Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

01 luglio 2014

`Tentavano di uscire, gli hanno chiuso la botola in faccia" 
la Repubblica, 01-07-14
ALESSANDRA ZINITI FRANCESCO VIVIANO
POZZALLO. C`è una foto che racconta l`orrore della morte nella stiva di quel barcone carico come mai nessuno ne aveva mai visti. Corpi 
ammassati gli uni sugli altri, alcuni mezzi nudi, altri vestiti, un groviglio di braccia e di gambe spasmodicamente tese verso quell`unica 
via di salvezza che altri compagni di viaggio, dall`alto, gli hanno ferocemente negato condannandoli ad una morte atroce, quasi certamente per asfissia ed esalazioni tossiche che provenivano dal motore. 
Tutti uomini giovani, poco più che ragazzi, tutti "neri neri" per distinguerli dai "neri" che, in una disperata lotta per la sopravvivenza, 
li hanno ricacciati giù chiudendogli sul capo la botola che portava fuori, all`aria, per evitare che movimenti pericolosi potessero 
far rovesciare quel peschereccio che già beccheggiava paurosamente, con la gente che viaggiava quasi fuori bordo, a pelo d`acqua, tenendosi forte ai corrimani, con i genitori che stringevano a sé i tantissimi bambini a bordo, alcuni neonati di pochi mesi. «Sembrava una fosse comune di Auschwitz, credo che sia un`immagine che racconta tutto», dice il dirigente della squadra mobile di Ragusa Nino Ciavola mentre, 
sul molo di Pozzallo, con i suoi uomini raccoglie le prime testimonianze dei superstiti e cerca di individuare gli scafisti che, come 
sempre, tentano di mimetizzarsi tra i profughi magari prendendo in braccio un bimbo altrui per fingersi il padre in fuga con il figlio. 
«Gridavano, chiedevano aiuto, imploravano di farli uscire fuori, di fagli respirare un po` d`aria, cercavano di arrampicarsi gli uni 
sugli altri per uscire da quel buco dove li avevano stipati come animali da macello. Ma la barca cominciava a muoversi troppo, altri 
che erano sopra sul ponte, hanno avuto paura e allora gli hanno richiuso la botola in faccia e si sono seduti sopra», racconta in lacrime 
uno dei superstiti, un giovane siriano in viaggio con la moglie e due bambine piccole. 
In tanti a bordo non si sono resi conto di quello che succedeva, in tanti non sapevano neanche al momento dello sbarco che c`erano 
almeno una trentina di morti, ma c`è anche chi ha visto e racconta una terribile guerra tra poveri, che "puzza" di razzismo persino 
tra gente con la pelle dello stesso colore, solo con una sfumatura più chiara, tra "poveri" e "morti di fame". Perché quelli che gli scafisti hanno piazzato in quel pavone di prua, accanto al vano motore, senza neanche una scaletta per salire su, sono quelli che non avevano i soldi per pagarsi "un posto al sole", né un tozzo di pane, né acqua. A bordo era già scoppiata una rissa, alcuni africani avevano insidiato donne siriane, si erano presi a colpi di cintura, poi un siriano è stato gettato in acqua e fortunosamente recuperato dai suoi amici. 
«I morti sono tutti "neri-neri" e ad ucciderli sono stati altri neri racconta Ebrima Singhetedi, 20 anni, del Gambia, un "nero-nero" sopravvissuto alla mattanza - Io ero fuori, vicino a quella botola che immetteva nella stiva. Quando siamo partiti dalla Libia, alcuni giorni fa, era rimasta per qualche tempo aperta. Poi, quando il mare ha cominciato ad agitarsi ed il peschereccio ondeggiava di qua e di la, quelli di sotto si sono spaventati ehanno provato ad uscire. Avevano paura che la nave si rovesciasse, la barca navigava lentamente perché era stracarica, c`era gente dappertutto, sopra, sotto, ai bordi del peschereccio e nessuno di noi aveva un salvagente. E quando quelli là sotto hanno cominciato ad agitarsi per tentare di uscire dalla stiva la nave ondeggiava ancora di più. È stato allora che quelli di sopra gli hanno chiuso la botola in faccia. Loro gridavano e gli altri sopra tenevano chiuso il coperchio. Abbiamo sentito le loro urla per ore, ma non potevamo fare nulla, avevamo paura di essere buttati in mare. Poi, poco prima che si avvicinasse un altro peschereccio e le navi della Marina Italiana, i lamenti sono cessati. Ho capito che erano tutti morti. Tra loro c`era anche un mio cugino ed altri amici del mio villaggio». 
Quanti siano con esattezza i morti si saprà solo oggi pomeriggio quando il peschereccio trainato dalla nave Grecale entrerà nel porto di Pozzallo. I medici della Marina che si sono affacciati dalla botola hanno stimato sommariamente una trentina di cadaveri, sembra tutti di uomini. I trenta "neri-neri" morti, secondo il racconto di Ebrima Singhetedi, sarebbero tUTti originari del Gambia come lui, mentre quelli che li avrebbero fatti morire sarebbero senegalesi come uno dei presunti scafisti che in serata è stata individuato e fermato dagli uomini della squadra mobile di Ragusa. «A noi, che avevamo pagato di meno il viaggio, ci hanno dato i posti peggiori ed i più sfortunati sono stati proprio quelli che sono saliti per primi e sono stati infilati dentro quella stiva del peschereccio che ora dopo ora si riempiva sempre di più. Qualcuno non voleva andare ma c`era "il capitano" ed altri suoi uomini che li spingevano a forza dentro quel pozzo. Io ed altri miei connazionali siamo stati più fortunati perché cí hanno sistemati in un`altra parte del barcone però all`aria». 
Ad assistere impotenti a quel massacro decine e decine di siriani, tutti con mogli e figli, molti ancora piccolissimi. «Si sono ammazzati tra di loro - dice uno di loro - tutto è accaduto dopo un giorno di navigazione, qualcuno ogni tanto gli tirava giù qualche bottiglia d`acqua, poi improvvisamente è scoppiato il finimondo». 
 
 
 
La risposta si chiama «ammissione umanitaria»
Anticipare nei Paesi della costa settentrionale dell’Africa il momento ?e la procedura di richiesta della protezione. Ma tutto ciò va progettato subito
l'Unità, 01-07-14 
Luigi Manconi
Ma è possibile fermare questa strage? C’è un metodo o un’idea, uno strumento o una strategia - qualora ce ne sia la volontà - che non consista nell’affidarsi al buon Dio o a un destino diventato improvvisamente propizio? Nel corso dell’ultimo quarto di secolo, il mare Mediterraneo è diventato una tomba d’acqua o, se si preferisce, un cimitero marino che accoglie ogni giorno i suoi morti.
Sono state, innanzitutto, le cifre crudeli di questa macabra contabilità, che ci hanno indotti a elaborare una proposta di «ammissione umanitaria». Un piano, formulato nei mesi scorsi, all’indomani del naufragio del 3 ottobre a largo di Lampedusa. Oggi quel piano, già sottoposto ai rappresentanti del governo, alle più alte cariche istituzionali e alle principali organizzazioni internazionali, e che ha raccolto consensi e osservazioni, appare più che mai indifferibile. In estrema sintesi, si tratta di anticipare geograficamente, territorialmente, diplomaticamente, giuridicamente, nei Paesi della Costa settentrionale dell’Africa, il momento e la procedura di richiesta della protezione. E si deve cominciare a progettare tutto ciò da subito.
Altri trenta corpi si sono aggiunti al tragico computo dei morti nel canale di Sicilia, nonostante gli sforzi della nostra marina militare a cui dobbiamo la vita di oltre sessantamila migranti tratti in salvo grazie all’operazione «Mare Nostrum ». Un movimento inarrestabile, carico di dolore, che non cesserà con le misure che l’Ue ha adottato finora né con quanto la task force «Mediterraneo» si appresta a fare in materia di frontiere e di cooperazione giudiziaria e di polizia.
Occorre ampliare il raggio di intervento a livello europeo, alzare lo sguardo e realisticamente percorrere una strada comune che veda l’Europa protagonista di una politica d'asilo efficace, in grado di farsi carico di uomini, donne e bambini, in fuga da guerre e persecuzioni, offrendo loro un’opportunità di vita futura. Una soluzione duratura nell’ambito della gestione delle migrazioni e della politica di protezione dell’Unione europea nei confronti dei rifugiati.
Al centro di questa azione umanitaria, la necessità di garantire asilo e protezione dando ai profughi la possibilità di chiedere soccorso senza dover rischiare la vita attraversando il Mediterraneo. E senza l’intermediazione dei trafficanti di esseri umani. Un programma di reinsediamento nei paesi europei che garantisca viaggi legali e sicuri per poterli raggiungere, con il coinvolgimento di tutti gli Stati membri, stabilendo quote di accoglienza per ciascuno stato.
Si tratta, dunque, di istituire centri e strutture nei paesi della sponda sud del Mediterraneo (Giordania, Libano, Tunisia, Egitto, Algeria, Marocco), da cui partono o dove transitano o si addensano i movimenti migratori verso l’Europa. Il primo passo è la realizzazione di presidi internazionali in quei paesi per l’avvio della procedura di concessione di protezione, presidi da istituire sulla scorta di quelli delle organizzazioni umanitarie internazionali che accolgono i profughi lì presenti. I presidi andrebbero realizzati dalla stessa Ue, d’intesa con le organizzazioni umanitarie internazionali, attraverso ambasciate e consolati dei singoli stati o la rete del Servizio europeo per l’azione esterna. Le necessarie intese con i Paesi interessati potrebbero rientrare nella cooperazione Ue sul modello dei partenariati per la mobilità, già conclusi con Marocco e Tunisia.
Questa proposta vuole essere una traccia, delineata guardando ad esperienze già esistenti - si pensi alla Germania che ha aderito a un programma di resettlement (re-insediamento) dell’Unhcr accogliendo migliaia di siriani - e la sua articolazione può essere differente ricorrendo a strumenti giuridici e procedure di altra natura. E proprio perché è forte la consapevolezza delle difficoltà di rendere concreto un piano europeo di ammissione umanitaria. Ma è una traccia che va assolutamente segnata e ulteriormente definita.
Le statistiche pubblicate da Eurostat nei giorni scorsi riguardanti i rifugiati accolti in re-insediamenti nella Ue nel 2013 parlano chiaro: sono in tutto 4.840 i profughi siriani inseriti nei paesi europei. A queste cifre ridottissime vanno accostati i 2,5 milioni di profughi rifugiati all’estero che l'Unhcr stima siano la conseguenza della guerra in Siria.
Ora tocca all’Italia e al nostro governo, fare in modo che la volontà politica degli Stati europei si indirizzi verso scenari nuovi, scelte consapevoli e condivise, lungimiranti e coraggiose. Nessun piano sarà efficace se non si parte dalla necessità di porre fine alla politica degli ultimi anni che ha causato solo morte, incapace di guardare a quanto avviene al di là del Mediterraneo.
 
 
 
"Là sotto corpi ammassati stiamo trainando un cimitero galleggiante" 
la Repubblica, 01-07-14
POZZALLO. «Quello che mi sto trascinando dietro è un cimitero galleggiante, un peschereccio di circa 25 metri con dentro almeno 30 cadaveri, quasi tutti di origine sub sahariana, ammassati uno sopra l`altro, dentro una stiva a prua. Sono in Marina da anni, è la mia quarta missione per Mare Nostrum, e non avrei mai immaginato che un giorno avrei dovuto trainare in mare un vero e proprio camposanto». 
Stefano Frumento, 43 anni, incursore della Marina Militare e comandante della nave Grecale che domenica poco dopo le 13 ha soccorso il peschereccio partito dalla Libia e bloccatosi a largo di Lampedusa, con a bordo circa 600 tra donne, bambini ed uomini, siriani, ghanesi, nigeriani, non usa mezzi termini per descrivere l`ultima strage nel Mediterraneo. «Quando abbiamo incrociato il barcone, che navigava quasi a pelo d`acqua perché stracarico - racconta Frumento abbiamo avuto paura. La plancia rischiava di crollare da un momento all`altro, sopra c`erano ammassate centinaia di persone e sotto la situazione era ancora peggio. Poi i miei marinai sono saliti a bordo e hanno scoperto nella stiva di prua decine di cadaveri». 
Il comandante non esclude che tra quei morti possano esserci donne e bambini. Dopo il sopralluogo Frumento e i medici hanno valutato che non era possibile estrarre in mare aperto i corpi e trasferirli sulla Grecale. «Abbiamo deciso quindi di rimorchiare il peschereccio». La nave della morte viaggia a cinque nodi l`ora e questa mattina dovrebbe giungere nel porto di Pozzallo, dove sono state già predisposte 30 bare di legno. 
 
 
 
Anche l`indifferenza uccide 
il manifesto, 01-07-14
Annamaria Rivera 
L'effimero e ipocrita «mai più» dopo l`ecatombe di Lampedusa del 3 ottobre 2013 si è scolorato ormai fino a cancellarsi. Al punto che nel giorno dell`ennesima strage 30 morti asfissiati - nel Canale di Sicilia, con involontario senso dell`umorismo nero il «nostro» Renzi c`invita all`euforia: anche noi dovremmo provare un brivido di piacere per essere chiamati (noi?) a realizzare il sogno degli Stati Uniti d`Europa. 
Non commuove più, neanche per un giorno, la teoria quasi quotidiana dei cadaveri restituiti dal Mediterraneo o persi nei suoi abissi. Oppure, come quest`ultima volta, intrappolati in imbarcazioni troppo anguste per contenere tutta l`ansia di salvezza di esseri umani travolti dal disordine mondiale, spesso provocato o favorito dalle grandi potenze. Quel disordine ha costretto ben 51 milioni di persone (un dato della fine del 2013) a fuggire da conflitti armati o altre gravi crisi, come ha ricordato l`Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite. 
Questa cifra, la più alta dalla fine della Seconda guerra mondiale, è costituita per la metà da bambini. Ma neppure il loro numero crescente, fra salvati e sommersi, muove a compassione collettiva, tale da farsi indignazione pubblica e protesta organizzata, di dimensione e forza continentali, contro la fortezza europea. Neppure le iniziative di movimento, coraggiose ma ancora sporadiche - come la recente Freedom March di rifugiati e migranti, che, con il No Borders Train, ha violato le frontiere per giungere a Bruxelles - ce la fanno a competere col mare d`indifferenza che riduce questa tragedia a vile computo di salme o la volge a proprio vantaggio politico. Che sia l`ondata nera di partiti che in tutt`Europa s`ingrassano di risentimento e xenofobia o la retorica dei Renzi e degli Alfano contro l`Unione 
europea cinica e bara, «che ci lascia soli e lascia morire le madri con i bambini».
Intanto Alfano lascia morire di disperazione una madre strappata ai cinque figli, quattro dei quali minorenni, per essere ristretta in un Cie e poi «rimpatriata» -lei apolide, in Italia da vent`anni - in una «patria», la Macedonia, di cui non è cittadina. Anche noi, ridotti all`impotenza, ricorriamo alle cifre per tentare di scuotere qualche coscienza mostrando la dimensione mostruosa dell`ecatombe. 
Malgrado Mare Nostrum, in questi primi cinque mesi del 2014. quasi quattrocento sono probabilmente i morti di frontiera nell`area del 
Mediterraneo. Ed essi vanno ad aggiungersi ai ventimila cadaveri conteggiati approssimativamente dal 1988 a oggi. 
Ridotti ogni volta a computare i morti, quando dovrebbe bastare un solo cadavere di bambino a suscitare commozione, indignazione e rivolta, 
neanche noi siamo innocenti, noi che almeno ci ostiniamo a denunciare la strage. 
Ma la nostra denuncia è impotente a scuotere perfino la sinistra politica italiana detta radicale, che sembra aver derubricato a faccenda minore, da delegare a qualche specialista o a qualche fissato/a, una questione che invece è il senso (o uno dei sensi cmciali) dell`Unione europea oggi. 
La quale coltiva l`illusione che il proprio sovranazionalismo, esemplarmente rappresentato dalla fortezza in cui pretende di barricarsi e da Frontex, che ne è il braccio armato, possa contrastare i nazionalismi, anche aggressivi, nominati con l`etichetta eufemistica di euroscetticismo, che vanno rafforzandosi per reazione agli effetti sociali disastrosi della crisi economica e delle politiche di austerità. 
È da molti anni che le associazioni per la difesa dei migranti e dei rifugiati propongono un programma - razionale, articolato, perfino realistico, nonché aggiornato di volta in volta- per cambiare il segno delle politiche italiane ed europee su immigrazione e asilo. Per parlare solo dei rifugiati, si dovrebbe almeno riformare radicalmente Dublino III, che impedisce ai richiedenti asilo ì movimenti interni 
al territorio dell`Ue; soprattutto, come raccomanda lo stesso Commissariato Onu per i rifugiati-Unhcr, creare corridoi umanitari e garantire 
l`effettivo esercizio del diritto d`asilo in tutti í paesi di transito, «con adeguate garanzie di assistenza e protezione per chi è in fuga da guerre e persecuzioni». 
Non sono i programmi a mancare, dunque, bensì la volontà politica di uscire da quel paradigma nefasto che concede ai capitali il massimo di libertà di circolazione - e di dominio sulle nostre vite - negandola alle vite, ancor più irrilevanti, dei dannati della terra. 
 
 
 
CHE COSA PUÒ FARE DAVVERO LUE 
La Stampa, 01-07-14
GIOVANNA ZINCONE 
Ancora trenta morti. Quest`anno i flussi irregolari via mare sono cresciuti in maniera drammatica e con loro i rischi di perdite di vite umane. Nei primi mesi del 2014 gli sbarchi sono cresciuti di ben 13 volte rispetto al periodo corrispondente del 2013. Sono aumentati anche i salvataggi, fortunatamente. 
Merito di Mare Nostrum, ma il programma di individuazione dei natanti e salvataggio in mare ad opera della nostra marina militare è un onere troppo grave per le esauste finanze italiane. Il nostro governo ha chiesto di trasformare Mare Nostrum in un`impresa europea o che almeno 
ci fossero fornirti consistenti aiuti. Diciamolo: questa g una delle bollenti patate italiane che l`Unione Europea non appare disposta a toglierci dal fuoco. L`altra riguarda il riconoscimento, da parte dei membri dell`Unione che hanno accettato una politica comune in materia 
di immigrazione e asilo, dello status di rifugiato concesso da un altro Stato membro. Questo implicherebbe la possibilità per chi riceve quello status in Italia di spostarsi altrove. Jean-Claude Junker, dopo la conferma da parte del Parlamento Europeo il 16 luglio, diventerà 
Presidente della Commissione, la sua ipotesi di nominare un Commissario per l`Immigrazione dai Paesi terzi e la Mobilità interna potrebbe quindi essere presa sul serio. Ma il possibile Commissario all`Immigrazione vorrà sciogliere alcune pesanti questioni che ci stanno a cuore? 
A vedere i risultati del recente Consiglio Europeo si deve avanzare qualche dubbio. Solo a volere essere ottimisti si può sottolineare il ripetuto riferimento ai principi di «solidarietà e corretta condivisione», di «solidarietà e responsabilità» che sono richiamati nel Trattato sul Funzionamento dell`Unione Europea rinnovato a Lisbona nel 2007. Ma le ipotesi di rafforzare decisamente Fronte; il programma comune di controllo delle frontiere e simili iniziative a livello di Mediterraneo, si proiettano in un futuro non ben definito. Al contrario, come osserva il direttore del Consiglio italiano per i Rifugiati Christofer Hein, nel documento conclusivo del Consiglio Europeo 
del 26-27 giugno, la parola «Mare Nostrum non viene menzionata, né si parla di salvataggi in mare». 
Quindi un Commissario all`Immigrazione sarebbe sì un bel segnale, ma cosa vorrà e cosa gli faranno fare? Se restiamo nell`immateriale ma utile campo dei segnali c`è qualcosa che dovrebbe almeno fare, che tutti i politici e gli analisti seri dovrebbero almeno fare: dialogare pacatamente con l`opinione pubblica e smantellare alcune tesi non solo false, ma altamente rischiose. La prima tesi dice: «Aiutiamoli a stare a casa loro». I sostenitori di questa linea politica dovrebbero spiegarci come aiutare nei loro Paesi le persone e le famiglie che scappano dalla Siria, dall`Eritrea e dalla Somalia, dall`Iraq. Intere aeree sono destabilizzate per utilizzare un eufemismo. La Libia che 
prima fungeva da terribile guardiano è ormai uno Stato fallito. A fronteggiare i massicci esodi dalle sue coste, come nota il direttore di Fieri (il Forum di ricerche sull`immigrazione) Ferruccio Pastore, «c`è solo il cerotto di Mare Nostrum» e bisogna aggiungere che si sta staccando. Spesso questi stessi fautori dell`aiuto ai Paesi di origine ignorano che quanto ad aiuti internazionali l`Italia non ha brillato 
in passato né per generosità, né per puntualità. E non si sono levate proteste e proposte da parte di chi oggi propugna di farli stare meglio a casa loro. «Rimandiamoli indietro» è la versione più dura della tesi precedente, non si capisce infatti dove si dovrebbe rimandare gran parte dei traghettati, se non all`inferno. E qui occorre un altro chiarimento. Accogliere i potenziali rifugiati non è un optional. Per 
le persone che sfuggono da persecuzioni, da situazioni drammatiche ussiste un obbligo all`accoglienza che deriva da norme internazionali ed europee. Vogliamo metterci a stracciare Trattati e Convenzioni? Piuttosto, allo scopo di ottenere una maggiore condivisione degli oneri e 
maggiori aiuti dall`Unione Europea, è bene fare con cura i compiti a casa. 
In giro per l`Europa non ci sono solo gli euroscettici, ci sono pure tanti italoscettici. La Germania ci ricorda i quasi 500 mila immigrati che si trovò a dover accogliere nel 1992, altri osservano che il nostro Paese non è certo in testa per numero di titolari del diritto di asilo o di altri tipi di protezione internazionale. Abbiamo un bel dire loro delle condizioni estreme in cui arrivano individui e famiglie 
sulle nostre coste. Ci considerano poco capaci e affidabili. Sono stati sollevati rilievi formali per le condizioni inaccettabili 
in cui vengono accolti i rifugiati. Il tavolo presso il ministero degli Interni che coinvolge gli enti locali è un`ottima iniziativa perché si prepone di raddoppiare i centri di accoglienza. Anche la prospettiva di moltiplicare le commissioni territoriali che vagliano le domande 
di asilo può contribuire a stemperare il diffuso itialoscetticismo. Purché non ci si mettano certi italiani a rinfocolarlo. 
 
 
 
Il banco di prova dell`Europa 
l'Unità, 01-07-14
UN COMMISSARIO CHE SI OCCUPI SOLO DELL`IMMIGRAZIONE? VEDREMO - DICONO A BRUXELLES - ci penseremo. Quando si toccano certi argomenti, lassù i verbi si coniugano al futuro . L`idea viene attribuita a Jean-Claude Juncker e certo sarebbe proprio bello se la prima iniziativa 
pubblica del presidente della Commissione designato riguardasse non l`economia, i conti, i mercati, i bilanci e le flessibilità ma l`umanità vittima della crudelissima mattanza che si consuma nel Grande Mare. 
Un segnale di cambiamento? Vogliamo sperarlo, ma i precedenti non aiutano. Oggi ci sono i trenta morti soffocati sotto la massa viva di seicento uomini e donne ammucchiati sopra un barcone di 30 metri (provate a immaginare, se non avete visto le foto). Otto mesi fa c`erano i trecento affogati del barcone rovesciato davanti a Lampedusa. Da Bruxelles arrivarono lacrime e promesse, il predecessore di Juncker, l`ineffabile Manuel José Barroso, arrivò sull`isola, si prese un mare di fischi e disse che la lezione era arrivata anche nei palazzi dell`Unione. Davvero? Pochi giorni dopo, il Consiglio europeo si concluse con un documento in cui si esprimeva «profonda tristezza» per la morte di tante persone e si annunciava l`istituzione di una task force «per identificare, in breve tempo, azioni concrete vòlte a migliorare l`impiego delle politiche e degli strumenti esistenti, in particolare riguardo alla collaborazione con i Paesi di origine e transito, alle attività di Frontex (l`agenzia di vigilanza sulle frontiere esterne) e alla lotta contro il traffico di esseri umani e...il contrabbando». Sì: il contrabbando. Testuale. Le politiche e gli strumenti «esistenti» sono quelli che esistono ancora: non c`è stata alcuna riforma dei criteri di accoglimento e distribuzione dei profughi che chiedono asilo, nessuna modifica del regolamento «Dublino II» che impone che le domande d`asilo possano essere rivolte solo al primo Paese d`ingresso dei rifugiati. L`idea che l`Unione europea in quanto tale apra degli uffici nei Paesi da cui arrivano i profughi e che si decida là come organizzare il viaggio e dove distribuire i richiedenti asilo è stata fatta cadere con un tonfo. L`ipotesi della creazione di corridoi umanitari viene considerata fantasia da anime belle. Della task force non sappiamo nulla. Forse l`hanno istituita veramente e magari si è pure riunita. Ma negli otto mesi da quel vertice una sola cosa è cambiata, e non perché qualcuno l`abbia voluto a Bruxelles: la nostra marina militare ha fatto splendidamente il suo dovere nell`operazione Mare Nostrum e ha tratto in salvo 66 mila profughi. Un solo Paese ha affiancato le sue navi alle nostre: la Slovenia. 
Questo è lo stato dell`arte: l`Europa latita: nelle acque tra l`Africa e la Sicilia, la Spagna, la Grecia, Malta semplicemente non c`è. È come se cominciasse più su, dove non fioriscono più i limoni. E però questa latitanza non deve essere usata come un alibi in Italia. La commissaria agli Affari interni cui è toccato l`ingrato compito di gestire il dossier, la svedese Cecilia Malstriim, aveva pochi strumenti e ancor meno soldi ma la buona volontà non le è mancata e non ha mai avuto torto quando ha denunciato come gli stanziamenti (pochi) che pure erano stati assegnati all`Italia per l`assistenza non sono stati utilizzati. E dello stato vergognoso dei centri di prima accoglienza, della lentezza delle procedure per l`esame delle richieste di asilo, delle clamorose violazioni dei diritti umani (e in qualche caso del diritto internazionale) che avvengono nei centri di identificazione ed espulsione siamo responsabili noi italiani, non «quelli di Bruxelles». C`è molto da fare, segnala 1`Unhcr in un appello alla presidenza di turno italiana, per quanto riguarda «il miglioramento delle strutture di accoglienza, l`istituzione di meccanismi di cooperazione per l`individuazione di soluzioni per i rifugiati e la creazione di alternative legali ai pericolosi movimenti irregolari». Insomma, chi è senza peccato scagli la prima pietra: noi il sasso lo metteremmo solo nelle mani dei nostri marinai e dei loro ufficiali di Mare Nostrum. Un commissario ad hoc all`immigrazione sarebbe una soluzione? Non potrebbe certo fare i miracoli, ma potrebbe contribuire, intanto, a un`operazione di igiene culturale di cui si comincia a sentire un gran bisogno. Le destre in tutti i Paesi d`Europa stanno cavalcando le paure indotte dall`immigrazione in modo sempre più spregiudicato e immorale. 
In Italia la Lega e Gasparri reclamano la chiusura di Mare Nostrum perché sarebbe un incentivo a mettersi in mare. Come se uomini e donne che si ammucchiano in seicento su una barca di trenta metri avessero bisogno di altri incentivi oltre alla propria disperazione. La nostra marina - dicono se ne torni nei porti, e se poi quelli partono lo stesso e muoiono noi che c`entriamo? Viene agitata la pauran irrazionale delle malattie e dei contagi, proprio come i mestatori facevano con la peste nel Medio Evo: dàlli all`untore, portatore, oggi, di Ebola e tubercolosi. Agli imbecilli e ai criminali che propagano queste paure, ma soprattutto a chi ci crede, bisognerebbe mostrare, magari in tv, il rigore estremo con cui si effettuano i controlli sanitari sulle navi e poi a terra. 
Ma c`è un argomento che le istituzioni europee dovrebbero sforzarsi di far diventare senso comune, e magari un commissario potrebbe dedicarsi a farlo. Oggi i migranti che arrivano sono nella stragrande maggioranza profughi politici e provengono da aree precise e circoscritte: la Siria, la Somalia, l`Eritrea, l`Afghanistan, domani forse l`Iraq. Quelli che arrivano sono tanti, sull`ordine delle decine e forse, in futuro, delle centinaia di migliaia. Ma l`Unione europea ha 800 milioni di abitanti e nella storia di tutti i suoi Paesi ci sono state migrazioni ben più massicce. Le quali hanno fatto di quei Paesi quel che sono oggi. Perché gli europei dovrebbero aver paura di chi viene qui per non avere più paura? 
 
 
 
Mare monstrum e la tragedia dei migranti 
Il Mattino, 01-07-14
Oscar Giannino 
Mare Monstrum, altro che Mare Nostrurn, come è titolata la missione speciale quotidiana delle forze italiane militari, di sicurezza e protezione civile al fine di salvare nel canale di Sicilia più vite possibile tra le migliaia indirizzate verso le coste italiane dai trafficanti di disperazione umana. 
Ieri un`altra giornata di eccezionale ordinarietà, con 30 morti su un barcone che ne ospitava oltre 600, salvato dalla Marina al largo delle coste ragusane. E la tragedia nella tragedia, con il comune di Pozzallo nell`impossibilità di celle frigorifere in numero adeguato 
alle vittime. Oggi è il giorno in cui inizia il semestre europeo di presidenza italiana, ed è il caso di indirizzare al presidente del Consiglio qualche considerazione costruttiva. Perché far polemica politica su questi argomenti è cosa di miserabile populismo, e Renzi per primo toccherà questo argomento nel suo discorso di presentazione del semestre italiano. Ci sono almeno quattro aspetti diversi da considerare. 
Il primo riguarda l`oggettivo disinteresse con il quale la maggior parte dell`Europa ha guardato a questa emergenza. Il bilancio dell`Agenzia Frontex, incaricata di coordinare il pattugliamento dei confini europei e il rimpatrio dei clandestini, è chiaro già dalle missioni svolte, da metà degli anni Duemila fino ad oggi. Gli interventi riguardano per l`80% l`Est Europa e il confine balcanico, oltre agli aeroporti. È evidente che le preoccupazioni dei Paesi euroforti centro e nord europei hanno sempre avuto la meglio. 
Un primo esiguo segnale di coinvolgimento di mezzi europei sul confine mediterraneo, la scorsa estate, non ha avuto seguito quest`anno. La Francia il mese scorso si è unita alle richieste italiane di sostituire a Frontex una Frontex Plus, ma sinora si è visto nulla. 
Secondo: le richieste italiane. È inutile negarlo, al Consiglio europeo diYpres l`attenzione preminente è andata alla partita delle nomine e di Junker, e al nodo di una maggior flessibilità nell`applicazione pro-crescita del patto di stabilità europeo. Anche Renzi, nella conferenza stampa conclusiva del vertice, ha sfiorato solo di sfuggita la questione Frontex. Indiscrezioni autorevoli vogliono che ora il governo italiano cambi marcia. E necessario, da subito, perché il prossimo eurovertice di metà luglio possa assumere decisioni nuove. 
Il punto non è tanto spostare la sede dell`Agenzia speciale europea daVarsavia verso ilMediterraneo. Se tutto restasse com`è, sarebbe 
uno sciocco contentino privo di contenuto. La svolta non è nemmeno il commissario ad hoc europeo subito annunciato da Juncker. Quel che serve non è un eurocrate in più. Il nodo di fondo è finanziario e operativo. Gli 80 milioni di bilancio di Frontex fanno ridere, 
di fronte al fatto che l`Italia sostiene più di 10 milioni al mese peri soli interventi d`emergenza e salvataggio di Mare Nostrum, 10 milioni che naturalmente non bastano affatto visto che dei 65 mila salvati in sei mesi, 61 mila sono entrati in Italia e 5 mila solo nello scorso fine settimana. Sono entrati in un`Italia in cui le strutture pubbliche residue di prima accoglienza previste dalle leggi sull`immigrazione sono al collasso, e in cui abbiamo preso sussidiariamente a chiedere ai Comuni di fare i miracoli, come se non fossero in molti casi al lumicino anch` essi. 
Tale quadro postula una moltiplicazione delle dotazioni finanziarie europee per quattro o per cinque, di cui per almeno metà destinate al limes mediterraneo. Con poteri reali a disporre missioni operative navali internazionali di tipo «stanziale», cioè di lungo periodo. 
Terzo: la minaccia italiana. Diciamolo qui in chiaro quel che unpresidente di turno europeo non può dire, per ovvi doveri diplomatici. 
La posizione italiana è percepita come debole da anni in Europa, non solo per via delle debolezze accumulate sulle questioni di finanza pubblica. È inutile nasconderselo. Per questo, la radicalità della svolta europea può davvero avvenire solo se, nei colloqui riservati con i maggiori leader europei, l`Italia indica con una certa durezza misure alternative proprie, se l`Europa dovesse restare sorda. Facciamo un esempio. Per la natura della nostra frontiera marittima, non possiamo contare su soluzioni temporali extraterritoriali (in passato avvenne, da parte delRegno Unito come della Francia e degli Usa). Ma attenti: il diritto internazionale marittimo potrebbe benissimo consentire alle autorità italiane di disporre alle navi battenti bandiera estera transitanti nel canale di Sicilia di prestarsi non al salvataggio, ma a ospitare i salvati fino al regolare porto di arrivo e non su coste italiane. E una misura durissima, ma fattibile. L`extrema ratio, per far ragionare l`Europa visto che alzerebbe i noli per tutti i maggiori porti spagnoli e francesi, colpendo i traffici anche verso il nordeuropa. 
Quarto: la reciproca convenienza. Per una nuova politica europea serve unragionamento diverso, rispetto alla pura compartecipazione operativa, finanziaria e dei flussi finali di migranti. In realtà non ci sono queste tre misure comuni, perché non c`è una comune politica dell`immigrazione, considerandola come fattore essenziale della crescita e stabilità economica complessiva. Sin qui, i diversi Paesi membri dell`Unione hanno adottato legislazioni diverse sulle procedure di ammissione temporanea, sui requisiti di lavoro, sul diritto al ricongiungimento delle famiglie e sulla cittadinanza. 
Sono le vie nazionali a superare una frontiera comune, a non funzionare più. Erano figlie di un`era in cui ciascuno pensava alla propria crescita economica, ai diversi retaggi coloniali, a confliggenti teorie e prassi giuridiche della cittadinanza. E a fabbisogni di manodopera, contributi sociali e tasse, completamente slegati da paese a paese. 
La drammatica crisi dell`Europa ha mostrato in questi anni che non è più così. La devastante curva demografica italiana e l`invecchiamento della popolazione tedesca sono due facce di una stessa medaglia. Più l`Italia è lasciata sola nel salvataggio e nel filtro impossibile di centomila disperati l`anno, meno potrà concentrarsi su una politica di "scelta" di migranti per qualità dell`offerta, come invece da tempo hanno iniziato a fare i paesi nordeuropei. Ma meno lo faremo noi, più metteremo anche gli altri paesi europei nelle stesse condizioni. 
Perché nessuno di chi viene ripescato in mare, oggi, vuole restare nel nostro impoverito Paese. Amaro dirlo, ma giusto riconoscerlo. 
E farlo presente a tutti, con la dovuta chiarezza. 
 
 
 
Oltre 61 mila persone sbarcate da inizio anno Nove milioni e mezzo al mese per i salvataggi 
Il Viminale: potenziati i circuiti dell`accoglienza. Centri di smistamento in ogni regione 
Corriere della sera, 01-07-14
Alessandra Arachi
ROMA - È una bara gigantesca il nostro Mediterraneo. Una bara senza confini, senza certezze. Non si possono contare con precisione le persone che sono annegate durante le traversate. Si possono stimare. Diecimiladuecentocinquanta, solo negli ultimi sette anni, hanno calcolato alla Comunità di Sant`Egidio. Anime smarrite: volevano raggiungere l`Italia, la Grecia, la Spagna. Ora dormono sotto quel mare color metallo. 
Un mare che non smette di essere solcato da imbarcazioni che abbiamo imparato a chiamare «carrette». Cosa è successo negli ultimi sette anni? Per raggiungere l`Italia via mare sono montati a bordo di quelle «carrette» più di 230 mila immigrati (231.314, per la precisione). 
Il record 
Non era mai successo che arrivassero tanti migranti tutti insieme come quest`anno: 61 mila 50o nei primi sei mesi. Un record inquietante: nello stesso periodo del 2013 erano stati infatti 7 mila 916. Un record che non ha paragoni con l`anno che fino ad ora aveva superato ogni picco, visto che nel 2011 erano arrivati in (quasi) 63 mila. Nel 2014 siamo sul passo del raddoppio netto. «C`è un flusso notevole di pressione di immigrati sulle nostre coste, ma la verità è che poi quelli che vogliono rimanere in Italia sono una percentuale minima» 
garantisce Carlotta Sami, portavoce dell`Unhcr, l`Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati. Poi precisa: «Per fare un esempio e farmi capire basta prendere i Siriani: tra quelli che quest`anno sono arrivati in. Italia, soltanto il 4 per cento ha fatto richiesta di asilo politico». 
Rifugiati 
Scappano dalle guerre, dai regimi, dalle carestie gli immigrati che toccano terra in Italia dopo aver attraversato deserti, montagne e pianure prima di imbarcarsi su quel mare che, all`improvviso, può diventare il peggiore dei nemici. Cinquemilasettecentosettanta in sette anni sono stati i morti soltanto nelle acque del Mediterraneo che circondano le nostre coste. 
Mare Nostrum 
Ecco il perché di Mare Nostrum. Dall`ottobre dello scorso anno il governo ha varato questa operazione militare: è interamente dedicata al salvataggio dei migranti. Dalla nascita Mare Nostrum è stata accompagnata dalle polemiche per i costi. Costi che continuano a lievitare. 
Al suo battesimo, in ottobre appunto, venne infatti dichiarato che l`operazione sarebbe costata un milione e mezzo di euro al mese. Adesso dal Viminale non esitano ad ammettere una cifra sette volte superiore, ovvero nove milioni e mezzo al mese. Del resto non potrebbe 
essere altrimenti visto lo schieramento di forze messo in campo. Millecinquecento militari, aerei infrarossi, navi, motovedette, fregate e persino i droni radar. 
In campo, poi, è stata fatta scendere anche la nave anfibia San Marco, per l`occasione trasformata in ospedale, con 165 uomini di equipaggio e un costo stimato di 45 mila euro al giorno, quindicimila euro in meno della fregata Maestrale, tre volte di più dei pattugliatori. 
Non manca il lavoro alla squadra dì Mare Nostrum, anche se è un lavoro che non può avere alcuna organizzazione. 
Imprevedibile 
Già, è un flusso che non può essere previsto nè controllato quello degli immigrati che sbarcano quasi quotidianamente sulle nostre coste. Nel 2010, ad esempio, arrivarono in tutto 4 mila 406 profughi/immigrati e l`anno precedente erano stati appena poco più del doppio: 
come si poteva immaginare l`invasione improvvisa che sarebbe arrivata nel 2011? 
«Non voglio parlare di invasione quando discutiamo di sbarchi degli immigrati, non è una parola che mi piace». Da due settimane il prefetto Mario Morcone è tornato al Viminale, a dirigere il dipartimento dell`Immigrazione. Ieri era a Bruxelles a parlare proprio del problema italiano degli sbarchi con il tedesco Mathias Reute, il numero uno in Europa per la questione dell`immigrazione. Fatichiamo sempre molto con l`Europa per farci aiutare ad affrontare un problema che, come si è visto dai numeri, non è certo soltanto nostro. 
Dice il prefetto Morcone: «L`Italia è un Paese con 6o milioni di abitanti e 8 mila ioo comuni. Per questo non mi piace parlare di invasione. Abbiamo posto per ospitare queste persone che sono per la grande maggioranza profughi in fuga dalle guerre e dalle difficoltà. Guardiamo i numeri dei flussi: arrivano dalla Siria, dall`Eritrea, dal Sudan, dalla Libia. Ecco perché ci stiamo organizzando sempre meglio per l`accoglienza». 
5 mila posti in più Mario Morcone ci fa sapere che proprio da oggi saranno a disposizione 5 mila posti in più nei centri Sprar, quelli dedicati agli immigrati rifugiati. «Fino ad oggi erano 15 mila, ora saranno 20 mila», dice il prefetto Morcone, prima di annunciare il lancio degli «hub», un progetto di collaborazione dello Stato con le Regioni che - garantisce - dovrebbe essere varato a giorni. 
«Gli «hub» sono, come dice la parola inglese, degli snodi, dei posti di transito dove verranno portati gli immigrati per essere smistati: i profughi e i richiedenti asilo diretti nei centri di assistenza degli Sprar; gli altri, quelli arrivati clandestini per motivi economici saranno invece rimpatriati, o volontariamente o forzatamente. Gli «hub» dovrebbero essere dei luoghi per evitare che, alla fine, gli immigrati sbarcati finiscano nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) senza che prima si sia capito se sono rifugiati o, appunto, clandestini. 
I Cie 
In linea teorica i Cie in Italia sono tredici. Ma la verità è che ad oggi ad essere attivi sono soltanto cinque e ospitano circa 600 immigrati clandestini. Introdotti nel 1998 con la legge sull`immigrazione firmata anche dall`attuale presidente della Repubblica, la Turco -Napolitano, i Cie sono da sempre bersaglio di polemiche, da tutti i fronti politici e umanitari. 
Frontex Non è facile trovare strutture di accoglienza per così tante persone. «Siamo in attesa che l`Europa ci metta a disposizione i cosidetti fondi Fami, ovvero 30o milioni di euro per il periodo che va dal 2014 al 2020», spiega ancora il prefetto Mario Morcone che ieri a Bruxelles è andato a discutere anche di questi soldi, dei progetti che bisogna fare per poterli finalmente ottenere. Ma è andato anche per discutere di come poter finalmente sostituire la nostra operazione Mare Nostrum con Frontex, il progetto europeo di cooperazione internazionale. 
 
 
 
IL DIRITTO DI RESPIRARE 
La Repubblica, 01-07-14
Gad Lerner
Il groviglio di corpi accatastati nei barconi fino a provocare la morte per soffocamento di chi sta sotto, è la diretta conseguenza del monopolio sul trasporto marittimo dei migranti che noi europei abbiamo concesso alle organizzazioni criminali. Stiamo uccidendo migliaia di innocenti e stiamo arricchendo le nuove mafie transnazionali.
Noi che ci indigneremmo se in simili condizioni venissero stipati gli animali destinati al macello, accettiamo che degli umani vengano caricati sui battelli a cinghiate come bestiame.
Quello che i sopravvissuti tra di loro chiamano pudicamente “il viaggio”, ma solo in pochi avranno il coraggio di rievocarlo, è la cruna dell’ago del mondo contemporaneo. Chi lo intraprende sa cosa rischia: ormai depredato di tutto, imbarcandosi è come se entrasse per sua volontà in stive le cui pareti metalliche possono trasformarsi in camere a gas, fatale ultimo azzardo dopo un’infinità di torture subite.
Uomini, donne e bambini muoiono sotto i nostri occhi in uno stretto braccio di mare per disidratazione, per affogamento e ora anche per mancanza d’aria. È grottesco pensare di disincentivarli inasprendo i controlli o negando loro accoglienza. Le sofferenze che li hanno sospinti a partire e le violenze già subite lungo il tragitto, sono incommensurabili col nostro potenziale dissuasivo.
Meritano il nostro rispetto le unità della Marina militare che con scarsità di mezzi si prodigano nei salvataggi, riscattando il disonore dei giorni in cui eseguirono l’ordine dei respingimenti. Ma è evidente che Mare Nostrum è solo un palliativo, là dove andrebbe creato subito un corridoio umanitario, ovvero un servizio civile di traghetti e voli charter per smistare razionalmente i migranti in varie destinazioni europee.
Nel recente Consiglio dell’Ue è stato ancora una volta eluso l’imperativo di un “mutuo riconoscimento” delle decisioni di asilo. Si perpetua l’assurdità per cui tale diritto di asilo viene riconosciuto solo nello Stato membro che l’ha concesso. Ne deriva una prassi ipocrita: le autorità italiane evitano tacitamente di procedere all’identificazione dei migranti approdati sulle nostre coste ma desiderosi di farsi riconoscere lo status di rifugiati in nazioni più accoglienti. Così, per favorire la loro ripartenza, dopo quello degli scafisti incrementiamo pure il trasporto illegale via terra dei passeur. Siamo apprendisti stregoni, favoriamo il riciclo di enormi profitti spesso destinati all’acquisto di armi con cui verremo minacciati e poi forse aggrediti.
Sappiamo bene che la tragedia storica delle migrazioni dalla sponda sud del Mediterraneo divide lo nostre coscienze. Il leader del principale partito di opposizione si è dichiarato contrario a aiutare i migranti perché altrimenti «finiremmo con percentuali di voto da prefisso telefonico ». L’estrema destra impersonata da Salvini resuscita la fandonia dell’«aiutiamoli a casa loro» dopo che per anni i governi che appoggiava hanno tagliato i fondi della cooperazione, favorito l’esportazione di armi, sostenuto gli aguzzini di quei popoli.
Lo stesso disimpegno europeo, che Juncker non rimedierà certo con la nomina di un commissario ad hoc , rischia di far solo da foglia di fico perché maschera inadempienze tutte italiane. Come non riconoscere un segno plateale del declino che ci affligge nel nostro essere contemporaneamente un paese sempre più vecchio e un paese restio a aggiornare le sue normative per l’integrazione dei flussi migratori. Matteo Renzi, un maestro nella conquista del consenso popolare, ha una spiccata tendenza a eludere le questioni che dividono l’opinione pubblica. Lo testimonia il dirottamento a Strasburgo di Cécile Kyenge, forse la principale novità del governo precedente. E lo conferma la messa in sordina della cittadinanza per i bambini stranieri residenti in Italia.
Eppure il cataclisma euromediterraneo in cui si trova immerso il nostro paese, per quanto difficile da gestire, ne rappresenta anche l’unica prospettiva futura di rinnovamento. Viviamo in un’epoca che ha visto schizzare a 51,2 milioni nel 2013, secondo l’ultimo rapporto Global trends dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i profughi, il numero dei migranti forzati. Molti di loro sono sfollati interni che aspirano a fare ritorno non appena possibile alle proprie case. Ma i fuggiaschi sono aumentati di ben 6 milioni nel giro di un solo anno. La Siria, la Repubblica Centrafricana e il Sud Sudan si aggiungono all’Eritrea, alla Somalia e in parte al Maghreb come luoghi in cui vivere è quasi impossibile. Gli apolidi sono circa 10 milioni, di cui solo un terzo effettivamente censiti.
Di fronte a un tale sommovimento neanche se lo volesse l’Europa potrebbe trasformarsi in una fortezza. Del resto, nella prima metà del secolo scorso, furono gli europei a emigrare in decine di milioni verso le Americhe e l’Australia. Ora al vecchio continente tocca gestire un flusso inverso, riconoscendo a noi prossima l’umanità dei miserabili in cammino. L’osmosi è un destino ineluttabile, da programmare con lungimiranza. Tanto per cominciare, abbiamo gli strumenti civili, tecnologici e militari per debellare le organizzazioni criminali che lucrano sul commercio di vite umane. La Libia, anche per nostra colpa, è caduta nelle mani di signori della guerra cui va sottratto il potere territoriale di smistamento dei migranti. Creare delle enclaves per il soccorso, l’identificazione e il trasporto sicuro è meno pericoloso che subire il loro predominio.
Il semestre europeo dell’Italia ci assegna un compito strategico, da assolvere con pietà e efficienza. Traghetti subito. Mutuo riconoscimento delle domande d’asilo. Monitoraggio comune e equo smistamento. Affinché nessuno muoia più soffocato dal corpo di un padre o di un fratello.
 
 
 
La speranza che soffoca
Avvenire, 01-07-14
Giorgio Ferrari
L’ennesima tragedia del mare – e il Cielo sa se vorremmo che fosse l’ultima – ripropone, ogni volta in modo più netto, drammatico e urgente la sola domanda che merita convincente risposta: che cosa ritiene di fare l’Unione Europea, quali proposte, quali progetti, quali rimedi reputa di mettere in campo affinché il Mediterraneo cessi di essere un gigantesco cimitero per migliaia di sventurati e di miserabili in fuga dagli orrori delle guerre, dalle persecuzioni religiose, dalla crudeltà di satrapi e dittatori di cui i continenti che si affacciano su questo mare purtroppo abbondano?
Vorremmo sbagliarci, ma la risposta ancora non c’è. Non nel senso che Bruxelles rifiuti di occuparsene, semplicemente tende a minimizzare il problema. Una dimostrazione esemplare viene dalla bozza conclusiva del vertice dei capi di Stato e di governo che si è appena chiuso venerdì. Non vi troviamo traccia alcuna di salvataggi in mare, né si accenna a quella porzione marina di Europa – Mare Nostrum, appunto – sul quale, non per dire, stendono le proprie coste e spiagge nazioni non di secondo piano come l’Italia, la Francia, la Spagna, oltre alla Grecia, a Malta, a Cipro e alla Croazia.
Ma l’Unione Europea, impareggiabile nel creare agenzie come il Frontex (che per il 2014 ha un budget di soli 90 milioni di euro, l’equivalente per l’intera Ue del costo di dieci mesi della missione umanitaria solo italiana "Mare Nostrum") o nell’immaginare il sistema di monitoraggio satellitare Eurosur, chiude sistematicamente gli occhi di fronte al problema. «Un’europeizzazione del problema degli sbarchi – confidano a Bruxelles fonti diplomatiche – comporterebbe costi e oneri che i Paesi del Nord non sono disposti a sobbarcarsi». Molto più semplice, come fa il presidente in pectore della Commissione Europea Jean–Claude Juncker, ipotizzare la figura di un commissario delegato alle questioni dell’immigrazione. Grandiosa idea, se pure con un ritardo di almeno quindici anni. Come in ritardo rispetto alla realtà delle cose sono alcuni dispositivi che attengono al diritto di asilo, primo fra tutti il "Dublino 3", il regolamento della Ue che impone ai migranti di fare richiesta d’asilo nel primo Paese in cui sbarcano. Il che vuol dire prevalentemente da noi, a prescindere da dove spesso già risiedano le loro stesse famiglie.
Non sfugga il fatto che buona parte dei carichi di disperati che prendono la via del mare si forma e parte dalla Libia. Quella stessa Libia che – ora ce ne rendiamo pienamente conto – la stolida fretta di Francia e Gran Bretagna di cancellare il regime di Gheddafi sull’onda delle primavere arabe del 2011 ha finito per trasformare in una succursale della Somalia, dove legge, diritto, sicurezza, speranza nel futuro sono parole travolte dall’anarchia e dalla violenza dei gruppi più radicali e dalle dispute tribali. Eppure proprio laggiù, dalla Libia, si potrebbe e si dovrebbe ripartire per creare un corridoio umanitario, un ombrello internazionale sotto l’egida dell’Onu perché i migranti possano fare domanda d’asilo senza mettere la propria vita nelle mani dei trafficanti e degli scafisti. È lì, dove si forma il problema, che l’Europa dovrebbe cominciare ad agire. L’Europa, si badi, non la sola Italia.
Nelle ultime 72 ore oltre 5mila immigrati sono stati soccorsi dalle navi della Marina militare inserite nel dispositivo aeronavale interforze "Mare Nostrum" nel Canale di Sicilia. Trenta di essi erano giunti sulle nostre coste già cadaveri, soffocati nel ventre di una barca. Dall’inizio dell’anno ne sono stati soccorsi oltre 60 mila. Le previsioni dicono che si arriverà almeno a 100 mila entro l’anno. A poco valgono, di fronte a tutto ciò, i farisaici distinguo che francesi e tedeschi abitualmente ci propinano, spalleggiati dalla commissaria uscente agli Affari Interni Cecilia Malmström: nel solo 2013 – dicono – i tedeschi hanno ricevuto 125mila richieste di asilo, la Francia 75mila, la Svezia 54mila, il Regno Unito 30mila e l’Italia "solo" 28mila. Come dire, di cosa ci lamentiamo? Ma questa è una domanda insulsa e provocatoria: nel Mediterraneo si muore, si fanno affari, si lascia letteralmente soffocare la speranza. E da troppo tempo l’Unione Europea tarda a dare la risposta giusta.
 
 
 
Il capitano dei soccorsi: "Sono sciacalli Hanno stipato 600 persone in 20 metri" 
I militari affrontano l`emergenza. Ma a terra i sopravvissuti diventano un business 
La Stampa, 01-07-14
Nicolò Zancan
I morti sono in viaggio. Ancora una notte senza pace. Non è colpa dell`Italia, se solo potessero ascoltare. «Il barcone era alla deriva a 158 miglia a Nord-Ovest di Tripoli. I migranti si sbracciavano e gridavano. Non ho mai visto tanta gente stipata in quel modo in vita mia. Più di 600 persone in venti metri. A bordo c`erano anche 73 minori, bambini piccolissimi. I cadaveri erano in un gavone senza scala, schiacciati giù. Il medico di bordo ne ha contati 28-30, ma forse ce ne sono altri. Non lo sappiamo. Potrebbero essere morti per asfissia o per aver respirato monossido di carbonio sprigionato dai motori». 
La voce del capitano di fregata Stefano Frumento arriva dal mare. È la sua casa, il Mediterraneo. «Stiamo trainando il barcone con le vittime verso il porto di Pozzallo», dice. Ha sempre un tono pacato, però questa volta è diverso: «Fa male vedere degli sciacalli 
imbarcare così tante persone su mezzi di fortuna. Io conosco il mare. Immagino cosa siano stati due giorni in quelle condizioni. 
Siamo di fronte a una tragedia disumana, sono fiero di quello che stiamo facendo». 
Sulla strada per Sciacca c`era un tre stelle con piscina e gazebo. Quarantadue stanze immerse in un verde innaturale. Su Trip Advisor riceveva ottime recensioni, anche dai turisti tedeschi: «Un paradiso! Camere ben attrezzate, a soli venti minuti dalla Valle dei Templi». Ma ora il proprietario del Villa Sikania Park Hotel sta aspettando altri 141 migranti. È la riconversione industriale di questo pezzo di Sicilia, al tempo della grande migrazione. Piero Giglio, 46 anni, ex presidente degli albergatori di Agrigento. «Non credo più alla favola del turismo - dice ho avuto l`opportunità di convertire la struttura e non me la sono fatta scappare. Abbiamo aperto il 2 aprile. Non sono pentito». Ha firmato una convenzione con la prefettura. Riceve 30 euro al giorno per immigrato. Deve fornire alloggio, colazione, pranzo e cena, una scheda telefonica all`ingresso. C`è un piccolo centro medico aperto 12 ore al giorno. Il gazebo, invece, non c`è più. E la piscina 
è vuota per ragioni di sicurezza. «All`inizio avevo qualche timore - racconta Giglio - ma arriva gente molto cordiale. Persone sensibili; Molti scappano. Molti non sanno cosa fare. Un giovane eritreo si è messo a piangere, raccontando le torture che ha patito in Libia. Un altro mi ha fatto vedere un bigliettino con scritto Stoccolma, convinto di essere arrivato. Ma più di tutto, forse, mi ha colpito quella dottoressa siriana sbarcata con il trasportino. Una dottoressa e il suo gatto in fuga dalla guerra...». 
Sulla banchina del porto di Pozzallo, il sindaco Luigi Ammatuna è alla trentesima intervista. C`è un altro centro di accoglienza proprio qui, comodo per le operazioni dí trasbordo. È un edificio basso, circondata da cancellate e poliziotti. «Tutti sentono Pozzallo in televisione e pensano che gli immigrati siano in giro per le nostre strade - dice il sindaco - ma in realtà non è così. Sono in una struttura chiusa, due chilometri fuori dal paese». Lui vorrebbe parlare di quanto è bella la spiaggia delle Pietre Nere. Ma anche la percezione di questo mare sta cambiando. «Le prenotazioni sono calate del 35 per cento», dice Ammatuna. È sua la frase del giorno, quella che fa titolo: «Non c`è più posto per i morti». Ma cosa significa? Per cortesia, può spiegare meglio? «Sono stato frainteso. È solo una questione logistica. Al cimitero di Pozzallo ci sono solo due celle frigorifere, occupate dai migranti affogati un mese fa. Non c`è altro spazio. Ora, se si tratta di seppellirli, nessun problema. Ma se la procura disponesse l`autopsia...». 
I vivi e i morti, 5071 migranti salvati dal mare in 48 ore. E una storia che sembra ripetersi identica, anche se non è vero. La nave militare attracca al porto con tutta la lentezza necessaria. I migranti sono radunati sul ponte di poppa. I militari indossano tute bianche e mascherine per prevenire contagi, ma abbracciano bambini con occhi vivissimi. Le strade si dividono in fretta. Eritrei e siriani scappano subito. Non vogliono farsi prendere le impronte digitali. Mirano al Nord Europa. C`è una piccola mafia mista, locale e straniera, che si occupa della questione. Certe volte i taxi aspettano già al porto, per garantire la prosecuzione del viaggio. C`è tutto un indotto che fiorisce sulla disperazione. Davanti al Cara di Mineo, il più grande centro per migranti della Sicilia, un villaggio di casette arancione al centro del nulla, partono continuamente furgoni stipati all`inverosimile. È la prima tassa da pagare per andare a cercare un lavoro a Catania: 10 euro, andata e ritorno. Ragazze eritree si prostituiscono lungo la strada. Certi sogni precipitano in fretta. E nel disordine, nella generosità, nell`affanno di questi giorni, sì staglia quanto accaduto a Taranto. Un autista municipale ha raccontato alla Digos: «Mi hanno chiesto di portare i migranti alla stazione di Milano Rogoredo, scaricarli dal pullman e scappare prima dell`arrivo della polizia». Sbolognati come pacchi, oppure accolti nell`ex albergo con piscina. That`s Italy. 
 
 
 
Strage di Lampedusa, fermati i trafficanti
Avvenire, 01-07-14
Personale del Servizio centrale operativo e delle Squadre Mobili di Palermo ed Agrigento stanno eseguendo nove decreti di fermo e cinque informazioni di garanzia nelle province di Agrigento, Catania, Milano, Roma e Torino nell'ambito dell'inchiesta sulla strage di Lampedusa del 3 ottobre del 2013, quando morirono 366 migranti.
I provvedimenti sono stati emessi dalla Dda di Palermo nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere, nonché di favoreggiamento dell'immigrazione e della permanenza clandestina, aggravati dal carattere transnazionale del sodalizio malavitoso.
Le indagini, avviate dopo il tragico naufragio avvenuto il 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa e nel quale persero la vita almeno 366 migranti, hanno consentito di ricostruire le rotte e le tappe intermedie (caratterizzate spesso da stupri di massa e segregazioni) di quello e di numerosi altri terribili viaggi della speranza compiuti da centinaia di migranti, spinti e sfruttati durante le peregrinazioni, dai componenti di un pericoloso network malavitoso transnazionale, composto da soggetti eritrei, etiopi e sudanesi, i cui principali esponenti sono anch'essi destinatari del provvedimento restrittivo.
Anche attraverso mirate attività tecniche è stato possibile verificare come l'attività di reclutamento e trasporto in Italia di consistenti flussi di migranti trovasse un importante appendice nel nostro Paese in attive ed efficienti "cellule" eritree, capaci di favorire la permanenza degli extracomunitari e prepararne l'approdo in altri stati del nord Europa e del Nord America.
L'esito dell'operazione condotta delle squadre mobili di Palermo e Agrigento nell'ambito dell'inchiesta della Dda sulla strage di Lampedusa del 3 ottobre del 2013 quando morirono 366 migranti sarà al centro di una conferenza stampa che si terrà, alle 11.00, nella palazzina 'M' della Procura della Repubblica di Palermo, alla presenza dei magistrati e degli investigatori.
 
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Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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