotto salvagente e tirarli fuori dalla carretta dove hanno viaggiato è il primo passo. In alcuni casi coordiniamo i tempi di intervento con le autorità; altre volte bisogna intervenire d'urgenza perché le imbarcazioni stanno materialmente affondando. Quando ci avviciniamo a soccorrerli ci chiedono se siamo delle Nazioni Unite".
La seconda missione dal prossimo maggio a ottobre. La prima fase operativa di MOAS è durata circa 60 giorni, fino a esaurimento budget. Subito dopo, attraverso il sito MOAS. eu, è stata lanciata una campagna di crowd-funding per proseguire le operazioni, ma senza particolare successo. "Il nostro  -  ci conferma Regina - nasce come un progetto tampone, con un budget limitato. Speravamo che la nostra iniziativa avrebbe ispirato anche altri, ma nessun grande donatore si è fatto avanti; abbiamo invece registrato molte piccole donazioni da singole persone che ringrazio di cuore. Ma sono ottimista e voglio sperare che una cordata di imprenditori venga smossa da questo articolo!". Così, in attesa di capitani e capitali coraggiosi, MOAS si prepara alla seconda missione, che partirà il prossimo maggio e durerà fino a ottobre. E se nella prima missione la collaborazione con Mare Nostrum è stata ottima, per questa restano molti punti interrogativi. "Non avevamo alcun accordo scritto con l'Italia, e con Mare Nostrum operavamo sulla base di un gentlemen agreement.  Con Triton non sappiamo se e come potremo cooperare. Siamo comunque tutti sotto lo stesso centro di coordinamento, vedremo una volta che torneremo in mare".
Il controllo non basta bisogna soccorrere.  È tanto lodevole quanto allarmante che di fronte alle ingenti, e in buona parte annunciate, tragedie del mare, si sia reso necessario il ripetuto intervento di un privato. Quella stessa Europa che ha giustamente condannato i respingimenti di Italia e Malta, lascia i migranti in balia delle acque limitandosi a richiamare il diritto internazionale e la legge del mare, mettendo in campo - di concerto con l'Italia, che nel frattempo ha chiuso Mare Nostrum - un'operazione di pattugliamento limitata come Triton, e rifiutando nei fatti di farsi pienamente carico delle proprie frontiere predisponendo anche adeguate misure di ricerca e soccorso, o Search and Rescue (SAR) come si dice a Bruxelles. "È necessario che l'Europa affianchi al controllo del frontiere anche una missione umanitaria in mare, che la si chiami Mare Nostrum o altro. Non si può aspettare che queste persone arrivino a 30 miglia dalle coste italiane, europee, o addirittura sperare che non arrivino affatto. Dov'è finita la nostra etica e moralità? Perché imporsi una distanza limite per salvare delle vite quando sappiamo che sono lì, in pericolo. È un atto di crudeltà, quando invece si potrebbe continuare a soccorrerle presso le piattaforme dell'Eni dove operava anche Mare Nostrum, ad esempio. Non bisogna dimenticare che la sofferenza di queste persone inizia molto prima della traversata in mare. E non ci si può affidare ai mercantili. Noi ci stiamo muovendo per trovare altre navi e creare una flotta. Se non lo faranno loro, lo faremo noi il SAR".
L'inversione di marcia di Italia e Europa. Ora, dopo le tragedie delle ultime settimane, si è assistito a una inversione di marcia sia dell'Italia che dell'Europa. Quello che solo pochi mesi fa è stato salutato come un trionfo, soprattutto dell'Italia e del suo semestre di presidenza europeo, era in realtà la cronaca di un fallimento annunciato. Già un documento operativo della nuova missione Triton sottolineava che "se non pianificato in maniera accurata e annunciato con molto anticipo, il ritiro delle navi dall'area (quella di pattugliamento di Mare Nostrum) potrà risultare in un aumento dei morti". Smorzato anche l'entusiasmo con cui il ministro dell'Interno Alfano sottolineava come "dai 114 milioni spesi nel 2014 con Mare Nostrum, si passa a zero euro, perché l'operazione Triton non graverà sul bilancio italiano". Ora pare che tutti siano consapevoli che quanto "cucito su misura" delle richieste italiane non basti più. Ma forse non è mai bastato, perché la soluzione probabilmente risiede altrove.
Ma né Mare Nostrum né MOAS sono le soluzioni. "È chiaro  -  continua Regina -   che né Mare Nostrum né MOAS sono la soluzione al problema. La soluzione va ricercata nel ristabilire l'equilibrio nei Paesi di origine, e l'Europa dovrebbe profondere un maggiore e più concreto impegno per mettere pace in quei Paesi. Nel frattempo, però, se in mare c'è un problema, allora lo si deve affrontare. Non ci si può nascondere e mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi". Sempre nel frattempo, il ministero della Difesa ha allertato gli armatori sul rischio che gli scafisti possano assalirli per impadronirsi delle loro imbarcazioni. Anche la Phoenix ha più volte avvistato trafficanti e in alcuni casi è stata avvicinata in modo sospetto, riuscendo fortunatamente a smarcarsi solo grazie alla maggiore velocità del mezzo. E alla domanda su quale sia la spinta più forte nel fare quello che fanno, che continuano a fare, impegnandosi in prima persona e non solo come finanziatori, Regina Catrambone risponde decisa: "Lì muoiono persone. Nel 2015, nel Mediterraneo, continuano a morire persone, assiderate, annegate. Cos'altro dovrebbe spingerci?" Un monito forte e chiaro che, passando da Roma, si spera arrivi fino a Bruxelles.



FUGGONO DALL`INFERNO, SI RITROVANO SCHIAVI
Il Centro di accoglienza di Mineo, vicino a Catania, ospita circa 3.500 migranti sbarcati sulle nostre coste. Ogni giorno, a centinaia, vengono reclutati per lavorare, in nero, nei campi della zona. Ma nessuno pare accorgersi dello sfruttamento. Panorama lo documenta con le foto.
OGNI GIORNO ALMENO 200 IMMIGRATI FANNO I BRACCIANTI PER 10 EURO AL GIORNO
Panorama, 05-03-2015
Antonio Rossitto foto di Giuseppe Gerbasi per Panorama
Il momento più buio della notte è quello che precede l`alba. E la distesa di casupole che fino al 2010 ospitava i marines americani di stanza a Sigonella è ancora coperta da un nerissimo mantello. Più di 3.500 richiedenti asilo sbarcati sulle coste siciliane vivono in quest`alveare colorato di rosa, sperso fra gli aranceti della Piana di Catania. Adesso è diventato il centro d`accoglienza più grande d`Europa: il Cara (la sigla sta per Centro di accoglienza richiedenti asilo) dí Mineo.
Non sono nemmeno le seí del mattino quando per strada cominciano a sentirsi i primi passi. Il cielo color pece mimetizza i volti. Ma passi pesanti rompono il silenzio. Uno, due, dieci, cento uomini sono pronti a offrirsi come braccianti. Disposti a sudare nei campi per la paga mortificante oggi «elargita» sul mercato del lavoro nero italiano: dieci euro al giorno. I migranti sono i nuovi schiavi. È l`ultima degenerazione dell`operazione «Mare nostrum», che l`anno scorso ha raccolto 165 mila immigrati nel Mar di Sicilia. Un numero imprecisato di loro, ancora in attesa di asilo, si è trasformato in mano d`opera a bassissimo prezzo: braccianti arruolati per la raccolta di arance, carciofi, olive. Mineo, Ramacca, Grammichele, Palagonia, Scordia: le campagne dei paesi nei dintorni del Cara sono ormai piene di disperati, disposti a ogni fatica in cambio di qualche euro. Tutti vedono. Tutti sanno. Ma nessuno parla. La tratta degli schiavi prosegue ogni giorno. Mentre le istituzioni, la politica e i professionisti dell`accoglienza osservano omertosi.
Le ombre nere diventano corpi all`alba. Alle sei e mezza, attorno del Cara, si materializza l`incessante viavai. Gruppetti di migranti vengono prelevati direttamente davanti al centro. L`ingresso è sorvegliato da decine di militari, ma quel brulicare anomalo non li tange nemmeno.
A pochi metri un ragazzone con il giubbotto bianco gira in tondo su una bici. È alto e muscoloso. Si ferma alla vista della nostra auto che rallenta. «Amico, vuoi lavoro?» domanda. E intanto mostra il suo cellulare. «Chiamo altri quattro?». Il ragazzone è il «caporale» che cerca di organizzare una squadra di braccianti. Cerca di invogliarci: «Dieci euro a persona». Ma di fronte alla nostra risposta titubante schizza via, alla ricerca di un di altro cui offrire un lavoro.
I meno spudorati intanto raggiungono, a piedi o in bici, la statale 417 che da Gela porta a Catania. Si fermano agli incroci, davanti alle pompe di benzina, a lato di un`ex casa cantoniera dell`Anas. E qui aspettano, immobili e pazienti. Che qualcuno passi e li carichi su un furgone, o un`auto, per poi scaricarli in campagna. Quattro mesi fa, al bivio di Grammichele, la Polizia stradale di Caltagirone (Catania) ha fermato un camion guidato da un produttore di Mazzarrone che coltiva cipolle. Sotto il telone l`uomo nascondeva venti immigrati del Cara: afghani e marocchini, soprattutto. Altri sono stati scoperti nel cassone di un`ape: un altro agricoltore li aveva arruolati per lavori di fatica.
Al Cara di Mineo si sono organizzati anche con il servizio di taxi abusivo: quattro scassate monovolume stazionano ormai stabilmente dietro una curva, sulla strada che porta al centro. Il viaggio Per Catania, andata e ritorno, costa dieci euro. Le macchine sono guidate da altri extracomunitari residenti nei paraggi.  
La Polizia stradale, guidata da Emilio  Ruggeri, ha fermato molte volte i taxi abusivi. Ma né le multe, né le denunce e  nemmeno sequestri delle auto (rubate)  hanno scalfito il business. Che adesso ha  cominciato a diversificarsi: quando non ci  sono «corse» per Catania, le monovolume  raccattano gli immigrati dagli incroci e li Portano da un`azienda agricola all`altra, in cerca d`impiego.  
Questo porta-a-porta va avanti da  tempo. Adalgisa Maccarrone, produt trice di arance di Mineo, racconta: «Sono cominciati ad arrivare un anno fa, a gruppi  di quattro cinque, a piedi e in bici. Oggi me li trovo davanti a casa a chiedere lavoro. È  u  na processione incessante e giornaliera.  E molti piccoli produttori sfruttano la situazione: un bracciante italiano costa 60  euro al giorno; loro invece si accontentano  dieci, più un panino per pranzo».  
Ne intercettiamo cinque sulla statale, in fila indiana, a cavallo di bici malridotte.
Intabarrati fino ai capelli, zainetti in spalla, hanno una pedalata fluida: alle 6,15 del mattino i cinque già corrono verso ignote piantagioni. Il termometro segna pochi gradi. Un bivio dopo l`altro, si lasciano dietro indicazioni stradali e incroci squinternati. I cinque, per lo sforzo, continuano a sbuffare nuvole di alito. Pedalano per 20 chilometri, scartano Palagonia, si infilano in una stradina in salita. Poi, in un lampo, guardano indietro, scendono dal sellino e s`infilano in uno sterminato agrumeto. Qui accendono un fuoco per scaldarsi. E alle 7,30, quando arrivano due italiani, cominciano a raccogliere arance da terra. Fanno una breve pausa alle 12: ingurgitano un panino seduti sulle cassette di legno. Poi riprendono al lavoro. Continueranno fino alle 16, quando inforcano di nuovo la bicicletta e tornano al Cara. Ancora in fila, sulla trafficatissima 417.
Il mercato dei migranti è sotto gli occhi di tutti. Sono almeno 200 i richiedenti asilo sfruttati ogni giorno, stima la Flai-Cgil, il sindacato degli agricoli. Tre mesi fa ha tappezzato i paesi della zona dí manifesti con una scritta cubitale: «Contro il lavoro nero». Sotto, il monito: «Gente senza scrupoli impiega nelle nostre campagne, per un salario irrisorio, persone disperate che tolgono l`impiego ai braccianti italiani».
Nuccio Valenti, segretario della Flai-Cgil nella zona, spiega: «Da tempo presentiamo denunce: al prefetto, ai sindaci, all`ispettorato del lavoro. Ma nessuno fa niente. Evidentemente perché gli immigrati sono un business: dovrebbero rimanere qualche mese, invece in media restano più di un anno. E fanno comodo a tutti: al consorzio di comuni che gestisce il centro, a chi è assunto dal Cara, agli alberghi pieni di militari. E a chi ha bisogno di braccianti».
Soltanto a Ramacca, dove decine di extracomunitari arrivano ogni giorno per raccogliere carciofi, il tema è stato discusso in consiglio comunale. Il 29 ottobre scorso, all`ordine del giorno era iscritto il tema: «Immigrati e condizione sociale». Un documento firmato da alcuni consiglieri comunali sollecitava il dibattito: «Lo sfruttamento di questi lavoratori da parte di pseudo imprenditori che schiavizzano queste persone può creare condizioni di forti tensioni sociali». Infine, la richiesta di intervento a tutte le istituzioni.
Ma il risultato è sotto gli occhi: l`illecito mercimonio prosegue, incessante. Al Cara di Mineo la permanenza media degli
immigrati è la più alta d`Italia: 14 mesi. E politici e istituzioni siciliane continuano a voltare la faccia. Hanno già derubricato il nuovo schiavismo a innocuo apprendistato



 "Rom e zingari feccia della società”, Facebook oscura il leghista Buonanno
Rimosso il video con gli insulti razzisti e bloccato per 24 ore l'aggiornamento. L'eurodeputato si infuria: "Zuckerberg è come il Califfo, forse é un rom"
stranieriinitalia.it, 05-03-2015
Roma – 5 marzo 2015 - Di robaccia razzista su Facebook ne gira tanta e le politiche del social network in materia lasciano ancora molto a desiderare, però stavolta l'intervento è stato tempestivo.
Sulla pagina Facebook dell'eurodeputato leghista Gianluca Buonanno campeggia l'immagine di un suo incontro con papa Francesco. Due giorni fa però c'era anche un video di tutt'altro tenore: il suo intervento di lunedì sera a Piazza Pulita, nel corso del quale ha insultato “rom e zingari” definendoli “feccia della società”.
Troppo, anche secondo i gestori del social network, che hanno rimosso il video e impedito per un giorno al leghista di continuare a fare danni.
"Facebook – ha raccontato lo stesso Buonanno - ha emesso una vera e propria fatwa nei miei confronti. Hanno rimosso il video su quello che penso dei rom e degli zingari da piazza pulita e mi hanno impedito l'accesso per 24 ore".
"Zuckerberg è come il Califfo e la cosa è talmente ridicola e assurda che il video di Piazzapulita si può vedere praticamente su ogni sito di informazione. Mi viene il sospetto che Zuckerberg sia di origine rom" ha rilanciato l'eurodeputato, annunciando addirittura un'interrogazione urgente sulla vicenda al Parlamento Europeo.



Comunali 2015. Al voto anche romeni e polacchi, ma solo se lo chiedono
Per andare alle urne e candidarsi, i cittadini Ue residenti in Italia devono iscriversi alle liste aggiunte. Basta una domanda all'ufficio elettorale
stranieriinitalia.it, 04-03-2015
Roma - 4 marzo 2015 - Venezia, Salerno, Trento, Bolzano e Andria sonoi più popolosi tra gli oltre mille comuni italiani dove il prossimo maggio si andrà alle urne per scegliere nuovi sindaci e consiglieri.
All' appuntamento sono chiamati, come elettori e possibili eletti, anche i cittadini dell'Ue che risiedono in quei comuni, ma romeni, polacchi & co. devono però sobbarcarsi un supplemento di burocrazia rispetto agli italiani. Per partecipare alle elezioni devono infatti iscriversi a una lista elettorale aggiunta.
L'iscrizione è gratuita, basta presentare presso l'ufficio elettorale del Comune una domanda con i propri dati e la dichiarazione che si gode del diritto di voto anche in patria. Qui trovate un fac simile del modulo. Alcuni Comuni consentono di presentare la domanda, oltre che di persona, anche per posta, fax o via internet.
Una volta iscritti alla lista, lo si rimane anche per le tutte le successive elezioni comunali. La domanda può essere presentata fino a  40 giorni prima della data fissata per elezioni. Quella delle prossime comunali  non è stata ancora decisa ufficialmente, ma visto che la più accreditata è il 10 maggio conviene sbrigarsi entro la fine di questo mese.
Negli scorsi anni, la partecipazione dei cittadini comunitari alle elezioni comunali è sempre stata scarsissima. Colpa anche dell'iscrizione alla lista aggiunta, ma soprattutto della disinformazione e del disinteresse, piaghe contro le quali le istituzioni e la politica non si sono ancora impegnate abbastanza.


 
Grecia: Tsipras volta pagina anche sui migranti, stop alla detenzione e più accoglienza
Il Manifesto, 05-032015    
Pavlos Nerantzis
Polemiche su una circolare inviata a tutti i commissariati. In Grecia arrivano ogni anno decine di migliaia di profughi provenienti soprattutto da Afghanistan, Iran, Iraq e negli ultimi anni dalla Siria. Nel 2014 ne sono stati fermati 77 mila, la maggioranza dei quali erano siriani.
Una fuga dal terrore della guerra, un salto verso la terra della promessa da parte di migliaia di migranti che si imbarcano di nascosto ogni giorno su gommoni per attraversare quelle poche miglia nell'Egeo, ma che spesso, causa mare mosso, finiscono in naufragi e tragedie umane.
Il mar Egeo sarebbe paragonabile al canale di Sicilia, ma i profughi prima di attraversarlo non conoscono né l'uno né l'altro. Ma anche se lo sapessero dai loro compagni che sono partiti prima di loro, è talmente grande la voglia, quasi esasperata, di fuggire dalle guerre che nessun mare mosso e nessun un muro, come quello costruito lungo il fiume Evros, al confine greco-turco, dal governo di Samaras li potrebbe fermare.
Finora nessun governo greco ha applicato una politica di asilo. Perciò la Grecia ha la percentuale più bassa (sotto l'1% dei richiedenti asilo) alle statistiche europee. Come l'Italia respinge i profughi addirittura minorenni senza alcun presupposto giuridico in Grecia, e la Turchia verso l'Iran o la stessa Grecia, così Atene - ovvero la polizia e la guardia costiera - cerca di respingere violentemente le imbarcazioni dei profughi verso le coste turche, provocando spesso massacri e vittime umane.
Nel caso in cui i profughi si presentano alle autorità per chiedere asilo, di solito non hanno assistenza. Nella maggioranza dei casi vengono rinchiusi in campi di concentramento oppure in stazioni della polizia in condizioni disumane, e quando le guardine e i campi sono strapieni, alcuni di loro vengono rimpatriati oppure lasciati liberi con un foglio di espulsione (entro 30 giorni devono lasciare il territorio). Ecco perché arrivano in massa ai porti di Patrasso e di Igoumenitsa.
Denominatore comune della loro permanenza in tutti questi paesi: privazione della loro libertà, carcerazione in condizioni disumane, maltrattamento e torture. Poche, invece, sono le denunce rispetto alla violazione dei diritti umani da parte delle autorità, ancora meno le condanne degli agenti.
Non a caso Grecia e Italia sono state condannate dalla Corte europea dei diritti umani (l'ultima volta lo scorso novembre) per trattamenti inumani ed espulsioni collettive di migranti. Il governo di Alexis Tsipras vorrebbe esercitare una politica diversa nei confronti dei migranti: da una parte condizioni umane di permanenza nei campi, procedimenti rapidi per i richiedenti asilo, e dall'altra la modifica del Regolamento Dublino II.
In questo ambito, una settimana fa il ministro della Protezione del cittadino, Jannis Panoussis, ha annunciato la chiusura del campo di Amygdaleza (ogni giorno vengono liberate 30 persone), perché i profughi vivono in condizioni disumane per oltre sei mesi. Ieri, però, c'è stata polemica tra il governo e l'opposizione quando è stato reso noto che il capo della polizia ellenica ha rilasciato una circolare con "le nuove linee guida" a tutti i commissariati della polizia.
Secondo tale circolare i migranti arrestati che cercano di entrare clandestinamente in territorio ellenico non debbono essere trattenuti, ma lasciati liberi con un foglio di espulsione, dopo la loro identificazione, e quelli già detenuti nei "campi di accoglienza" devono essere rimessi in libertà.
Il ministro Panoussis, nel momento in cui il governo sta ancora studiando una nuova politica per l'immigrazione, ha reso noto di aver ordinato un'inchiesta per accertare chi abbia diffuso le nuove direttive senza consultarsi prima con le autorità governative, e ha lasciato intendere che si tratta di una provocazione da parte della Nea Dimokratia. Secondo l'opposizione, invece, il governo ha dovuto revocare la circolare a causa delle forti reazioni.

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