Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 marzo 2015

“Ho visto i miei compagni annegare”. I racconti choc dei migranti bambini
Sono sempre di più i minori che sbarcano a Lampedusa dopo mesi di viaggio. Ali e Ismail: “Tenuti prigionieri e picchiati, le donne venivano stuprate”
“Tenuti prigionieri e picchiati, le donne venivano stuprate”
La Stampa, 10-03-2015
Flavia Amabile
«Chiamatemi Ali» dice a chi gli chiede il nome. Ha deciso di chiamarsi così un mese fa quando lui che pensava di aver già visto e vissuto tutto quello che si poteva vivere e vedere, si è dovuto ricredere. Ha solo sedici anni Ali ma sa benissimo che cosa siano la fame, la disperazione, la paura, il ghiaccio nelle ossa e il sole del deserto che brucia la pelle. Un mese fa ha imparato anche che cosa voglia dire veder annegare l’unico amico rimasto, ucciso dai trafficanti mentre tentavano di arrivare sulle coste italiane. Da quel momento si chiama Ali, come il giovane, suo coetaneo, spinto dai trafficanti in fondo al mare.  
Cresciuto in un campo  
«Sono somalo, ma ho vissuto con la mia famiglia nel campo profughi di Kakuma in Kenya», comincia il suo racconto Ali, che ora si trova nel campo di prima accoglienza di Lampedusa. Il suo è l’altro volto degli sbarchi, il più fragile, quello dei minori soli non accompagnati. Sono sempre più giovani, alcuni hanno solo 9 anni. E sono sempre di più, sono aumentati del 69%, avverte Save The Children che li assiste dopo lo sbarco e ha raccolto i loro racconti. Rappresentano uno su dieci dei 7882 migranti che hanno attraversato il Mediterraneo a gennaio e febbraio di quest’anno tra onde alte come palazzi che nessuno avrebbe affrontato nemmeno con un transatlantico, potendo scegliere.  
Ma nessuno di loro può scegliere, vengono costretti a salire su carrette che sarebbe estremamente scorretto definire imbarcazioni. Sono 240 i bambini arrivati in queste condizioni nei primi due mesi dell’anno insieme ad almeno un familiare e 521 quelli un po’ più grandi, che hanno affrontato da soli l’odissea. Sono soprattutto maschi originari di Paesi come il Gambia (135), la Somalia (129), l’Eritrea (117), o altri Paesi dell’Africa sub-sahariana e occidentale, ma anche Siria e Palestina.  
«Sono venuto dal Kenya - continua a raccontare Ali - e mi ci sono voluti due mesi per arrivare qui. Ho viaggiato dall’Uganda al Sudan e dal Sud Sudan poi in Libia. Ho deciso di lasciare il Kenya perché se non lo avessi fatto non avrei avuto un futuro. Non c’era scelta per me. Mia madre vuole che io torni a casa, ma non hanno una vita lì, la gente sta morendo. Non voglio tornare indietro». È arrivato in Libia e lui che fuggiva da un inferno ha capito presto che il paradiso era ancora molto lontano. «I trafficanti mi hanno imprigionato per un mese. Mi hanno picchiato, hanno sparato in aria con una pistola per spaventarci. Mi hanno detto che se non avessi dato loro il denaro mi avrebbero sparato. Mi hanno picchiato con un bastone».  
Nella tempesta  
Alla fine il denaro è arrivato, 4mila dollari mandati dalla nonna ed è partita anche la barca, un gommone. Ma non è riuscito a prendere il mare con quelle onde. «Siamo tornati indietro e saliti su un’imbarcazione di legno. Eravamo in 400 a bordo», ricorda Ali. Quasi tutti stavano male per la tempesta: «I trafficanti hanno spinto otto nigeriani in mare. E hanno spinto anche il mio amico. Sono annegati tutti». Ali è stato fra i pochi a salvarsi, è arrivato in Italia ma non vede l’ora di andare via. «Vorrei andare in Svizzera e studiare, mi piacerebbe lavorare per l’Onu a Ginevra».  
Abusi sulle donne  
Qualche giorno dopo a Lampedusa è sbarcato Ismail anche lui somalo, 16 anni. Nel suo lungo viaggio ha imparato a non farsi ingannare dai trafficanti di persone e a reagire mentre stupravano le donne davanti ai suoi occhi. «Una era incinta di sette mesi», racconta. «Abbiamo provato a difenderla ma ci hanno minacciato con le armi. Quando la donna è tornata da noi dopo la violenza voleva uccidersi ma siamo riusciti a calmarla». Arrivati in Libia, la polizia li ha accolti con un «Benvenuti all’inferno» e un ricatto: 300 dollari in cambio di una libertà che non ha mai visto. Ismail è stato ceduto ai trafficanti, portato a Tripoli e infine a una base vicino al mare. È partito da qui il 14 febbraio. Per fortuna il mare era calmo ma la barca così malmessa che si è fermata dopo 12 ore di navigazione. Un peschereccio tunisino li ha raccolti e portati alla Guardia Costiera Italiana.  
Il suo sogno? «Rimanere in Italia, giocare a calcio e diventare un grande difensore come Zambrotta». Ai miei amici rimasti in Somalia però dico di non venire. «È troppo pericoloso, soprattutto per le donne. Uno su due non ce la fa».



Migranti, la proposta italiana: tre centri di raccolta in Africa
Il piano sarà sottoposto alla Ue: campi per i rifugiati in Niger, Sudan, Tunisia
Corriere della sera, 10-03-2015
Fiorenza Sarzanini
ROMA Oltre 9.000 persone approdate sulle coste meridionali in poco più di due mesi, quasi il doppio dello scorso anno. Ben 68 sbarchi dal 1° gennaio al 9 marzo, una media di uno al giorno. Alla riunione dei ministri dell’Interno europei prevista per domani a Bruxelles, l’Italia arriva con numeri che evidenziano la situazione di emergenza. Pronta a chiedere soldi e mezzi per regolare in Africa il flusso dei profughi in fuga dalla Libia aprendo centri di prima accoglienza gestiti da organizzazioni internazionali.
L’ipotesi del blocco navale per fermare le partenze e respingere i migranti non appare, almeno al momento, percorribile. E dunque si devono cercare soluzioni alternative, soprattutto tenendo conto che la crisi libica appare tutt’altro che risolta.
I dati della Direzione centrale dell’immigrazione parlano di 9.117 stranieri giunti fino a ieri mattina, mentre nello stesso periodo dello scorso anno — che alla fine è stato segnato dal record di ben 170.100 persone arrivate — erano soltanto 5.611. Di questi, soltanto 434 provengono dalla Turchia, 99 dalla Grecia, 97 dalla Tunisia e il resto dalla Libia. I tecnici insistono nel ritenere indispensabile andare avanti con Triton, potenziando il dispositivo in mare, ma appare ormai evidente che di fronte a quanto sta accadendo in Libia l’operazione predisposta da Frontex non sia sufficiente. Per questo il ministro dell’Interno Angelino Alfano solleciterà i colleghi europei ad avviare un programma di assistenza direttamente negli Stati di partenza o comunque in quei Paesi disponibili alla cooperazione.
Lo schema studiato in queste ore in accordo con l’Alto commissariato per i rifugiati e con l’Oim, l’Organizzazione di assistenza ai migranti che proprio in Africa e in particolare in Libia vanta un’esperienza decennale, prevede l’apertura di almeno tre punti di raccolta dei profughi in Niger, Sudan e in Tunisia. In questo modo chi è in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni potrebbe indicare il Paese che ha intenzione di raggiungere aprendo direttamente la procedura per il riconoscimento dell’asilo politico. Un modo per distribuire gli stranieri in tutta l’Unione Europea tentando anche di togliere agli scafisti almeno una parte degli introiti derivanti dal traffico di essere umani.
L’accordo appare tutt’altro che scontato, difficile che si riesca ad ottenere il via libera da tutti gli Stati membri. Ma è una strada che l’Italia appare comunque determinata a percorrere evidenziando i rischi derivanti da una mancata pianificazione degli interventi. Pur essendo lontanissimi dai numeri «sparati» qualche giorno fa dal direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, che aveva parlato di «un milione di persone pronte a partire dalla Libia», gli analisti sono concordi nel ritenere che nei prossimi mesi decine di migliaia di migranti potrebbero arrivare, addirittura molti di più del 2014. E questo metterebbe l’Italia e l’intera Ue in una situazione di grave affanno. Anche tenendo conto di quanto è già accaduto fino ad ora.
Il quadro di situazione fornito al ministro evidenzia come siano circa 80.000 le persone attualmente assistite dall’Italia. Stranieri in attesa di conoscere l’esito della procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato. Nei centri del Viminale i posti sono finiti. Molti sono ospitati nelle strutture messe a disposizione dagli enti locali, altri sono in alloggi di emergenza reperiti dallo staff del prefetto Mario Morcone. Ma la capienza è al limite e anche su questo tasto l’Italia batterà per ottenere cooperazione da Bruxelles.



Da Mare Nostrum al blocco navale, la schizofrenia che dimentica gli esseri umani
L'Huffington Post, 10-03-2015
Francesco Rocca Diventa fan
Presidente Croce Rossa Italiana
Mi piacerebbe capire come si può giustificare il passaggio schizofrenico da un'operazione umanitaria come Mare Nostrum all'ipotesi molto concreta e lontana dal rispetto dell'essere umano, espressa dall'inviato Onu Bernardino Leon, del blocco navale in Libia.
Come si possono salvare 170 mila vite umane in tutto il 2014 e arrendersi, appena due mesi dopo, all'idea che il blocco navale sia l'unica soluzione. Un'opzione peraltro che va contro alla stessa Dichiarazione Universale dei diritti umani del '48 in cui è previsto per ogni individuo il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona.
E allora sono io lo sciocco a pensare ancora che le Nazioni Unite siano deputate alla difesa dei diritti dell'uomo. Le stesse Nazioni Unite che, peraltro, nel 2009 condannarono l'Italia per i respingimenti dei migranti provenienti dalla Libia.
Qualcuno mi spieghi che differenza c'è, a livello sostanziale, tra quella politica così contrastata dall'Onu perché considerata lesiva dei diritti umani e quella di oggi più che paventata dall'inviato Leon. Qualcuno mi spieghi perché in nome di una minaccia alla sicurezza nazionale e di tutta l'Europa debbano rimetterci sempre gli stessi. Gli ultimi, scudi umani in questo folle balletto di posizioni politiche su cui nessuno ha avuto il coraggio di prendere l'unica posizione che tuteli la vita umana, i corridoi umanitari.
La fortezza Europa non è idonea a salvare vite e c'è una chiara responsabilità politica perché se è vero che da un lato c'è un problema libico, dall'altro c'è il tema di chi si trova in mezzo al mare e non può essere abbandonato a se stesso. Va ricordato, perché spesso la memoria in questi casi sembra labile, che si tratta di persone che scappano dalla guerra. Non possiamo pensare alla Nigeria, condannare la violenza di Boko Haram e dimenticarci poi delle vittime.
Quando è caduto il regime di Gheddafi, l'Ue non è corsa in Libia e dal nuovo governo instauratosi per far firmare le convenzioni internazionali sui richiedenti asilo, ma c'è stata una vera e propria corsa all'oro per accaparrarsi i contratti sull'energia, sul petrolio e sul gas. Nessuno ha pensato al tema dei diritti umani e a come creare un canale umanitario. Il messaggio dato dall'Europa è rimasto legato a interessi economici.



Lo sfruttamento dei lavoratori immigrati in Sicilia in un docufilm prodotto dalla Cgil
L'Huffington Post, 10-03-2015
Luigi Pandolfi Diventa fan
Giornalista e politologo
La piaga del lavoro nero, quella dello sfruttamento del lavoro minorile, storie di violenze e di abusi. Parliamo della realtà del lavoro nei campi in alcune aree della Sicilia. Una realtà che oggi esce dall'oscurità grazie ad un docufilm, Terra nera, prodotto dalla Cgil e dalla Flai Cgil di Catania, che verrà presentato al Teatro Sangiorgi del capoluogo etneo il prossimo 12 marzo. Gli autori sono Massimo Malerba, sindacalista della Cgil, ed il regista Riccardo Napoli, già protagonisti di altri documenti filmati che raccontano le nuove frontiere dello sfruttamento del lavoro nel nostro paese.
L'ambiente è quello delle campagne del catanese, gli attori i nuovi dannati della terra, immigrati di varia nazionalità, anche minorenni, che - come spiega Massimo Malerba - "fanno 12 ore al giorno per paghe che vanno dai 20 ai 30 euro totali, da cui si deve sottrarre la percentuale da destinare ai caporali".
Per alcuni giorni, ogni mattina, i due autori hanno filmato ciò che accede nelle piazzole di raccolta degli immigrati, documentando situazioni che non esitano a definire "disperanti". L'altra faccia della "questione immigrazione", che fa a pugni con le odierne campagne populiste e xenofobe contro gli stranieri "invasori", "usurpatori"del lavoro degli italiani.
Ancora Malerba: "Abbiamo scoperto una realtà allucinante, fatta di sfruttamento estremo, di paghe da fame, di ricatti e di abusi; un viaggio disperante tra intere famiglie, compresi bimbi di 8/9 anni, caricati su fatiscenti pulmini destinati all'inferno delle campagne senza regole, di migranti magrebini che dormono in capanne di cartone, di lavoratrici rumene abusate dai 'padroni'".
Cosa aggiungere? Certamente che si tratta di un'iniziativa coraggiosa, che chiama in causa la nostra indifferenza verso forme devastanti di annichilimento della dignità umana, di nuovo schiavismo. Un contributo alla comprensione della piega che nel nostro paese ha preso il fenomeno dello sfruttamento della manodopera dei lavoratori immigrati, in agricoltura e non solo.
Le campagne securitarie di questi anni hanno favorito il dilagare di questa piaga; hanno posto centinaia di migliaia di lavoratori in una condizione di degradante ricattabilità. Stando ai risvolti pratici delle stesse, viene da chiedersi: è proprio questo il loro obiettivo?



«I bandi per le supplenze a scuola vanno aperti anche agli stranieri»
Il Tribunale di Milano: discriminatorio il requisito della cittadinanza italiana o comunitaria per entrare nelle graduatorie d’istituto
Corriere della sera, 10-03-2015
Alessandra Coppola
Aperto solo ai cittadini italiani o comunitari, il bando del ministero dell’Istruzione (DM 353/2014) per la formazione di graduatorie per le supplenze è «discriminatorio». Avvocati e sindacalisti se ne sono accorti da tempo, l’ha stabilito adesso anche il Tribunale di Milano, sezione lavoro: il Miur deve riaprire i termini e ammettere gli stranieri. Tutto da rifare, dunque, per le graduatorie d’istituto in cui sono iscritti 500 mila insegnanti.
Comuni, banche, ospedali: gli altri casi di discriminazione
E’ un capitolo di una vicenda che in Italia si ripete spesso, monitorata tra gli altri dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Lo stabiliscono con chiarezza leggi nazionali e comunitarie: possono partecipare ai bandi pubblici (e quindi essere assunti dalla Pubblica amministrazione) i rifugiati, per esempio, i titolari di protezione internazionale, gli stranieri con la cosiddetta «carta blu» (che si rilascia lavoratori non Ue altamente qualificati) o con un permesso di soggiorno a lungo termine. Ma le gare sono fatte in uffici sovraccarichi (e forse disattenti), spesso tagliando e incollando vecchie diciture superate dalle nuove norme. Dal Comune di Trieste alla Banca d’Italia, dall’Ospedale Niguarda all’Anas che per l’ultima nevicata cercava spalatori purché fossero «italiani», l’elenco dei bandi sbagliati (e in alcuni casi già corretti, l’Asl di Milano per esempio) messo insieme dall’Asgi è impressionante. E per intervenire su ogni punto della lista sono spesso necessari un ricorso e una sentenza, che riapra anche i termini. Un evidente dispendio di energie e di risorse. Inutili, a quanto pare, le ripetute segnalazioni al Dipartimento della funzione pubblica e all’Ufficio Nazionale contro le Discriminazioni (Unar).
La prof albanese che ha fatto ricorso
Il caso del bando del Miur è stato sollevato da un’insegnante di origine ucraina residente ad Ascoli Piceno, la signora I. Clamorosa, in particolare (e infatti dichiarata «illegittima» dal Tribunale), la presenza nel testo della clausola che prevedeva («inspiegabilmente», sottolinea il giudice) la precedenza degli italiani nelle graduatorie per le supplenze di conversazione in lingua straniera, le uniche alle quali gli stranieri erano ammessi, se pure in posizione subordinata. In un comunicato, «le associazioni e le Organizzazioni Sindacali ricorrenti (ASGI, APN e CUB SUR Scuola Università Ricerca) confidano che con questa vicenda (nella quale il MIUR era già incorso per un bando per il personale non docente, poi modificato senza necessità dell’intervento del giudice) si possa definitivamente chiudere la faticosa fase di non applicazione delle norme in tema di accesso degli stranieri al pubblico impiego che hanno rappresentato un significativo passo (finora rimasto poco attuato) per l’adeguamento della nostra legislazione all’ordinamento comunitario».


 
Cittadinanza. Domande online dal 18 maggio, ma in qualche provincia si parte prima
Debutta il nuovo canale informatico, dal 18 giugno diventerà l'unico disponibile. Basta attese per gli appuntamenti in prefettura
stranierinitalia.it, 10-03-2015
Roma – 9 marzo 2015 – Chi vuole diventare italiano, tra poco farà tutto via internet.
Quando lo scorso settembre il ministro dell’Interno Angelino Alfano era stato chiamato in Parlamento a giustificare la lentezza delle pratiche di cittadinanza, aveva promesso una piccola svolta. “Aumenteremo il personale che esamina le domande e informatizzeremo ulteriormente la procedura” aveva assicurato.
Non è dato sapere se e quanti impiegati del Viminale, dopo l’annuncio di Alfano, siano stati effettivamente destinati a questo nuovo compito, ma sul fronte dell’innovazione qualcosa di muove. Tra poco più di due mesi debutterà infatti un nuovo canale per l’invio telematico delle domande di cittadinanza.
Ad oggi le domande si presentano a mano o per raccomandata. Dal 18 maggio sarà invece possibile spedirle attraverso il sito del ministero dell’Interno. Come già succede per altre procedure, bisognerà registrarsi, dopodiché con nome utente e password si accederà al modulo da compilare e spedire online via internet.
Al modulo andranno allegati, sempre in formato elettronico, un documento di riconoscimento, i documenti rilasciati dalle autorità del Paese di origine (atto di nascita e certificato penale) e la ricevuta del versamento di 200 euro previsto per chi chiede di diventare italiano. Dopo la presentazione della domanda sarà possibile, come già avviene ora, seguirne online l’iter.
Il nuovo sistema dovrebbe consentire di ovviare almeno a uno dei problemi della procedura attuale. Le prefetture ricevono infatti gli aspiranti italiani su appuntamento, però essendo a corto di uomini e mezzi hanno le agende quasi sempre piene e così, di fatto, anche chi ha tutti i requisiti e i documenti pronti deve aspettare mesi prima di poter presentare la domanda.
Per un mese, il nuovo canale di presentazione online delle domande coesisterà con i canali tradizionali. A partire dal 18 giugno, però, diventerà l’unico canale utilizzabile. Non dovrebbe essere complicato, ma comunque rimane la possibilità di rivolgersi a un patronato per farsi aiutare nella compilazione.
In qualche provincia, come Stranieriinitalia.it aveva già segnalato, il nuovo sistema debutterà prima. Ad Alessandria, Aquila, Cuneo, Firenze, Mantova, Modena e Novara, ad esempio, si accetteranno domande di cittadinanza online dal primo aprile e  dal primo maggio, dopo un mese di rodaggio, internet rimarrà l’unico canale disponibile.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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