Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

01 ottobre 2013

“Noi, in viaggio da giorni picchiati con fruste e bastoni poi spinti in mare a morire”
I profughi: “Partiti dalla Libia, nessuno sapeva nuotare”
la Repubblica, 1-10-2013
Francesco Viviano
SCICLI (RAGUSA) — «Sapevano che molti di noi non erano in grado di nuotare ma ci urlavano di fare in fretta, di tuffarci, perché dovevano salvare la barca finita sulla secca. Hanno cominciato a picchiarci con corde e bastoni, minacciandoci con i coltelli. Ci spingevano in mare, molti erano caduti perché eravamo come in una trappola su quella piccola barca con cui eravamo partiti non so più quanti giorni fa. No, non lo so come mi sono salvato, non so nuotare, qualcuno però mi ha preso per le braccia e mi ha tirato fuori dall’acqua portandomi sulla spiaggia. Ma gli altri, e tra questi miei parenti e amici, sono morti. Loro (gli scafisti, ndr) li hanno ammazzati».
Davanti agli uomini della squadra mobile di Ragusa Irai Syfatt, 30 anni, eritreo, mette a verbale con l’aiuto di un interprete, l’odissea sua e degli altri disperati partiti «da una spiaggia libica tre o quattro giorni fa». Erano almeno 150, su quella barca di otto metri appena. «La traversata era stata buona — racconta Irai — anche se su quella barca non ti potevi muovere, eravamo appiccicati comel’uno all’altro come lumache. Loro (gli scafisti,ndr) ci dicevano di stare buoni. E quando abbiamo visto terra pensavamo di avercela fatta. E invece i nostri amici sono morti annegati anche se il fondale è bassissimo: quasi nessuno tra noi sapeva nuotare».
«Gli scafisti erano cinque, ma il più cattivo era l’arabo che ci aveva portato sulla barca per andare a Lampedusa — aggiunge una sopravvissuta somala, Marianne Fadith — gli avevamo consegnato 1.500 dollari per me e per il mio bambino e dicevanoche era “un prezzo buono”. Mi trovavo in Libia da un anno, poi qualche giorno fa nel capannone dove ci avevano radunati è arrivato quell’arabo cattivo: ha raccolto i soldi e ci ha portati su una spiaggia. Siamo partiti alcune ore dopo, quando era già buio. Abbiamo sofferto tanto perché avevamo poco cibo e poca acqua, pensavo che il mio bambino non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere. E come lui gli altri bimbi a bordo. Invece Dio ci ha aiutati facendoci arrivare fino a qui. Ma quando la barca si è fermata a poche decine di metridalla riva l’arabo cattivo e i suoi amici hanno cominciato a bastonarci urlandoci di buttarci giù».
“L’arabo cattivo” è stato riconosciuto da più di un sopravvissuto e quando gli investigatori hanno mostrato loro le foto dei fermati, non hanno avuto dubbi a riconoscerlo: «è lui» ha detto la donna agli inquirenti scoppiando in lacrime e stringendo al petto il suo piccolo di appena tre anni.
Anche altri sopravvissuti hanno indicato l’uomo come uno degli scafisti: «Erano loro che comandavano sulla barca e poche ore prima che arrivassimo qui hanno litigato perché avevano sbagliato rotta avevano sbagliato rotta. Ci avevano detto — ha raccontato il sopravvissuto agli investigatori ragusani — che ci avrebbero portato a Lampedusa, invece ci hanno portato qui, in pieno giorno».
«Era incredibile — dice una turista di Bergamo, tra i testimoni del drammatico naufragio sulla spiaggia di Sampieri, litorale di Scicli — come quella barca riuscisse a galleggiare, era stipata fino all’inverosimile con gente che gridava e si agitava. Chiedevano aiuto e abbiamo visto una gran confusione con gente che veniva spinta fuori dalla barca. Scene terribili che non avevo mai visto in vita mai. Era uno strazio vedere quelledonne in mare con i loro bambini in braccio. E poi quella fila di cadaveri che uno ad uno venivano adagiati sulla sabbia e coperti dai lenzuoli bianchi dei soccorritori». Tra i primi a sopraggiungere, anche il vicequestore di Ragusa, Francesco Marino che da anni conduce inchieste sugli scafisti e che sospetta siano egiziani o tunisini ad aver organizzato il viaggio: «Qualcuno di questi “senza Dio” è stato riconosciuto dai sopravvissuti ma stiamo cercando di trovare altri elementi per potere incastrare tutti i presunti scafisti». Li hanno buttati in mare «perché tentavano — spiega Marino — di disincagliare la barca, speravano che senza “carico” il mare li avrebbe liberati dalla secca sulla quale dov’erano finiti, ma sono stati sfortunati, quella barca non si è più mossa e anche loro sono rimasti incastrati ». Ora gli inquirenti sperano che non ci siano altre vittime ma non escludono che tra qualche giorno altri cadaveri possano riemergere dal fondo del mare dove erano stati buttati dagli “arabi cattivi”.
Irai Syfatt, eritreo
Marianne Fadith, somala



Sette vite salvate da un carabiniere «Ho fatto soltanto il mio dovere»
Sirtan, 21 anni: abbiamo rischiato tutto per diventare come voi
Corriere della sera, 01-10-2013
F. Cavallaro
MODICA (Ragusa) — Stacca la maschera d'ossigeno Sirtan, 21 anni, le braccia come grissini, affondato fra le lenzuola bianche del- l'ospedale di Modica, e pur con gli occhi diffidenti lo spiega con una parola perché ha rischiato la vita nel Mediterraneo: «Per la mia salvezza, per vivere come voi». Lo accarezza comprensivo padre Salvatore Denaro, il cappellano del «Maggiore», un passato in Canada, inglese sufficiente per dialogare con quel ragazzo soprawissuto al¬ia tragedia di poche ore prima, i polmoni pieni d'acqua, ossigeno insufficiente, il timore di un trauma toracico, poi via via in ripresa come il suo compagno della stanza 120, quarto piano, Chirurgia, le vetrate sulle campagne attraversate in ambulanza a sirena spiegata.
E l'altro eritreo, Faneth, 28 anni, anche lui studente a caccia di «una vita vera», annuisce quando Sirtan svela la sua convinzione: «A bordo del barcone c'era un comandante egiziano, ma ho capito che gli scafisti hanno un'organizzazione in Italia. E per colpa loro abbiamo visto morire i nostri amici, i nostri fratelli, senza forze, senza poterli aiutare».
Tema da sviluppare negli interrogator! che verranno e che fa scattare un'occhiata fra don Denaro e il direttore sanitario Piero Bonomo, ormai in trincea: «Con otto sbarchi al mese siamo sempre in emergenza». Ma loro pensano soprattutto a quanto accade nelle notti di Modica e Scicli, quando sulle coste si dice si moltiplichino i mini sbarchi con cinque, otto, dieci migranti lasciati in spiaggia e poi accolti da vedette locali.
Su questo lavora da tempo il maresciallo Carmelo Floriddia, l'«eroe» ieri di pattuglia in zona, pronto a disfarsi della divisa, a sbracciarsi per portare in salvo almeno sette naufraghi: «Non sono un eroe, perché ho fatto solo il mio dovere. Sono stati momenti d'ansia. Il massaggio su uno dei ragazzi portati a riva sembrava non funzionare. Poi, ho sentito un primo colpo di tosse. Felice. Era come se quell'uomo fosse rinato».
È arrivato fra i primi anche Massimiliano Di Fede, 45 anni, una villetta a due passi dalla spiaggia della tragedia: «Decine di persone annaspavano in acqua. Ne ho aiutate molte. Buttavano acqua e schiuma dalla bocca, terribile. Poi arriva uno, lo scafista, e mi da un pugno...». Ma s'è fermato sia perché il maresciallo Floriddia l'ha bloccato, sia perché sopraggiungevano due bagnini muscolosi del vicino «Patapata», lo stabilimento con lo chalet sulla spiaggia, Alberto Proietto e Davide Roccasalva, armati di defibrillatore: «Con altri tre volontari abbiamo portato a riva sette persone, ma anche quattro migranti ormai senza vita. Li abbiamo poggiati di fianco per far fuoriuscire l'acqua, invano, purtroppo...».
Sequenze vissute in diretta da Dora Dobber, un cagnolino al guinzaglio, tedesca, da nove anni qui per gestire un alberghetto di Spampieri, sconvolta vedendo i migranti in fuga: «Si alzavano dalla spiaggia e correvano. Come i quattro che ho poi incontrato sulla Strada per Modica, ancora inzuppati, due ragazzi e due ragazze».
A decine sono stati ripresi dalle volanti che li hanno poi accompagnati al Centro accoglienza di Pozzallo, come tante donne spaventate e mute. Al contrario di Hamed che fa giocare un bimbo finalmente sorridente, il ciuccio in bocca: «Adesso che siamo rimasti vivi, vogliamo gli stessi diritti che hanno i Cittadini italiani perché ci sentiamo già italiani...».
Ascoltano pensierosi i volontari di un'ambulanza che parte per l'ospedale con una giovane donna dolorante. Fa capire di essere in- cinta, ma in serata si scoprirà che ha solo un gonfiore. Forse una piccola bugia. Come tante ne sente nelle ultime settimane il direttore sanitario Bonomo: «Ormai sappiamo che cercano di farsi ricoverare in corsia perché è più facile fuggire da un ospedale che dal Centro accoglienza...». Altra questione aperta in un'isola dove Centri e case famiglia sono ormai al collasso.



Nel Mediterraneo duemila le vittime solo nel 2012
Il traffico di esseri umani rende più di quello della droga e delle armi
La maggior parte delle navi arriva dalla Libia e dalla Tunisia
l'Unità, 01-10-2013
Umberto De Giovannageli
Un giro d’affari imponente. Un traffico che rende più di quello delle armi e della droga: il traffico di esseri umani. A dar conto di un crimine senza fine, sono i dati. Agghiaccianti. Numeri impressionanti, dietro i quali vi sono storie di una sofferenza indicibile, di una umanità sofferente in fuga da guerre, pulizie etniche, stupri di massa. Una fuga verso al libertà che per molti, troppi, è finita tragicamente. In fondo al mare. Il mare della morte: il Mediterraneo. Una tragedia infinita. Negli ultimi 20 anni, infatti, il mar Mediterraneo è stato la tomba di oltre 20mila persone.
TRAGEDIA INFINITA
Stando alle parole degli esperti, attualmente si muore molto di più sulla rotta libica che su quella tunisina: le due tratte della speranza, per uomini, giovani, donne e bambini che scappano da guerre e fame in Africa. Ma, ovviamente, le statistiche dei morti e dei dispersi possono essere del tutto orientative. Oltre 2mila vittime del mare sono state contate solo nel 2012. In più, da diversi anni, nella maggior parte dei casi, i criminali che organizzano le spedizioni di migranti non mettono più i loro uomini al timone, ma la guida delle barche è affidata a caso a uno dei passeggeri, anche se non hanno mai guidato un «vascello». «Fa rabbrividire il pensiero che si sarebbero potute impedire molte di queste morti», rimarca Judith Sunderland, ricercatrice esperta di Europa occidentale a Human Rights Watch. «Occorre che l’imperativo in mare diventi salvare vite umane e non schivare responsabilità».
Riflette Mons. Giancarlo Perego, direttore Generale di Migrantes: «La situazione dei rifugiati in Italia, già difficile per il nostro Paese, che comunque ha una rete di accoglienza, diventa drammatica nei Paesi segnati dalla guerra o per i Paesi confinanti: penso in particolare alla Siria e al Libano, alla Giordania o ai campi del Nord-Centro Africa o della Somalia ed Eritrea. Ogni anno cresce il numero di rifugiati e richiedenti asilo e cresce anche la consapevolezza di nuovi e allargati strumenti di protezione internazionale che sappiano rispondere a una situazione sempre più complessa. Misure di sola repressione e reclusione o solo emergenziali, soprattutto nel contesto europeo dove oltre 330.000 persone nel 2012 sono rifugiate, non bastano. Misure solo attente alle persone e non alle famiglie risultano insufficienti e inefficaci. Misure che creano un continuo spostamento delle persone da un Paese all’altro facendo aumentare il disagio sociale». Si stima che nel 2011 circa il 90% di tutti i richiedenti asilo nell’Unione europea siano entrati irregolarmente. Inoltre, la maggior parte delle persone che cercano di raggiungere l’Europa sono generalmente soggette a gravi violazioni dei diritti umani nel loro viaggio e in particolare nei Paesi di transito e in alto mare. I migranti sono spesso intercettati e respinti in mare, senza avere la possibilità in molte occasioni di chiedere asilo nell’Ue, con il concreto rischio che i diritti umani dei rifugiati e il principio di «non refoulement» venga violato. «Il mare Mediterraneo, nel corso degli ultimi venticinque anni, ha inghiottito migliaia di cadaveri: uomini, donne e bambini che, partendo dalle coste africane, cercavano un’opportunità di vita nel nostro continente. Queste le cifre crudeli, stimate per difetto, sulla base di dati parziali e di fonti internazionali, da A Buon diritto Onlus – di un’autentica strage», rilancia il senatore del Partito Democratico Luigi Manconi, presidente della Commissione speciale per la tutela dei diritti umani a Palazzo Madama.
«Il fenomeno della tratta di esseri umani sta crescendo in Italia, e i trafficanti stanno diventando sempre più audaci nello sfruttamento e nell’abuso delle loro vittime». A sostenerlo è Joy Ngozi Ezeilo, inviata speciale Onu sul problema del tratta di persone, invitando il governo italiano a potenziare gli strumenti di controllo e valutazione dell’efficacia delle misure sin qui adottate. Le autorità per esempio, spiega Joy Ngozi Ezeilo, tendono a non identificare le vittime, che siano maggiorenni o minorenni, chiedono solo dati personali di base e non forniscono informazioni sui loro diritti e le modalità per richiedere protezione. Questo impedisce loro di essere assistite, ma anche di identificare i loro sfruttatori e trafficanti. Allargando lo sguardo al dato mondiale, ogni anno, secondo le stime, circa 2 milioni di persone sono vittime del traffico sessuale, il 60% delle quali sono ragazze. Il traffico di organi umani raggiunge quasi l’1% di questa cifra, colpendo quindi circa 20.000 persone a cui, con diverse forme di inganno, vengono estratti, in maniera illegale, organi come fegato, reni, pancreas, cornea, polmone e persino il cuore, non senza la complicità di medici, infermieri e altro personale.



Sicilia al collasso Ventiseimila sbarchi da inizio anno
La Stampa, 01-10-2013  
LAURA ANELLO
PALERMO - Scudisciate con le cinghie, sulla pelle nuda. «Cane, cane, scendi dalla barca. Giú giú, in mare». Scudisciate su ragazzi, madri, bambini, padri di famiglia eritrei partiti dalla Libia con una bagnarola e finiti a morire a poche centinaia di metri dall'approdo, su una spiaggia dei Ragusano, a Scicli, dove i bagnanti erano stesi a prendere il sole della coda d'estate siciliana. Li hanno visti, quei poveri corpi neri buttati giù dalla barca, li hanno visti opporsi, poi rassegnarsi, buttarsi, annaspare, annegare. Alla fine ne sono morti tredici, vittime di scafisti che li picchiavano senza pietà, sperando di liberarsi velocemente dal carico, di alleggerirsi, e di disincagliarsi cosi dalla secca in cui la barca era finita.
Poco lontano, sulla costa, c'è la casa cinematografica del commissario Montalbano, quasi di fronte la «Mannara" teatro di diverse indagini. Ma questo non è un romanzo, e neanche un film. È l'ultimo episodio, terribile, della Sicilia presa d'assalto da migliaia di profughi in cerca di salvezza. Dopo Lampedusa, l'emergenza si è spostata qui, nella parte orientale dell'isola, tra palazzi barocchi e spiagge a perdita d'occhio. Dall'inizio dell'anno ne sono sbarcati oltre 26 mila, e i centri di accoglienza per chi richiede asilo sono al collasso, tanto da muovere il ministero dell'Interno a un piano straordinario di accoglienza. Già: paradossalmente l'emergenza Nordafrica si è chiusa pochi mesi fa, con lo smantellamento delle structure convenzionate, ma adesso la crisi in Siria e il riacutizzarsi dei problemi in Libia hanno di fatto messo di nuovo il governo con le spalle al muro.
Le spalle, i sopravvissuti di Scicli, ce le hanno bruciate dal sole e dai colpi di cinghia degli scafisti. Le mostrano, mentre i bagnanti raceontano i fotogrammi di una pellicola che interrompe la quiete sonnacchiosa della mattina in spiaggia. Un uomo è stato preso. È stato fermato poco dopo insieme con un altro giovane, poi interrogato: probabilmente sono due degli scafisti che hanno condotto la barca fino quasi sulla costa. Ma c'è un altro uomo, che i migranti accusano concordemente che non è tra i sopravvissuti. Forse è scappato, nel fuggi-fuggi generale, mentre i superstiti vomitavano sulla spiaggia. Alla fine sul lido restano tredici corpi allineati nei Sacchi bianchi, mentre altri sette finiscono in ospedale. Uno è gravissimo: è stato investito da un'auto pirata pro- prio mentre riteneva di avere conquistato la salvezza. Ma resta anche il racconto dell'eroe del giorno, il carabiniere Carmelo Floriddia: «Vedevo le braccia alzate dei migranti che stavano affogando, sentivo le loro urla disperate. Non ci ho pensato un atti- mo, mi sono tolto la divisa e mi sono buttato. Nonostanté la battigia fosse a qualche metro dal barcone, facevo una fatica enorme, perché indossavano vestiti pesanti che si erano inzuppati d'acqua. Alcuni di loro avevano la bava alla bocca e sembravano già morti. Con l'aiuto di tre ragazzi del villaggio turistico sono riuscito a portarne a riva nove, anche se per sei di loro non c'era nulla da fare. Anche gli altri tre sembravano esanimi, ma ho cominciato a praticare il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca e si sono ripresi. Ho fatto solo il mio dovere». Quando i corpi sono già alla camera mortuaria, arrivano le parole di cordoglio dei presidente della Camera Laura Boldrini. E quelle di Napolitano che tuona contro l'«ennesimo episodio di tratta di esseri umani».


 

LE CARRETTE DI CARONTE
la Repubblica, 01-10-2013
Adriano Sofri
NELLE prime fotografie sono ancora pochi e disordinati, scoperti, supini con le braccia spalancate, in croce sulla sabbia. Nelle ultime sono allineati in un ordine pietoso, avvolti in lenzuoli bianchi.
Coi piedi che fuoriescono, e lasciano vedere che qualcuno ha le scarpe, qualcuno una sola o nessuna. Come mai non hanno tolto le scarpe, prima di buttarsi? Forse non ne hanno avuto il tempo, forse hanno pensato che andare finalmente verso la nuova vita senza scarpe sarebbe stato troppo svantaggioso, o vergognoso. Sono tutti uomini, i testimoni dicono che alcuni dei morti avevano cercato di aiutare i compagni di viaggio. Sono tredici, ma si dice che ci sia un quattordicesimo morto, lo cercano: annegare in tredici, non sta bene. Molti, a riva, sono scappati, ne hanno ritrovati 70, anche una decina di bambini, una donna incinta ed esausta, un’altra donna. Uno, scappando, è stato investito da un’auto. Povero lui, disgraziato anche l’autista. E questo da dove sbuca? – si sarà chiesto. Dall’Eritrea, sbucava dall’Eritrea. È arrivato fino all’appuntamento con l’auto, pirata per giunta, dicono le cronache.
La conosco la spiaggia di Sampieri, ci ho fatto il bagno, tornavo da Scicli. Tutte le civiltà hanno concorso a fare Scicli bellissima, anche i cartaginesi, anche gli arabi. L’Africa era vicina. Sampieri la conoscono in tanti, c’è “u stabbilimientu bbruciatu”, il rudere della Fornace Penna, una delle stazioni del tour di Montalbano, che si conclude al faro di Puntasecca. Sampieri era un paesino di pescatori, ha una lunga spiaggia arrotondata, il 10 agosto ci vanno i ragazzi a migliaia, forse a vedere le stelle cadenti, la gente si lamenta della monnezza che lasciano. Ora la gente è corsa ad aiutare questi naufraghi in cento metri di mare: “sedicenti eritrei”, ha scritto qualche cronaca trafelata. Un carabiniere, il maresciallo Carmelo Floriddia, si è prodigato nel salvataggio. Era in servizio: “Avrei fatto lo stesso se fossi stato in borghese”, ha detto.
La gente ha visto gli scafisti frustare e bastonare i loro passeggeri perché si buttassero in acqua.
Ho riguardato il Caronte di Michelangelo, che percuote con il remo i dannati, scaraventati giù dalla barca, in balia di Minosse. Scena grandiosamente terribile, ma i poveri dannati avevano a che fare là con demonii mostruosi, brutali o grotteschi. Quando succedono davvero, le cose, e i dannati non sono dannati se non dalla sorte e dalla cospirazione di tanti loro simili, Caronte e aiutanti sono ridotti a piccoli infami, somiglianti a tutti gli altri. E nemmeno: “Siccome sono più forte di lui, l’ho fermato”, ha detto il maresciallo. Un momento dopo aver flagellato i propri trasportati erano già difficili da riconoscere, se non avessero avuto l’atteggiamento vile. Ripugnanti. Però nell’ordine della disgrazia, nell’ordine del giorno gli annegati sono gli ultimi, i superstiti i penultimi, e gli scafisti i terzultimi. C’è una lunghissima strada d’acqua e di deserti da fare a ritroso per arrivare ai terzi e ai secondi e ai primi. Il primo, in Eritrea, si chiama Isaias Afewerki, fu un valoroso combattente per l’indipendenza, poi ha preso il potere e instaurato un governo provvisorio: vent’anni dopo, è ancora là, provvisoriamente. Partito unico, neanche la finzione di elezioni. L’alibi è la guerra. Quella con l’Etiopia si concluse ufficialmente nel 2000, con 70-80 mila morti tra le due parti, in tre anni. In realtà non è mai finita. La sua Eritrea è una caserma-prigione. Il servizio militare obbligatorio per donne e uomini è in realtà un regime di lavori forzati a tempo indeterminato. Sotto i cinquant’anni è praticamente impossibile uscire legalmente dal paese. Chi protesta e cerca di evadere finisce ammazzato o torturato nelle galere segrete. Ci sono migliaia di prigionieri che non hanno mai avuto un processo. Chi riesce ad andare lontano – dopo aver attraversato il Sudan, e il deserto, e la Libia, e il mare; oppure il Sinai egiziano, e Israele; oppure Aden e la Turchia e la Grecia; oppure il Qatar, passando dal Nepal (!) – vive nel terrore d’esser rimandato indietro. E se da qualche parte arriva, la sua famiglia deve temere la rappresaglia. Nell’elenco dei cittadini eritrei inghiottiti dal nulla occupano uno spazio ingente i giornalisti. Reporter senza frontiere pensa che per la libertà delle comunicazioni l’Eritrea stia all’ultimo posto, sotto la Corea del Nord. In Libia c’erano, e ci sono ancora, migliaia di eritrei prigionieri. Nel Sinai c’è una vasta industria del sequestro nei loro confronti, a scopo di lucro: riscatto da estorcere ai parenti in Europa, magari smercio di organi. Le donne sono preziose ovunque, in patria e fuori, a scopo di stupro.
L’Italia ebbe colpe imperdonabili, in Abissinia. Il generale Rodolfo Graziani fu prodigo di iprite e di fosgene, e fu entusiasta della loro efficacia. Oggi l’Italia ha rapporti eccellenti col governo eritreo.



Ancora morte alla porte di casa. Dove sono sguardo e voce d'Europa?
Avvenire, 01-10-2013
Marina Corradi
Tredici corpi inerti sulla spiaggia, sotto ai teli bianchi. E, arenata a forse quindici metri da riva, una vecchia barca. Era così vicina, ieri mattina a Scicli, la salvezza, la terra tanto agognata. Ma quei tredici, non sapevano nuotare. Per costringerli a tuffarsi, gli scafisti li hanno presi a bastonate e a cinghiate. E allora giù, nel mare, annaspanti, terrorizzati, l’acqua che arrivava alla gola, e poi la riva per sempre lontana.
Sembra, ad ascoltarla, una tragedia di secoli remoti, di tempi bui di mercanti di schiavi che traghettavano merce umana nel Nuovo mondo. Invece è successo ieri notte, e in quei luoghi della costa ragusana che gli italiani vedono in tv, dietro alle storie del commissario Montalbano. Sulla stessa spiaggia di Sampieri, otto anni fa, morirono in venticinque. Da allora, nel Canale di Sicilia, quanti altri morti. Più che una tragedia annunciata, una tragedia cronica su quel tratto di mare che divide il Terzo Mondo dal Primo. Il mondo della fame e delle guerre dal nostro, in crisi, ma in cui comunque si vive.
E pare che allo stillicidio di naufragi la gente europea si sia abituata e rassegnata. Occorreva un uomo venuto da un altro Continente per farci ritrovare, di fronte a queste morti, sbalordimento e angoscia: lo sguardo del Papa su Lampedusa ha richiamato l’Europa al dramma che percorre il suo confine meridionale. E però accade ancora, accade ogni notte, che un vecchio legno stracarico tenti la sorte, verso l’Italia, verso l’Europa. Solo in questo 2013 secondo Migrantes sono morti in almeno 200 – che vuol dire uno al giorno.
E noi qui, davanti alla tv che mostra quei morti allineati – morti veri, non come quelli del commissario Montalbano – fatichiamo a capire come ci si possa imbarcare in un viaggio così, su quelle carrette sfasciate, con dei bambini, poi, o, molte donne, incinte. Noi non capiamo, ma chi arriva vivo dal Corno d’Africa, dal deserto, dai campi profughi in Libia, spiega che è meglio sfidare la morte che semplicemente aspettarla, là da dove si è partiti. Che, almeno, il mare concede qualche possibilità di salvezza, mentre il restare, no.
Allora, noi taciamo. Forse impotenti, davanti a un flusso migratorio da cui, senza magari ammetterlo, ci sentiamo minacciati. Oppure distratti dai nostri guai – un governo in bilico, un Paese pieno di guai, e l’Imu poi, e l’Iva, che aumenta.
Eppure tutti questi nostri problemi sembrano da poco, se solo ci sforziamo di immaginare il viaggio di quelle barche nel buio. Pigiati in duecento, fra il pianto dei bambini, sotto il sole a picco e poi nella notte scura, la bocca secca di sete, e il mare attorno, sconosciuto e immenso. Davvero inevitabili, queste sciagure? Le associazioni che assistono chi sbarca invocano corridoi umanitari nel Mediterraneo, perché almeno i profughi delle guerre possano arrivare vivi. «L’Europa dei popoli, se c’è, faccia sentire la sua voce», ha detto ieri accoratamente padre La Manna del Centro Astalli, dove profughi e migranti vengono accolti. Sembra, però, che l’Europa sia in altre faccende affaccendata. Oppure, nicchia: che effetto avrebbe proteggere i migranti, se non di aumentare il numero di quelli che premono alle nostre porte? E il flusso che sfida il Mediterraneo assume silenziosamente i connotati di una migrazione epocale, di una pressione inesorabile dal mondo della fame e della guerra al mondo in cui, comunque, si vive.
Anche questi ultimi tredici morti, sono il prezzo di un non voler vedere collettivo. L’Europa si stringe in sé, come una fortezza assediata, e guarda altrove. Ma la pressione non si ferma, come non si ferma, in natura, il flusso tra due vasi comunicanti e diversamente pieni. Perché, raccontò Hamed Godbari, uno dei 179 superstiti del naufragio del 2005 a Scicli, «Il mare in burrasca non mi ha fatto paura. Ho pagato tanti soldi per fare questa traversata, per lasciare il mio Paese e raggiungere l’Italia. Solo la morte, avrebbe potuto fermarmi».



Tragedie e parolai
Sull’immigrazione il buonismo genera mostri. Il caso referendum
Il Foglio, 1-10-2013
Almeno tredici persone sono morte ieri a pochi metri dalla spiaggia di Sampieri a Scicli, in provincia di Ragusa.
Assieme ad altri 200 immigrati di diverse nazionalità, tentavano di raggiungere in maniera illegale le coste italiane. Una
tragedia che però non nasce dal nulla.
Da mesi infatti si sono intensificati gli sbarchi di clandestini sulle coste del paese. L’Italia, d’altronde, è da tempo in
balìa di una non-politica dell’immigrazione.
Archiviata senza pronunciamento parlamentare la pratica dei “respingimenti” introdotta dal governo Berlusconi, la stessa usata per esempio dall’Australia (il paese Ocse con più immigrati legali), nessuno ha pensato di dibattere pubblicamente su come si dovesse gestire il fenomeno in altro modo. Tuttavia il limbo attuale sulla gestione dei flussi di immigrati è uno dei fattori che incentiva
i tentativi disperati di migliaia di persone e gli affari criminali di centinaia di scafisti, con annessi rischi. Tutti gli studiosi
seri del fenomeno migratorio, non quelli che alzano il ditino solo in ottemperanza ad astratti princìpi umanitari, riconoscono il peso dei fattori “push”, cioè di spinta dal paese di origine (vedi le crisi mediorientali), ma anche di quelli “pull” che riguardano la mèta della migrazione.
Incluse le politiche di gestione degli arrivi illegali, più o meno restrittive. Così, se dal 1° agosto 2011 al 31 luglio 2012 c’erano stati 17.365 sbarchi irregolari, dal 1°agosto 2012 al 10 agosto 2013 siamo saliti a quota 24.277. Con il balzo dell’ultimo mese e mezzo, sono 30.086 gli immigrati sbarcati da gennaio al 30 settembre 2013. D’altronde le prediche buoniste non costano nulla a chi le fa, mentre un dibattito pubblico sarebbe più difficile da sostenere, anche per i fautori dell’accoglienza senza limiti. Lo dimostra la sorte dei referendum radicali sulla legge Bossi-Fini, per i quali ieri non sono state raggiunte le 500 mila firme necessarie
per il voto. I Radicali invece hanno raccolto firme a sufficienza sui benemeriti quesiti pro riforma della giustizia, grazie
alla “pubblicità” garantita dalla firma di Silvio Berlusconi. Il Cav. i referendum li ha sottoscritti tutti, pur non condividendo
quelli che avrebbero modificato in senso espansivo la Bossi-Fini. Sarebbe stato utile che dai vertici del Pd e della Cgil, così come da parte di personalità pur “interventiste” nel dibattito pubblico quali il presidente Laura Boldrini e il ministro Cecile Kyenge, ci fosse stata la stessa voglia di confrontarsi e poi magari di far votare i cittadini. Meglio una qualche strategia che un limbo buonista soltanto a parole.



«Le rotte cambiano in fretta e crescono i rischi. I punti d'attracco sono scelti dai basisti locali»
Avvenire, 01-10-2013
Nello Scavo
La situazione si è aggravata di molto a causa della crisi siriana, che sta spingendo decine di migliaia di persone a fuggire attraverso l’Europa. A tutto beneficio dei trafficanti di uomini che possono contare, ed è più di una ipotesi, su basisti che indicano le zone in cui sbarcare». Francesco Paolo Giordano è da poco il nuovo procuratore capo di Siracusa. L’esperienza da pm antimafia sia in Sicilia che presso la procura nazionale gli sta tornando utile proprio nelle investigazioni sul traffico di esseri umani.
La situazione che si trova ad affrontare è tra le più serie degli ultimi anni. Fino ad oggi circa 28.000 persone sono sbarcate sulle coste italiane dopo aver attraversato il Mar Mediterraneo. Oltre cento i migranti e richiedenti asilo che hanno trovato la morte in mare dall’inizio di quest’anno.
Cosa può fare la magistratura?
Stiamo svolgendo un lavoro di monitoraggio e analisi. E posso dire che la situazione è peggiorata di molto. Le forze di polizia e quanti si occupano dei soccorsi e dell’assistenza lavorano allo spasimo, ma se si dovesse andare avanti così ancora per molto tempo ci sarà bisogno di nuove risorse.
In che direzione vanno le vostre indagini?
Sul piano investigativo è decisiva la continua collaborazione con la procura distrettuale antimafia di Catania, a cui competono i reati di criminalità organizzata ogni qualvolta acquisiamo elementi in quella direzione. Mentre tocca noi procedere per i reati, come quello di favoreggiamento dell’ingresso di irregolari, slegati da un contesto criminale. E questa sinergia sta dando i suoi frutti.
E cosa sta emergendo?
Non ci sono ancora molte certezze, ma si intuisce che queste organizzazioni criminali transnazionali non solo esistono, ma continuano a prosperare. Non si spiegherebbe altrimenti la presenza delle cosiddette "navi madre" da cui i migranti vengono poi trasbordati su più piccole e insicure imbarcazioni da cui poi raggiungere la costa. È evidente che un sistema siffatto necessiti di una organizzazione che non si improvvisa da un giorno all’altro.
Quali altri elementi la insospettiscono?
La scelta dei luoghi nei quali fare sbarcare i migranti ritengo sia sintomatica di questa capacità organizzativa. E vuol dire che ci sono basisti locali che si incaricano di scegliere i punti di attracco, nella speranza di eludere i controlli. Insomma, le organizzazioni internazionali vanno in cerca di nuovi fronti e noi ci stiamo attrezzando al meglio per controllare il territorio.
È preoccupato da questo continuo cambio di rotte?
Si, perché aumentano i rischi per le persone. Ciò che stiamo facendo è di aumentare il controllo del territorio che, grazie al lavoro di coordinamento tra tutte le forze di polizia, di fatto impedisce che si possa sbarcare indisturbati in Sicilia.
La normativa vi sembra adeguata ai mutati scenari circa la provenienza degli immigrati irregolari?
Tutto sommato l’Italia, per quanto riguarda gli aspetti che riguardano il nostro lavoro in termini di prevenzione e investigazione, si è dotata di norme che peraltro devono armonizzarsi con le direttive europee. Ma si tratta pur sempre di norme che rispecchiano scelte politiche su cui non tocca a noi intervenire.
Quanto conta la cooperazione con i paesi di provenienza?
È un’arma decisiva per affrontare queste emergenze. A quanto mi risulta le autorità italiane stanno svolgendo un lavoro intenso in questa direzioni, ma resta il fatto che molti di questi Paesi attraversano situazioni di crisi e instabilità che certo non facilitano questo genere di collaborazione.



Alba Dorata. "Decine di azioni criminali contro gli immigrati"
“Bastonavamo ogni pakistano che incontravamo”. Le testimonianze degli ex militanti nel rapporto della Corte Suprema. “Struttura gerarchica, capo onnipotente come Hitler”
Stranieriinitalia, 01-10-2013
Roma – 30 settembre 2013 – Ci sono “decine di azioni criminali” nel curriculum del partito di estrema destra greco Alba Dorata. Tra queste, due omicidi, tre tentati omicidi e  numerosi attacchi contro gli immigrati.
A rivelarlo è un rapporto del viceprocuratore della Corte Suprema, Charalambos Vourliotis, pubblicato oggi, nell’ambito delle indagini sull’omicidio del rapper antifascista Pavlos Fyssas avvenuto il 17 settembre scorso per mano di un militante del partito.
Sono già sedici le persone arrestate, compreso il leader Nikos Michaloliakos, fondatore e leader storico del partito e altri cinque deputati. Alba Dorata è apparsa decisamente più organizzata e ramificata di quanto si pensasse, con moltissimi simpatizzanti anche tra le forze dell’ordine, tanto da far temere addirittura un golpe.
Secondo gli inquirenti, Alba Dorata ha iniziato “i suoi attacchi nel 1987, inizialmente contro gli immigrati, quindi anche contro i greci”.
Due ex membri del partito hanno parlato di  “milizie d’assalto” appositamente costituite all’interno del movimento che si dedicavano soprattutto alla caccia allo straniero. “Ho partecipato a molte azioni alle quali hanno preso parte cinquanta o sessanta moto, ognuna delle quali aveva due persone a bordo, Quella che stava dietro teneva un bastone con la bandiera greca e colpiva tutti i pakistani che incontrava” ha rivelato uno di loro.
I testimoni, che ora vivono sotto protezione, hanno raccontato di un’azione armata contro due immigrati pakistani. Uno riuscì a fuggire, l’altro fu catturato, picchiato, preso a calci in testa. “Dicevano ‘tiriamo una punizione’, oppure ‘forse è morto’. C’erano stiletti, manganelli e coltelli nei locali del partito”.
Il rapporto delinea una struttura fortemente gerarchizzata, il cui vertice è “onnipotente secondo il principio di Hitler, il cosiddetto Führerprinzip”. Ci sono cellule di cinque persone ciascuna, con un responsabile che riferisce ai superiori. I membri seguono corsi di storia nei quali si negano i crimini del nazismo, ma soprattutto godono un addestramento di tipo militare.
Evangelis Venizèlòs, vicepremier e ministro degli Esteri, ha annunciato che il governo presenterà un progetto di legge per inasprire la lotta al razzismo. All’ordine del giorno c’è anche uno stop ai finanziamenti pubblici per Alba Dorata: “La democrazia – ha spiegato il capo della diplomazia greca – non deve finanziare i suoi avversari”.



A Torino torna “Crocevia di sguardi”, la rassegna cinematografica per capire le migrazioni.
Il confronto generazionale delle prime e delle seconde generazioni è il tema che verrà approfondito nella nona edizione della rassegna.
Immigrazioneoggi, 01-10-2013
Ritorna a Torino Crocevia di sguardi, per offrire documentari e approfondimenti per capire le migrazioni. Organizzata dal Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione (Fieri) in collaborazione con varie realtà torinesi, la nona edizione a cura di Pietro Cingolani e Francesco Giai Via si focalizza sul confronto intergenerazionale che caratterizza le migrazioni.
Si esploreranno i punti di contatto e le differenze tra i pionieri dell’immigrazione e i loro figli, toccando temi fondamentali come la cittadinanza e la tutela dei diritti dei minori. Un focus particolare, con un workshop e due serate di proiezioni, sarà dedicato al regista Claudio Giovannesi, che nella sua opera esplora i sogni e i conflitti identitari dei giovani stranieri. Verrà presentato in anteprima il web-documentario collettivo La partita, realizzato da un gruppo di giovani cineasti torinesi. Tutto questo non solo nella tradizionale sede del cineteatro Baretti, ma anche nelle Case del Quartiere, all’interno dei territori a più alta immigrazione della città.
L’inaugurazione si terrà giovedì 3 ottobre alle ore 21.00 al Cine Teatro Baretti (Via Baretti, 4), sul tema I bambini ci interrogano con la proiezione del documentario Nowhere Home di Margreth Olin.
La rassegna proseguirà fino al 14 novembre.

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